Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7389 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7389 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/03/2025
sul ricorso 1326/2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 2032/2020 depositata il 08/06/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/2/2025 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La Banca di Credito Popolare s.coop per az. ricorre a questa Corte per sentire cassare sulla base di cinque mezzi, ai quali resiste l’intimata con controricorso, l’impugnata decisione che, riformando su istanza della RAGIONE_SOCIALE la sentenza di primo grado, ha ritenuto di dichiarare il difetto di legitimatio ad causam della banca sull’assunto che, originando il credito da essa azionato in danno della GDL dal conferimento del ramo di azienda con cui la RAGIONE_SOCIALE aveva trasferito alla conferitaria tutte le attività e passività inerenti la propria partecipazione alla società consortile costituita per la realizzazione dell’Interporto di Nola, la GDL non era pure subentrata nella fideiussione prestata dalla COGNOME a fronte del finanziamento concesso alla società consortile costituita per dar corso all’appalto, in quanto, non essendo la fideiussione un contratto a prestazioni corrispettive, non poteva trovare applicazione l’art. 2558 cod. civ., applicandosi esso alle sole transazioni corrispettive, con l’effetto che la banca era dunque priva della richiesta legittimazione ad escutere il credito azionato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso -con cui si deduce la nullità della decisione impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. non essendosi essa pronunciata sull’eccepita inammissibilità dell’appello proposto dalla GDL, sebbene esso fosse privo di specificità, non avesse individuato gli errori e le omissioni consumati dal primo giudice e non contenesse un ragionato progetto alternativo di sentenza -non ha fondamento e deve essere pertanto rigettato.
In disparte da ogni considerazione suggerita, riguardo all’idea del progetto alternativo di sentenza, cui avrebbe dovuto corrispondere
l’atto di appello a mente art. 54, comma 1, lett. Oo), d.l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, da SS.UU. 27199/2017 ed ancora dalla constatazione che, decidendo nel merito, la sollevata questione doveva intendersi come implicitamente rigettata, è vero -e va qui nuovamente ribadito -che, secondo quello che si insegna abitualmente, «l’omesso esame di una questione puramente processuale … non integra il vizio di omessa pronuncia, configurabile soltanto nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito » ( ex plurimis , Cass., Sez. III, 16/10/2024, n. 26913).
Donde perciò appunto l”infondatezza della doglianza.
Il secondo motivo di ricorso -con cui si deduce la nullità della decisione impugnata per violazione degli artt. 167 e 345 cod. proc. civ. per aver dichiarato il visto difetto di legittimazione sostanziale di essa ricorrente, sebbene, alla luce dei principi regolanti la materia, nella specie si sarebbe dovuto riconoscere non un difetto di legitimatio ad causam , ma di titolarità del rapporto con la conseguenza che, non essendo stata la relativa eccezione tempestivamente sollevata dall’impugnante, la Corte di appello non avrebbe potuto rilevarla d’ufficio e farne oggetto della contestata pronuncia declinatoria, per ciò dunque affetta da nullità -è inammissibile in quanto inteso a sollecitare una rimeditazione del deliberato impugnato sulla base di una ricognizione processuale che è smentita dagli atti.
E’ invero provato primariamente dalla motivazione del provvedimento qui impugnato che la GDL si era opposta al decreto ingiuntivo ottenuto dalla banca nei suoi confronti, «sostenendo di non essere subentrata nel rapporto contrattuale posto a fondamento della richiesta monitoria, in quanto la fattispecie non era disciplinata dall’art. 2558 c.c., bensì dagli artt. 2559 e 2560 c.c.» (motivazione
pag. 4). A ciò occorre poi aggiungere, come riporta la controricorrente nel controricorso alle pagg. 14 e 15 trascrivendo sul punto l’atto di opposizione, che costituendosi in quella sede la GDL aveva sollevato ex professo la questione della propria successione nel rapporto controverso, osservando che «il credito della BCP nei confronti della scrivente si fonda esclusivamente sull’obbligo di garanzia trasferitosi ex art. 2558 c.c.» e su questa premessa, espressamente contestando l’applicazione di detta norma essendo «opinione incontrastata in giurisprudenza che l’art. 2558 c.c. si riferisca appunto ai soli rapporti contrattuali con prestazioni corrispettive non ancora compiutamente eseguite da alcuna delle parti, mentre i rapporti contrattuali con prestazioni a carico di un solo contraente o nei quali una delle parti abbia già, al momento del trasferimento dell’azienda completamente eseguito la propria prestazione, sarebbero soggetti alla disciplina degli artt. 2559 e 2560, al pari dei rapporti obbligatori aventi fonti diverse da quella contrattuale».
Dunque, per quel che qui rileva, la questione faceva parte dei temi del giudizio, sicché -qualunque ne sia la qualificazione -il decidente non poteva astenersi dal suo esame e dal rendere legittimamente su di essa la statuizione qui impugnata.
4. Il terzo motivo di ricorso -con cui si lamenta che la Corte di appello nell’escludere che la GDL fosse succeduta nel rapporto fideiussorio, avrebbe omesso l’esame di un fatto decisivo poiché se avesse preso in considerazione le previsioni contenute nell’atto di conferimento dell’azienda, anche a prescindere dall’applicabilità dell’art. 2558 cod. civ., avrebbe dovuto ritenere che la GDL fosse subentrata per effetto delle pattuizioni in parola in tutti i rapporti facenti capo alla conferente relativi al ramo di azienda ceduto -è inammissibile per estraneità della censura al parametro evocato.
Com’è ampiamente noto e come chiarito a suo tempo dalle SS.UU. 8053 e 8054/2014, l’art. 360, comma 1, n. 5 nella rinnovata stesura risultante dall’art. art. 54, comma 1, lett. b), d.l. 83/2012 introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed il cui esame, ove fosse avvenuto, si sarebbe rivelato decisivo in quanto idoneo ad influenzare l’esito della lite (Cass. Sez. II, 29/10/2018, n. 27415). La nozione di “fatto” in tal guisa rilevante è da riferirsi propriamente agli accadimenti o alle circostanze in senso storiconaturalistico (Cass., Sez. VI-I, 6/09/2019 n. 22397) che siano idonei ad assicurare, in veste di fatto principale o di fatto secondario, fondamento costitutivo alla domanda o all’eccezione che ad essa si oppone (Cass., Sez. I, 8/09/2016, n. 17761). Di conseguenza l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. II, 20/06/2024, n. 17005).
Ora, la doglianza che trova espressione nel motivo non lamenta l’omesso esame di un fatto storico, giacché è inconfutabile, anche senza considerarne lo specifico contenuto, che del trasferimento del ramo di azienda la Corte decidente abbia certamente preso atto; lamenta -e qui rileva significativamente che si imputi alla Corte di appello di «aver completamente omesso di prendere in considerazione le previsioni contenute nell’atto di conferimento dell’azienda» -l’omesso esame di evidenze probatorie, il che, in disparte dal fatto che in tal modo essa rifluisce inevitabilmente nel solco delle censure meritali, viene a collocare la doglianza al di fuori
del parametro asseritamente violato, precludendone di conseguenza l’esame.
5. Il quarto motivo di ricorso -con cui si censura la decisione impugnata per aver escluso l’applicabilità dell’art. 2558 cod. civ. alla fideiussione di che trattasi in ragione del fatto che la successione nei contratti stipulati a servizio dell’azienda prevista da detta norma riguarda i soli contratti a prestazioni corrispettive, sì che n’è esclusa la fideiussione che è un contratto unilaterale, quando al contrario la corretta applicazione della norma consente di ricondurvi anche i contratti in corso di esecuzione, i contratti con prestazioni non completamente eseguite e, addirittura, i contratti che risultino aver già superato lo stato di equilibrio originario -è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi , donde ne consegue, appunto per gli effetti previsti dall’art. 366, comma, n. 4, cod. proc. civ., il difetto di specificità.
Benché, infatti, il principio secondo cui l’art. 2558 cod. civ. sia stato ritenuto applicabile ai soli contratti corrispettivi abbia formato oggetto di rinnovata enunciazione da parte della giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. II, 3/01/2020, n. 15) dopo l’iniziale pronunciamento in questo senso di Cass. 5534/1994, la Corte di appello non si è limitata a dare atto della premessa qui in contestazione -ovvero che la norma si applica ai soli contratti a prestazioni corrispettive -cui può aggiungersi la considerazione che anche negli esempi a cui fa cenno la ricorrente è riscontrabile un profilo di corrispettività almeno originaria; ma ha più incisivamente affermato che «il carattere unilaterale della fideiussione in questione rende superflua l’indagine sulla circostanza del se la prestazione del fideiussore fosse o meno in corso di esecuzione, dato che il primo presupposto per l’applicazione dell’art. 2558 c.c. è che il contratto ceduto sia a prestazioni corrispettive». E questa affermazione il
motivo in disamina non censura, dato che con esso non si mette in discussione che la fideiussione non sia un contratto unilaterale, ma che l’art. 2558 cod. civ. non possa non applicarsi anche ai contratti che abbiano avuto un principio di esecuzione, quantunque anche con riguardo ad essi si renda riconoscibile una comune radice di reciprocità delle prestazione, reciprocità che, per le ragioni che la sentenza chiarisce nelle corrispondenti pagine della motivazione, non si ravvisano invece in relazione al contratto di fideiussione, che ha, ad avviso del decidente, natura in genere unilaterale.
6. Il quinto motivo di ricorso -con cui si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1321, 1322 e 1936 cod. civ. perché la Corte di Appello avrebbe affermato la natura unilaterale della fideiussione in disamina, escludendo che ai fini di affermarne, invece, la natura corrispettiva fosse rilevante la circostanza che la banca avesse tenuto a disposizione le somme oggetto del finanziamento concesso alla società consortile -non ha fondamento e deve essere pertanto rigettato.
E’ principio infatti stabilmente invalso nella giurisprudenza di questa Corte che la fideiussione sia un contratto gratuito ed unilaterale, in cui, salva l’ipotesi che per la sua prestazione non sia convenuto un compenso -che nella specie non è, peraltro, neppure allegato -l’unico obbligato è il fideiussore che si impegna ad effettuare la prestazione promessa al di fuori di qualsiasi vincolo corrispettivo (Cass., Sez. I, 15/10/2012, n. 17641; Cass., Sez. II, 13/02/2009, n. 3525; Cass., Sez. III, 19/12/1987, n. 9468).
Ne discende di conseguenza che l’affermazione operata dal decidente in punto alla natura unilaterale dell’impegno fideiussorio, non essendo scalfita da alcuna deduzione in fatto che ne riduca la portata, non si presta a critiche e si sottrae, perciò, al vizio qui denunciato.
Il ricorso va dunque conclusivamente respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e ; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in favore di parte resistente in euro 4200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principali, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il giorno 14 febbraio 2025.
Il Presidente Dott. NOME COGNOME