Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 28393 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 28393 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 08755/2023 R.G., proposto da
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE , in persona del procuratore speciale, AVV_NOTAIO; rappresentata e difesa da ll’AVV_NOTAIO , in virtù di procura sul foglio separato, materialmente congiunto al ricorso; con domiciliazione digitale ex lege ;
-ricorrente-
nei confronti di
NOME COGNOME ; rappresentato e difeso da ll’AVV_NOTAIO, in virtù di procura allegata al controricorso;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza n. 265/2023 della CORTE d’APPELLO di BOLOGNA, pubblicata il giorno 8 febbraio 2023, notificata il 9 febbraio 2023;
udìta la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 settembre 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con citazione del 19 maggio 2017, la società RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE, in qualità di mandataria dell ‘ RAGIONE_SOCIALE, convenne in giudizio il AVV_NOTAIO, deducendo che:
l ‘ RAGIONE_SOCIALE, con contratto del 6 settembre 2007, aveva concesso alla RAGIONE_SOCIALE un mutuo di Euro 3.000.000,00, assistito da garanzia ipotecaria su terreni ubicati nel Comune di Olbia e distinti nel relativo catasto al foglio 32, mappali 86, 89, 333, 335, 336;
il contratto era stato preceduto da una relazione notarile ventennale preliminare, richiesta dall ‘ RAGIONE_SOCIALE al AVV_NOTAIO, nella quale il professionista, sotto la propria responsabilità, dopo avere esaminato i documenti e consultato i registri catastali, aveva dichiarato che i predetti terreni (liberi da pesi, oneri, vincoli, trascrizioni pregiudizievoli e iscrizioni ipotecarie) erano di proprietà piena ed esclusiva della RAGIONE_SOCIALE, la quale li aveva acquistati, con atto pubblico di compravendita del 28 settembre 2005, dal RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE;
erogata la somma mutuata, non avendo la RAGIONE_SOCIALE adempiuto all’obbligo di pagamento dei ratei convenzionalmente stabiliti, l ‘ RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva risolto il contratto di mutuo ed aveva instaurato una procedura esecutiva immobiliare sui terreni oggetto di garanzia ipotecaria;
-nel corso di questa procedura, aveva peraltro proposto opposizione di terzo il RAGIONE_SOCIALE, sul presupposto di essere titolare del diritto di proprietà sui beni esecutati, in ragione del mancato avveramento della condizione sospensiva apposta al contratto di compravendita del 28 settembre 2005; condizione consistente nel conseguimento, da parte dell’acquirente RAGIONE_SOCIALE , della licenza edilizia occorrente per l’esecuzione dell’ intervento costruttivo a carattere produttivo autorizzato;
-nella resistenza dell ‘ RAGIONE_SOCIALE, che aveva dedotto l’avvenuta rinuncia del RAGIONE_SOCIALE alla condizione sospensiva (per avere esso espressamente riconosciuto, con atti regolarmente trascritti del 24 giugno e del 13 agosto 2014, il diritto di proprietà della RAGIONE_SOCIALE) , il giudice dell’esecuzione, con ordinanza dell’8 novembre 2016, aveva sospeso la procedura esecutiva e fissato il termine per introdurre il giudizio di merito;
questo giudizio era stato successivamente introdotto da essa società, quale mandataria della banca creditrice esecutante, dinanzi al Tribunale di Tempio Pausania.
Sulla base di queste deduzioni, la RAGIONE_SOCIALE s.p.a., quale mandataria dell’ RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEp.a., domandò che, accertata la responsabilità del AVV_NOTAIO per inadempimento dell’ obbligazione professionale assunta nei confronti della banca (per non essersi avveduto che la RAGIONE_SOCIALE non era proprietaria dei terreni gravati da ipoteca), lo stesso professionista fosse condannato al risarcimento del danno conseguito a tale inadempimento, da quantificarsi nell’importo
della somma mutuata, aumentata degli interessi che sarebbero maturati in caso di regolare esecuzione del contratto.
Si costituì NOME COGNOME, instando per la sospensione del giudizio, ex art.295 cod. proc. civ., sino alla definizione di quello introdotto a seguito dell’op posi zione di terzo all’esecuzione sui beni ipotecati proposta dal RAGIONE_SOCIALE; nel merito, invocò il rigetto della domanda.
Concessi i termini di cui all’art. 183 cod. proc. civ., ratione temporis applicabile, entro il primo termine la RAGIONE_SOCIALE s.p.a. si costituì anche nella qualità di mandataria della RAGIONE_SOCIALE, la quale intervenne quale cessionaria di un « portafoglio di crediti pecuniari classificati ‘in sofferenza’, alcuni dei quali beneficiano di garanzie reali derivanti da contratti di finanziamento, trasferiti alla società da RAGIONE_SOCIALE s.p.a. ».
Con la seconda memoria ex art. 183 cod. proc. civ., il convenuto NOME COGNOME eccepì il difetto di legittimazione attiva dell’interveniente , in quanto cessionaria unicamente del credito pecuniario (con le connesse garanzie) vantato da ll’ RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE in ragione del contratto di mutuo, ma non anche del credito risarcitorio vantato dalla stessa RAGIONE_SOCIALE nei suoi confronti, in ragione del (dedotto) inadempimento del contratto d’opera professionale.
Con sentenza 18 settembre 2019, n. 1444, il Tribunale di Modena, senza esaminare la sollevata eccezione di difetto di legittimazione attiva dell’interveniente, rigettò la domanda risarcitoria proposta dall’attrice, sul rilievo che, non essendo stato definito il
giudizio introdotto a seguito dell’opposizione di terzo all’esecuzione proposta dal RAGIONE_SOCIALE -ed essendo la procedura esecutiva ancora sospesa -, il danno lamentato dalla banca non era, allo stato, concreto e attuale, ma soltanto potenziale.
La sentenza del Tribunale di Modena fu appellata dinanzi alla Corte territoriale di Bologna da RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), esclusivamente nella qualità di mandataria dell’interveniente RAGIONE_SOCIALE, non anche nella qualità di mandataria dell’RAGIONE_SOCIALE, che non propose impugnazione.
NOME COGNOME, costituitosi -peraltro, tardivamente -in appello, non solo invocò il rigetto del gravame ma ripropose, preliminarmente, l’ eccezione di difetto di legittimazione attiva della RAGIONE_SOCIALE per avere essa acquistato, dalla cedente RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, un credito diverso da quello oggetto della controversia.
Con sentenza 8 febbraio 2023, n. 265, la Corte d’appello , ritenuto che effettivamente la RAGIONE_SOCIALE difettasse della legittimazione ad intervenire, ha dichiarato inammissibile l’appello da essa proposto per il tramite della mandataria RAGIONE_SOCIALE
Questa decisione è stata emessa sulla base dei seguenti rilievi:
Iin primo luogo, atteso il principio per cui il difetto di legittimazione attiva può essere rilevato anche d’ufficio, salva la formazione di un giudicato interno (è stata citata Cass. n. 7776/2017), nella fattispecie doveva escludersi la formazione del detto giudicato, con conseguente irrilevanza della tardiva costituzione in giudizio dell’ appellato eccipiente: ciò, sia perché la sentenza di primo grado, contenendo soltanto « la pronuncia di rigetto nel merito della domanda
della RAGIONE_SOCIALE quale mandataria della RAGIONE_SOCIALE non è dunque idonea a fondare un giudicato implicito sulla legittimazione attiva della RAGIONE_SOCIALE ad intervenire in giudizio quale successore a titolo particolare nel diritto controverso »; sia perché, « sotto diverso profilo … la sentenza impugnata ha fatto espresso richiamo al principio della ragione più liquida, ravvisata nella inesistenza di un danno attualmente risarcibile », sicché non poteva «ravvisarsi giudicato interno sulla legitimatio ad causam in forma implicita », risultando « dalla motivazione della sentenza » che « l’evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione ed indotto il giudice a decidere il merito ‘per salt u m’ rispetto all’ordine delle questioni di cui all’art. 276, comma 2, c.p.c. » (pag.4 della sentenza impugnata);
IIescluso, dunque, il giudicato implicito sull’ammissibilità dell’intervento di RAGIONE_SOCIALE, nel merito il difetto della sua legittimazione ad intervenire nel processo ex art. 111 cod. proc. civ. -e, quindi, a proporre impugnazione -era evidente, avuto riguardo alla « mancanza, ictu oculi rilevabile, della qualità, da essa invece allegata, di cessionaria del credito oggetto della domanda della RAGIONE_SOCIALE »; infatti, l’oggetto della cessione pro soluto da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE era circoscritto ai crediti pecuniari derivanti da contratti di mutuo, di apertura di credito e da finanziamenti erogati in altre forme tecniche, concessi a persone fisiche e giuridiche tra il 1975 e i l 2016 e qualificati come ‘attività finanziarie deteriorate’; pertanto, mentre vi rientrava il credito pecuniario derivante dal contratto di mutuo vantato da ll’ RAGIONE_SOCIALE s.p.a. nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, non vi rientrava invece il credito risarcitorio derivante
dall’i nadempimento del contratto d’ opera professionale vantato dalla stessa banca nei confronti del AVV_NOTAIO, il quale non era « debitore della banca per alcuno dei contratti di finanziamento da cui discend i crediti ceduti (pag. 5 della sentenza impugnata);
IIIdal contratto di mutuo era semplicemente sorto un credito dell ‘ RAGIONE_SOCIALE verso la RAGIONE_SOCIALE, che la RAGIONE_SOCIALE si era liberamente determinata ad acquistare, assumendo il rischio connesso all ‘eventualità del suo non soddisfacimento; essa pertanto, non poteva « dolersi, al posto della RAGIONE_SOCIALE … del fatto che la banca si fosse originariamente determinata a concludere quel contratto di mutuo ipotecario, risultato sfornito della garanzia reale, per avere confidato nella bontà dell’ attestazione sulla proprietà del bene in capo alla mutuataria rilasciatale dal COGNOME »; in proposito, richiamato il principio per cui, a norma degli artt. 1260 e 1263 cod. civ., dei diritti derivanti dal contratto fonte di un credito, il cessionario « acquista soltanto quelli rivolti alla realizzazione del credito ceduto, e cioè le garanzie reali e personali, i vari accessori e le azioni dirette all ‘ adempimento della prestazione, non essendogli trasferite le azioni inerenti alla essenza del precedente contratto, poiché esse afferiscono alla titolarità del negozio, che continua ad appartenere al cedente anche dopo la cessione del credito » (è stata citata Cass. 13/02/2013, n.3579), la Corte d’appello ha osservato che, « a maggior ragione », il cessionario non acquista, per effetto della cessione, « azioni che, come nel caso di specie, nascono dall’ inadempimento, da parte di un soggetto diverso dal debitore ceduto, di un contratto diverso da quello da cui discende il credito ceduto » (pag. 6 della sentenza impugnata).
Avverso la sentenza della Corte felsinea propone ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE a mezzo della mandataria RAGIONE_SOCIALE, sulla base di tre motivi.
Risponde con controricorso NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380 -bis .1 cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo viene denunciata la « violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., degli art. 276, 2. Comma e 324 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per non avere la Corte territoriale dichiarato la formazione del giudicato interno in ordine alla carenza di legittimazione attiva ».
La società ricorrente (già appellante) sostiene che erroneamente la Corte d’appello, nel rilevare la sua carenza di legittimazione ad intervenire (e nel dichiarare conseguentemente l’inammissibilità dell’impugnazione) , abbia escluso la formazione del giudicato interno sulla relativa questione per effetto della statuizione del primo giudice sul merito della domanda risarcitoria.
Osserva, al riguardo, che il Tribunale di Modena, pur potendo rilevare d’ ufficio la sua carenza di legittimazione ad intervenire (peraltro, in conformità alla relativa eccezione sollevata dalla difesa del professionista convenuto), non si era invece occupato della questione, violando in tal modo l’ordine stabilito dall’art. 276, secondo comma,
cod. proc. civ., in ragione del quale avrebbe dovuto esaminare per prima la questione pregiudiziale di rito sulla legittimazione dell’interveniente e , soltanto dopo, « superato positivamente tale presupposto », affrontare il merito della domanda risarcitoria.
Evidenzia che la citata regola codicistica, mentre non prevede alcun ordine di trattazione per le varie questioni di merito (sicché il giudice resta libero di esaminare per prima quella reputata ‘più liquida’), stabilisce invece un rigoroso ordine di priorità tra l’esame delle questioni di rito e l’esame delle questioni di merito, il quale ultimo è precluso se non è compiuto il primo.
Puntualizza, quindi -citando, al riguardo, Cass., Sez. Un., 12/05/2017, n. 11799 (Punti 9.3.3.1. ss. della motivazione), nonché Cass. 26/11/2019, n. 30745 -, che il principio della ragione più liquida « può essere invocato solo per decidere la controversia in base alla questione di merito che, pur se logicamente subordinata ad altre questioni di merito, venga ritenuta più ‘liquida’; ma non può ritenersi operante nel rapporto tra questioni di rito e questioni di merito ».
Argomenta che, qualora il giudice, violando tale regola, si pronunci sul merito ignorando la questione pregiudiziale, la decisione sarebbe affetta da error in procedendo , il quale « determina incontrovertibilmente la formazione del giudicato sulla violazione dell’ordine di esame delle questioni, violazione che perciò non è più ulteriormente censurabile ».
Conclude che, pertanto, nella fattispecie, per effetto della indebita pronuncia sul merito, resa dal giudice di primo grado senza prima esaminare la questione di rito della legittimazione attiva
dell’interveniente, sulla suss istenza di tale legittimazione -quale premessa logica della successiva statuizione sul merito -si sarebbe formato implicitamente il giudicato, sicché la Corte d’appello non avrebbe potuto riesaminare officiosamente la questione medesima.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Come si è sopra evidenziato ( Punto 3.I. dei Fatti di causa ), la formazione del giudicato sulla questione della legittimazione dell’interveniente è stata esclusa dalla Corte d’a ppello sulla base di due distinte ragioni, ognuna idonea a sostenere la relativa statuizione; da un lato, perché la sentenza di primo grado, contenendo soltanto « la pronuncia di rigetto nel merito della domanda della RAGIONE_SOCIALE quale mandataria della RAGIONE_SOCIALE non è dunque idonea a fondare un giudicato implicito sulla legittimazione attiva della RAGIONE_SOCIALE ad intervenire in giudizio quale successore a titolo particolare nel diritto controverso »; dall’a ltro lato, perché, « sotto diverso profilo … la sentenza impugnata ha fatto espresso richiamo al principio della ragione più liquida, ravvisata nella inesistenza di un danno attualmente risarcibile », sicché non poteva «ravvisarsi giudicato interno sulla legitimatio ad causam in forma implicita », risultando « dalla motivazione della sentenza » che « l’evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione ed indotto il giudice a decidere il merito ‘per saltum’ rispetto all’ordine delle questioni di cui all’art. 276, comma 2, c.p.c. » (pag.4 della sentenza impugnata).
Orbene, il motivo di ricorso in esame censura soltanto la seconda delle due rationes decidendi poste a fondamento della statuizione diretta ad escludere la formazione del giudicato sulla questione
pregiudiziale di rito, la quale viene reputata erronea in iure sull’assunto che il principio della ragione più liquida sarebbe stato indebitamente applicato in violazione del l’ ordine di trattazione delle questioni stabilito dall’art. 276 cod. proc. civ. e della regola che prevede la priorità dell ‘ esame delle questioni di rito rispetto a quelle di merito; nessuna specifica critica viene, invece, formulata in ordine alla diversa ratio fondata sul rilievo della impossibilità di formazione del giudicato interno sulla questione, rilevabile d’ufficio, dell’ammissibilità dell’intervento, in mancanza di una statuizione esplicita sulla medesima.
Il motivo, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, in applicazione del principio, assolutamente pacifico e consolidato, secondo il quale, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l ‘ omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo passata in giudicato la ratio decidendi non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l ‘ annullamento della sentenza (Cass. 27/07/2017, n. 18641; Cass. 6/07/2020, n. 13880; Cass. 14/08/2020, n. 17182).
1.2. Ad abundantiam , giova comunque osservare che, quand’anche fosse stata censurata anche la prima ratio decidendi della statuizione gravata , quest’ultima, previa debita correzione della motivazione (essendo il dispositivo conforme al diritto: art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ. ) avrebbe comunque resistito all’impugnazione.
Diversamente da quanto reputato dalla Corte di merito, deve infatti ritenersi che la decisione di rigetto della domanda risarcitoria, resa dal
primo giudice, fosse stata emessa non solo nei confronti di RAGIONE_SOCIALE quale mandataria dell ‘RAGIONE_SOCIALE (originaria attrice) ma anche nei confronti della stessa RAGIONE_SOCIALE quale mandataria della RAGIONE_SOCIALE, essendo q uest’ultima intervenuta -non importa se ammissibilmente o meno -nel relativo giudizio.
Tuttavia, la medesima statuizione, concernendo esclusivamente il merito della domanda risarcitoria, in mancanza di una argomentazione espressa sulla questione della legittimazione dell’ interveniente, non poteva fondare una pronuncia idonea a costituire cosa giudicata sulla sussistenza di tale legittimazione e, conseguentemente, sull’ammissibilità dell’intervento (fosse esso qualificabile come intervento ex art. 111 cod. civ. oppure come intervento meramente adesivo dipendente ex art. 105, secondo comma, cod. proc. civ.), atteso che il mancato rilievo di una condizione dell’azione o dell’intervento, quale la legittimazione ad agire o ad intervenire, costituisce una violazione che ridonda nel difetto di potestas iudicandi del giudice adìto, minando in radice la validità del rapporto giuridico processuale e dando luogo ad un vizio insanabile , salvo l’effetto preclusivo derivante dalla esistenza di una specifica ed espressa statuizione del giudice di merito e dalla mancata impugnazione al riguardo.
In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte, recentemente chiamate a pronunciarsi sulla questione, oggetto di contrasto, della sussistenza, o meno, del ‘ potere del giudice dell’impugnazione di rilevare d’ufficio la questione pregiudiziale di rito non rilevata nel precedente grado, nel quale la domanda è stata rigettata nel merito,
ed in mancanza di impugnazione incidentale della parte vittoriosa ‘ -nell’af fermare il principio per cui, qualora il giudice di primo grado abbia deciso la controversia nel merito, omettendo di pronunciare espressamente su un vizio processuale rilevabile d’ufficio, la parte che abbia interesse a far valere detto vizio è onerata di proporre, nel grado successivo, impugnazione sul punto, la cui omissione determina la formazione del giudicato interno sulla questione processuale, rimanendo precluso tanto al giudice del gravame, quanto alla Corte di cassazione, il potere di rilevare, per la prima volta, tale vizio ex officio -hanno chiarito che, peraltro, « a tale regola si sottraggono, così da consentire al giudice dei gradi successivi di esercitare il potere di rilievo officioso, i vizi processuali rilevabili, in base ad espressa previsione legale, ‘in ogni stato e grado’ e i vizi relativi a questioni ‘fondanti’, la cui omessa rilevazione si risolverebbe in una sentenza inutiliter data» (Cass. 29/08/2025, n. 24172, Punto 13 delle Ragioni della decisione ).
Esemplificando con riguardo alla categoria dei vizi che « riguardano presupposti ‘fondanti’ la struttura e il funzionamento del processo », le Sezioni Unite hanno poi chiarito che essi possono essere ripartiti nelle due categorie delle violazioni di « norme processuali preposte alla tutela del diritto al contraddittorio » (le quali, concretando la menomazione di un elemento costitutivo e indefettibile del processo, che trova presidio negli artt. 24, secondo comma, e 111 Cost. -e, in una prospettiva di tutela multilivello, nelle norme sovranazionali di cui agli artt. 6 CEDU e 47 CDFUE -producono un « pregiudizio in re ipsa » nei confronti della parte che le subisca, la quale è esentata dall’onere di dimostrare che il proprio diritto sia stato effettivamente vulnerato), e delle violazioni che
ridondano nel « difetto di potestas iudicandi in capo al giudice davanti al quale si sia incardinato il rapporto processuale », il quale, « non costituendosi regolarmente, non può concludersi con una valida sentenza ».
Tra queste ultime rientrano, appunto, le violazioni attinenti al mancato rilievo della mancanza di una condizione dell’azione o dell’intervento (quale la legitimatio ad causam ad agire o ad intervenire), in relazione alle quali, risultando coinvolti « valori cardine dell’ordinamento costituzionale che attiene al diritto di difesa e al giusto processo », si impone la « rilevabilità d’ufficio nei gradi successivi a quello in cui esse si sono concretamente manifestate », con il solo limite della formazione di un giudicato espresso sulla base di una statuizione specifica non impugnata (Cass. 29/08/2025, n. 24172, Punto 9.1 delle Ragioni della decisione ).
1.3. Nella fattispecie in esame, la statuizione del Tribunale di Modena, in quanto avente ad oggetto esclusivamente il merito della domanda risarcitoria proposta da RAGIONE_SOCIALE e in quanto priva di una decisione espressa sulla questione di rito concernente l’ammissibilità dell’intervento di RAGIONE_SOCIALE (questione ex se rilevabile d’ ufficio ed avente carattere ‘ fondante ‘ perché attinente al rilievo del difetto della legittimazione ad intervenire), non era dunque idonea a costituire cosa giudicata interna sulla questione medesima, la quale era rimasta viva nel giudizio d’ appello; la Corte felsinea, pertanto, adìta dalla stessa società interveniente, doverosamente , prima di esaminare il merito dell’impugnazione, si è posta ex officio il problema della legittimazione attiva dell’appellante
(e, conseguentemente, dell’ammissibilità del gravame da essa proposto), restando del tutto irrilevante la tardiva costituzione in appello del convenuto che aveva originariamente sollevato la relativa eccezione.
In definitiva, il primo motivo di ricorso va dichiarato inammissibile.
Con il secondo motivo viene denunciata la « violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 c.p.c. degli art.1260 e 1263 c.c., valorizzabile ex art. 360, n.3 c.p.c. ».
La sentenza d’ appello è censurata per avere escluso che « quella oggetto di causa potesse ricomprendersi fra le azioni dirette a far valere le garanzie reali del credito ceduto, o fra quelle volte a conseguire gli ulteriori danni, indennizzi e quant’altro ».
La società ricorrente osserva, in primo luogo, richiamando l’opinione di autorevole dottrina, che, sebbene la cessione del credito non determini il formale trasferimento delle relative azioni giudiziarie dal cedente al cessionario, tuttavia quest’ ultimo è legittimato ad esercitarle, per il principio della tutela giurisdizionale dei diritti, in quanto titolare della pretesa sostanziale.
Sostiene, in secondo luogo, che, agli effetti dell’art. 1263 cod . civ. (secondo cui, in seguito a cessione del credito, il diritto è trasferito al cessionario con i privilegi, le garanzie reali e personali e gli ‘ altri accessori ‘), nell’ oggetto della cessione dovrebbe reputarsi rientrante « ogni situazione giuridica direttamente collegata con il diritto di credito stesso, ivi compresi tutti i poteri del creditore relativi alla tutela del credito »; reputa che, nella fattispecie, « l’azione risarcitoria nella quale è subentrato il cessionario … era incontrovertibilmente finalizzata alla
tutela della garanzia ipotecaria e a ripristinare il valore economico del credito » e conclude che, pertanto, la cessione posta in essere da RAGIONE_SOCIALE, in quanto relativa ad un credito assistito da una « garanzia reale ipotecaria, pregiudicata dal fatto del terzo », avrebbe necessariamente implicato l’acquisto da parte del cessionario anche « del diritto al risarcimento del danno conseguente all’accertamento della responsabilità civile (contrattuale o extracontrattuale) del terzo ».
2.1. Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
2.1.a. È inammissibile, per mancato confronto con la ratio della decisi one impugnata, nella parte in cui censura la sentenza d’ appello richiamando l’opinione dottrinale secondo la quale il cessionario del credito, al di là della titolarità formale delle azioni relative al diritto acquistato, avrebbe comunque la legittimazione ad esercitarle, in base al principio della tutela giurisdizionale dei diritti, in quanto titolare della pretesa sostanziale.
La Corte di merito, infatti, non ha disconosciuto la legittimazione della cessionaria RAGIONE_SOCIALE ad esercitare le azioni giudiziarie relative al diritto di credito acquisito per effetto della cessione pro soluto stipulata con le cedente RAGIONE_SOCIALE, ma, ben diversamente, ha escluso che l’ oggetto di questa cessione pro soluto comprendesse il diritto al risarcimento del danno vantato dalla stessa RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME in ragione dell’ inadempimento dell’obbligazio ne professionale notarile, essendo il negozio di cessione circoscritto ai crediti pecuniari derivanti dai contratti conclusi dalla banca con i propri clienti (persone fisiche o
giuridiche) sulla base di operazioni di finanziamento classificate ‘in sofferenza’.
2.1.b. Il motivo è invece infondato nella parte in cui sostiene che la cessione, da parte di RAGIONE_SOCIALE, del credito pecuniario vantato nei confronti della RAGIONE_SOCIALE avrebbe comportato anche la cessione del credito risarcitorio vantato dalla stessa banca nei confronti del professionista NOME COGNOME, omettendo di considerare la reciproca autonomia tra le due distinte obbligazioni (la seconda delle quali, tra l’a ltro, generata da una vicenda costitutiva distinta e successiva rispetto a quella che aveva costituito la fonte della prima) e degradando il secondo credito da autonomo diritto soggettivo a mero potere accessorio funzionale alla tutela del primo.
Deve, in contrario, rilevarsi che, conformemente a quanto esattamente osservato dalla Corte d’ appello, nella fattispecie vengono in considerazione due crediti originariamente facenti capo ad un medesimo titolare (la RAGIONE_SOCIALE) ma distinti per natura, titolo, oggetto e persona del debitore: da un lato, una obbligazione pecuniaria di pagamento dei ratei di un mutuo assunta da una società cliente della RAGIONE_SOCIALE in base ad un negozio di finanziamento; dall’altro lato, una obbligazione di valore avente ad oggetto il risarcimento del pregiudizio arrecato alla stessa RAGIONE_SOCIALE da un AVV_NOTAIO in ragione del (dedotto) inadempimento dell’obbligazione professionale da esso contratta.
Ciò rilevato, p oiché non è controverso che l’ oggetto della cessione pro soluto stipulata tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE fosse circoscritto ai crediti pecuniari (dunque di valuta , non di valore ) derivanti da contratti di mutuo, di apertura di credito e da finanziamenti
erogati in altre forme tecniche, concessi a persone fisiche e giuridiche tra il 1975 e il 2016 e qualificati come ‘attività finanziarie deteriorate’ , deve evidentemente condividersi il giudizio della Corte d’ appello circa l’ estraneità alla cessione medesima del credito risarcitorio azionato da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME, con conseguente mancata integrazione della fattispecie della successione di RAGIONE_SOCIALE nel diritto controverso nel relativo giudizio (diritto identificantesi, appunto, nel dedotto credito risarcitorio) e con conseguente esclusione della legittimazione della ricorrente ad intervenire in tale giudizio ex art. 111 cod. proc. civ..
2.1.c. Avuto riguardo alla correttezza in iure dell’ argomentazione posta dalla Corte d’ appello a fondamento della statuizione impugnata, si palesa, inoltre, inammissibile, la specifica censura di violazione dell’art. 1263 cod. civ.; infatti, il richiamo al condivisibile principio per cui il cessionario di un credito, acquista, unitamente ad esso, soltanto i diritti rivolti alla realizzazione del credito ceduto (ovverosia, le garanzie reali e personali, i vari accessori e le azioni dirette all ‘ adempimento dell ‘obbligazione ), mentre non gli sono, invece, trasferite le azioni inerenti all ‘ essenza del precedente contratto (principio che trova fondamento nella distinzione tra la cessione del credito e la cessione del contratto, la quale ultima, al contrario, della prima, esige il consenso del contraente ceduto: cfr. già Cass. 28 aprile 1967, n. 776; più recentemente, Cass. 6/07/2018, n. 17727 e Cass. 29/03/2024, n. 8579, nonché, ex professo , sia pure con specifico riferimento alla successione del mandante al mandatario senza rappresentanza nei diritti di credito derivanti dall’esecuzione del
mandato, Cass., Sez. Un., 8/10/2008, n. 24772), è stato effettuato dalla Corte di merito in applicazione dell’ argumentum a fortiori , per evidenziare che, trovando la cessione del credito limiti di carattere oggettivo anche all’interno dello stesso contratto che costituisce fonte del credito ceduto, a maggior ragione restano esclusi da tale oggetto diritti di credito che -come nella fattispecie – trovano aliunde la loro fonte, sia essa di origine contrattuale o delittuale.
2.1.d. Il rilievo della assoluta estraneità del diritto risarcitorio azionato da RAGIONE_SOCIALE in confronto del AVV_NOTAIO alla cessione stipulata dalla stessa banca in favore di RAGIONE_SOCIALE, unitamente alla motivata individuazione da parte del giudice del merito della causa pro soluto di tale cessione, consente, infine -ad abundantiam , sebbene non vi sia stata alcuna deduzione in tal senso -di escludere non solo l’integrazione della fattispecie peculiare di cui all’art. 111 cod. proc. civ. (non essendo la RAGIONE_SOCIALE succeduta nel diritto controverso nel giudizio), ma anche, più in generale, la sussistenza , in capo all’ interveniente, di una generica posizione di dipendenza idonea a far sorgere un interesse a sostenere le ragioni dell’ originaria attrice, ai sensi dell’art. 105, secondo comma, cod. civ..
Infatti, come correttamente osservato dal giudice territoriale, la RAGIONE_SOCIALE si era liberamente determinata ad acquistare il credito derivante dal contratto di finanziamento stipulato tra l’ RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, assumendo il rischio connesso alla eventualità dell’ inadempimento della debitrice, senza che sulle vicende di tale obbligazione incidesse l’accertamento della responsabilità del
professionista per l’ inadempimento del distinto contrat to d’ opera professionale da lui stipulato con la banca; accertamento in relazione al quale non sussisteva alcun interesse giuridicamente rilevante della RAGIONE_SOCIALE 2 RAGIONE_SOCIALE, con conseguente necessità di escludere, anche sotto tale generico profilo, la sua legittimazione ad intervenire nel giudizio risarcitorio.
Il secondo motivo, dunque, deve essere complessivamente rigettato.
Con il terzo motivo viene denunciata « violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; nullità della sentenza, valorizzabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia su uno dei motivi svolti nell’atto di appello; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, valorizzabile ex art. 360, 1° c., n. 5 c.p.c. ».
La ricorrente -dopo aver rammentato che il Tribunale di Modena, in primo grado, aveva rigettato la domanda risarcitoria di RAGIONE_SOCIALE, per mancanza del requisito di attualità del danno, sul rilievo che la questione della sussistenza della garanzia ipotecaria era ancora sub iudice e che, conseguentemente, non era stato ancora accertato l’errore professionale del AVV_NOTAIO osserva che essa aveva criticato tale statuizione con uno specifico motivo di appello, deducendo che il giudice di prime cure aveva omesso di considerare, al riguardo, un « documento avente rilevanza probatoria fondamentale e dirimente », costituito dal decreto di esproprio delle aree oggetto della controversia emesso in favore del RAGIONE_SOCIALE in data 29 giugno 2018.
Soggiunge che con il detto motivo d’ appello, oltre ad avvertire che il documento rappresentativo di tale provvedimento era stato prodotto
in giudizio unitamente alla comparsa conclusionale perché formatosi successivamente alla scadenza dei termini per il deposito delle memorie istruttorie, aveva anche evidenziato che esso, disponendo la riacquisizione degli immobili in capo al RAGIONE_SOCIALE per le finalità di interesse pubblico previste dalla legge, dimostrava la definitiva perdita, da parte della banca, della garanzia patrimoniale costituita sugli stessi e, quindi, il carattere certo e attuale del danno.
Su questo motivo d’ appello, però, la Corte territoriale bolognese avrebbe indebitamente omesso di provvedere, dando luogo ai dedotti vizi di omessa pronuncia e di omesso esame.
3.1. Il motivo è inammissibile.
La Corte d’ appello, infatti, provvedendo -correttamente, per quanto si è sopra osservato -al rilievo d’ufficio del difetto di legittimazione ad intervenire della RAGIONE_SOCIALE, ha definito il giudizio con decisione negativa sulla questione pregiudiziale di rito, senza affrontare il merito della domanda risarcitoria.
Per un verso, dunque, non sussistono i denunciati vizi di omessa pronuncia e di omesso esame, stante l’ assorbimento del merito nella detta decisione sulla questione pregiudiziale di rito; per altro verso, il motivo di ricorso per cassazione , nel ripetere, all’ indirizzo della sentenza d’ appello, una critica di merito già formulata in confronto della sentenza di primo grado ma assorbita nella decisione sulla questione pregiudiziale di rito emessa dal giudice superiore, omette nuovamente di confrontarsi con la diversa ratio posta a fondamento di quest’ ultima decisione, incorrendo in una sanzione di inammissibilità.
In conclusione, il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE, va rigettato, per essere inammissibili il primo e il terzo motivo e complessivamente infondato il secondo.
Le spese del giudizio di legittimità posso essere compensate integralmente tra le parti, avuto riguardo alla recente composizione, da parte delle Sezioni Unite di questa Corte, del contrasto sulla questione della sussistenza, o meno, del potere del giudice dell’impugnazione di rilevare d’ufficio la questione pregiudiziale di rito non rilevata nel precedente grado, nel quale la domanda è stata rigettata nel merito, ed in mancanza di impugnazione incidentale della parte vittoriosa.
Sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della società ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
A norma dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 17 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME