Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12517 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12517 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 11257/2024 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa giusta delega allegata al ricorso dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso il suo studio.
-ricorrente-
CONTRO
Comune di Ortona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale
in calce al controricorso, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e notifiche relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello dell’Aquila n. 1533/2023, depositata il 30/10/2023
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/3 /2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
La ricorrente RAGIONE_SOCIALE impugna con due motivi la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 1533/23, pubblicata il 30.10.2023 nel giudizio da essa instaurato nei confronti del Comune di Ortona, limitatamente ai capi con i quali la Corte d’appello di L’Aquila non ha accolto la sua domanda volta ad ottenere la condanna del Comune di Ortona al pagamento dei crediti relativi ad alcune fatture ad essa cedute dalla procedura di amministrazione straordinaria di RAGIONE_SOCIALE oltre interessi, anche anatocistici.
La Corte territoriale, in particolare, evidenziava che la Banca RAGIONE_SOCIALE (ora BFF RAGIONE_SOCIALE) aveva agito in via monitoria nei confronti del Comune di Ortona nella veste di cessionaria dei crediti vantati nei confronti dell’ente territoriale da vari creditori, tra cui la RAGIONE_SOCIALE
Le cessioni dei crediti erano state notificate al Comune di Ortona il 25/7/2016.
Vi era stato, dunque, il mancato pagamento di 4 fatture, emesse nell’anno 2017, dalla RAGIONE_SOCIALE in forza del contratto, qualificato come appalto di servizi, ed avente ad oggetto il servizio
pubblico di affissione unitamente alla gestione della riscossione dei tributi locali.
In data 21/9/2017 era pervenuta al Comune di Ortona, successivamente alla cessione del credito ed alla notifica dello stesso, avvenuta il 25/7/2016, una nota con cui i dipendenti della società, NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano lamentato «il mancato pagamento della retribuzione ed anche della tredicesima e quattordicesima», diffidando il Comune di Ortona e sollecitandolo al «pagamento diretto delle spettanze loro dovute», ex art. 1676 c.c.
RAGIONE_SOCIALE era stata ammessa all’amministratore straordinaria in data 20/5/2016, prima della cessione dei crediti.
La Corte d’appello evidenziava l’applicabilità al caso di specie dell’art. 1676 c.c., rilevando che «ai fini della sospensione dei pagamenti era sufficiente la prova del credito dell’appaltatore nei confronti del committente e l’esistenza del rapporto di lavoro/dipendenza della parte che ha intimato, anche soltanto stragiudizialmente, al committente il pagamento del proprio credito di lavoro»; ciò nella logica «dell’art. 1676 c.c. da ricercarsi nell’esigenza di approntare una forma di tutela in favore del dipendente dell’appaltatore».
Chiariva anche la Corte d’appello che «il rapporto di lavoro è stato ampiamente provato e di conseguenza a nulla rileva la deduzione relativa all’assenza di prova dello svolgimento da parte dei predetti dipendenti delle prestazioni oggetto delle fatture di cui è stato sospeso il pagamento del fatto che l’inadempimento fosse prima della cessione del credito e che nel frattempo la RAGIONE_SOCIALE è stata sottoposta ad amministrazione straordinaria».
3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la BFF Bank.
Ha resistito con controricorso il Comune di Ortona.
Il consigliere coordinatore ha formulato proposta di decisione accelerata ex art. 380bis c.p.c..
Il difensore della società, munito di procura speciale, ha chiesto la decisione.
Entrambe le parti hanno depositato memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione degli articoli 1676 c.c., 1264 c.c., 1265 c.c., 2194, n. 2, c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per non aver considerato che il committente, al quale il cessionario del credito dell’appaltatore abbia richiesto il pagamento in data successiva alla notifica della cessione (dal cessionario al committente), non può sottrarsi al pagamento, eccependo che, successivamente alla comunicazione della cessione, i dipendenti dell’appaltatore hanno avanzato domanda ex art. 1676 c.c.».
Per la ricorrente i crediti di cui si discute, per la somma complessiva di euro 27.944,40, portati da 4 fatture, sono maturati direttamente in capo alla procedura di amministratore straordinaria di RAGIONE_SOCIALE ed hanno costituito oggetto di cessione in massa di crediti esistenti e futuri in favore di BFF Bank.
Chiarisce la ricorrente che l’atto di cessione del credito è stato notificato al Comune in data 25/7/2016.
Il Comune – aggiunge la ricorrente – ha eccepito di non poterli pagare alla cessionaria BFF Bank sul presupposto «di avere ricevuto in data 21 settembre 2017 una richiesta di pagamento, da parte di due dipendenti della procedura i quali hanno lamentato l’omesso pagamento, da parte della procedura, della retribuzione ed anche della tredicesima e della quattordicesima».
Pertanto, il Comune non ha provveduto al pagamento dei dipendenti e non ha pagato le fatture di BFF Bank.
Il tribunale e la Corte d’appello hanno ritenuto fondata l’eccezione di sospensione dei pagamenti ex art. 1676 c.c. sollevata dal Comune.
In particolare, la Corte d’appello si è soffermata sulla circostanza che, ai fini della sospensione dei pagamenti, ai sensi dell’art. 1676 c.c., sarebbe «sufficiente la prova del credito dell’appaltatore nei confronti del committente e l’esistenza del rapporto di lavoro/dipendenza della parte che intimato, anche soltanto stragiudizialmente, al committente il pagamento del proprio credito di lavoro».
La Corte d’appello – ad avviso della ricorrente – avrebbe «erroneamente omesso di considerare che il committente, al quale il cessionario del credito dell’appaltatore abbia richiesto il pagamento in data successiva alla notifica della cessione (dal cessionario al committente), non può sottrarsi al pagamento, eccependo che, successivamente alla comunicazione della cessione, i dipendenti dell’appaltatore hanno avanzato domanda ex art. 1676 c.c.».
Sarebbe mancato il coordinamento con l’art. 1264 c.c., in relazione agli effetti della cessione del credito nei confronti del debitore ceduto, con l’art. 1265 c.c., con l’art. 2914, primo comma, n. 2, c.c..
Ciò, in quanto, l’art. 1676 c.c. attribuisce ai dipendenti dell’appaltatore l’azione diretta nei confronti del committente al fine di ottenerne il pagamento «del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongo la domanda».
Ma, l’efficacia della cessione si era già verificata nel momento in cui dipendenti dell’appaltatore avevano avanzato la domanda di cui all’art. 1676 c.c.; a tale data «il debito del committente verso
l’appaltatore non esiste più e, per l’effetto, è venuto meno l’oggetto dell’azione diretta attribuita dipendenti dell’appaltatore».
Tali principi sarebbero stati affermati dalla Corte di cassazione con le sentenze n. 1510 del 2/2/2001 e n. 11074 del 15/7/2003.
Secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione e falsa applicazione degli articoli 1176 c.c., 115 c.p.c. e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., per aver omesso di esaminare atti e documenti acquisiti a giudizio decisivi della controversia, in quanto ove li avesse esaminati avrebbe rilevato che i crediti vantati dipendenti di RAGIONE_SOCIALE in amministratore straordinaria non erano maturati in relazione all’esecuzione proprio delle prestazioni poste a fondamento dell’emissione delle 4 fatture oggetto del giudizio».
3. Il ricorso è inammissibile.
3.1. Nel ricorso è del tutto assente l’esposizione sommaria dei fatti di causa e della vicenda processuale che ha condotto alla pronuncia oggetto di impugnazione, come prescritto dall’art.366, comma 1, n.3, c.p.c.,
Il nuovo testo dell’art.366, n.3, c.p.c., introdotto dal d.lgs.10.10.2022 n.149, richiede la chiara esposizione dei fatti della causa essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso, ma non ha fatto che esplicitare un requisito di chiarezza, concisione e strumentalità già implicito nel sistema.
L’esposizione, pur «sommaria», dei fatti di causa ha l’essenziale funzione di mettere la Corte in condizione di valutare rilevanza, specificità e pertinenza dei motivi di ricorso. Nel ricorso per cassazione è essenziale il requisito, prescritto dall’art. 366, n. 3, c.p.c., dell’esposizione sommaria dei fatti sostanziali e processuali della vicenda, da effettuarsi necessariamente in modo sintetico, con la conseguenza che la relativa mancanza determina l’inammissibilità
del ricorso, essendo la suddetta esposizione funzionale alla comprensione dei motivi nonché alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte (Sez. 2, n. 10072 del 24.4.2018; Sez. U, n. 22575 del 10.9.2019).
3.2. Dalla predetta esposizione devono risultare le posizioni processuali delle parti con l’indicazione degli atti con cui sono stati formulati, causa petendi e petitum , nonché gli argomenti dei giudici dei singoli gradi, non potendo tutto questo ricavarsi da una faticosa o complessa opera di distillazione del successivo coacervo espositivo dei singoli motivi, perché tanto equivarrebbe a devolvere alla Suprema Corte un’attività di estrapolazione della materia del contendere, che è riservata invece al ricorrente (Sez. 6 – 3, n. 13312 del 28.5.2018). La prescrizione ha la funzione di agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara ricostruzione funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto (Sez. 5, n. 24340 del 4.10.2018).
Per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366, comma 1, n. 3 c.p.c., il ricorso per cassazione deve indicare, in modo chiaro ed esauriente, sia pure non analitico e particolareggiato, i fatti di causa da cui devono risultare le reciproche pretese delle parti con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano in modo da consentire al giudice di legittimità di avere la completa cognizione
della controversia e del suo oggetto senza dover ricorrere ad altre fonti e atti del processo, dovendosi escludere, peraltro, che i motivi, essendo deputati ad esporre gli argomenti difensivi possano ritenersi funzionalmente idonei ad una precisa enucleazione dei fatti di causa. (Sez. 1 , n. 24432 del 3.11.2020; da ultimo Sez. 3, n. 1352 del 12.1.2024).
Da ultimo è stato ribadito che il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; tuttavia l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai n. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c. (Sez. U , n. 37552 del 30.11.2021).
L’esposizione predetta è assente nel ricorso in esame e non può essere surrogata dagli elementi riportati nei motivi di ricorso che si limitano a riferire quella che secondo la ricorrente sarebbe l’attuale materia del contendere, la decisione della Corte territoriale e gli errori da essa asseritamente commessi, senza dar conto della vicenda processuale che vi avrebbe condotto.
Il ricorso è dunque inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Si è ritenuto che, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), nel richiamare, per i casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. codifica, attraverso una valutazione legale tipica, un’ipotesi di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass., Sez. U., 27/9/2023, n. 27433; Cass., Sez. U., 13/10/2023, n. 28540; Cass., n. 11346/2024); tuttavia, la disposizione citata non prevede l’applicazione automatica delle sanzioni ivi previste, che resta affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso concreto, in base a un’interpretazione costituzionalmente compatibile del nuovo istituto (Cass., Sez. U., 27/12/2023, n. 36069).
Nella specie non si rinvengono ragioni (stante la correttezza del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare il rigetto del ricorso) per discostarsi dalla suddetta previsione legale.
La ricorrente va perciò condannata al pagamento, in favore della controricorrente, anche della somma di euro 3.200,00, valutata equitativamente, nonché al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di euro 2.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente della somma di euro 3.200,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente della ulteriore somma di euro 3.200,00, nonché al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro 2.500,00.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sezione