Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15159 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15159 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 06/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6523/2020 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
Comune di Torre Santa Susanna , elettivamente domiciliato all’indicato indirizzo PEC dell’ avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 711/2019 della Corte d’Appello di Lecce, depositata il 10.7.2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’11 .4.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
A seguito della rovina di un palazzetto dello sport fatto costruire sul proprio territorio, il Comune di Torre Santa Susanna convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Brindisi, la società appaltatrice RAGIONE_SOCIALE, il progettista, il direttore dei lavori, nonché RAGIONE_SOCIALE (allora denominata RAGIONE_SOCIALE), quale cessionaria dell’azienda dell’impresa appaltatrice , chiedendo la solidale condanna dei convenuti al risarcimento dei danni.
Instauratosi il contraddittorio e intervenuto in corso di causa il fallimento di RAGIONE_SOCIALE, il Tribunale di Brindisi, per quanto qui ancora di interesse, rigettò la domanda proposta contro RAGIONE_SOCIALE rilevando che il debito nei confronti del Comune di Torre Santa Susanna, non risultando dalle scritture contabili al momento della cessione d’azienda , non rientrava tra quelli di cui la cessionaria doveva rispondere ai sensi dell’art. 2560, comma 2, c.c .
Il Comune di Torre Santa Susanna propose impugnazione contro la sentenza di primo grado, che venne accolta dalla Corte d’Appello di Lecce, sia ravvisando nella operazione di trasferimento d’azienda «una fattispecie di abuso del diritto e comunque di lesione del credito», sia considerando quello dell’impresa con il Comune un rapporto contrattuale pendente -e qu indi trasferito insieme all’azienda, ai sensi dell’art. 2558 c.c. -in virtù dell ‘intervenut a revoca del certificato di collaudo provvisorio dell’opera pubblica eseguita (art. 199, comma 3, d.P.R. n. 554 del 1999). RAGIONE_SOCIALE è stata quindi condannata a risarcire il danno provocato al Comune di Torre Santa Susanna, quantificato in € 246.407, in linea capitale.
Contro la sentenza di secondo grado RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.
Il Comune di Torre Santa Susanna si è difeso con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia «violazione ed erronea applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. in materia di declaratoria di responsabilità contrattuale per ‘abuso del diritto’ in ipotesi di cessione d’azienda ( artt. 2558 e 2560 c.c.)».
La ricorrente, da un lato, nega che nella fattispecie in esame si possano ravvisare i connotati dell’abuso del diritto a suo carico, quale cessionaria dell’azienda già appartenuta a RAGIONE_SOCIALE; dall’altro lato, contesta alla Corte d’Appello una contraddizione tra l’iniziale adesione all a tesi del Tribunale secondo cui non ci sarebbe stata una successione nel contratto d’appalto e il successivo accertamento della responsabilità della cessionaria basata anche sulla affermazione che «la vicenda contrattuale de qua … finiva per ricadere i rapporti contrattuali non ancora definiti».
1.1. Il motivo di ricorso è complessivamente infondato.
1.1.1. In effetti la motivazione della sentenza impugnata espone due distinte e autonome rationes decidendi , ciascuna delle quali è da sola sufficiente a reggere il dispositivo adottato, sicché l’infondatezza delle censure mosse contro una rende irrilevanti, e quindi inammissibili, le censure mo sse contro l’altra (v., ex multis e tra le più recenti, Cass. n. 5102/2024).
La prima ratio decidendi è quella incentrata sulla affermata responsabilità di RAGIONE_SOCIALE a titolo di
abuso del diritto, consistente nella stipulazione di un artificioso contratto di cessione d’azienda, concepito solo allo scopo di sottrarre al creditore Comune di Torre Santa Susanna il patrimonio aziendale della RAGIONE_SOCIALE, appaltatrice a sua volta responsabile della rovina del palazzetto dello sport.
Del tutto autonoma ed autosufficiente è poi la seconda ratio decidendi , più brevemente, ma chiaramente esposta alle pagine 15 e 16 della sentenza della Corte territoriale. Secondo questa impostazione, RAGIONE_SOCIALE deve rispondere della rovina del palazzetto dello sport in quanto subentrata nel contratto d’appalto, in virtù della cessione aziendale, e quindi non a titolo di illecito extracontrattuale, né di responsabilità solidale ai sensi dell’art. 2560, comma 2, c.c., bensì a ti tolo di inadempim ento delle obbligazioni assunte dall’impresa quale parte del contratto d’appalto .
Tale seconda ratio è censurata nel ricorso (pagg. 17 e 18), denunciando la già citata contraddittorietà nella motivazione della Corte d’Appello e rilevando che l’ opera pubblica era stata completata e collaudata prima della cessione d’azienda . Inoltre, si nega che possa essere attribuito rilievo all’atto unilaterale di revoca del certificato di collaudo adottato dal Comune solo dopo quella cessione.
1.1.2. Le censure non colgono nel segno.
L’inciso con cui la Corte d’Appello ha dichiarato di condividere l ‘impostazione di base della sentenza di primo grado («Pur condividendosi le considerazioni appena riportate …») , quand’anche fosse da considerare in contraddizione con il successivo accertamento della perdurante pendenza del rapporto nato dal contratto d’appalto, nulla potrebbe togliere,
né aggiungere alla tenuta della relativa motivazione, che deve essere comunque apprezzata secondo il parametro della sua intrinseca fondatezza.
Ebbene, la Corte salentina ha rilevato che, in forza della specifica disciplina normativa all’epoca vigente, «Il certificato di collaudo … ha carattere provvisorio ed assume carattere definitivo decorsi due anni dalla data della relativa emissione ovvero dal termine stabilito nel capitolato speciale per detta emissione»; inoltre, «Nell ‘ arco di tale periodo l ‘ appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell ‘ opera, indipendentemente dalla intervenuta liquidazione del saldo» (art. 199, comma 3, d.P.R. n. 455 del 1999). Il giudice d’appello ha quindi constatato che il «certificato di collaudo … provvisorio» non è mai divenuto definitivo, essendo intervenute la rovina dell’opera e la conseguente revoca del certificato stesso da parte del Comune entro il biennio previsto dalla norma.
Da ciò la Corte d’Appello ha tratto la corretta conclusione che il rapporto contrattuale con il Comune di Torre Santa Susanna era ancora pendente -ancorché quiescente in attesa della definitività del collaudo -al momento della cessione d’azienda, con l’ulteriore conseguenza che, sia per l a disciplina negoziale (richiamata in sentenza), sia per gli effetti naturali del contratto di cessione d’azienda (art. 2558 c.c.), RAGIONE_SOCIALE doveva intendersi subentrata in quel rapporto contrattuale.
Non vale, in senso contrario, osservare che la revoca del certificato di collaudo è un atto unilaterale di un soggetto (il Comune committente) estraneo al contratto di cessione
d’azienda. Non si tratta, infatti, dell’intervento di un terzo sul contenuto di un contratto inter alios , bensì soltanto di un effetto legale della cessione d’azienda, benché non apparente e non esplicitato nel testo del contratto (ma conoscibile dalle parti, posto che la cessione fu di poco successiva alla rovina dell’opera e alla denuncia del fatto da parte del Comune). A ben vedere, data la provvisorietà ex lege del collaudo e il verificarsi della rovina dell’opera nel biennio , la formale revoca del certificato di collaudo non era nemmeno necessaria per sancire la perdurante pendenza del rapporto contrattuale.
Del resto, come evidenziato dal giudice a quo , coerente con tale impostazione fu il comportamento della stessa RAGIONE_SOCIALE la quale -a fronte della denuncia del sinistro -inviò al Comune la nota 9.5.2011 «al fine di accreditarsi come interlocutore qualificato con riguardo alla vicenda riguardante il ‘RAGIONE_SOCIALE‘», comunicando la cessione d’azienda e paventando che l’intervento di altra impresa potesse avere provocato danneggiamenti alla struttura (v. pagg. 10 e 11 della sentenza impugnata).
La ricorrente sostiene di avere tenuto, con la citata nota, una posizione «coerente con quella, in generale, assunta nella qualità di cessionaria del ramo d’azienda» e afferma che si sarebbe trattato di «una mera richiesta conoscitiva» (pag. 18 del ricorso per cassazione). Sennonché davvero non si comprende quale interesse avrebbe potuto avere a ricevere informazioni e ad esprimere giudizi su un rapporto rispetto al quale si fosse ritenuta del tutto estranea (perché escluso dal perimetro dell’azienda ceduta ).
Comunque, al di là del fatto dimostrato che la stessa RAGIONE_SOCIALE si comportò come controparte contrattuale del Comune di Torre Santa Susanna, ciò che conta è che tale qualità effettivamente le spettava, in base alle corrette ed oggettive considerazioni esposte nella sentenza impugnata.
1.1.3. Per quanto scritto sopra, risulta inammissibile il motivo di ricorso nella parte in cui è volto a censurare l’autonoma ratio decidendi incentrata sull’«abuso del diritto» , la quale -a parte l ‘ indiscutibile promiscuità di compagini sociali e organi gestori tra cedente e cessionaria -comporterebbe l’esame di delicate questioni giuridiche, che a questo punto risulta superfluo affrontare.
Il secondo motivo è rubricato «violazione ed erronea applicazione degli artt. 2043 e 2697 c.c., in relazione all’ art. 360, n. 3, c.p.c., nonché dei principi generali in materia di ‘lesione del credito’ ».
Il motivo censura l’inquadramento della vicenda in esame alla stregua di una ipotesi di «lesione del credito».
2.1. Anche questo motivo è inammissibile, perché il discorso sulla «lesione del credito» è, nella sentenza impugnata, parte integrante della motivazione su ll’ «abuso del diritto» ed è, in ogni caso, del tutto estraneo e superfluo rispetto alla individuata autonoma ratio decidendi che fa leva sulla responsabilità della ricorrente a titolo di inadempimento contrattuale, quale parte subentrata nel rapporto scaturito dal contratto d’appalto .
Il terzo motivo denuncia «violazione ed erronea applicazione degli artt. 698, 194 e 195 c.p.c.; artt. 87 e 90 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.» .
La ricorrente contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha negato la nullità della consulenza tecnica d’ufficio, prospettata sotto il profilo che il c.t.u. -in sede di accertamento tecnico preventivo ante causam -acquisì documenti ritenuti utili prima del formale inizio delle operazioni peritali e, quindi, al di fuori del contraddittorio.
3.1. Anche questo motivo è inammissibile, perché -secondo un consolidato orientamento di questa Corte -« la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione; ne consegue che è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito » (Cass. n. 26419/2020; conf. Cass. nn. 26831/2014; 6330/2014).
Nel caso di specie la ricorrente non indica il pregiudizio che avrebbe subito il suo diritto di difesa (nonostante la Corte d’Appello avesse già evidenziato tale lacuna), dovendosi peraltro rilevare che la documentazione fu acquisita nella fase preliminare ante causam (a.t.p.), sicché, da un lato, nessuna decadenza istruttoria poteva essere maturata e , dall’altro lato, le parti ebbero tutto il tempo per contestare la pertinenza, il contenuto e il valore probatorio dei documenti in questione.
Deve inoltre osservarsi, quale ulteriore profilo di inammissibilità, che, in violazione dell’art. 366 n. 6 cpc, non
risulta specificato il contenuto dei documenti in questione, in modo da valutarne l’inerenza ai fatti costitutivo, ed in secondo luogo, trattandosi di nullità relativa, non risulta indicato in modo specifico il contenuto e la sede di ingresso nel processo di merito dell’eccezione di nullità (da formulare nella prima istanza o difesa successiva al deposito della CTU), posto che, peraltro, la valutazione della corte territoriale ha avuto ad oggetto una denuncia di violazione del contraddittorio limitata all’a ccessibilità dei documenti per i consulenti di parte.
In definitiva, il ricorso deve essere rigettato e le spese legali del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo.
Si dà atto che, in base all’esito del ricorso, sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in € 7.000 per compensi, oltre alle spese generali al 15% , a € 200 per esborsi e agli accessori di legge ;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione della Corte Suprema di Cassazione, del l’11 .4.2025.
Il Presidente
NOME COGNOME