Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14682 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14682 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/05/2025
composta dai signori magistrati:
Oggetto:
dott. NOME COGNOME
Presidente
OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI (ART. 617 C.P.C.)
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOMECOGNOME
Consigliera
dott. NOME COGNOME
Consigliere relatore
Ad. 14/05/2025 C.C.
dott. NOME COGNOME
Consigliere
R.G. n. 16187/2023
ha pronunciato la seguente
Rep.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 16187 del ruolo generale dell’anno 2023, proposto
da
RAGIONE_SOCIALE (P.I.: P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore
rappresentata e difesa dall’avvocat o NOME COGNOMEC.F.: STR CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
nei confronti di
CONDOMINIO COGNOME I° (C.F.: 98020350785) corrente in Rende (CS) alla INDIRIZZO, in persona del l’amministratore in carica NOME COGNOME o NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE
rappresentato e difeso dall’avvocat SNT 70M20 C108O)
-controricorrente-
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
nonché
COGNOME NOME (C.F.: TARGA_VEICOLO, già titolare dell ‘impresa individuale RAGIONE_SOCIALE -intimato-
per la cassazione della sentenza del Tribunale di Paola, pronunciata nella udienza del 19 maggio 2023 nel procedimento iscritto al n. 715 dell’anno 2016 del Ruolo Generale (ed alla quale parte ricorrente afferma essere stato attribuito il n. 419/2023);
udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 14 maggio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
RAGIONE_SOCIALE ha pignorato i crediti vantati dal suo debitore NOME COGNOME (titolare dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE nei confronti del condominio RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO, di INDIRIZZO in Rende (CS), in virtù di un contratto di appalto. Il condominio terzo pignorato ha reso dichiarazione di quantità negativa, contestata dalla società creditrice procedente. Il giudice dell’esecuzione, dopo aver proceduto al relativo accertamento in via sommaria, ai sensi dell’art. 549 c.p.c., ha rigettato l’istanza di assegnazione.
La società creditrice procedente ha proposto opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., avverso tale provvedimento.
L ‘opposizione è stata rigettata dal Tribunale di Paola.
Ricorre la RAGIONE_SOCIALE sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso il condominio INDIRIZZO di Rende. Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’ altro intimato.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso si denunzia « Violazione dell ‘ art. 132, comma 1, n. 4, cpc in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.. Nullità della sentenza per vizio motivazionale risolventesi in affermazioni illogiche e fra loro irriducibilmente contraddittorie ».
Con il secondo motivo si denunzia « Violazione e falsa applicazione degli artt. 543, 553 cpc, 1260 e 2914, n. 2, cc, in
Ric. n. 16187/2023 – Sez. 3 – Ad. 14 maggio 2025 – Ordinanza – Pagina 2 di 15
relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.. Negazione della cedibilità dei crediti futuri. Erroneità. Errate configurazione e definizione di credito futuro (eventuale in concreto), in aperta contrapposizione al relativo concetto logicamente delineato e pacificamente vivente nella corrente giurisprudenza di legittimità ».
I due motivi del ricorso vanno esaminati congiuntamente, essendo logicamente e giuridicamente connessi.
La società ricorrente deduce che il tribunale avrebbe posto affermazioni insanabilmente contraddittorie, sul piano logico, ed erronee, sul piano giuridico, a sostegno della decisione impugnata, con riguardo alla pignorabilità dei crediti eventuali e futuri derivanti da un contratto di appalto in corso al momento della notificazione dell’atto di pignoramento .
Va premesso che nella decisione impugnata sono contenuti i seguenti accertamenti, in relazione ai fatti che hanno dato luogo alla controversia, i quali non sono specificamente contestati con i due motivi del ricorso e che, in ogni caso, non sarebbero utilmente contestabili nella presente sede, trattandosi di accertamenti di fatto fondati sulla prudente valutazione delle prove da parte del giudice del merito, sostenuti da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico:
per quella parte di lavori effettivamente eseguita dal debitore esecutato COGNOME, sulla base del contratto di appalto da questi stipulato, quale appaltatore, con il condominio terzo pignorato, il corrispettivo era stato già pagato per intero, al momento del pignoramento (anzi, al COGNOME erano stati corrisposti addirittura acconti in misura superiore a quanto dovuto in base alle attività di esecuzione del contratto effettivamente svolte); b) il COGNOME non aveva eseguito altri lavori o, comunque, attività di esecuzione del contratto di appalto, neanche dopo il pignoramento;
i lavori ulteriori di completamento dei lavori appaltati erano stati, in effetti, realizzati dalla società cessionaria del contratto di appalto e il relativo corrispettivo era stato a quest’ultima direttamente pagato, dopo il pignoramento.
Quest’ultimo accertamento, in particolare, implica altresì, inequivocabilmente, che il tribunale ha ritenuto infondata, sempre in fatto, l’allegazione d ella simulazione assoluta della cessione del contratto di appalto: è, infatti, appena il caso di osservare che la simulazione assoluta della cessione del contratto di appalto sarebbe logicamente incompatibile sia con l’esecuzione dei lavori di completamento dello stesso da parte dall’impresa cessionaria, sia con il pagamento del relativo corrispettivo in favore di quest’ultima.
D ‘altr a parte, su ll’avvenuta ( almeno implicita) esclusione della dedotta simulazione assoluta della cessione dell’appalto non risulta formulata alcuna specifica censura nel ricorso: con i due motivi del ricorso, infatti, si denunzia esclusivamente la contraddittorietà logica della motivazione e la violazione di norme di diritto, in entrambi i casi sotto il profilo dei principi giuridici applicabili in materia di pignorabilità e suscettibilità di utile assegnazione dei crediti futuri ed eventuali, nonché di rilievo della data certa della cessione. Non sono, invece, censurati in modo argomentato e specifico gli accertamenti di fatto svolti dal tribunale con riguardo alla natura reale e non simulata della cessione del contratto (almeno a prescindere dalla sua data certa anteriore al pignoramento che, peraltro, per le ragioni che saranno in seguito illustrate, nella specie non assume rilievo decisivo).
Sulla base dei fatti, non più contestabili, accertati ed appena richiamati, le conclusioni cui sono giunti il giudice dell’esecuzione, prima, ed il tribunale, poi, secondo i quali non era possibile procedere all’assegnazione, devono ritenersi conformi a diritto, sebbene la motivazione del provvedimento
impugnato vada fatta oggetto di correzione, ai sensi dell’art. 384, comma 4, c.p.c., per l’erroneità delle argomentazioni ivi sviluppate a sostegno del rigetto dell’opposizione avverso il diniego dell’assegnazione .
3.1 Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, cui va senz’altro data continuità, « l’esecuzione mediante espropriazione presso terzi può riguardare anche crediti non esigibili, condizionati e finanche eventuali, con il solo limite della loro riconducibilità ad un rapporto giuridico identificato e già esistente » (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 5235 del 15/03/2004; Sez. L, Sentenza n. 19501 del 10/09/2009; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15607 del 22/06/2017; Sez. 3, Sentenza n. 25042 del 08/10/2019; Sez. 3, Sentenza n. 31844 del 27/10/2022; Sez. 3, Sentenza n. 14419 del 24/05/2023).
3.2 Va, peraltro, precisato che, in caso di pignoramento di crediti derivanti da un rapporto ad esecuzione continuata, periodica o prolungata in corso, ai fini dell’assegnazione, bisogna distinguere:
i crediti maturati, anche dopo il pignoramento, fino al momento in cui interviene l’assegnazione stessa, possono e devono essere accertati (sulla base della dichiarazione di quantità ovvero, in caso di contestazioni, ai sensi dell’art. 549 c.p.c.), nonché determinati nel loro ammontare ed immediatamente assegnati, quali crediti ‘ attuali ‘, non certo come crediti ‘ futuri e/o eventuali ‘, non essendo tali al momento dell’assegnazione (sulla assoggettabilità al pignoramento e sulla possibilità di assegnare i crediti sorti dopo la sua effettuazione, fino al momento della dichiarazione di quantità, cfr., per tutte: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 36066 del 23/11/2021, in cui si richiamano, altresì, Cass, Sez. 3, Sentenza n. 6393 del 30/03/2015; Sez. 3, Sentenza n. 1638 del 25/02/1999; Sez. 3, Sentenza n. 9250 del 20/05/2020): ne consegue, tra l’altro, che sulla loro esistenza non sarà più
possibile alcuna contestazione, in sede di eventuale esecuzione promossa dal creditore assegnatario nei confronti del terzo, sulla base dell’ordinanza di assegnazione;
b) i crediti non ancora maturati al momento dell’assegnazione, invece, saranno effettivamente suscettibili di assegnazione solo quali crediti futuri ed eventuali, laddove sussista il rapporto giuridico dal quale, in ipotesi, essi potrebbero sorgere; naturalmente, in tal caso, essendo mancato l’accertamento della loro effettiva venuta ad esistenza, questa sarà comunque contestabile senza limiti in sede di eventuale esecuzione promossa dal creditore assegnatario nei confronti del terzo, sulla base dell’ordina nza di assegnazione; e la eventuale contestazione -è opportuno sottolineare -sarà ovviamente possibile (benché in sede diversa dal processo esecutivo presso terzi al cui esito è stata pronunciata l’assegnazione, siccome definitivamente ed irretrattabilmente concluso con questa) anche in virtù del successivo venir meno del rapporto giuridico di base dal quale i crediti assegnati avrebbero dovuto sorgere (come ad esempio accade nel caso dell’assegnazione di crediti derivanti da rapporto di lavoro, laddove intervenga la cessazione del rapporto di lavoro in epoca successiva all’assegnazione) .
Se al momento della possibile assegnazione non sussiste (o non sussiste più) il rapporto giuridico dal quale, in ipotesi, potrebbero sorgere i crediti futuri ed eventuali di cui l’assegnazione è chiesta, questa non è in nessun caso possibile, mancando uno dei presupposti necessari a tal fine.
Il venir meno del rapporto giuridico di base dal quale, in ipotesi, potrebbero sorgere i crediti futuri ed eventuali oggetto di pignoramento è senz’altro opponibile al creditore procedente, come si è visto, anche se esso avvenga dopo l’ordinanza di assegnazione e, quindi, a maggior ragione, tale circostanza è
certamente opponibile al creditore procedente anche se intervenga dopo il pignoramento, ma prima dell’assegnazione . Ne consegue che, in tale ultimo caso (cioè, nel caso in cui il rapporto giuridico dal quale, in ipotesi, dovrebbero sorgere i crediti futuri ed eventuali oggetto di pignoramento, sia venuto meno dopo il pignoramento, ma prima del momento in cui dovrebbe aver luogo l’assegnazione), sarà possibile esclusivamente l’asseg nazione dei crediti maturati fino a quel momento (quali crediti ‘ attuali ‘, anche se al limite non ancora esigibili), ma non sarà possibile l’assegnazione di crediti futuri ed eventuali che dovrebbero derivare da un rapporto non più in essere (fatta solo salva l’ipotesi, del tutto eccezionale e da accertare eventualmente in concreto, in cui eventualmente tale rapporto possa conservare una sorta di ‘ ultra-attività ‘, nel senso che dallo stesso possano ancora sorgere ulteriori crediti, benché esso sia venuto meno).
3.3 Non può venire in rilievo -è appena il caso di sottolinearlo -con riguardo alla questione in esame, relativa al venir meno del rapporto giuridico di base dal quale, in ipotesi, potrebbero sorgere i crediti futuri ed eventuali oggetto di pignoramento, la previsione dell’art. 2914 c.c., in tema di opponibilità al creditore procedente delle cause alienazione dei beni pignorati e, in particolare, di alienazione (anche per cessione) o estinzione dei crediti pignorati, successive alla notificazione dell’att o di pignoramento.
Una cosa è, infatti, l’alienazione dei beni pignorati e, correlativamente, la cessione o l’estinzione, in base ad atti riconducibili al debitore esecutato o al terzo, dei crediti pignorati (ipotesi regolata dall’art. 2914 c.c.); altra e differente vicenda è quella della sorte del rapporto giuridico dal quale, in ipotesi, potrebbero sorgere i crediti futuri ed eventuali oggetto di pignoramento, in relazione alla quale non sono dettati dalla legge limiti di opponibilità al creditore procedente (né dall’art.
2914 c.c., né da altre norme), non costituendo tale rapporto, di per sé, un bene pignorabile.
In particolare, sotto tale profilo, è opportuno chiarire che l’istituto della cessione del contratto (art. 1406 e ss. c.c.) comporta il trasferimento della relativa posizione negoziale nella sua integralità, ma non necessariamente la cessione di crediti già sorti o quella dei crediti che potrebbero sorgere in base ad esso, esigibili o meno che siano.
Nella giurisprudenza di questa Corte è, del resto, consolidato l’indirizzo per cui va operata una netta distinzione tra la cessione del contratto e la cessione dei crediti dallo stesso eventualmente derivanti, ciò che esclude la possibilità di ricostruire l’istituto della cessione del contratto, secondo la cd. teoria atomistica, come una semplice cessione dei crediti e contestuale accollo dei debiti del medesimo contratto derivanti (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 8579 del 29/03/2024; Sez. 3, Sentenza n. 17727 del 06/07/2018).
Per quanto riguarda, in particolare, la cessione dei contratti a prestazioni corrispettive di durata e, cioè, ad esecuzione periodica, continuata o prolungata (come l’appalto), solo parzialmente adempiuti, ne deriva che, una volta avvenuto il trasferimento della suddetta posizione contrattuale, i crediti che dovessero sorgere in b ase all’attività di adempimento delle ulteriori prestazioni contrattuali successive, quali corrispettivo delle stesse, certamente devono ritenersi sorgere direttamente in capo al cessionario e in nessun modo potrebbero ritenersi oggetto di una vera e propria cessione di credito (futuro) da parte del contraente cedente, che degli stessi non è stato, né potrebbe ritenersi, neanche per un attimo, in via meramente logico-giuridica, divenuto titolare, anche a prescindere dalla cessione del contratto stesso.
Diversa è, infatti, tale ultima ipotesi da quella della vera e propria cessione dei crediti, anche futuri, derivanti da un siffatto
contratto, quella, cioè, in cui vengano ceduti i crediti che matureranno in capo all’appaltatore cedente per l’attività di esecuzione del contratto da esso stesso svolta in futuro, crediti che, in mancanza dell’atto di cessione, sorgerebbero in capo al cedente e che, in virtù della cessione, nel momento stesso in cui sorgono, si trasferiscono immediatamente al cessionario, ma non possono dirsi sorti direttamente nella titolarità di quest’ultimo: basti considerare che solo in tal caso l’acquisto dei crediti derivanti dal contratto, da parte del cessionario, può ritenersi di natura derivativa (onde, in caso di perdita di effetti della cessione, tali crediti dovranno ritenersi rientrare nella titolarità del cedente).
Nel caso in cui vi sia una mera cessione del contratto di durata con prestazioni corrispettive non ancora del tutto eseguite, i crediti derivanti dall’esecuzione delle prestazioni successive, che avvengano ad opera del cessionario, sorgeranno direttamente in suo favore e non potranno dirsi oggetto di un acquisto a titolo derivativo con il cedente quale dante causa (onde, in caso di perdita di effetti della cessione, tali crediti non potranno in nessun caso ritenersi rientrare nella titolarità del cedente): una volta ceduto il contratto di appalto, i crediti derivanti dall’esecuzione delle opere successive, realizzate dal cessionario, sono crediti che non possono ritenersi ceduti dal cedente al cessionario, onde, laddove vengano meno gli effetti della cessione, di certo essi non potranno ritenersi rientrare nella titolarità del cedente (come avverrebbe per l’ipotesi di vera e propria cessione di crediti futuri) e la loro sorte deriverà dall’applicazione, esclusivamente nei rapp orti tra contraente ceduto e cessionario, degli ordinari principi in materia di invalidità o inefficacia negoziale.
In altri termini, in virtù della cessione del contratto non persiste in capo al contraente ceduto alcuna obbligazione di eseguire le prestazioni ancora dovute in forza del contratto stesso, sicché
egli più non ha alcun credito, siccome sinallagmaticamente a quelle collegato, al relativo corrispettivo.
Da quanto precede discende che, contrariamente a quanto argomentato dalla gravata sentenza, l’art. 2914 c.c. non può trovare applicazione nella fattispecie.
Infatti, poiché tale disposizione riguarda la cessione dei crediti (anche futuri) oggetto di pignoramento e non la cessione del contratto (cioè, della mera posizione contrattuale, che di per sé non è un bene pignorabile) dal quale, in ipotesi, potrebbero sorgere i crediti futuri ed eventuali oggetto di pignoramento, la norma non è, di per sé, applicabile all’istituto della cessione del contratto di durata a prestazioni corrispettive solo parzialmente eseguite, fatta salva l’ipotesi in cui tale cessione implichi anche la cessione di determinati crediti, già sorti, o anche futuri ed eventuali, ma con la precisazione che tra questi ultimi possono essere compresi solo quelli derivanti dalle attività di adempimento del contratto riconducibili alla parte cedente e non quelli derivanti dalle attività di adempimento del contratto riconducibili alla parte cessionaria e poste in essere dopo la cessione.
Tanto premesso, applicando i principi di diritto sin qui esposti alla fattispecie concreta e, in particolare, tenuto conto delle circostanze di fatto incensurabilmente accertate dal tribunale nella decisione impugnata, ne deriva quanto segue.
Poiché i crediti maturati in favore del debitore esecutato COGNOME sulla base del contratto di appalto (per i lavori o, comunque, le attività di adempimento del contratto stesso dallo stesso effettivamente eseguite) erano stati tutti pagati prima del pignoramento, certamente (e pacificamente) non vi erano crediti ‘attuali’ assegnabili in favore della società creditrice procedente.
Quest’ultima, d’altra parte, con il ricorso pone esclusivamente questioni di diritto relative alla mancata assegnazione di crediti
‘ futuri ed eventuali ‘, non già in relazione a crediti già maturati al momento dell’assegnazione .
Il tribunale ha, peraltro, altresì accertato che gli ulteriori lavori erano stati eseguiti dalla nuova impresa appaltatrice cessionaria dell’appalto, dopo la cessione del relativo contratto, onde i relativi crediti certamente non potevano dirsi maturati in favore del debitore esecutato, ma erano sorti ed erano stati (correttamente, per quanto si è già chiarito e per quanto meglio si dirà) pagati dal condominio committente direttamente in favore della stessa impresa cessionaria.
E, poiché, indipendentemente dal fatto che la cessione del contratto di appalto avesse avuto luogo prima o dopo il pignoramento, certamente il relativo rapporto giuridico non sussisteva più tra il condominio e il debitore esecutato, al momento della eventuale assegnazione da effettuarsi in sede esecutiva, onde in base a tale rapporto non avrebbero potuto neanche sorgere ulteriori crediti, in futuro, in favore del debitore esecutato, l’assegnazione, effettivamente, non era possibile neanche in relazione a ‘ crediti futuri ed eventuali ‘.
Di conseguenza, la decisione del giudice dell’esecuzione che ha negato l’assegnazione, deve ritenersi conforme a diritto, nella specie, così come la decisione impugnata che ha rigettato l’opposizione avverso il relativo provvedimento , sebbene la motivazione del provvedimento impugnato debba essere fatta oggetto di correzione ed integrazione in diritto sulla base dei principi appena esposti.
In particolare, deve essere oggetto di correzione l’affermazione del tribunale secondo cui « affinché dunque si possa porre un problema di efficacia del pignoramento dei crediti da corrispettivo facenti capo all’appaltatore è necessaria la prova della loro effettiva esistenza nel patrimonio del debitore esecutato, anche sotto forma di crediti eventuali, nel senso che l’appaltatore abbia eseguito interamente la prestazione di cui
egli era onerato e che sia necessaria la sola accettazione dell’opera da parte del committente »: trattasi, infatti, di affermazione effettivamente erronea e, addirittura, contraddittoria rispetto ai principi di diritto applicabili nella fattispecie, come più sopra esposti e che lo stesso tribunale afferma in realtà di condividere, dal momento che sono senz’altro assoggettabili a pignoramento, in linea di principio, anche crediti derivanti da un contratto di appalto in essere ma non ancora sorti al momento del pignoramento, a prescindere dall’accettazione dell’opera da parte del committente, anche se derivanti da opere che saranno eseguite dall’appaltatore debitore dopo il pignoramento stesso.
La suddetta affermazione in diritto, peraltro, non incide sulla soluzione finale della controversia, dal momento che, nella specie, come già ampiamente chiarito, i crediti di cui la parte ricorrente pretenderebbe l’assegnazione non solo non erano ancora sorti né al momento del pignoramento, né al momento della potenziale assegnazione, ma non avrebbero neanche più potuto sorgere eventualmente in futuro, essendo ormai venuto meno il rapporto contrattuale di base dal quale in astratto avrebbero potuto derivare, onde non vi era spazio per alcuna assegnazione, né di crediti attuali, né di crediti eventuali e futuri derivanti da un rapporto giuridico di base esistente.
5. La tesi sostanzialmente sostenuta in diritto dalla società ricorrente -secondo l’unica interpretazione che pare a questa Corte possibile delle sue difese e delle sue censure -è che, poiché la cessione del contratto di appalto non sarebbe avvenuta con atto di data certa anteriore al pignoramento, essa non le sarebbe stata opponibile, ai sensi dell’art. 2914, n. 2, c.c., di modo che tutti i crediti maturati successivamente al pignoramento stesso, sulla base del contratto di appalto oggetto di detta cessione, anche se consistenti nel corrispettivo dei lavori eseguiti dall’impresa cessionaria, costituirebbero
‘ crediti futuri ed eventuali ‘ oggetto di pignoramento e di cessione successiva allo stesso (quindi inopponibile), che avrebbero dovuto esserle assegnati.
Che questo sia il contenuto delle difese di parte ricorrente è inequivocabilmente dimostrato dalla circostanza che essa, in sostanza, lamenta la mancata assegnazione dell’importo « pari alla differenza fra il prezzo globalmente convenuto e quanto già corrisposto all ‘ appaltatore alla data del pignoramento stesso », vale a dire il corrispettivo dei lavori che, in base agli incensurabili accertamenti di fatto operati dal giudice del merito, sarebbero stati eseguiti dall’impresa cessionaria, cioè di un corrispettivo che in nessun modo e in nessun caso potrebbe ritenersi oggetto di un credito maturato in favore dell’impresa cedente e, quindi, suscettibile di una vera e propria cessione di credito (futuro) in favore della cessionaria.
Si tratta di una tesi infondata in diritto, oltre che all’evidenza inaccettabile, sia sul piano logico che su quello giuridico.
È, infatti, in primo luogo, del tutto destituito di fondamento giuridico il richiamo dell’art. 2914, n. 2, c.c., con riguardo alla cessione di un contratto (di appalto), cessione (di contratto) che non ha comportato in alcun modo una contestuale cessione di crediti, essendo stata accertata l’estinzione di tutti i crediti maturati dall’impresa che aveva ceduto il contratto (cioè , il debitore esecutato) alla data del pignoramento ed al momento della cessione stessa, ed essendo sorti i crediti successivamente maturati in forza del contratto (di appalto) ceduto direttamente in favore dell’impresa cessionaria (che non è debitrice della società procedente): come ampiamente fin qui chiarito, in diritto, l’art. 2914 c.c. riguarda esclusivamente gli atti di disposizione dei beni pignorati, mentre il contratto di appalto non è un bene pignorabile.
Va, poi, ancora una volta, opportunamente ribadito che la cessione del contratto di appalto, nella fattispecie in esame
(sulla base degli insindacabili accertamenti di fatto compiuti dal tribunale), non ha comportato alcuna cessione di crediti, né attuali, né futuri, ma ha costituito esclusivamente il fatto, ovvero la vicenda giuridica, che ha comportato il venir meno del rapporto contrattuale e obbligatorio tra debitore esecutato e terzo pignorato, dal quale avrebbero potuto sorgere crediti eventuali e futuri (in favore del primo), suscettibili di assegnazione in favore del creditore procedente: e l’opponibilità di siffatta vicenda (che non costituisce, di per sé, cessione di un credito, ma di una mera, benché integrale, posizione contrattuale) al creditore procedente, come appunto sin qui chiarito, non solo non è soggetta alla disciplina dell’art. 2914 c.c., con riguardo alla data del pignoramento, ma può intervenire ed essere opposta al creditore procedente anche addirit tura se avvenuta dopo l’assegnazione .
Di conseguenza, effettivamente non aveva alcun rilievo, nella presente fattispecie, accertare se la cessione del contratto di appalto fosse intervenuta prima o dopo il pignoramento: quanto meno una volta accertato, come avvenuto in concreto, che essa era effettivamente intervenuta al momento in cui avrebbe dovuto avvenire l’assegnazione e che non vi erano crediti già maturati o maturandi in favore dell’impresa cedente che non fossero stati estinti prima del pignoramento.
6. Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate tra le parti, sussistendo motivi sufficienti a tal fine, in considerazione della sostanziale correzione, in diritto, che si è resa necessaria in relazione alla motivazione della decisione impugnata, ai sensi dell’art. 384, comma 4, c.p.c..
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o
improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
-rigetta il ricorso;
-dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità;
-dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione