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Cessione del credito: diritti del cessionario e clausole

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9479/2024, ha chiarito importanti aspetti sulla cessione del credito. Nel caso esaminato, una società debitrice si opponeva al precetto di un nuovo creditore (cessionario), sostenendo che il debito originario fosse stato estinto da una transazione e che, in ogni caso, il nuovo creditore non potesse avvalersi della clausola risolutiva espressa contenuta in tale accordo. La Corte ha respinto il ricorso, stabilendo che la transazione in questione era conservativa e non novativa, quindi non aveva estinto il rapporto originario. Di conseguenza, con l’inadempimento del debitore, il debito originario è tornato esigibile. Fondamentalmente, la Corte ha affermato che la cessione del credito trasferisce al cessionario non solo il diritto alla prestazione, ma anche tutti i diritti accessori, inclusa la facoltà di avvalersi della clausola risolutiva espressa, in quanto strumento di tutela del credito stesso.

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Cessione del credito: il nuovo creditore può usare la clausola risolutiva?

La cessione del credito è un’operazione sempre più frequente nel mondo finanziario, ma quali diritti acquisisce esattamente il nuovo creditore? Può, ad esempio, avvalersi di clausole specifiche, come quella risolutiva espressa, pattuite tra il debitore e il creditore originario? La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 9479 del 9 aprile 2024, offre chiarimenti fondamentali su questo tema, analizzando il caso di un’opposizione a un’azione esecutiva.

I fatti di causa

Una società, debitrice in forza di alcuni contratti bancari (tra cui un mutuo ipotecario), stipulava un accordo transattivo con la banca creditrice per rimodulare il debito e dilazionarne il pagamento. L’accordo prevedeva una clausola risolutiva espressa: in caso di mancato pagamento anche di una sola rata, l’accordo si sarebbe risolto e il debito originario sarebbe tornato integralmente esigibile.

Successivamente, la banca cedeva in blocco i suoi crediti, incluso quello verso la società, a un nuovo soggetto (il cessionario). La società debitrice, pur avendo iniziato a pagare secondo il piano transattivo, diventava inadempiente. Di conseguenza, il nuovo creditore le notificava un atto di precetto, chiedendo il pagamento dell’intero importo originario, avvalendosi della clausola risolutiva.

La società si opponeva all’esecuzione, sostenendo principalmente due punti: 1) la transazione aveva natura novativa, cioè aveva estinto il vecchio debito sostituendolo con uno nuovo, quindi il credito originario non esisteva più al momento della cessione; 2) in ogni caso, il nuovo creditore, essendo estraneo all’accordo transattivo, non aveva il diritto di invocare la clausola risolutiva espressa in esso contenuta.

L’analisi della Corte sulla cessione del credito e i diritti del cessionario

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso della società debitrice, confermando le decisioni dei giudici di merito. L’analisi della Corte si è concentrata su alcuni punti chiave del diritto civile e processuale.

La natura della transazione: novativa o conservativa?

Il primo nodo da sciogliere era la natura dell’accordo transattivo. La Corte ha stabilito che, per avere una transazione novativa, non è sufficiente modificare alcuni aspetti dell’obbligazione (come le modalità di pagamento), ma è necessaria un’oggettiva incompatibilità tra il vecchio e il nuovo rapporto e, soprattutto, una chiara volontà delle parti (animus novandi) di estinguere il rapporto precedente.

Nel caso di specie, l’accordo si limitava a rimodulare l’importo e a concedere una dilazione, configurandosi quindi come una transazione ‘conservativa’. Questo significa che il rapporto originario non si era estinto, ma era solo ‘quiescente’, pronto a ‘rivivere’ in caso di inadempimento dell’accordo transattivo, proprio come previsto dalla clausola risolutiva.

L’efficacia della cessione del credito e la clausola risolutiva

Questo è il punto più interessante della decisione. La società debitrice sosteneva che la facoltà di risolvere il contratto fosse un diritto personale, non trasferibile con la semplice cessione del credito. La Cassazione ha rigettato questa tesi, basandosi sull’art. 1263 del Codice Civile, secondo cui il credito è trasferito al cessionario con i privilegi, le garanzie e ‘gli altri accessori’.

La Corte ha interpretato l’espressione ‘altri accessori’ in senso ampio, includendovi ‘la somma delle utilità che il creditore può trarre dall’esercizio del diritto ceduto’. La clausola risolutiva espressa è stata considerata proprio una di queste utilità: non un diritto autonomo, ma uno strumento strettamente collegato al credito, finalizzato a tutelarlo e a garantirne la realizzazione. Pertanto, la facoltà di avvalersene si trasferisce automaticamente al nuovo creditore insieme al credito stesso.

Le motivazioni della decisione

La Corte ha motivato il rigetto di tutti i motivi di ricorso. Per quanto riguarda la presunta violazione processuale (mancata concessione dei termini per le memorie), ha ribadito il principio consolidato per cui non basta lamentare l’irregolarità, ma bisogna dimostrare il pregiudizio concreto subito al proprio diritto di difesa, cosa che la ricorrente non aveva fatto. Sulla questione centrale, i giudici hanno spiegato che la notifica dell’atto di precetto da parte del creditore cessionario costituiva una chiara manifestazione di volontà di avvalersi della clausola risolutiva. Con la risoluzione della transazione, l’accordo originario è ‘rivissuto’, rendendo pienamente legittima la richiesta di pagamento dell’intero debito. La cessione del credito in blocco includeva quindi legittimamente anche questa posizione creditoria, completa di tutti i suoi poteri e strumenti di tutela.

Conclusioni

La sentenza n. 9479/2024 rafforza un principio di grande importanza pratica: la cessione del credito trasferisce un’intera ‘situazione creditoria’. Il cessionario non acquista un diritto ‘svuotato’, ma subentra nella stessa posizione del cedente, ereditando tutti gli strumenti contrattuali previsti per la tutela e la realizzazione del credito, inclusi i diritti potestativi come quello di invocare la risoluzione per inadempimento. Per i debitori, ciò significa che gli accordi e le clausole pattuite con il creditore originario rimangono pienamente efficaci anche nei confronti di eventuali futuri cessionari.

Con la cessione del credito si trasferisce anche il diritto di avvalersi della clausola risolutiva espressa?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la facoltà di avvalersi della clausola risolutiva espressa è un ‘accessorio’ del credito ai sensi dell’art. 1263 c.c. Non è un diritto autonomo, ma uno strumento di tutela strettamente collegato al credito stesso, pertanto si trasferisce automaticamente al nuovo creditore (cessionario) insieme al credito.

Un accordo transattivo (es. saldo e stralcio) estingue sempre il debito originario?
No, non sempre. Bisogna distinguere tra transazione novativa e conservativa. Solo la transazione novativa estingue il rapporto precedente, ma richiede una chiara volontà delle parti e un’incompatibilità oggettiva tra il vecchio e il nuovo accordo. Un accordo che si limita a modificare le modalità di pagamento (es. rateizzazione) è generalmente considerato conservativo e non estingue il debito originario, che può ‘rivivere’ in caso di inadempimento del nuovo piano di pagamento.

La mancata concessione dei termini per le memorie istruttorie in primo grado rende nulla la sentenza?
No, non automaticamente. Secondo la Corte, la violazione di una norma processuale non determina la nullità della sentenza se la parte che la lamenta non dimostra di aver subito un pregiudizio concreto al suo diritto di difesa. Bisogna specificare quali fatti o prove non si sono potuti allegare a causa di tale omissione e come questi avrebbero potuto cambiare l’esito del giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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