Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9356 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9356 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CONDELLO NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6061/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, incorporante per fusione la RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta proRAGIONE_SOCIALE in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, domiciliata digitalmente ex lege
-ricorrente – contro
A ZIENDA SANITARIA LOCALE N. 1 AVEZZANO SULMONA L’AQUILA, in persona del Direttore Generale pro tempore , rappresentata e difesa, giusta proRAGIONE_SOCIALE in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, domiciliata digitalmente ex lege ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO
-controricorrente –
avverso la sentenza del la Corte d’appello di L’RAGIONE_SOCIALE n. 1143/2021, pubblicata in data 20 luglio 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOMEAVV_NOTAIO COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di L’RAGIONE_SOCIALE, pronunciando sulla domanda, proposta da RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, di pagamento della somma di euro 482.189,74 derivant e da debiti maturati nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e ceduti a RAGIONE_SOCIALE , accoglieva l’eccezione di difetto di legittimazione attiva sollevata dalla convenuta, risultando pacifico che l’attrice avesse notificato la cessione del credito alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ma che questa non l’avesse accettata.
Il Giudice di primo grado rilevava, in particolare, che nel contratto sottoscritto tra le parti era previsto che, nel caso di cessione del credito, la RAGIONE_SOCIALE avesse facoltà di accettarla entro trenta giorni e che, in difetto di tale accettazione, essa non fosse opponibile alla RAGIONE_SOCIALE, non potendosi interpretare il contratto nel senso che la cessione, decorsi trenta giorni, dovesse intendersi accettata, per avere la RAGIONE_SOCIALE perso la facoltà di rifiutare. Evidenziava, altresì, che comunque la RAGIONE_SOCIALE aveva pagato l’intero credito al creditore cedente, in tal modo liberandosi dal debito, come riconosciuto dalla stessa RAGIONE_SOCIALE
L a Corte d’appello di L’RAGIONE_SOCIALE ha rigettato il gravame proposto dalla soccombente.
Ha osservato che: a) il credito oggetto di causa, ceduto dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, riguardava il periodo gennaio – dicembre 2008 ed atteneva a prestazioni assistenziali della
casa di RAGIONE_SOCIALE; b) il contratto relativo a tale annualità prevedeva alla lettera l) che ‘nel caso di cessione, a qualsiasi titolo, dei crediti derivanti dall’esecuzione del presente contratto, l’erogatore si impegna a notificare l’atto di cessione alla RAGIONE_SOCIALE che ha facoltà di esprimere l’accettazione entro trenta giorni dalla notifica, ai sensi e per gli effetti degli artt. 69 e 70 del Regio decreto n. 2440 del 18 novembre 1923′ ; c) per effetto di tale pattuizione, la cessione dei crediti, per poter avere efficacia nei confronti della RAGIONE_SOCIALE ed essere ad essa opponibile, richiedeva l’accettazione da parte della RAGIONE_SOCIALE e ogni diversa interpretazione risultava contraria al tenore letterale della clausola negoziale; d) la disciplina prevista dagli artt. 69 e 70 del r.d. n. 2440 del 1923, che prescrive l’adozione di atti formali per la cessione dei crediti, non era applicabile se non in caso di contratti di durata come appalti o somministrazioni e non in casi come quello in esame; e) nella specie, la cessione del credito non risultava essere stata accettata dalla RAGIONE_SOCIALE, né emergeva alcun comportamento concludente nel senso di una accettazione implicita, cosicché doveva ritenersi la cessione non opponibile alla RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE carente di legittimazione attiva.
La Corte territoriale, infine, esaminando gli altri motivi di gravame volti a dedurre la mancata conoscenza della clausola di incedibilità dei crediti, l’applica bilità della disciplina del T.U. in materia bancaria e creditizia con formazione del silenzio assenso, la nullità della clausola sulla cessione per avere previsto una condizione meramente potestativa ed una condizione sulla inopponibilità da far valere sine die , nonché la nullità della stessa clausola per mancata sottoscrizione come clausola vessatoria, ne ha rilevato l’inammissibilità, trattandosi di eccezioni nuove, mai sollevate in primo grado e com e tali vietate dall’art. 345 cod. proc. civ.
RAGIONE_SOCIALE, quale incorporante per fusione di Ubi
RAGIONE_SOCIALE, propone ricorso per la cassazione della suddetta decisione, con due motivi, cui resiste l’RAGIONE_SOCIALE mediante controricorso.
Il ricorso è stato avviato per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ., in prossimità della quale entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denunzia ‹‹ Violazione di legge per contrasto all’art. 1260 c.c. ed agli artt. 69 e 70 RD 2440/23 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ravvisato la carenza di legittimazione attiva in capo alla RAGIONE_SOCIALE e conseguentemente ritenuto la cessione del credito non opponibile alla RAGIONE_SOCIALE ›› .
Sostiene che erroneamente la Corte territoriale avrebbe affermato che la cessione di credito non fosse opponibile all’RAGIONE_SOCIALE, posto che la incedibilità prevista nel contratto sottoscritto dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE non era nota alla cessionaria, la quale, non avendo preso parte alla negoziazione de qua , non poteva considerarsi destinataria di quella clausola che, quindi, non poteva esplicare effetti, come previsto dal secondo comma dell’art. 1260 cod. civ.; inoltre, alla Banca, intermediario finanziario soggetto al Testo Unico in materia Bancaria e creditizia, doveva applicarsi l’art. 117 d.lgs. n. 163/06, sicché la cessione, stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata e notificata all’amministrazione debitrice, era opponibile alla P.A. qualora non rifiutata con comunicazione da notificarsi al cedente ed al cessionario entro 45 giorni dall’avvenuta notifica, con ciò consentendo, in deroga all’art. 70 r.d. 2440/1923, l’applicazione dell’istituto del silenzio – assenso.
Addebita alla Corte di non essersi avveduta che la RAGIONE_SOCIALE aveva messo il debitore ceduto nella condizione di conoscere il
nuovo titolare del credito mediante la tempestiva e rituale notifica della cessione del credito ed aggiunge che, dovendo essere adottata una interpretazione restrittiva del secondo comma dell’articolo 1260 cod. civ., la presenza di clausola che prevedeva il patto di incedibilità all’interno di documenti contrattuali, seppure non conosciuta, ma conoscibile dal cessionario, non comportava conseguenze pregiudizievoli nei confronti di quest’ultimo, attes o che il pactum de non cedendo era opponibile allo stesso solo laddove il cessionario avesse accettato consapevolmente di acquistare un credito convenzionalmente non trasferibile.
2. Con il secondo motivo è dedotta ‹‹ Tempestività delle eccezioni sollevate dalla difesa di RAGIONE_SOCIALE relativamente all’applicazione della disciplina del TU in materia bancaria e creditizia con formazione del silenzio assenso, della nullità della clausola sulla cessione per avere previsto una condizione meramente potestativa ed una condizione sulla inopponibilità da far valere sine die , nonché della nullità per mancata sottoscrizione come clausola vessatoria- Violazione di legge per contrasto all’art. 1421 c.c. nonché all’art. 117 d.lgs. n. 163/2006 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto la inammissibilità dei motivi di gravame proposti da UBI inammissibili in quanto eccezioni ‘nuove’ in relazione agli artt. 112, 115 c.p.c., nonché 1355, 1418, 1421 ed agli artt. 69 e 70 RD 2440/1923 ››. La ricorrente impugna la decisione d’appello nella parte in cui ha ritenuto tardivi gli altri motivi di gravame da essa proposti in secondo grado.
Sostiene che la Corte territoriale non ha considerato che l’eccezione di nullità del contratto, ovvero il rilievo d’ufficio di una nullità negoziale è sempre consentito, alla luce della pronuncia delle Sezioni Unite n. 26242/2014, qualora difetti la formazione di giudicato sul punto, e che il percorso argomentativo seguito risulta
viziato per non avere considerato che il soggetto cessionario (RAGIONE_SOCIALE) era una banca/intermediario finanziario, soggetta all’applicazione del Testo Unico in materia bancaria e creditizia, ed in particolare, all’art. 117, sicché la cessione stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata e notificata all’amministrazione debitrice era da ritenersi efficace ed opponibile alla P.A. qualora non rifiutata da questa con comunicazione da notificarsi al cedente entro 45 giorni dall’avvenuta notifica, con conseguente applicazione dell’istituto del silenzio -assenso, trattandosi di cessione di credito verso una pubblica amministrazione derivante da un appalto di servizi.
Soggiunge che la clausola sub lettera l ) dell’accordo intercorso tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE risultava in ogni caso nulla ex art. 1355 cod. civ., posto che essa costituiva una condizione meramente potestativa, essendo l’adesione all’eventuale cessione dei crediti, nel frattempo intervenuta, rimessa al mero arbitrio dell’RAGIONE_SOCIALE ceduta, e comunque perché, così come formulata, consentiva alla RAGIONE_SOCIALE di far valere l’inopponibilità della cessione senza alcun limite temporale; la clausola, inoltre, avrebbe dovuto essere dichiarata nulla per inosservanza della specifica approvazione per iscritto ex art. 1341 cod. civ., richiesta per dimostrare che il sottoscrittore ne avesse recepito e compreso il contenuto e la portata.
Il primo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
3.1. Con la censura viene, anzitutto, riproposta la questione della conoscenza/conoscibilità della cessione, argomento che, tuttavia, non può essere preso in considerazione in questa sede, trattandosi di tema non ritualmente introdotto in primo grado e dichiarato, dalla Corte d’appello, inammissibile per novità, ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ.; tale ultima statuizione non risulta idoneamente attinta da
impugnazione in questa sede, poiché la ricorrente si limita ad invocare la rilevanza del secondo comma dell’art. 1260 cod. proc. civ. ed a svolgere considerazioni in tema di opponibilità del pactum de non cedendo, senza tuttavia dimostrare di avere tempestivamente fatto valere tale profilo di doglianza in primo grado e senza illustrare le ragioni per cui il tema di indagine qui riproposto dovesse essere considerato tempestivo dal giudice d’appello. Ne consegue che, sotto tale profilo, la censura incorre nella sanzione d’inammissibilità.
3.2. Per il resto, la censura è infondata.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, con riferimento alla disciplina della cessione dei crediti verso la P.A., il divieto di cessione senza l’adesione della P.A., di cui all’art. 70 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2240, si applica solamente ai rapporti di durata come l’appalto e la somministrazione (o fornitura), rispetto ai quali il legislatore ha ravvisato, in deroga al principio generale previsto dal codice civile (art. 1260 cod. civ.), il consenso del debitore ceduto per l’efficacia della cessione di credito, per l’esigenza di garantire la regolare esecuzione della prestazione contrattuale, evitando che durante la medesima possano venir meno le risorse finanziarie del soggetto obbligato verso l’amministrazione e possa risultare così compromessa la regolare prosecuzione del rapporto (Cass., sez. 6 – 1, 15/09/2021, n. 24758; Cass., sez. 1, 24/10/2023, n. 29420). La legge di contabilità di Stato stabilisce che, quale condizione di efficacia della cessione, è necessaria, oltre che la notificazione, l’espressa accettazione da parte della Amministrazione interessata della cessione (Cass., sez. 3, 06/02/2007, n. 2541).
Occorre, poi, precisare che l ‘art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923 , trattandosi di norma eccezionale, riguarda la sola amministrazione statale ed è pertanto insuscettibile di applicazione analogica o estensiva, sicché essa è applicabile solo in favore degli enti RAGIONE_SOCIALE,
mentre le RAGIONE_SOCIALE sono persone giuridiche autonome rispetto agli enti RAGIONE_SOCIALE stessi e sono enti pubblici estranei al novero delle amministrazioni statali (Cass., sez. 3, 21/12/2017, n. 30658; Cass., sez. 3, 13/12/2019, n. 32788).
Nel caso de quo , tuttavia, c ome rilevato dal giudice d’appello, la clausola di cui alla lettera l) del contratto da cui scaturivano i crediti attinenti alle prestazioni assistenziali rese dalla RAGIONE_SOCIALE conteneva un espresso riferimento agli artt. 69 e 70 r.d. n. 2440/1923, tanto che prevedeva che: ‘nel caso di cessione, a qualsiasi titolo, dei crediti derivanti dall’esecuzione del presente contratto, l’erogatore si impegna a notificare l’atto di cessione alla RAGIONE_SOCIALE che ha facoltà di esprimere l’accettazione entro trenta giorni dalla notifica, ai sensi e per gli effetti degli artt. 69 e 70 del Regio decreto n. 2440 del 18 novembre 1923′.
Tale previsione, con cui le parti hanno esteso al loro negozio ed alle sue successive vicende la più stringente disciplina prevista per i contratti della amministrazione statale, subordina l’opponibilità della cessione alla RAGIONE_SOCIALE all a ‘espressa accettazione’ da parte di quest’ultima e impone, pertanto, un quid pluris alla condizione di efficacia della cessione nei confronti del ceduto, e cioè una esplicita manifestazione di consenso all’altrui negozio e, quindi, la forma scritta ad substantiam di detta adesione: poiché questa è mancata, deve reputarsi che, del tutto legittimamente, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE abbia eseguito l’integrale pagamento del debito in favore della RAGIONE_SOCIALE, con la conseguenza che RAGIONE_SOCIALE nulla poteva pretendere dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE perché carente di legittimazione attiva, avendo la Corte di merito accertato l’avvenuto pagamento delle somme oggetto di cessione, da parte dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in favore del creditore cedente.
4. Il secondo motivo è inammissibile.
Va, anzitutto, rilevato che, sebbene la nullità di clausole contrattuali sia rilevabile d’ufficio, e quindi la nullità possa essere denunciata dalle parti, nel corso del giudizio, anche in relazione a profili di nullità non originariamente denunciati, ciò non esclude che tale principio si debba coordinare con gli oneri di allegazione, e che quindi le nuove censure possano e debbano essere prese in considerazione solo se si fondano su tempestive allegazioni: nella specie, il rilievo mosso alla valutazione di tardività, operata dalla Corte d’appello, non risulta rispettoso dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., in quanto non emerge dal ricorso che l’eccepita nullità si fondasse su allegazioni ritualmente introdotte e comunque emergenti dagli atti di causa, con conseguente inammissibilità del profilo di doglianza in esame.
Allo stesso modo la mancata specifica approvazione per iscritto delle clausole onerose di cui all’art. 1341 cod. civ. ne comporta la nullità, eccepibile da chiunque ne abbia interesse e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, sempreché i presupposti di fatto della detta nullità (carattere vessatorio della clausola ed inesistenza della prescritta approvazione per iscritto) risultino già acquisiti agli atti di causa (Cass., sez. 2, 18/01/2002, n. 547; Cass., sez. 3, 14/07/2009, n. 16394); ma, nella specie, la ricorrente in violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., trasRAGIONE_SOCIALE di specificare in ricorso se tali elementi di fatto risultassero acquisiti agli atti di causa, sicché, anche sotto tale profilo, la censura si rivela inammissibile.
La censura difetta, d’altro canto, di specificità in ordine alla invocata applicabilità del testo Unico in materia bancaria, e, segnatamente , dell’art. 117, posto che la ricorrente neppure si sofferma a chiarire le ragioni per cui la disciplina richiamata avrebbe potuto essere rilevata d’ufficio dal giudice d’appello.
Alla inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 13.200,00, di cui euro 13.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione