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Cessione d’azienda: quando si ereditano i debiti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 15159/2025, ha stabilito che in caso di cessione d’azienda, l’acquirente subentra nei contratti non ancora conclusi, inclusi quelli di appalto pubblico il cui collaudo sia ancora provvisorio. Nel caso specifico, una società che aveva acquistato un’azienda edile è stata ritenuta responsabile per i danni derivanti dal crollo di un’opera realizzata dalla società venditrice, poiché al momento della cessione il rapporto contrattuale con il Comune committente era ancora pendente.

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Cessione d’azienda e debiti: chi paga per i contratti in corso?

La cessione d’azienda è un’operazione complessa che solleva spesso interrogativi sulla sorte dei debiti e dei contratti stipulati dal venditore. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un importante chiarimento, stabilendo che chi acquista un’azienda subentra anche nelle responsabilità derivanti da contratti non ancora definitivamente conclusi, come un appalto pubblico il cui collaudo è ancora in fase provvisoria. Analizziamo insieme questo caso emblematico.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine dal crollo di un palazzetto dello sport, costruito per conto di un Comune da una società appaltatrice. A seguito del disastro, il Comune ha citato in giudizio non solo l’impresa costruttrice originaria, ma anche una seconda società, alla quale la prima aveva ceduto il proprio ramo d’azienda poco dopo la fine dei lavori. Il Tribunale di primo grado aveva inizialmente escluso la responsabilità della società acquirente, sostenendo che il debito per i danni non risultava dai libri contabili al momento della cessione. La Corte d’Appello, tuttavia, ha ribaltato la decisione, condannando la società acquirente al risarcimento dei danni, quantificati in oltre 246.000 euro.

La decisione sulla cessione d’azienda e la successione nel contratto d’appalto

La Corte d’Appello ha basato la sua decisione su due argomentazioni principali (le cosiddette rationes decidendi):
1. Abuso del diritto: l’operazione di cessione era stata concepita artificiosamente per sottrarre il patrimonio della società originaria alle pretese risarcitorie del Comune.
2. Successione nel contratto: il contratto d’appalto tra l’impresa originaria e il Comune doveva considerarsi ancora ‘pendente’ al momento della cessione d’azienda, e quindi, ai sensi dell’art. 2558 del Codice Civile, i relativi diritti e obblighi si erano automaticamente trasferiti all’acquirente.

La società acquirente ha presentato ricorso in Cassazione, contestando entrambe le argomentazioni. La Suprema Corte ha però rigettato il ricorso, concentrandosi sulla seconda ratio decidendi, ritenendola di per sé sufficiente a giustificare la condanna.

Il ruolo del collaudo provvisorio

Il punto cruciale della decisione riguarda la natura del contratto d’appalto al momento della cessione. Secondo la normativa sugli appalti pubblici, il certificato di collaudo ha carattere provvisorio per due anni dalla sua emissione. Durante questo periodo, l’appaltatore rimane responsabile per eventuali vizi e difformità dell’opera. Nel caso in esame, il crollo del palazzetto è avvenuto proprio entro questo biennio, impedendo che il collaudo diventasse definitivo. Di conseguenza, il rapporto contrattuale tra l’impresa e il Comune non si era ancora esaurito.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha affermato che, essendo il contratto d’appalto ancora pendente, la società acquirente è subentrata automaticamente in tutti gli obblighi da esso derivanti, inclusa la responsabilità per i vizi dell’opera che hanno causato il crollo. La revoca formale del certificato di collaudo da parte del Comune, avvenuta dopo la cessione, è stata considerata un atto dovuto e non un intervento esterno in grado di modificare il contratto. La pendenza del rapporto era un effetto legale della provvisorietà del collaudo, conoscibile da entrambe le parti al momento della cessione d’azienda.

La Corte ha inoltre sottolineato come la stessa società acquirente si fosse comportata come nuova controparte contrattuale, inviando una comunicazione al Comune dopo il crollo per accreditarsi come interlocutore qualificato. Questo comportamento è stato visto come una conferma del suo subentro nel rapporto contrattuale.

Infine, i Supremi Giudici hanno dichiarato inammissibili gli altri motivi di ricorso, inclusi quelli relativi alla violazione di norme procedurali, poiché la ricorrente non aveva dimostrato quale concreto pregiudizio al suo diritto di difesa fosse derivato da tali presunte irregolarità.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale nella cessione d’azienda: l’acquirente non compra solo un insieme di beni, ma un complesso di rapporti giuridici attivi e passivi. La successione nei contratti in corso, prevista dall’art. 2558 c.c., è automatica, a meno che non sia esplicitamente esclusa dalle parti. La lezione chiave è che la ‘pendenza’ di un contratto può derivare da clausole e normative specifiche, come quella del collaudo provvisorio negli appalti pubblici. Per chi acquista un’azienda, è quindi essenziale una due diligence approfondita non solo sui debiti iscritti a bilancio, ma anche sulle obbligazioni potenziali che potrebbero emergere da contratti non ancora definitivamente conclusi.

Quando un’azienda viene venduta, l’acquirente diventa responsabile per i contratti stipulati dal venditore?
Sì, secondo l’art. 2558 del Codice Civile, se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale. La sentenza chiarisce che questo principio si applica anche ai contratti non ancora definitivamente conclusi.

In un appalto pubblico, quando si può considerare concluso il contratto?
Il contratto non è concluso fino a quando il collaudo dell’opera non diventa definitivo. La legge prevede un periodo di garanzia (solitamente di due anni) dopo l’emissione del certificato di collaudo provvisorio. Se durante questo periodo si verificano vizi o crolli, come nel caso di specie, il rapporto contrattuale si considera ancora pendente e gli obblighi non sono esauriti.

È sufficiente denunciare un errore procedurale per vincere un ricorso in Cassazione?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha ribadito il suo orientamento consolidato secondo cui la parte che lamenta la violazione di norme processuali deve anche dimostrare quale concreto pregiudizio al proprio diritto di difesa o alla decisione di merito sia derivato da tale errore. La semplice denuncia di un vizio formale, senza indicarne le conseguenze negative, rende l’impugnazione inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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