Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9479 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3 Num. 9479 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: CONDELLO NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/04/2024
OPPOSIZIONE A PRECETTO SU MUTUO IPOTECARIO CON CONTESTATA CESSIONE DI CREDITI
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10045/2022 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME, e , così elettivamente domiciliata
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, e, per essa, quale mandataria con rappresentanza, RAGIONE_SOCIALE (già C.F.
RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall ‘ AVV_NOTAIO, , così elettivamente domiciliata
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d ‘ appello di Milano n. 471/2022 pubblicato in data 9 febbraio 2022
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 febbraio 2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dottAVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso; uditi i difensori della parte ricorrente, AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, che hanno insistito per l ‘ accoglimento del ricorso; udito il difensore della parte controricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE evocava in giudizio RAGIONE_SOCIALE proponendo opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. avverso l ‘ atto di precetto con cui l ‘ opposta, quale mandataria con rappresentanza di RAGIONE_SOCIALE, in forza di contratto di mutuo del 4 febbraio 2010 concesso all ‘ opponente dalla RAGIONE_SOCIALE e a garanzia del quale era stata concessa dalla mutuataria ipoteca volontaria su complesso immobiliare ubicato in Segrate, aveva intimato il pagamento della somma di euro 744.000,00.
Deduceva, a sostegno dell ‘ opposizione, il difetto di legittimazione dell ‘ opposta, cessionaria dei crediti originariamente di titolarità di
RAGIONE_SOCIALE BPM, in quanto la intervenuta cessione in blocco del 28 dicembre 2018 non ricomprendeva il credito vantato dalla cedente nei suoi confronti, ed eccepiva di avere stipulato con RAGIONE_SOCIALE BPM, in data 24 settembre 2018, un contratto di transazione novativa in forza del quale i precedenti contratti bancari erano stati definiti e superati; rappresentava, altresì, di avere eseguito pagamenti per complessivi euro 570.000,00 a favore di RAGIONE_SOCIALE BPM e che l ‘ opposta non poteva validamente invocare la clausola risolutiva espressa prevista nell ‘ accordo transattivo.
Il Tribunale di Milano, respinta l ‘ istanza di concessione dei termini ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., rigettava l ‘ opposizione.
La sentenza, impugnata dalla soccombente, è stata confermata dalla Corte d ‘ appello di Milano, che ha ritenuto sussistente l ‘ inadempimento dell ‘ appellante e riconosciuto il diritto di RAGIONE_SOCIALE di procedere ad esecuzione forzata.
In sintesi, i giudici d ‘ appello hanno osservato che dai documenti di causa emergeva che RAGIONE_SOCIALE BPM aveva ceduto in blocco i crediti indicati nell ‘ elenco depositato, tra i quali quello in contestazione, e che il credito azionato non si era estinto per effetto dell ‘ accordo transattivo concluso in data 24 settembre 2018 dall ‘ appellante, originaria opponente, con RAGIONE_SOCIALE BPM, non avente efficacia novativa e unicamente finalizzato a rimodulare l ‘ importo del debito gravante sulla mutuataria e a concedere a quest ‘ ultima una dilazione nel pagamento; considerato, inoltre, che l ‘ accordo perfezionatosi in data 24 settembre 2018 prevedeva una clausola risolutiva espressa per l ‘ eventualità di inadempimento della debitrice e tenuto conto che l ‘ adempimento da parte di RAGIONE_SOCIALE non vi era stato, hanno concluso che RAGIONE_SOCIALE fosse pienamente legittimata ad agire in sede esecutiva ed a richiedere il pagamento dell ‘ intero credito vantato in origine, stante l ‘ avvenuta reviviscenza degli accordi originari, fondandosi il
precetto sull ‘ originaria obbligazione derivante da due contratti di mutuo fondiario e da un contratto di conto corrente.
La Corte territoriale ha pure respinto il motivo di gravame con cui si prospettava che la mancata concessione, da parte del giudice di primo grado, dei termini ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ. potesse comportare nullità della sentenza, sia perché l ‘ appellante non aveva neanche indicato il pregiudizio in concreto subito al proprio diritto di difesa in dipendenza del denunciato error in procedendo, sia perché il Tribunale, con ordinanza motivata, aveva ritenuto la natura documentale della causa.
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per la cassazione del suddetto decreto, con sei motivi.
RAGIONE_SOCIALE e, per essa, quale mandataria con rappresentanza, RAGIONE_SOCIALE, resiste mediante controricorso.
Fissata la pubblica udienza, entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, deducendo ‹‹Nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 183, 6° comma c.p.c., 187 c.p.c. e 80bis disp. att. c.p.c. e 111 Cost.››, la ricorrente censura la decisione impugnata per avere rigettato il motivo di gravame con cui si doleva della mancata concessione, da parte del Tribunale, dei termini previsti dalla disposizione richiamata in rubrica.
Precisando di avere aderito alla relativa istanza formulata dalla controparte, fa rilevare, sotto un primo profilo, di avere risentito di un concreto pregiudizio per non avere potuto richiedere l ‘ esibizione del contratto di cessione in blocco dei crediti, intervenuto tra RAGIONE_SOCIALE BPM e RAGIONE_SOCIALE, né l ‘ ammissione di capitoli di prova per testi concernenti
l ‘ esecuzione dell ‘ accordo transattivo del 24 settembre 2018; sotto altro profilo, che la lettura della disposizione normativa in esame conduce a ritenere l ‘ obbligatorietà della concessione dei termini, non rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, dovendo l ‘ attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo essere contemperata con i principi della tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost e del contradittorio ex art. 111 Cost.
1.1. La censura è infondata.
1.2. La mancata concessione del termine, da parte del Tribunale, è priva di rilevanza: e ciò ancorché RAGIONE_SOCIALE -non la società ricorrente -ne avesse fatto richiesta.
L ‘ articolazione del giudizio di cognizione di primo grado secondo le previsioni dell ‘ art. 183 cod. proc. civ. e la possibilità delle parti di sollecitare un ‘ appendice scritta della trattazione per precisare o modificare le domande già proposte non osta a che il giudice possa rimettere la causa in decisione già alla prima udienza, in forza del combinato disposto dell ‘ art. 187, primo comma, cod. proc. civ. e dell ‘ articolo 80bis delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile. Difatti, la richiesta di concessione di termine ai sensi del sesto comma dell ‘ art. 183 cod. proc. civ. (nel testo introdotto dalla legge n. 80 del 2005, vigente ratione temporis ) non impedisce al giudice di esercitare il potere di invitare le parti a precisare le conclusioni e di definire comunque la lite. La contraria opzione interpretativa, come chiarito da questa Corte (Cass., sez. 2, 23/11/2023, n. 32577), comportando il rischio di richieste puramente strumentali, si porrebbe in contrasto con il principio costituzionale della durata ragionevole del processo, oltre che con il favor legislativo per una decisione immediata della causa desumibile dall ‘ art. 189 cod. proc. civ. (Cass., sez. 2, 12/07/2021, n.19792, non massimata; Cass., sez. 1, 23/03/2017, n. 7474; Cass., sez. 3, 11/03/2016, n. 4767). Ciò che porta a ritenere che rientra nel potere discrezionale del giudice la
valutazione dei presupposti per la concessione dei termini di cui si discute.
1.3. Secondo l ‘ orientamento di questa Corte, enunciato con riguardo alla precedente formulazione dell ‘ art. 183 cod. proc. civ., ma sulla base di considerazioni certamente valide anche per la formulazione applicabile ratione temporis , «il vizio non formale di attività discendente dalla mancata osservanza delle sequenze procedimentali in cui è normativamente scandita la trattazione della causa in primo grado – per non avere il giudice concesso alle parti, benché richiesto, l ‘ appendice scritta della prima udienza di trattazione, ai sensi dell ‘ art. 183, quinto comma, cod. proc. civ., ed avere rimesso la causa in decisione quando era ancora aperta la fase rivolta alla definitiva determinazione del thema decidendum e del conseguente thema probandum – può essere rilevato d ‘ ufficio dal giudice del grado al più tardi prima di pronunciarsi sulla ” res ” controversa e dal medesimo rimediato attraverso l ‘ adozione di misure sananti, espressione della capacità di autorettificazione del processo, con la rimessione in termini delle parti per l ‘ esercizio delle attività non potute esercitare in precedenza; la mancata rilevazione di detto vizio “in procedendo”, inficiante in via derivata la validità della sentenza, impone alla parte di dedurre la ragione di nullità con il motivo di impugnazione (art. 161, primo comma, cod. proc. civ.), restando, a seguito della emanazione della sentenza di primo grado, sottratta al giudice del gravame la disponibilità di questa nullità verificatasi nel grado precedente (da ritenersi ormai sanata perché non fatta valere nei limiti e secondo le regole proprie dell ‘ appello), non rientrando essa tra quelle, insanabili, rilevabili d ‘ ufficio in ogni stato e grado del processo, anche al di fuori della prospettazione della parte» (Cass., sez. 1, 15/02/2007, n. 3607; Cass., sez. 1, 09/04/2008, n. 9169).
Tuttavia, «qualora venga dedotto il vizio della sentenza di primo grado per avere il tribunale deciso la causa senza aver prima assegnato
i termini di cui all ‘ art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., l ‘ appellante che faccia valere tale nullità -una volta escluso che la medesima comporti la rimessione della causa al primo giudice -non può limitarsi a dedurre tale violazione, ma deve specificare quale sarebbe stato il fatto rilevante sul quale il giudice di primo grado si sarebbe dovuto pronunciare ove fosse stata consentita la richiesta appendice di cui all ‘ art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., e quali prove sarebbero state dedotte, poiché in questo caso il giudice d ‘ appello è tenuto soltanto a rimettere le parti in termini per l ‘ esercizio delle attività istruttorie non potute svolgere in primo grado» (Cass., sez. 1, 02/02/2018, n. 2626; Cass., sez. L, 22/05/2020, n. 9487).
La mancata concessione dei termini di cui all ‘ art. 183, sesto comma, cod. proc. civ. non determina, dunque, un vizio processuale (e la conseguente nullità della sentenza, da far valere quale motivo di impugnazione), se non nei casi in cui da tale mancata concessione sia conseguita in concreto una lesione del diritto di difesa della parte istante: difatti, per ogni violazione di norme del processo incombe a chi la invoca l ‘ onere di specificare il pregiudizio che sarebbe derivato ai suoi diritti di difesa, a pena d ‘ inammissibilità della doglianza.
1.4. Ora, non può condividersi la tesi della ricorrente, secondo la quale un tale consolidato orientamento andrebbe superato e rivisto: ancora di recente si è ribadito che la facoltà di denunciare vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l ‘ interesse alla astratta regolarità dell ‘ attività giudiziaria, ma garantisce solo l ‘ eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione (per tutte, ove riferimenti: Cass., ord. 29/05/2023, n. 15045; Cass., sez. U, 09/08/2018, n. 20685, soprattutto punti 26 e 27 delle ragioni della decisione). Pertanto, tranne i peculiari ed eccezionali casi in cui la lesione del diritto di difesa è autoevidente (come nel paradigmatico caso della pronuncia della decisione prima della scadenza dei termini per depositare
conclusionali e repliche: Cass., sez. U, n. 36596 del 25/11/2021 Rv. 663244 -01), permane l ‘ onere, per chi adduce la violazione della norma processuale, di allegare -e, se del caso, provare -uno specifico nocumento (Cass., sez. 3, 25/09/2023, n. 27313, non massimata sul punto; Cass., ord. 26/09/2023, n. 27424; Cass., ord. 09/01/2024, n. 903).
1.5. La ricorrente, nel tentativo di contrastare le considerazioni che precedono, ha dedotto che avrebbe utilizzato le memorie ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ. per richiedere l ‘ esibizione del contratto di cessione in blocco dei crediti e per articolare la prova per testi volta a dimostrare le trattative intercorse tra la Banca ed il difensore della stessa ricorrente, ma tale affermazione non consente di affermare l ‘ eccepita nullità processuale, dal momento che la ricorrente non ha, se non puntualmente indicato le prove che avrebbe richiesto, quanto meno spiegato come e perché le istanze istruttorie, se accolte, sarebbero state suscettibili di rovesciare l ‘ esito del giudizio (Cass., sez. 3, 12/04/2023, n. 9674). D ‘ altra parte, neppure poteva dirsi essenziale all ‘ estrinsecazione del diritto di difesa la fruizione di un ulteriore spatium deliberandi , visto che doveva reputarsi già evidente fin dal momento del dispiegamento dell ‘ opposizione la rilevanza sia del contratto di cessione in blocco dei crediti (di cui ci si duole ora di non aver potuto chiedere l ‘ esibizione, oltretutto nonostante la chiara indicazione dei suoi estremi come da relativa pubblicità) che delle trattative (sulle quali si lamenta la compressione della facoltà di articolare prova e, comunque, impregiudicata la valutazione di una loro concreta rilevanza).
Ne segue che la decisione gravata sfugge alla censura ad essa rivolta.
Con il secondo motivo la ricorrente denunzia ‹‹Violazione e falsa applicazione degli artt. 1230, 1231 e 1965 c.c., nonché degli artt. 1362
e seguenti c.c. e dell ‘ art. 116 e 113 c.p.c. con riferimento all ‘ erronea esclusione della natura novativa della transazione ››.
Nel sottolineare che i contratti che hanno preceduto l ‘ accordo transattivo sono tre, e precisamente due contratti di mutuo ipotecario, con concessione di ipoteca, ed un contratto di conto corrente, addebita ai giudici di appello di non avere correttamente interpretato l ‘ accordo concluso in data 24 settembre 2018, con il quale è stata accolta la proposta di ‘saldo e stralcio’ di tutte le posizioni debitorie da essa contratte con RAGIONE_SOCIALE BPM. In particolare, muovendo dalle ragioni poste dai giudici di merito a sostegno della ritenuta natura non novativa della transazione, ossia la mancanza dell ‘ elemento oggettivo dell ‘ aliquid novi e l ‘ assenza dell ‘ animus novandi , sostiene, in primo luogo, che le prestazioni dovute in forza degli originari contratti bancari non sono le stesse dell ‘ unica obbligazione prevista nell ‘ accordo transattivo, cosicché non può ritenersi che l ‘ oggetto sia rimasto immutato, e, in secondo luogo, che la sola espressione ‘versamento a saldo e stralcio’, senza alcun riferimento alle altre espressioni contenute nell ‘ accordo del 24 settembre 2018, non possa considerarsi determinante al fine di escludere la natura novativa del nuovo accordo; aggiunge che la previsione di una clausola risolutiva espressa in caso di inadempimento, non contemplata nei precedenti contratti bancari, avvalora la conclusione che si sia in presenza di una transazione novativa e che non può escludersi l ‘ animus novandi per l ‘ assenza di esplicita manifestazione di volontà delle parti, ben potendo l ‘ animus novandi risultare tacitamente manifestato ed essere desunto, implicitamente, nel caso di specie, dalle comunicazioni intercorse tra le parti dell ‘ accordo.
2.1. Il motivo è inammissibile.
2.2. Varrà premettere che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in punto di censura dell ‘ ermeneutica contrattuale, l ‘ interpretazione delle clausole contrattuali rientra tra i compiti esclusivi
del giudice di merito ed è insindacabile in cassazione se rispettosa dei canoni legali di ermeneutica ed assistita da congrua motivazione, potendo il sindacato di legittimità avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti, bensì solo l ‘ individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (Cass., sez. 3, 07/11/2019, n. 28625; Cass., sez. 3, 29/07/2016, n. 15763; Cass., sez. 3, 14/02/2012, n. 2109; Cass., sez. U, 31/03/2005, n. 7597).
Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass., sez. L, 09/10/2012, n. 17168; Cass., sez. 3, 11/03/2014, n. 5595; Cass., sez. 6 -3, 27/02/2015, n. 3980; Cass., sez. 6 -1, 19/07/2016, n. 14175). Di conseguenza, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l ‘ unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, e, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l ‘ interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un ‘ altra (Cass., sez. 1, 22/02/2007, n. 4178; Cass., sez. 2, 03/09/2010, n. 19044).
Anche l ‘ accertamento sul carattere novativo o meno della transazione, implicando una indagine sulla volontà delle parti e una valutazione comparativa tra il rapporto preesistente e quello nuovo, costituisce apprezzamento riservato al giudice di merito, incensurabile
in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione (Cass., sez. 2, 19/05/2003, n. 7830; Cass., sez. 3, 13/12/2005, n. 27448; Cass., sez. 3, 23/02/2006, n. 4008; Cass., sez. L, 14/06/2006, n. 13717; Cass., sez. 2, 13/05/2010, n. 11632).
2.3. La ricorrente si limita a prospettare l ‘ incongruità della soluzione ermeneutica fatta propria dalla decisione impugnata, ma omette di illustrare le ragioni per le quali l ‘ apprezzamento svolto dai giudici di merito non risulterebbe congruamente motivato ed incorrerebbe nella violazione degli invocati criteri ermeneutici di interpretazione.
In applicazione della regola per cui la transazione novativa presuppone una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato dall ‘ accordo transattivo, in virtù della quale le obbligazioni reciprocamente assunte dalle parti devono ritenersi oggettivamente diverse da quelle preesistenti, cosicché solo nell ‘ ipotesi in cui sussista un ‘ espressa manifestazione di volontà delle parti in tal senso, deve accertarsi se le parti, nel comporre l ‘ originario rapporto litigioso, abbiano inteso o meno addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto, costitutivo di autonome obbligazioni (Cass., sez. 6 -1, 06/10/2020, n. 21371; Cass., sez. 1, 11/11/2016, n. 23064; Cass., sez. 3, 14/07/2011, n. 15444), i giudici d ‘ appello hanno, del tutto correttamente, ravvisato elementi che deponevano per la natura conservativa della transazione.
A tale riguardo, hanno spiegato, con motivazione esaustiva ed esente da vizi logici, che, nella specie, difettava sia l ‘ elemento oggettivo dell ‘ aliquid novi , essendo rimasto immutato l ‘ oggetto della prestazione dovuta dalla debitrice o il titolo del rapporto, sia l ‘ elemento soggettivo dell ‘ animus novandi , non contenendo l ‘ accordo la manifestazione di volontà delle parti di addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto, sostitutivo di quello originario, essendosi piuttosto le parti limitate a concordare nuove modalità di pagamento del debito
(nel senso di articolate diversamente rispetto a quelle originariamente pattuite) , come desumibile dalla espressione ‘versament o a saldo e stralcio’ contenuta nella missi va del 24 settembre 2018, dovendosi escludere che la semplice regolazione pattizia delle modalità di svolgimento della preesistente obbligazione produca, se non altro di per sé sola, novazione (Cass., sez. L, 26/02/2009, n. 4670; Cass., sez. L, 29/10/2018, n. 27390; Cass., sez. 2, 14/09/2022, n. 27028; Cass., sez. 2, 05/04/2023, n. 9347).
Tanto è sufficiente ad escludere che si abbia transazione novativa, per la quale è necessario che l ‘ accordo raggiunto dalle parti disciplini per intero il nuovo rapporto negoziale, ricorrendo altrimenti, per quanto non regolamentato dal più recente accordo, una transazione conservativa del pregresso rapporto (Cass., sez. 1, 13/03/2019, n. 7194), esclusivamente finalizzata ad apportare modifiche meramente quantitative e, quindi, a ridurre le reciproche pretese mediante una rimodulazione dell ‘ importo del debito originariamente previsto ed a concedere una dilazione nei pagamenti.
Con il terzo motivo la ricorrente denunzia ‹‹Violazione e falsa applicazione degli artt. 1326, 1965, 1230 c.c., nonché dell ‘ art. 58 TUB con riferimento alla vigenza della transazione del 24 settembre 2018 al momento della cessione in blocco››, per avere la Corte d ‘ appello ritenuto che RAGIONE_SOCIALE avesse acquistato i crediti nascenti dai tre contratti bancari sebbene, alla data di cessione degli stessi, il contratto di transazione fosse ancora efficace ed operante.
Precisa, sul punto, che in data 18 dicembre 2018 l ‘ istituto bancario aveva accettato nuovi termini di pagamento che prevedevano il pagamento di euro 350.000,00 entro il 31 dicembre 2018 e versamenti mensili di euro 110.000,00 ciascuno da effettuarsi a far data dal 31 gennaio 2019 e non oltre il 31 maggio 2019; in esecuzione della transazione, aveva proceduto al versamento della tranche di euro 350,000,00 in data 27 dicembre 2018 e, non essendo stata informata
della cessione dei crediti in blocco intervenuta in data 28 dicembre 2018, aveva versato, in data 30 gennaio 2019, la prima delle cinque rate da euro 110.000,00 e in data 27 febbraio 2019 la seconda rata.
Sostiene, quindi, che alla data della cessione dei crediti in blocco, il mutuo fondiario azionato con l ‘ atto di precetto fosse ‹‹ inesistente ›› , in quanto ‹‹ il titolo, il mutuo fondiario (unitamente agli altri due contratti bancari) era stato superato ed estinto a seguito della transazione 24 settembre 2018 ›› .
Con il quarto motivo, deducendo ‹‹Violazione e falsa applicazione degli artt. 1965, 1230, 1326 c.c., nonché dell ‘ art. 58 TUB e dell ‘ art. 116 c.p.c. in riferimento all ‘ errata e non provata inclusione del credito derivante dal mutuo tra i crediti della cessione in blocco››, la ricorrente contesta la decisione gravata nella parte in cui ha ricompreso il credito in contestazione nel perimetro della cessione in blocco, pur mancando la prova di detta inclusione; precisa, al riguardo, che la controricorrente non aveva prodotto in giudizio il contratto di cessione in blocco e che gli altri documenti depositati non erano idonei a fornire la prova della cessione, in quanto la dichiarazione del funzionario di RAGIONE_SOCIALE BPM era generica e non menzionava il credito dedotto in precetto, mentre l ‘ elenco dei crediti ceduti, formato da oltre 700 fogli, non recava l ‘ indicazione del credito che si pretendeva essere stato ceduto, né il suo nominativo.
4.1. Il terzo ed il quarto motivo, strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati.
4.2. La ricorrente non disconosce che, per effetto della cessione in blocco dei crediti, l ‘ odierna controricorrente sia subentrata a RAGIONE_SOCIALE nella titolarità dei crediti oggetto di cessione; prospetta, tuttavia, che, essendo operante, al momento della cessione dei crediti, la transazione del 24 settembre 2018 e la successiva rimodulazione del credito accettata da RAGIONE_SOCIALE BPM con la comunicazione del 18 dicembre
2018, avrebbe errato la Corte d ‘ appello nel ritenere che tra i crediti ceduti rientrasse anche quello derivante dal mutuo fondiario n. 92228.
A supporto dell ‘ assunto difensivo richiama pronunce di questa Corte (Cass. n. 29674/10; Cass. n. 24377/2006; Cass. n. 1690/2006) che hanno statuito che ‹‹ nell ‘ ipotesi in cui un rapporto venga fatto oggetto di una transazione e questa non abbia carattere novativo, la mancata estinzione del rapporto originario discendente da quel carattere della transazione significa, non già che la posizione delle parti sia regolata contemporaneamente dall ‘ accordo originario e da quello transattivo, bensì soltanto che l ‘ eventuale venir meno di quest ‘ ultimo fa rivivere l ‘ accordo originario, al contrario di quanto accade qualora le parti espressamente ed oggettivamente abbiano stipulato un accordo transattivo novativo, cioè implicante il venir meno in via definitiva dell ‘ accordo originario, nel qual caso l ‘ art. 1976 cod. civ. sancisce, con evidente coerenza rispetto allo scopo perseguito dalle parti, l ‘ irrisolubilità della transazione, salvo che il diritto alla risoluzione sia stato espressamente pattuito ›› ; muovendo da tale considerazione, perviene ad affermare che, sia in caso di transazione novativa che in caso di transazione conservativa, sarebbe precluso l ‘ accertamento ‹‹ di diritti ed obblighi derivanti dal rapporto preesistente, nella misura in cui gli stessi abbiano costituito oggetto di modificazione nell ‘ ambito del nuovo regolamento d ‘ interessi concordato tra le parti, in tal senso dovendosi intendere l ‘ effetto delle reciproche concessioni da queste ultime convenute in vista del definitivo superamento della res litigiosa, destinato a venire meno soltanto in caso di caducazione dell ‘ accordo transattivo ›› .
Le argomentazioni difensive di parte ricorrente non possono essere condivise.
La Corte d ‘ appello, esclusa la natura novativa della transazione in essere, ha evidenziato che l ‘ accordo perfezionatosi in data 24 settembre 2018 prevedeva una clausola risolutiva espressa in caso di
inadempimento della società debitrice e, dopo aver accertato che RAGIONE_SOCIALE si era resa inadempiente all ‘ accordo transattivo, per non avere provveduto al pagamento nei termini e con le modalità pattuite, ha ritenuto che RAGIONE_SOCIALE, mediante la notificazione del precetto, con cui si chiedeva il pagamento degli importi rimasti insoluti e non contestati sotto il profilo del quantum dall ‘ odierna ricorrente, avesse chiaramente manifestato la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa contenuta nell ‘ accordo transattivo.
Tale valutazione non si discosta dall ‘ orientamento di questa Corte secondo cui la notificazione da parte della banca di un atto di precetto al mutuatario inadempiente per il pagamento dell ‘ intero credito residuo da essa vantato manifesta -quanto meno per fatti concludenti -la volontà della stessa banca di avvalersi della clausola risolutiva espressa, comportando, quindi, di per sé la risoluzione del contratto (Cass., sez. 3, 14/02/2013, n. 3656; Cass., sez. 1, 21/10/2005, n. 20449; Cass., sez. 3, 23/12/2022, n. NUMERO_DOCUMENTO).
Infondate sono, pertanto, le censure prospettate con il terzo motivo, poiché la motivazione dei giudici d ‘ appello poggia correttamente sulla ritenuta operatività ex tunc della risoluzione per inadempimento della transazione e sulla conseguente reviviscenza dei rapporti originari, stante la natura non novativa dell ‘ accordo transattivo (Cass., sez. 3, 16/11/2006, n. 24377; Cass., sez. 3, 26/01/2006, n. 1690; Cass., sez. 3, 29/04/2005, n. 8983; Cass., sez. 1, 21/06/2021, n. 17636; Cass., sez. 3, 08/01/2024, n. 645): ciò che consente di ritenere che nella cessione in blocco ex art. 58 t.u.b. rientrasse anche il credito in contestazione.
5. Parimenti infondate sono le censure svolte con il quarto motivo, sia nella parte in cui esse si incentrano sulla tesi che i crediti derivanti dai tre contratti bancari originari non avrebbero potuto essere oggetto di cessione, dal momento che detti crediti erano stati estinti ed erano comunque superati dalla transazione, questione da ritenersi infondata
per le ragioni già esposte al § 4.1), 4.2) e 4.3), sia là dove si contesta che i documenti prodotti dall ‘ odierna controricorrente non fossero idonei a dare prova dell ‘ avvenuta cessione del credito oggetto di precetto.
Su tale seconda questione, la Corte d ‘ appello ha così motivato: ‹‹ Dagli atti e documenti di causa risulta pacificamente che : in data 28/12/2018 il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE hanno concluso un contratto di cessione dei crediti in blocco con cui la seconda ha acquistato dalla prima tutti i crediti indicati nell ‘ elenco depositato sempre il 28.12.2018 presso il AVV_NOTAIO di Milano, repertorio n. 5238, con indicazione del codice identificativo di ogni debitore ceduto (v. copia dell ‘ atto di deposito, doc. n. 19 del fascicolo di primo grado di parte appellata); il credito oggetto di causa è quello indicato con l ‘ ndg. n. 11594654 di cui a p. 318 dell ‘ elenco dei rapporti ceduto, allegato al medesimo atto di deposito (doc. n. 20 fascicolo di primo grado); la cessione del credito in esame dal RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE risulta altresì dalla dichiarazione di cessione del 6.2.2020 che è stata prodotta in copia (doc. n. 21 del fascicolo di primo grado) e in cui risultano menzionate le parti e lo stesso ndg indicato nell ‘ atto di deposito suddetto; ancora, in forza di quanto previsto dall ‘ art. 1264 c.c., in data 5.1.2019 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale l ‘ avviso di cessione allegato (doc. n. 22 fascicolo di primo grado), dove è stato menzionato l ‘ atto di deposito dell ‘ elenco dei rapporti ceduti all ‘ odierna appellata. Per effetto della cessione, quindi, RAGIONE_SOCIALE è divenuta creditrice -subentrando dal lato attivo in tutti i rapporti ceduti -anche di tutte le somme derivanti dal contratto di mutuo fondiario n. 92228 stipulato in data 4.2.2020 tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE›› .
Il percorso argomentativo sopra trascritto rende evidente che si è in presenza di un accertamento di fatto, devoluto tipicamente al prudente apprezzamento degli elementi istruttori ad opera del giudice
di merito: valutazione, questa, sottratta al sindacato di legittimità, se non nell ‘ angusto perimetro delle anomalie motivazionali rilevanti in base all ‘ art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella specie, nemmeno adombrate.
Non è, dunque, sollecitabile in questa sede, siccome del tutto estraneo alla natura ed alla funzione del giudizio di legittimità, un riesame della valenza probatoria della documentazione richiamata in motivazione, già adeguatamente vagliata dalla Corte d ‘ appello.
Con il quinto motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per ‹‹violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1175, 1375 c.c. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti›› e sostiene che la sentenza impugnata, nell ‘ affermare che fosse pacifico l ‘ inadempimento di essa ricorrente, avrebbe tralasciato di valutare un fatto decisivo, ossia la richiesta di ulteriore dilazione dei pagamenti, formulata nel marzo 2019 e mai riscontrata dalla Banca, che avrebbe fatto insorgere nella stessa ricorrente l ‘ affidamento incolpevole che quella istanza sarebbe stata accettata.
6.1. Il motivo è inammissibile.
6.2. Manca, per un verso, l ‘ allegazione dell ‘ avvenuta deduzione della relativa questione dinanzi al giudice del merito e l ‘ indicazione degli atti specifici dei gradi precedenti in cui quella è stata allo stesso sottoposta, onde dar modo a questa Corte -cui sia stata proposta questione giuridica che implica accertamento di fatto -di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa; in mancanza di ottemperanza a tale onere, la doglianza incorre nella sanzione di inammissibilità per novità della censura (Cass., sez. 5, 25/05/2011, n. 11471; Cass., sez. 5, 11/05/2012, n. 7295; Cass., sez. U, 06/05/2016, n. 9138; Cass., sez. 6 – 3, 10/08/2017, n. 19988).
6.3. Sotto altro profilo, la doglianza è inammissibile per non essere riconducibile al paradigma normativo di cui all ‘ art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., che, nell ‘ attuale testo come riformulato dall ‘ art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, applicabile ratione temporis, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all ‘ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni (Cass., sez. 1, 18/10/2018, n. 26305; Cass., sez. 6 -1, 06/09/2019, n. 22397; Cass., sez. 2, 26/04/2022, n. 13024).
6.4. In ogni caso, la censura in esame è anche infondata, in quanto, a fronte dell ‘ inadempimento accertato dalla Corte territoriale, la circostanza che la Banca abbia mancato di concedere una ulteriore dilazione dei pagamenti non elide la condotta inadempiente.
7. Con il sesto motivo, deducendo ‹‹Violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 1456 c.c., nonché dell ‘art. 81 c.p.c.››, la ricorrente addebita alla Corte d ‘ appello di avere erroneamente ritenuto che anche RAGIONE_SOCIALE, cessionaria dei crediti, potesse avvalersi della clausola risolutiva espressa apposta sulla transazione, sebbene la controricorrente fosse estranea a tale contratto.
Assume che, a differenza della cessione del contratto che opera il trasferimento dal cedente al cessionario, con il consenso dell ‘ altro contraente, dell ‘ intera posizione contrattuale, con relativi diritti ed obblighi, la cessione del credito ha un effetto più circoscritto, perché è limitata al solo diritto di credito e produce, rispetto a tale diritto, uno sdoppiamento tra la titolarità di esso, che resta all ‘ originario creditorecedente, e l ‘ esercizio, che è trasferito al cessionario; dei diritti derivanti dal contratto, il cessionario del credito acquisisce solo quelli rivolti alla realizzazione del credito ceduto (garanzie reali e personali ed i vari accessori), ma non le azioni inerenti all ‘ assenza del precedente contratto, fra cui quella di risoluzione per inadempimento, perché esse
afferiscono alla titolarità del negozio, che continua ad appartenere al cedente.
7.1. Il motivo è infondato.
7.2. Occorre considerare che il legislatore, disponendo nell ‘ art. 1263 cod. civ. che, per effetto della cessione, il credito è trasferito al cessionario con i privilegi, con le garanzie personali e reali e con ali altri accessori, ha inteso prevedere il subentro del cessionario nell ‘ integrale situazione creditoria ceduta.
Come questa Corte ha già avuto modo di chiarire (Cass., sez. 1, 15/09/1999, n. 9823), la formulazione della norma ed in particolare il riferimento ampio e generico agli ‹‹ altri accessori ›› , ossia ad una entità della quale non si fornisce una definizione espressa ed univoca, induce invero a ricomprendere nell ‘ oggetto della cessione la somma delle utilità che il creditore può trarre dall ‘ esercizio del diritto ceduto, ossia tutte le situazioni giuridiche direttamente collegate con il diritto stesso e costituenti il suo contenuto economico: ciò vale a dire che deve considerarsi trasferita – in adesione all ‘ orientamento dottrinario che ravvisa nella specie un fenomeno di trapasso integrale – ogni situazione soggettiva o clausola che non presentando profili di autonomia rispetto alla concreta situazione creditoria ceduta ne integri il contenuto e ne specifichi la funzione, così da ricomprendere tutti i poteri del creditore relativi alla determinazione, variazione e modalità della prestazione, nonché quelli relativi alla tutela del credito (nello stesso senso si è espressa Cass. n. 575/2001, secondo la quale, a seguito della cessione del credito, il debitore ceduto diviene obbligato verso il cessionario allo stesso modo in cui era tale nei confronti del suo creditore originario).
In conformità a tali principi, il diritto di avvalersi della clausola risolutiva espressa contenuta nella transazione conclusa dal creditore cedente con la debitrice, in quanto derivante dalla inosservanza delle modalità della prestazione previste nell ‘ accordo transattivo, deve senz ‘ altro ritenersi incluso nell ‘ oggetto della cessione, e ciò sia perché,
per quanto già sopra detto, la transazione si è limitata a modificare il termine di adempimento della prestazione, avendo la creditrice cedente accordato alla debitrice una dilazione nei pagamenti con la previsione di una rateizzazione, ma non ha modificato l ‘ originario contratto, sia perché si tratta di diritto che non può esistere o estinguersi se non congiuntamente al credito ceduto e che direttamente consegue al ritardo nell ‘ adempimento dell ‘ obbligazione principale.
In altri termini, atteggiandosi la clausola risolutiva espressa come utilità inerente all ‘ esercizio del credito, la transazione ha apportato una modifica ad un elemento accessorio del diritto di credito, ossia al termine di adempimento, prevedendo una rateizzazione del debito e, in caso di inadempimento, il venir meno della rateizzazione per effetto della operatività della clausola risolutiva espressa, di talché la cessione del credito non può non avere comportato anche la cessione della clausola, che non costituisce un diritto autonomo, ma che, al contrario, specifica il contenuto del diritto di credito ed è strettamente collegato all ‘ esercizio del diritto oggetto di cessione.
All ‘ infondatezza di tutti i motivi consegue il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 16.000,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura forfettaria del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione