Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21019 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21019 Anno 2024
Presidente: CONDELLO NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3803/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonchè
contro
FALIMENTO
NOME
RAGIONE_SOCIALE
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ANCONA n. 619/2020 depositata il 25/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
1.- La società RAGIONE_SOCIALE ha preso in appalto dalla Provincia di Macerata la realizzazione dei lavori di miglioramento di un ponte. Avendo necessità di liquidità onde affrontare l’appalto, in attesa di ricevere il corrispettivo dalla provincia committente, la società RAGIONE_SOCIALE ha ceduto il credito derivante da tale appalto ad RAGIONE_SOCIALE S.p.A., la quale ha contestualmente erogato alla società la somma
di 300.000 €.
2.- In sostanza, la società RAGIONE_SOCIALE ha avuto in prestito da RAGIONE_SOCIALE la somma di 300.000 €, necessaria a far fronte all’appalto, ed a garanzia della restituzione di tale somma, ha ceduto alla banca il credito che aveva nei confronti della committente.
3.Prima che scadesse il termine per la restituzione dei 300.000 €, RAGIONE_SOCIALE ha incassato dalla Provincia di Macerata parte del corrispettivo spettante a RAGIONE_SOCIALE, ammontante a 506.664,89 € (l’intero corrispettivo era di circa 1 milione).
4.- Nel frattempo RAGIONE_SOCIALE è fallita, ed il fallimento ha agito in giudizio per far valere la nullità del contratto, o comunque l’indebita acquisizione da parte di RAGIONE_SOCIALE di una somma notevolmente superiore a quella oggetto di garanzia, o meglio a quella che RAGIONE_SOCIALE aveva prestato a RAGIONE_SOCIALE, e di cui aveva diritto alla restituzione: si ribadisce che RAGIONE_SOCIALE aveva prestato la somma di 300.000 €, ma, incamerando il corrispettivo destinato a RAGIONE_SOCIALE dalla Provincia di Macerata, aveva incassato praticamente il doppio.
5.- Sia il tribunale di Macerata, in primo grado, che la Corte di appello di Ancona, in secondo, hanno rigettato la domanda per effetto di una particolare qualificazione del contratto, che viene contestata con il ricorso per cassazione dalla società RAGIONE_SOCIALE, la quale ha acquistato il credito del fallimento
ed è intervenuta in giudizio. Essa propone ricorso per cassazione basato su tre motivi illustrati da memoria. RAGIONE_SOCIALE ne chiede il rigetto con controricorso.
Ragioni della decisione.
2.- Con il primo motivo si prospetta nullità della sentenza per motivazione illogica e contraddittoria.
La ricorrente eccepisce come, da un lato, il giudice di merito ha attribuito funzione solutoria alla cessione del credito, ossia ha interpretato la cessione del credito come avente lo scopo di saldare il prestito ricevuto, con effetto immediato, cioè senza attendere l’inadempimento, e, per altro verso, ha ritenuto che quella stessa cessione avesse anche l’effetto di garanzia.
In sostanza, osserva la società ricorrente che, se il contratto è inteso come una cessione di credito con effetto solutorio immediato, allora vuol dire che esso costituisce strumento di adempimento del debito di restituzione della somma, e di conseguenza non può avere anche quello di ulteriore garanzia del pagamento della medesima: il debito è estinto con la cessione del credito e dunque non ha motivo di essere garantito da quest’ultima.
2.1.- Con il secondo motivo si prospetta violazione degli articoli 1362 e 1367 del codice civile.
La tesi della società ricorrente è che, a prescindere dalla contraddittorietà di cui al motivo precedente, dalle clausole contrattuali, ed in particolare dagli articoli 5 e 7, emergeva chiaramente che la cessione del credito era effettuata a scopo di garanzia, vale a dire che era espressamente pattuito che RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto incassare il credito, cioè farsi pagare direttamente dalla provincia di Macerata, debitore ceduto, solo in caso in cui la RAGIONE_SOCIALE non avesse adempiuto al suo debito nei confronti della banca, cioè non avesse restituito la somma da quest’ultima presa a prestito.
Per contro, non c’era alcun effetto solutorio da individuare in quel contratto.
2.3.- Con il terzo motivo si prospetta violazione dell’articolo 1362 del codice civile in relazione ad una particolare clausola del contratto.
Più precisamente, la ricorrente, nei gradi di merito, aveva posto la questione della meritevolezza di un tale contratto ove fosse stato interpretato così come lo ha interpretato il giudice di appello: RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, infatti, a fronte di un esborso di 300.000 €, cioè la somma corrisposta a prestito a RAGIONE_SOCIALE, avrebbe avuto diritto ad incassare l’intero corrispettivo dell’appalto, pari a oltre il doppio della somma prestata.
Questa prospettazione è stata rifiutata dai giudici di merito, ed in particolare dalla corte d’appello, con l’argomento che il contratto
prevedeva una clausola in base alla quale RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto restituire l’eccedenza: il che era sufficiente ad escludere una approfittamento della banca ai danni del suo debitore.
Osserva la società ricorrente che una simile clausola di rimborso è frutto di un macroscopico errore dei giudici di merito, i quali hanno scambiato l’obbligo del cliente, ossia di RAGIONE_SOCIALE, di rimborsare il suo debito, con l’obbligo di RAGIONE_SOCIALE di versare la differenza: al primo e non al secondo si riferisce la clausola di cui all’articolo 7 del contratto.
Con la conseguenza che tra i patti contenuti nella cessione del credito non vi è alcuna clausola di rimborso che obblighi RAGIONE_SOCIALE a restituire l’eccesso al cedente.
2.3.1.- I primi due motivi, che pongono una questione comune, possono scrutinarsi insieme e sono fondati, ma nei termini che seguono.
Ha rilievo preliminare la censura contenuta nel secondo motivo.
Infatti, l’interpretazione data dalla corte di merito della cessione di credito quale atto avente una duplice funzione, sia di garanzia che di adempimento, è frutto della violazione delle regole di interpretazione del contratto, ed in particolare modo del criterio letterale; in più clausole dell’accordo, infatti, è chiaramente detto che la cessione è fatta a scopo di garanzia: intanto al punto d) delle premesse (‘ a fronte di tale facilitazione, il cedente dichiara di essere disposto a cedere pro solvendo alla banca i crediti descritti sub b) a garanzia di quanto dovuto per capitale interessi… spese ed accessori’ ); poi all’articolo 1, dove chiaramente si legge che’ il cedente cede pro solvendo alla banca tutti i crediti che sorgeranno…… in garanzia del credito concesso dalla stessa ‘; inoltre ancora all’articolo 5 (‘ la cessione a garanzia si intende altresì effettuata a garanzia di ogni altro credito … già in essere o che dovesse sorgere a favore della Banca verso il cliente garantito ‘).
Infine, all’articolo 7, nel quale è detto che ‘ resta fermo comunque, considerato lo scopo di garanzia della presente cessione, l’obbligo del cliente garantito di rimborsare, entro il termine di un giorno dalla richiesta scritta di pagamento, tutto quanto dovuto alla banca in dipendenza delle obbligazioni garantite ‘.
Per contro, non è chiaro da cosa, da quale altra clausola, da quale altra dichiarazione di volontà, i giudici di merito abbiano ricavato che la cessione era fatta altresì a titolo solutorio.
L’affermazione che, oltre alla causa di garanzia, vi sia una causa solutoria è del tutto apodittica: ‘ la cessione dei crediti relativi alle somme via via corrisposte dalla provincia di Macerata in dipendenza del contratto di appalto meglio indicato in atti.. (a) costituisce la fonte primaria di rimborso del finanziamento, (b) costituisce la garanzia del rimborso stesso. La cessione è dunque connotata da una causa complessa in cui confluiscono: (a) una effettiva funzione di garanzia, (b) una funzione solutoria attuata
attraverso il meccanismo della cessio bonorum pro solvendo ex articolo 1198 codice civile’ (p. 5 della sentenza).
Dove è chiaro che la finalità solutoria è apoditticamente affermata: non è chiarito da che cosa sia dedotta, cioè da quale dichiarazione, tra quelle contenute nel contratto, si possa dedurre che le parti abbiano voluto che il credito venisse ceduto a pagamento del debito contratto e ad estinzione di quest’ultimo.
Oltretutto, ma questa è la censura propria del terzo motivo, lo scopo solutorio di questa cessione viene ricavato dalla esistenza di una clausola di rimborso: clausola che i giudici di merito ravvisano nell’articolo 7 del contratto, ed in particolare nella seguente dichiarazione negoziale ‘ resta fermo comunque, considerato lo scopo di garanzia della presente cessione, l’obbligo del cliente garantito di rimborsare, entro il termine di un giorno dalla richiesta scritta di pagamento, tutto quanto dovuto alla banca in dipendenza delle obbligazioni garantite ‘.
Da questa clausola si deduce il contrario di ciò che i giudici di merito assumono, e cioè si deduce che la cessione del credito non ha affatto una funzione di adempimento, tanto è vero che il cliente, cioè la RAGIONE_SOCIALE che ha ricevuto il prestito dalla banca, è comunque tenuto a rimborsarlo entro il termine di un giorno dalla richiesta scritta di pagamento. Segno evidente che la cessione non può avere avuto efficacia immediatamente estintiva del debito (il prestito).
Né questa duplice funzione di garanzia e di adempimento può essere ricavata, relativamente alla fattispecie concreta, per via del fatto che, in astratto, esisterebbero nel nostro ordinamento due altre figure negoziali che quella combinazione di funzioni consentono di realizzare: il pegno irregolare ed il pegno di crediti. Ciò per alcuni semplici motivi.
Il pegno irregolare, infatti, mantiene la sua funzione di garanzia come ogni altro pegno, mentre la sua funzione solutoria si realizza solo nel momento in cui l’obbligazione è inadempiuta e dunque il creditore trattiene definitivamente le cose date in pegno, non avendo più l’obbligo di restituire l’equivalente (Cass. 3794/ 2008: ‘ l ‘attribuzione di tale facoltà, peraltro, non fa venir meno la finalità di garanzia del pegno, almeno nella fase della costituzione, verificandosi l a funzione solutoria soltanto nella successiva fase di escussione della garanzia, sia pure attraverso un meccanismo semplificato di “autosoddisfazione”, che sottrae il creditore alla necessità di procedere in via esecutiva salvo l’obbligo di restituire l’eccedenza ‘). Se anche si ravvisassero due funzioni nel pegno irregolare, esse starebbero nell’ordine opposto a quello ipotizzato dai giudici di merito: prima di garanzia, e poi, al momento dell’inadempimento, di pagamento (solutorio) (Cass. 3794/ 2008): si tratta dunque di un modo diverso con cui si realizza la funzione di garanzia, che consente al creditore di poter disporre dei beni
oggetto del pignoramento, ed in ciò sta l’irregolarità del pegno, non nella sua diversa funzione rispetto al pegno ‘regolare’.
La circostanza che con un atto di garanzia si trasferisca la proprietà del bene (sia pure temporaneamente, in attesa dell’adempimento) non comporta di necessità che quell’atto, per l’effetto traslativo che manifesta, debba per forza avere funzione solutoria: è ormai pacificamente riconosciuto come la funzione di garanzia è idonea a sorreggere il trasferimento del diritto, è idonea cioè a giustificare l’effetto traslativo; e dunque la circostanza, come nel pegno irregolare, e come altresì nella cessione del credito a scopo di garanzia, che venga attribuita la proprietà del bene al creditore, non è incompatibile con lo scopo di garanzia.
Del resto, il creditore può definitivamente trattenere il tutto, e non dover restituire l’equivalente, solo nel caso di inadempimento definitivo del debitore. Stessa conclusione può assumersi per il pegno di crediti, che è una particolare forma di pegno irregolare, e per il quale valgono le considerazioni fatte in ordine a quest’ultimo.
Ma c’è un ulteriore argomento a smentita delle ipotesi formulate dai giudici di merito: che la circostanza che ci siano nel nostro ordinamento figure negoziali che consentono di realizzare contemporaneamente una funzione solutoria ed una di garanzia, non comporta automaticamente che quelle due funzioni siano state volute anche nel caso concreto. Serve dimostrare che le parti, nella fattispecie, hanno voluto realizzare, con la cessione dei crediti, un assetto di interessi analogo a quello consentito dal pegno irregolare o da altra figura simile, ed è ciò che andava dimostrato, non essendo sufficiente limitarsi a menzionare l’esistenza in astratto di negozi predisposti per un determinato scopo per dimostrare che le parti, in quel concreto affare, hanno voluto perseguirlo, per di più utilizzando negozi diversi da quelli a quello scopo finalizzati.
Ma, anche ammesso che il contratto in esame possa intendersi come non limitato ad uno scopo di garanzia, è del tutto illogico pensare che esso possa essere stato voluto dalle parti per raggiungere, dapprima, uno scopo solutorio, ed, in secondo luogo, uno di garanzia.
I giudici di merito espressamente sostengono che: ‘ quello che va adeguatamente sottolineato… è che nella cessione dei crediti… la causa solutoria non opera in dipendenza di quella in garanzia. In altri termini la cessione costituisce ab origine una modalità di adempimento e dunque la causa solutoria non è programmata per operare in caso di inadempimento bensi essa costituisce meccanismo solutorio fisiologico ‘ (p. 6).
Siamo intanto davanti ad una confusione: la cessione del credito, come noto, è un negozio a causa variabile, nel senso che può avere scopi diversi: posso cedere un credito in adempimento di un mio debito, e dunque come mezzo di pagamento, uso la cessione come mezzo di pagamento; possono invece cedere il credito allo scopo di garantire una obbligazione da me assunta, caso nel quale il
creditore non riscuote il credito se l’obbligazione è adempiuta; posso cedere un credito a titolo gratuito, senza pretendere un corrispettivo e per puro spirito di liberalità.
Ora, che la causa della cessione del credito sia variabile, non significa che queste funzioni possano o addirittura debbano coesistere tutte nello stesso atto, né tampoco significa che ‘ la causa solutoria non è programmata per operare in caso di inadempimento ‘ -ed allora perché è solutoria, c’è da chiedersi -‘ bensì essa costituisce meccanismo solutorio fisiologico ‘, (p. 6) formula dal significato oscuro, che ha portato i giudici di merito ad una conclusione non solo errata ma illogica: essi hanno ritenuto infatti che, a causa del suo ‘ meccanismo solutorio fisiologico ‘, la cessione del credito ha avuto immediata efficacia solutoria. Scrivono infatti che ‘ il cessionario era abilitato a incassare le somme indipendentemente dall’inadempimento del cedente’ , con la conseguenza dunque che, se la cessione del credito ha estinto subito il debito, non si vede quale altra funzione di garanzia quella stessa cessione possa aver continuato a svolgere.
L’ordine delle funzioni attribuite all’atto è logicamente l’inverso di quanto ipotizzato dai giudici: la cessione ha funzione di garanzia, innanzitutto, ed in un primo momento, e, solo ove l’obbligazione garantita non sia adempiuta, allora l’incasso del credito ha funzione solutoria: non il contrario, come ritenuto dai giudici di merito. Altrimenti estinta l’obbligazione, mediante cessione del credito con funzione solutoria, non si comprende come possa residuare spazio per una funzione di garanzia.
Il primo ed il secondo motivo vanno dunque accolti, con assorbimento del terzo. Resta evidente che il giudice di merito dovrà valutare la fondatezza delle domande (di nullità, per immeritevolezza o per violazione del divieto del patto commissorio, nonché di indebito oggettivo) alla luce dei criteri di interpretazione del contratto sopra esposti.
P.Q.M.
La Corte accoglie primo e secondo motivo, dichiara assorbito il terzo. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 24/06/2024.