Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6038 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6038 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2116/2021 R.G. proposto da : ASL DI TERAMO, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME
SANDRO, PELILLO NOME
-ricorrente e controricorrente al ricorso incidentale- contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-controricorrente al ricorso principale e ricorrente incidentale- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 748/2020 depositata il 25/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che
RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio l’AUSL di Teramo per ottenerne la condanna al pagamento di crediti acquistati in massa e vantati da cliniche private convenzionate con la Regione Abruzzo, in ragione di prestazioni sanitarie eseguite tale regime;
l’AUSL resisteva controdeducendo che la cessione non le era opponibile perché non accettata dalla Regione, da cui l’azienda dipendeva, ai sensi dell’art. 70, r.d. n. 2440 del 1923, né notificata ai soggetti parimenti previsti dall’art. 13 delle convenzioni stipulate dalla stessa con le cliniche;
il Tribunale accoglieva la domanda con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui, in particolare:
-la notifica, prevista dalle convenzioni con obbligo in capo al solo cedente, ossia la struttura, da effettuare oltre che alla Regione e all’AUSL, anche alla RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE «nella sua qualità di organismo di monitoraggio e gestione finanziaria ai sensi dell’art. 38 della legge n. 146 del 1996 e stante le competenze alla stessa attribuite in virtù dell’articolo 10 del…contratto», non essendo stata pattuita esplicitamente in termini derogatori al regime codicistico dell’opponibilità della cessione del credito, era espressione di una finalità interna al sistema sanitario, di controllo della spesa regionale, rispetto al quale il cessionario era in posizione d’indifferenza, avendo il solo obbligo, assolto, d’informare il debitore ceduto che, a sua volta, non avrebbe potuto «ripararsi dietro le mancate ulteriori notifiche per ignorare ciò che sa e per provvedere a un pagamento nei confronti di un soggetto non più legittimato a riceverlo»;
-l’ulteriore rinvio, contenuto anch’esso nell’art. 13 delle convenzioni, all’art. 70, r.d. n. 2440 del 1923, per l’accettazione della Regione, da cui l’AUSL dipendeva, era disposto non solo ‘ai
sensi’ ma anche ‘per gli effetti’ correlati da tale norma all’assenso in parola esplicitamente enunciato in termini di obbligo, come tale condizionante l’efficacia della cessione;
-ciò nondimeno, essendo la ratio della richiamata norma quella di evitare che, durante l’esecuzione del contratto, potessero venir meno i mezzi finanziari al soggetto obbligato alla prestazione in favore della p.a., la deroga in questione doveva ritenersi operante solo fin quando il contratto fosse in corso, cessando così al suo termine: la conclusione, propria della nomofilachia cassazionale, era confermata dall’art. 9, allegato E, legge n. 2248 del 1865, secondo cui «sul prezzo dei contratti in corso» non poteva «convenirsi cessione, se non vi aderis l’amministrazione stessa»;
-le cessioni oggetto di lite concernevano crediti maturati in relazione a contratti -le convenzioni -con tre cliniche, scaduti il 31 dicembre 2007, e relativi a prestazioni già eseguite, e quindi riferiti a rapporti esauriti, indipendentemente dal fatto che vi fosse stata una proroga della relazione negoziale;
-la prova dell’entità del credito ceduto era evincibile non solo dalle fatture ma pure dal fatto che alle stesse corrispondevano contratti documentati e indiscussi, e, al contempo, dalla circostanza che la dettagliata documentazione complessiva non era stata specificatamente contestata come possibile, laddove, in particolare, le note di credito cui l’allegato di una missiva faceva in tal senso riferimento nel quadro di verifiche sulle prestazioni e «riconciliazioni contabili», secondo indicazioni della s.p.a. FIRA e delibere regionali non prodotte, erano generiche e incomprensibili anche quanto alle cifre che avrebbero dovuto decurtarsi, ferma l’inammissibilità degli ordini di pagamento prodotti tardivamente dall’azienda ospedaliera solo in appello;
-infine, non erano stati provati pagamenti, mentre gli artt. 6 e 10 delle convenzioni stabilivano i tempi di esigibilità delle fatture
all’esito della mancanza di verifiche ostative o puntuali contestazioni, sicché i crediti di cui si domandava il pagamento erano anche suscettibili di esazione;
avverso questa decisione ricorre l’AUSL di Teramo formulando tre motivi;
resiste con controricorso la s.p.RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE articolando altresì due motivi di ricorso incidentale, cui l’AUSL di Teramo ha contrapposto proprio controricorso;
Rilevato che
con il primo motivo di ricorso principale si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato: considerando apoditticamente esaurito il rapporto, cui si correlavano i crediti ceduti, mentre lo stesso era stato prorogato senza soluzione di continuità, come pure accertato, in particolare oltre il termine finale delle convenzioni, 31 dicembre 2007, fino alle annualità 2008 e 2009; mancando di considerare che i contratti, cui i crediti come detto afferivano, erano stati stipulati in costanza di rapporto, e il regime pattizio e legale delle cessioni non poteva che estendersi oltre il triennio di vigenza originariamente fissato una volta che il medesimo rapporto era stato prorogato; obliterando che l’art. 10 delle convenzioni prevedeva comunque l’esigibilità entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello di competenza, in evidente ragione delle verifiche di appropriatezza di cui all’art. 6 dei medesimi contatti; non valutando che le verifiche ispettive previste dalla convenzione erano state eseguite anche dopo la scadenza contrattuale una volta prorogato il rapporto;
con il secondo motivo di tale ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, cod. civ., non rispondendo ai canoni di ermeneutica contrattuale l’obliterazione delle condizioni poste dalle convenzioni alle cessioni dei crediti, non potendo semplicisticamente discorrersi, quanto alle previste
notifiche, di mero monitoraggio della spesa quando si trattava, all’evidenza, dei presupposti di controllo e verifica della stessa quale derivante dai crediti oggetto di trasferimento, lasciando altrimenti che cedente e cessionaria agissero, come accaduto in distinti giudizi, per ottenere ciascuna per intero il pagamento di crediti non correttamente verificati e, talora, oggetto di già intervenute liquidazioni in favore della struttura;
con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116, cod. proc. civ., e della correlata distribuzione dell’onere della prova nel quadro dei principî regolatori del giusto processo, poiché la Corte di appello avrebbe errato avallando l’accoglimento della domanda basato sulle sole fatture, e attribuendo in buona sostanza valore di conferma al mero silenzio dell’amministrazione estranea invece alla cessione, laddove in altri giudizi era stata più idoneamente ritenuta necessaria la produzione delle cartelle cliniche afferenti alle sottese prestazioni e a supporto di conseguenti ricostruzioni contabili peritali officiose, il tutto senza valorizzare affatto, nel giudizio definito dalla sentenza impugnata, documenti provenienti da soggetto pubblico e concernenti anche note di credito non scomputate, omettendo di decurtare significativi importi riferibili in tal modo, e complessivamente, a liquidazioni effettuate, disconoscimenti di spettanze e storni;
con il primo motivo di ricorso incidentale si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 69 e 70, r.d. n. 2440 del 1923, poiché la Corte di appello aveva comunque revocato in dubbio l’inapplicabilità alle amministrazioni diverse da quella centrale delle norme richiamate;
con il secondo motivo di tale ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che la Regione era soggetto estraneo alla fattispecie traslativa dei crediti, e come tale la sua accettazione non poteva ritenersi aver
condizionato l’opponibilità della cessione, afferendo, al più, ai rapporti interni alle amministrazioni coinvolte e, dunque, a profili di responsabilità contabile;
Considerato che
i primi due motivi di ricorso principale e i motivi di ricorso incidentale, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;
la Corte territoriale, come anticipato, ha fondato la decisione sull’ermeneutica negoziale, ritenendo, in particolare, alla luce della clausola 13 delle convenzioni, che:
la notifica alla RAGIONE_SOCIALE, aggiuntiva a quella all’AUSL e alla Regione, delle cessioni in parola, pacificamente perfezionate con scrittura privata autenticata con notifica del cessionario al debitore ceduto, ossia l’azienda ospedaliera, era stata prevista a fini di monitoraggio della spesa, esplicitamente indicato sul punto senza, per converso, alcuna pattuizione che palesasse una deroga al regime codicistico dell’opponibilità del trasferimento del credito;
l’accettazione della Regione era invece stata espressamente prevista con richiamo recettizio dell’art. 70, r.d. n. 2440 del 1923, ma doveva intendersi limitata, in ottica derogatoria al regime di diritto comune, alle ipotesi di prestazioni riferite a contratti in corso, altrimenti venendo meno la finalità sottesa alla prescrizione richiamata, ovvero quella di assicurare che al soggetto ancora in procinto di erogare compiutamente alla pubblica amministrazione la prestazione possano venir meno i mezzi finanziari necessari;
nel caso, i contratti originanti i crediti ceduti erano già scaduti, nel 2007, e le relative prestazioni eseguite, con conseguente irrilevanza dell’accettazione regionale; secondo la giurisprudenza di questa Corte la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, ha l’onere di specificare i canoni che in concreto
assuma violati, e in particolare il punto e il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo, comunque, le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non dev’essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., 28/11/2017, n. 28319, e succ. conf., ad esempio Cass., 18/11/2024, n. 29623, pag. 12);
in altri esplicativi termini, la contrapposizione di altra lettura delle clausole negoziali parimenti plausibile si risolve, come tale, nella richiesta di un diverso sindacato di merito, estraneo, in questa misura, al giudizio di legittimità (Cass., 04/12/2023, n. 33860, pag. 8);
nel caso non viene quindi in gioco la portata normativa dell’art. 70, sopra citato, in sé, ma quale oggetto di richiamo recettizio pattizio (cfr. Cass., 24/10/2023, n. 29420), mentre l’opposizione di alternative ermeneutiche delle clausole negoziali si traduce in un inammissibile tentativo di rilettura istruttoria, essendo univocamente iscritta in una logica di plausibilità la ricostruzione della volontà delle parti, effettuata dal Collegio di merito, quale non diretta a derogare il quadro codicistico della cessione del credito con la menzione di notifiche a fini di monitoraggio, e invece volta a prevedere, letteralmente («la cessione dovrà essere accettata»), la necessità di adesione alla stessa ad opera della Regione da cui l’azienda sanitaria dipendeva, nei limiti però teleologici da riferire alla norma oggetto del richiamo, e dunque non più incidente in ipotesi di contratti terminati e prestazioni eseguite;
residua la questione della proroga del rapporto contrattuale, accertata e pacifica, in uno a quella dell’esigibilità di alcuni crediti successivi (2008), rispetto all’anno di competenza (2007);
la censura sul punto mira in parte a una nuova valutazione fattuale, in parte a eludere piuttosto che a smentire la ragione decisoria correttamente affermata dal Collegio di merito;
quest’ultimo ha fatto leva sulla conclusione temporale dei contratti e sulla effettuazione delle prestazioni già effettuate;
il fatto che il rapporto contrattuale abbia avuto in concreto una ‘proroga’, differente da una modifica del medesimo contratto precedentemente alla sua scadenza, non incide sulla circostanza per cui i rapporti negoziali quali pattuiti si erano definiti, e le singole prestazioni, erogate per conto della pubblica amministrazione in ragione di quelli, accertate come già effettuate, a nulla potendo pertanto rilevare che poi, nella forma della suddetta ‘proroga’ per quello che si allega, e risulta dalla sentenza in questa sede gravata, non previamente definita nella prospettiva temporale -ne siano state effettuate altre, successive e distinte;
ciò proprio perché la finalità della previsione pattizia di condizionamento della cessione del credito è stata quella di evitare che la complessiva prestazione, quale specificatamente oggetto del definito impegno contrattuale, non fosse messa a rischio dall’esposizione finanziaria;
né sono stati dedotti, prima che dimostrati, collegamenti rilevanti, sul piano negoziale, con le prestazioni corrisposte successivamente, tali ad esempio, che le prime non avrebbero potuto considerarsi avere autonoma funzione senza le successive (si pensi al caso dell’appalto di un’opera pubblica cui si riferisce Cass., 21/12/2018, n. 33344, pag. 6, evocata dalla Corte distrettuale e discussa dalle parti);
in altra chiave, posto che il divieto di cessione dei crediti verso la p.a. senza l’adesione di quest’ultima, sancito dall’art. 70 r.d. n. 2240 del 1923, si applica solamente ai rapporti propriamente di durata quali l’appalto e la somministrazione (o fornitura), e dunque non alla cessione in favore di una società di factoring del credito diversamente derivante da prestazioni sanitarie erogate in regime di convenzione (Cass., 15/09/2021, n. 24758), qualora le parti abbiano pattuito l’estensione convenzionale di quel regime a quest’ultima fattispecie, la stessa, quale eccezione alla regola legale, non può che applicarsi nei limiti dell’espressa pattuizione, così dovendo ritenersi abbia conclusivamente ritenuto il giudice di appello, escludendo, implicitamente quanto univocamente, che potesse valutarsi sussistente la pretesa dilatazione di quel regime pattizio oltre i limiti temporali stabiliti dalle parti con riferimento al rapporto -in coerenza, d’altro canto, con il vincolo di forma scritta per i contratti conclusi dalla pubblica amministrazione (v. Cass., 09/05/2017, n. 11231, Cass., 06/09/2023, n. 26026 e, in tema, Cass. n. 29420 del 2023, cit.) -potendo al più affermarsi, secondo la decisione di seconde cure, che quel regime concordato avrebbe potuto condizionare il trasferimento dei crediti successivamente maturati e non di quelli inerenti al rapporto negoziale scaduto e in questo senso esaurito (§ 37 della decisione impugna);
in tale chiave, la valutazione di riverbero della ‘proroga’ contrattuale sulla disciplina negoziale delle previe cessioni si risolve in parte qua in un tentativo di rivisitazione del vaglio fattuale, del resto sinteticamente enunciato («mancata valutazione di elementi probatori decisivi») anche nella rubrica del primo motivo;
attesa la descritta cornice ricostruttiva, non hanno su di essa alcuna incidenza logica né i tempi di esigibilità del credito ceduto, quando, cioè, successivi alla scadenza contrattuale, né i tempi delle neppure meglio specificate verifiche ispettive;
il terzo motivo di ricorso principale è inammissibile;
la Corte territoriale:
-ha espressamente dichiarato inammissibili, perché tardivamente prodotti, i documenti attestanti gli ordini di pagamento (§ 53 della decisione impugnata);
-ha osservato che le fatture si saldavano con i contratti e a loro volta con la mancata contestazione specifica in giudizio, tale non potendo ritenersi quella che alludeva a note di credito per non meglio comprensibili defalchi;
a fronte di questa ratio decidendi, parte ricorrente si limita a reiterare la doglianza di liquidazioni già effettuate e non meglio riferite a documenti tempestivamente prodotti, né quantificate se non nel complesso e cumulativamente alle contestazioni delle fatture pure riaffermate assertivamente (pag. 33 del ricorso);
in particolare, la difesa in parola richiama (stessa pagina) «ordinativi di pagamento costituenti esplicitazione di atti già esibiti e mai contestati», rendendo impossibile comprendere se si tratti di quelli non ammessi per tardività;
inoltre, evoca non meglio definiti ulteriori giudizi in cui sarebbe stata fatta valere la produzione di cartelle cliniche attestanti le prestazioni, in uno a consulenze tecniche non si sa neppure su quali basi istruttorie ammesse, ferma l’apodittica allusione a una transitiva traslazione di tali dinamiche processuali nel giudizio di cui all’odierno ricorso;
è perciò palese il tentativo di ottenere una nuova valutazione dell’apparato probatorio e in fatto, non ammessa in questa sede di sola legittimità;
spese compensate per reciproca soccombenza;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e incidentale e compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, al competente ufficio di merito, sia da parte ricorrente principale che da parte ricorrente incidentale, se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 08/01/2025.