Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25766 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25766 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
Oggetto: Factoring – Cessione del credito -Opponibilità della cessione al creditore ceduto.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27742/2022 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE incorporante per fusione RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’ Avv. NOME COGNOME come da procura allegata al ricorso ed elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO e come da domicilio digitale;
-ricorrente –
contro
AZIENDA SANITARIA LOCALE N. 1 AVEZZANO -SULMONA -L’AQUILA, già AZIENDA UNITÀ SANITARIA LOCALE N. 1 DI AVEZZANO – SULMONA, in persona legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv.
C.C. 17.06.2025
r.g.n. 27742/2022
Pres. G.COGNOME
Est. I. COGNOME
NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso, ed elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME e come da domicilio digitale;
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE di APPELLO di L’AQUILA n. 569/2022 pubblicata il 15 aprile 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 giugno 2025 dalla Consigliera, dr.ssa NOME COGNOME
Fatti di causa
1. RAGIONE_SOCIALE (quale cessionaria del credito della RAGIONE_SOCIALE), ottenuto dal Tribunale di L’Aquila il decreto monitorio n. 169/2010, aveva ingiunto all’Azienda Unità Sanitaria Locale n. 1 di AVEZZANO SULMONA, il pagamento della somma di € 2.774.227,13, relativo a prestazioni di ricovero rese in favore dei residenti della Regione Abruzzo e fuori Regione negli anni 2003-2004-2005-2006-2007, oltre interessi ex artt. 4 e 5 D.Lgs. n. 231/2002.
L ‘ Azienda Sanitaria predetta aveva proposto opposizione avverso il detto decreto ingiuntivo dinanzi al Tribunale di L’Aquila, tra l’altro, lamentando che la creditrice opposta si era resa cessionaria del credito senza accettazione della debitrice ceduta come prescritto dall’art. 70, comma 3, del R.d. n. 2440 del 1923 e che il rapporto con la creditrice cedente si era svolto in via di mero fatto, senza convenzione.
RAGIONE_SOCIALE si era costituita chiedendo il rigetto della opposizione, evidenziando che la norma richiamata da controparte fosse inapplicabile nel caso di specie in cui il rapporto tra Case di cura e Servizio sanitario nazionale era rapporto di natura concessoria, essendo sufficiente la mera notifica della cessione, ove l’ente ceduto non rifiuti la cessione con notifica da effettuarsi entro 15 giorni da quella.
Con sentenza n. 911/2015, il Tribunale di L’Aquila , in parziale accoglimento della opposizione, revocava il decreto ingiuntivo e condannava
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la RAGIONE_SOCIALE opponente al pagamento in favore della UBI RAGIONE_SOCIALE della minor somma di € 2.204.135,82, oltre interessi moratori.
L’Azienda Sanitaria ha proposto appello avverso la sentenza di prime cure, accolto dalla Corte d’appello di L’Aquila con la sentenza qui impugnata che, ferma restando la revoca del decreto ingiuntivo opposto, ha dichiarato che nulla è dovuto dalla Azienda Sanitaria a Ubi Factor per la cessione di credito oggetto di lite , con obbligo di restituzione di quanto dall’appellata eventualmente percepito in esecuzione della sentenza di prime cure, oltre intere ssi, con condanna dell’appellata alla refusione delle spese del doppio grado di giudizio.
Per quanto ancor di rilievo, va evidenziato che la Corte d’appello ha rilevato che il Tribunale non ha valutato «come avrebbe potuto e dovuto, se la cessione nei confronti dell’Azienda Sanitaria poteva essere ritenuta efficace ai sensi dell’art. 13 del Contratto del 14.3.2005 e non solo ai sensi del Regio Decreto 2440 del 1923. A tale riguardo giova subito ricordare che l’art. 13 (intitolato ‘Cessione dei crediti’) del contratto Rep. 15/cc del 14 marzo 2005 (All. 6 del ”fascicoletto’), prevedeva che ‘ Nel caso di cessione, a qualsiasi titolo, dei crediti derivanti dall’esecuzione del presente contratto, la Struttura si impegna a notificare la cessione stessa, oltre che alla Regione, alla Azienda Sanitaria Locale competente e alla RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE nella sua qualità di Organismo di monitoraggio e gestione finanziaria ai sensi del già citato art. 38 della Legge n. 146/1996 e stante le competenze alla stessa attribuite in virtù dell’art. 10 del presente contratto. La predetta cessione dei crediti dovrà essere accettata dalla Regione Abruzzo – Direzione Sanità – Ufficio Unico degli Acquisti – ai sensi e per gli effetti degli articoli 69 e 70 del Regio Decreto n. 2440 del 18 novembre 1923 ».
Avverso la sentenza della Corte di appello di L’Aquila, Intesa san PaoloRAGIONE_SOCIALE incorporante per fusione RAGIONE_SOCIALE, ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Ha resistito con controricorso l’Azienda Sanitaria Locale n. 1 Avezzano -Sulmona -L’ Aquila.
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La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c..
La parte ricorrente e quella controricorrente hanno depositato rispettive e distinte memorie.
Ragioni della decisione
1. La ricorrente Intesa San Paolo s.p.a. lamenta con il primo motivo di ricorso la ‘ Violazione della L. 52/91, del R.D. 2440 del 1923 artt. 69 e 70, della L.n. 2248/1865, art. 9 all E, del DPR 554/99 art. 115, del DPR 163/2006 art. 117, nonché dell’art. 1260 C.C. e dell’art. 1264 c.c. in relazione all’art. 360 cpc comma 1, n. 3 per avere la Corte di Appello negato la legittimazione attiva della cessionaria alla quale ha esteso ed applicato il disposto pattizio e, quindi, per non avere la P.A. ceduta espresso adesione alla cessione tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE cedente così come previsto dall’art. 13 del contratto del 14/03/2005 . ‘ ; in particolare, contesta che la Corte d’appe llo ha ritenuto valida, operativa ed opponibile ad essa cessionaria la clausola di cui all’art. 13 del contratto, ove l’efficacia delle cessioni è subordinata all’espressa accettazione da parte del debitore ceduto ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 69 e 70 RD 2440/1923; osserva che l ‘articolo r u bricato: ‘Cessione dei crediti’ prevede che ‘Nel caso di cessione, a qualsiasi titolo, dei crediti derivanti dall’esecuzione del presente contratto, la Struttura si impegna a notificare la cessione stessa, oltre che alla Regione, alla Azienda Sanitaria Locale competente e alla RAGIONE_SOCIALE nella sua qualità di organismo di monitoraggio e gestione finanziaria ai sensi del già citato art. 38 della Legge n. 146/1996 e stante le competenze alla stessa attribuite in virtù dell’art. 10 del presente contratto. La predetta cessione dei crediti dovrà essere accetta dalla Regione Abruzzo -Direzione Sanità -Ufficio Unico degli Acquisti -ai sensi e per gli effetti degli articoli 69 e 70 del Regio Decreto n. 2440 del 18 n ovembre 1923′. Contesta quanto affermato dalla Corte d’appello al riguardo e cioè che «La necessità dell’atto di accettazione della cessione da parte della Regione, quindi, derivava da espressa clausola contrattuale, avente valore di legge
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Est. I. COGNOME tra INI e Regione, non dal richiamo in essa contenuto alle norme del R.D. 2440/1923, generale previsione legislativa in materia di contabilità generale dello Stato».
A parere dell’odiern a ricorrente, il Giudice d’ appello non avrebbe in alcun modo tenuto conto del fatto che il caso sottoposto al suo esame fosse quello di una cessione di credito verso una pubblica amministrazione derivante da un appalto di lavori/servizi disciplinata dalla l. n. 52/1991, in quanto il soggetto cessionario (UBI RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE risultava un soggetto Banca/Intermediario Finanziario – disciplinato dal Testo Unico in materia Bancaria e Creditizia, che aveva acquistato crediti derivanti da esercizio di impresa con conseguente applicabilità, ratione temporis , d ell’art. 115 del D.P.R. n. 554/99 secondo cui: “Ai sensi dell’art. 26, comma 5, della legge quadro, le cessioni di crediti vantati nei confronti delle amministrazioni pubbliche a titolo di corrispettivo di appalto possono essere effettuate dagli imprenditori a banche o intermediari finanziari disciplinati dalle leggi in materia bancaria e creditizia, il cui oggetto sociale preveda l’esercizio dell’attività di acquisto di crediti d’impresa. La cessione deve essere stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve essere notificata all’amministrazione debitrice. La cessione del credito da corrispettivo di appalto è efficace e opponibile alla P.A.. Qualora questa non la rifiuti con comunicazione da notificarsi al cedente ed al cessionario entro quindici giorni dalla notifica”. Non solo, ma sempre ratione temporis , sostiene fosse applicabile altresì l’art. 117 D. lgs. n. 163/2006, in forza del quale la cessione stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata e notificata all’amministrazione debitrice è efficace e opponibile alla P.A. qualora questa non la rifiuti con comunicazione da notificarsi al cedente ed al cessionario entro 45 giorni dall’ avvenuta notifica. Con ciò consentendo, in tale fattispecie, in deroga all’art. 70 R.D. 2440/1923, l’istituto del silenzio-assenso.
Sottolinea infine che la regola posta dall’articolo 70 R.D. n. 2440/1923 – e dagli artt. 339 della l. n. 2248/1865 all. F (peraltro, poi abrogato dall’art.
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231 del d.p.r. n. 554/1999) e 9 allegato E della stessa citata legge) – sulla necessità dell’adesione alla cessione da parte della pubblica amministrazione, per la sua opponibilità, viene meno allorquando vi è una cessione prevista dalla l. n. 52/1991 (sulla disciplina della cessione dei crediti d’impresa) e dalla l. n. 109/94 (legge quadro in materia di lavori pubblici), come più volte chiarito e ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (richiama, tra l’altro, Cass. nn. 17496/2008 e 6038/20).
1.2. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
La Corte d’appello , riformando la sentenza di prime cure, ha ritenuto che il Tribunale in prime cure non avesse valutato se la cessione nei confronti dell’Azienda sanitaria potesse essere ritenuta efficace ai sensi dell’art. 13 del contratto del 14 marzo 2005 e non solo ai sensi del r.d. n. 2440/1923 (foglio 7, non numerato, della sentenza impugnata); pertanto, la Corte d’appello in conformità con l’indirizzo di questa Corte , espresso in fattispecie analoghe, ha attribuito rilievo al fatto che la fonte che condizionava l’opponibilità della cessione dei crediti all’accettazione della Regione Abruzzo fosse, in realtà, l’art. 13 della convenzione applicabile anche alla cessionaria del credito (Cass. Sez. 3, 26/07/2024 n. 20868; in termini, Cass. Sez. 3, 13/02/2025 n. 3692; cfr. inoltre, da ultimo, Cass. 9/04/2025 n. 9356, nonché, Cass. Sez. 3, 24/10/2023 n. 29532). Nello specifico, la Corte abruzzese ha affermato che «La necessità dell’atto di accettazione della cessione da parte della Regione, quindi, derivava da espressa clausola contrattuale, avente valore di legge tra INI e Regione, non dal richiamo in essa contenuto alle norme del RD 2440/1923, generale previsione legislativa in materia di contabilità generale dello Stato» (foglio 8, non numerato, della sentenza impugnata).
La fonte, quindi, che condizionava l’opponibilità della cessione dei crediti all’accettazione della Azienda Sanitaria era prevista dall’art. 13 del contratto e la odierna ricorrente si è limitata a sostenere in proposito che il Giu dice d’appello non avrebbe ‘in alcun modo tenuto conto del fatto che il caso sottoposto al suo esame era quello di una cessione di credito verso
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Est. I. Ambrosi una pubblica amministrazione derivante da un appalto di lavori/servizi disciplinata dalla legge 52/1991 (…), con conseguente applicabilità, ratione temporis , dell’art. 115 del D .P.R. 554/99′ (nella parte in cui prevede(va) l’efficacia e l’opponibilità della cessione) qualora la P.A. ‘non la rifiuti con comunicazione da notificarsi al cedente ed al cessionario entro quindici giorni dalla notifica’ ovvero dell’art. 117 del D.lgs. n. 163 /2006 (laddove prevedeva la possibilità di rifiutare la cessione) ‘con com unicazione da notificarsi al cedente ed al cessionario, entro 45 giorni dall’avvenuta notifica, con ciò consentendo, in tale fattispecie in deroga all’art. 70 R.D. 2440/1923, l’istituto del silenzio -assenso’ (cfr. in ricorso pagg. 9 e 10).
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, viceversa, con la sentenza in esame, la Corte d’appello si è posta in linea di continuità con l’indirizzo consolidato di questa Corte che con riferimento alla disciplina della cessione dei crediti verso la P.A. ha da tempo affermato come il divieto di cessione senza l’adesione della P.A. di cui all’art. 70 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2240 si applica solamente ai rapporti di durata come l’appalto e la somministrazione (o fornitura), rispetto ai quali il legislatore ha ravvisato, in deroga al principio generale previsto dal codice civile (art. 1260 cod. civ.), il consenso del debitore ceduto per l’efficacia della cessione di credito, per l’esigenza di garantire la regolare esecuzione della prestazione contrattuale, evitando che durante la medesima possano venir meno le risorse finanziarie del soggetto obbligato verso l’amministrazione e possa risultare così compromessa la regolare prosecuzione del rapporto (Cass., sez. 6 – 1, 15/09/2021, n. 24758; Cass., sez. 1, 24/10/2023, n. 29420).
La legge di contabilità di Stato stabilisce che, quale condizione di efficacia della cessione, è necessaria, oltre che la notificazione, l’espressa accettazione da parte della Amministrazione interessata dalla cessione (Cass., Sez. 3, 06/02/2007, n. 2541).
Vale soggiungere che l’art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923, trattandosi di norma eccezionale, riguarda la sola amministrazione statale ed è pertanto insuscettibile di applicazione analogica o estensiva, sicché essa è applicabile
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Est. I. Ambrosi solo in favore degli enti locali, mentre le Aziende sanitarie locali sono persone giuridiche autonome rispetto agli enti locali stessi e sono enti pubblici estranei al novero delle amministrazioni statali (Cass., Sez. 3, 21/12/2017, n. 30658; Cass., Sez. 3, 13/12/2019, n. 32788).
Nel caso di specie, tuttavia, come rilevato dal Giudice d’appello, la clausola di cui all’art. 13 del contratto, da cui scaturivano i crediti attinenti alle prestazioni assistenziali rese dalla Casa di cura, conteneva un espresso riferimento agli artt. 69 e 70 r.d. n. 2440/1923, tanto che prevedeva che: ‘nel caso di cessione, a qualsiasi titolo, dei crediti derivanti dall’esecuzione del presente contratto, l’erogatore si impegna a notificare l’atto di cessione, oltre che alla Regione, alla Azienda Sanitaria Locale competente e alla F.I.R.A. (…)’ stabilendo altresì che la detta cessione dei crediti ‘dovrà essere accettata dalla Regione Abruzzo -Direzione Sanità -Ufficio Unico degli Acquisti, ai sensi e per gli effetti degli artt. 69 e 70 del Regio decreto n. 2440 del 18 novembre 1923’.
Tale previsione, con cui le parti hanno esteso al loro negozio ed alle sue successive vicende la più stringente disciplina prevista per i contratti della amministrazione statale, subordina l’opponibilità della cessione alla Azienda sanitaria alla ‘espressa accettazione’ da parte della Regione e impone, pertanto, un quid pluris alla condizione di efficacia della cessione nei confronti del ceduto, e cioè una esplicita manifestazione di consenso all’altrui negozio e, quindi, la forma scritta ad substantiam di detta adesione: poiché questa è mancata, deve reputarsi che, del tutto legittimamente, la Corte d’appello ha ritenuto che RAGIONE_SOCIALE nulla poteva pretendere dalla Azienda Sanitaria abruzzese.
Il richiamo formulato in memoria al recente arresto di questa Corte Sez. 3 n. 6038/2025 non giova alla odierna ricorrente, stante la diversa questione in quel precedente esaminata e non pone in discussione la correttezza della decisione assu nta dalla Corte d’appello nella sentenza in esame, tenuto conto che, nella specie, si è discusso del regime concordato tra le parti che ha potuto condizionare il trasferimento dei crediti
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RAGIONE_SOCIALE COGNOME successivamente maturati, mentre nella fattispecie richiamata si è discusso di quelli inerenti al rapporto negoziale scaduto e in questo senso esaurito.
2. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la ‘ Violazione degli artt. 1341, 1342, 1345 e 1355 c.c. e conseguente nullità della clausola di cui all’art. 13 del contratto del 14.3.2015 in relazione all’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 3, avendo la Corte di appello ritenuto applicabile e vincolante per la vicenda sottoposta al suo vaglio la previsione pattizia ‘ ; in particolare, contesta quanto dalla Corte d’appello affermato in relazione alla non vessatorietà della clausola di cui all’art. 13 « poiché non era volta a regolamentare una serie indefinita di rapporti, né era caratterizzata dall’essere predeterminata in formulari di utilizzo seriale; si aggiunga che non vi è prova della conclusione del contratto in assenza di trattative, anzi, al contrario, si legge in contratto la premessa per cui ‘è stata avvertita la diffusa esigenza di giungere ad una definizione comune e concordata del contenuto degli accordi contrattuali di cui al n. precedente e della definizione degli aspetti regolamentari più rilevanti dei rapporti tra la Regione, le Aziende Sanitarie Locali e le strutture private erogatrici delle prestazioni di assistenza ospedaliera, nonché l’esigenza di uniformare il più possibile il contenuto dei suddetti accordi contrattuali attraverso la definizione di uno schema di contratto standard condiviso da tutte le strutture private ed utilizzabile dalla Regione e dalle Strutture private stesse. In tale ottica è stato raggiunto un accordo di massima nella definizione degli aspetti di cui sopra sintetizzati e raccolti in un verbale di incontro d ell’8 febbraio 2005 sottoscritto dal Componente la Giunta preposto alla Sanità e dalle strutture private erogatrici delle prestazioni ospedaliere operanti nel territorio…. lo schema di contratto, redatto sulla base delle linee guida concordate, è stato approvato dalle strutture private erogatrici ed allegato al verbale di incontro dell’8 febbraio 2005’. Né la clausola di cui all’art. 13 integra gli estremi della condizione meramente potestativa di cui all’art. 1355 c .c., al più potendo la stessa venire qualificata come condizione semplicemente potestativa» (così, fogli 9 e 10, non numerati, della sentenza gravata). Nello specifico,
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Est. I. COGNOME assume che se il Giudice d’appello avesse tenuto ben presente il soggetto coinvolto, ovvero la P.A., avrebbe dovuto ravvisare l’abuso di posizione dominante da parte di quest’ultima che, da un lato , ‘impone’ il contratto così come dalla medesima predisposto, senza possibilità di negoziazione alcuna, pena la sospensione dell’accreditamento e dall’altro , impedisce alla Struttura, la quale ha sempre garantito la continuità dell’assistenza ospedaliera in nome e per conto dell’Azienda, di fare ricorso al sistema creditizio, ottenendo lo smobilizzo dei crediti vantati al fine della propria sopravvivenza, rifiutando, senza alcuna valida motivazione giuridica, la cessione nel frattempo intervenuta. Evidenzia che il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 469/2010, in una controversia tra il Ministero della Giustizia e talune associazioni di categoria, vertente sull’applicabilità o meno degli interessi ex d. lgs. n.231/2002, ha qualificato la P.A. come imprenditore forte.
Contesta, altresì, che la Corte d’appello ha escluso che la clausola di cui all’art. 13 integrasse gli estremi della condizione meramente potestativa di cui all’art. 1355 c.c., affermando in proposito che «al più potendo la stessa venire qualificata come condizione semplicemente potestativa», dimostrando così di non aver considerato che l’adesione all’eventuale cessione dei crediti, nel frattempo intervenuta, è stata collegata non già ad una ponderata valutazione di seri od apprezzabili motivi ma, viceversa, rimessa al mero arbitrio dell’Azienda ceduta, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità e convenienza. Tale assunto risulta comprovato dalla circostanza che vede la stessa ASL ricorrente qualificare la citata previsione pattizia come ‘c lausola condizionale con la quale le parti hanno inteso subordinare l’efficacia dei futuri ed eventuali contratti di cessione alla discrezionale accettazione della Regione Abruzzo». In proposito, la ricorrente si interroga su quale possa quindi essere l’interesse della RAGIONE_SOCIALE ovvero della Regione a rifiutare l’adesione all a cessione intervenuta tra la RAGIONE_SOCIALE e la UBI RAGIONE_SOCIALE.p.ARAGIONE_SOCIALE ragione ‘che non è dato francamente a comprendere’.
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Aggiunge che la Corte non avrebbe poi considerato che la clausola di cui all’art. 13, così formulata, permetterebbe alla ASL di far valere l’inopponibilità della cessione sine die , con ciò consentendole di eccepire, senza soggiacere ad alcun termine, l’inefficacia della cessione e così prevedendo un regime addirittura più restrittivo di quello introdotto dalla l egge, la quale sancisce che in ogni caso l’inefficacia della cessione sussiste fino a quando l’opera o la prestazione non sia stata acquisita dalla P.A., facendo tale evento venire meno la causa di inefficacia della medesima da accertarsi al momento della decisione.
In conclusione, la Corte erroneamente, pertanto, non avrebbe preso in considerazione che: i) in riferimento al potere di accreditamento, una eventuale cessione del credito non influisce certamente sull’atto concessorio con il quale la P.A. conferisce alle strutture private il diritto di erogare prestazioni in nome e per conto del RAGIONE_SOCIALE posto che, come stabilito anche dal Consiglio di Stato, il solo accreditamento non è condizione sufficiente per ottenerne la remunerazione in assenza di apposita disciplina contrattuale, invece sussistente nel caso di specie; ii) la programmazione è in ogni caso assicurata dalla fissazione del tetto di spesa, che rimane immutato e non subisce certamente variazioni per effetto della cessione dei crediti da parte del soggetto accreditato; iii) per i medesimi motivi, seppur vero che l’esigibilità e la liquidazione delle fatture emesse dalle Case di Cura è subordinata all’accertamento della loro appropriatezza e legittimità da parte della Commissione Ispettiva Permanente, è altrettanto vero che tale attività non costituisce condizione ostativa al trasferimento della titolarità dei crediti, ben potendo l’Azienda Sanitaria, laddove la cessione del credito e la pedissequa richiesta di pagamento siano istruite prima della conclusione delle verifiche, eccepire la non remunerabilità delle prestazioni.
Osserva, infine, che ‘neppure sembra che la Corte abbia ravvisato che il potere di aderire o meno alla cessione intercorsa tra UBI RAGIONE_SOCIALE.p.ARAGIONE_SOCIALE ed INI S.p.A. sia sorretta da un tangibile ed apprezzabile interesse dell’Ente al corretto utilizzo delle risorse finanziarie in maniera sanitaria, posto che la
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Est. I. COGNOME cessione dei crediti non influisce in alcun modo sulla programmazione della P.A. né tantomeno sulla spesa sanitaria, rimanendo le prestazioni non remunerabili come tali anche in presenza del ridetto negozio traslativo della titolarità dei crediti’ (pagg. 19 e 20 in ricorso).
2.1. Il secondo motivo è inammissibile.
Con l’articolata censura in esame, la odierna ricorrente continua a non confrontarsi con quanto espressamente affermato dalla Corte d’appello che , nel non condividere la decisione di prime cure, ha ritenuto che essa fosse frutto di un equivoco fondato «sul presupposto, invero errato, per cui parti del contratto sembrerebbero le sole INI e ASL e bastava che la prima avesse notificato le cessioni di credito ad Ubi alla seconda per renderle opponibili all’azienda sanitaria, ma con ciò si è completamente tra scurato di considerare il ruolo e le prerogative della Regione, principale parte contraente in quanto unico soggetto che in definitiva doveva autorizzare gli impegni di spesa, di qui la necessità di notificare le cessioni anche ad essa per metterla in grado di valutare se accettare o meno» (foglio 9, non numerato, della sentenza impugnata), ratio decidendi anch’essa non investita, come correttamente rilevato dalla Azienda controricorrente nella memoria, neppure da un motivo d’appello, limitandosi ancora una volta la Banca ricorrente a lamentare profili quali la vessatorietà della clausola , l’accettazione della cessione come condizione meramente potestativa -in ordine alle quali pure risponde la Corte d’appello, premettendo «anche a volerla reputare legittimata a far valere ex art. 1421 c.c.» che, se pure risultassero condivisibili, non scalfirebbero comunque la ratio della decisione.
Quanto alle nullità paventate, la odierna ricorrente reitera sia la questione della mancata specifica approvazione per iscritto delle clausole ai sensi de ll’art. 1341 c.c., sia quella della natura della clausola 13 del contratto che integrerebbe gli estremi di una condizione ex art. 1355 c.c., paventando anche un abuso di posizione dominante da parte della Pubblica amministrazione; dette eccezioni sono per vero eccepibili da chiunque ne abbia interesse e rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del proced imento,
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Est. I. Ambrosi sempreché i presupposti di fatto delle evocate nullità (carattere vessatorio della clausola, inesistenza della prescritta approvazione per iscritto e esistenza di una condizione meramente potestativa, abuso di posizione dominante) risultino già acquisiti agli atti di causa (Cass., Sez. 2, 18/01/2002, n. 547; Cass., Sez. 3, 14/07/2009, n. 16394); ma, nella specie, la ricorrente in violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c.. trascura di specificare in ricorso se tali elementi di fatto risultassero acquisiti agli atti di causa, sicché, anche sotto tale profilo, la censura si rivela inammissibile.
La censura difetta, d’altro canto, di specificità in ordine alla invocata applicabilità del testo Unico in materia bancaria, e, segnatamente, dell’art. 117, posto che la ricorrente neppure si sofferma a chiarire le ragioni per cui la disciplina richiamata avrebbe potuto essere rilevata d’ufficio dalla Corte d’appello.
3. Il ricorso va rigettato.
Le spese vengono liquidate secondo il principio della soccombenza come da dispositivo e poste a carico della parte ricorrente in favore di quella controricorrente.
Per questi motivi
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la Banca ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della Azienda Sanitaria controricorrente, che si liquidano in complessivi Euro 15.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, d à atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della Banca ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
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r.g.n. 27742/2022
Pres. G.COGNOME
Est. I. COGNOME
Così deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile 17 giugno 2025.
Il PRESIDENTE NOME COGNOME