SENTENZA CORTE DI APPELLO DI BARI N. 1233 2025 – N. R.G. 00001442 2020 DEPOSITO MINUTA 31 07 2025 PUBBLICAZIONE 11 08 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D’APPELLO DI BARI
Seconda Sezione Civile
La Corte d’appello, 2^ sezione civile, riunita in camera di consiglio, con l’intervento dei signori Magistrati:
dott.
NOME COGNOME
Presidente Consigliere NOME. Relatore
dott.
NOME COGNOME
avv.
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di II Grado iscritta al n. 1442 R.G. 2020 , relativa all’appello proposto avverso la sentenza n. 1896/2020, resa dal Tribunale di Trani il 27.11.2020, pubblicata il 01.12.2020, avente ad oggetto: contratto di associazione in partecipazione -inadempimento -risarcimento danni tra
rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME per mandato allegato all’atto di appello, elettivamente domiciliato nello studio in Barletta =Appellante=
e
in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME per mandati rilasciati in primo grado, elettivamente domiciliata nello studio del primo, in Barletta
=Appellata=
nonché nei confronti di
(già
prima del fallimento), in persona del suo Curatore pro tempore,
=Contumace=
All’udienza collegiale del 03/03/2023, tenutasi mediante lo scambio di note scritte, in attuazione delle disposizioni normative dirette a contrastare l’emergenza sanitaria da altra parte appellante
COVID 19 e dell’art. 127 ter c.p.c., la causa è stata riservata per la decisione sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti costituite, depositate telematicamente ed accluse al fascicolo telematico del procedimento, il cui contenuto è da intendersi qui integralmente trascritto, con la concessione dei termini di cui all’articolo 190 c.p.c.
– SVOLGIMENTO DEL PROCESSO –
Con atto di citazione notificato il 05.01.2017, la società (in seguito, per brevità, anche solo ‘ ) convenne in giudizio la società
e esponendo che: (a) in data 07.04.2011 aveva stipulato con il secondo, all’epoca titolare dell’omonima impresa edile (poi conferita alla un contratto di associazione in partecipazione avente ad oggetto la realizzazione di diversi fabbricati ad uso residenziale in Trani nel quartiere Sant’INDIRIZZO, da realizzarsi su dei lotti edificatori assegnati dal Comune all’impresa in forza di convenzione del 22.02.2010, con l’intesa che la veniva associata nell’affare nella misura del 50% dell’utile conseguito, come sarebbe risultato dal rendiconto finale, a fronte della corresponsione in danaro del 50% delle spese necessarie all’avanzamento dei lavori di costruzione, ma senza possibilità di partecipazione diretta; (b) nel contratto le parti avevano stabilito che ‘ tutti gli incassi e tutti i pagamenti dovranno essere portati a conoscenza dell’Associata e sottoscritti dalla stessa per presa visione ‘ e che ‘ l’associata ha diritto di essere informata tutte le volte che lo riterrà opportuno sull’andamento dell’attività e di ricevere ogni tre mesi il rendiconto della gestione da parte dell’Associante. L’Associante dovrà tenere a disposizione dell’Associata tutti i documenti giustificativi in base ai quali il rendiconto è stato redatto. L’Associata potrà far visionare tale documentazione al proprio consulente di fiducia, recandosi presso gli uffici dell’Associante ‘; (c) con contestuale scrittura privata, le parti avevano dato atto che il aveva sino ad allora incassato € 1.239.038,46 a titolo di acconti sui contratti preliminari con i futuri acquirenti delle unità abitative a realizzarsi (da utilizzare per la gestione del cantiere) ed avevano stabilito che il primo apporto a carico della doveva consistere nel versamento di € 85.000,00 oltre Iva ‘ a titolo di rimborso non ripetibile dei costi già sostenuti e forfettariamente determinati e concordati alla data del 26.03.2011 ‘; (d) nel corso dei lavori, oltre a tale importo, la aveva ulteriori somme, per complessivi € 469.315,24, al il quale, utilizzandole unitamente agli acconti incassati dai promissari acquirenti ed alle anticipazioni bancarie rivenienti da un’apertura di conto corrente con garanzia ipotecaria concessa da Banca Apulia Spa per € 2.000.000,00, aveva portato a termine i lavori, iniziando a consegnare e a trasferire gli immobili; (e) dopo un primo periodo di effettiva collaborazione, il si era tuttavia rifiutato di fornire i rendiconti dell’attività svolta sia per il cantiere in corso, sia per quello ancora da avviare per la realizzazione degli ultimi due lotti (D5 e D6 in INDIRIZZO) per i quali la aveva pure versato il 50% delle somme necessarie all’acquisto del suolo, omettendo, altresì, di sottoporre ad essa associata, nella persona del suo legale rappresentante, gli elenchi degli incassi e delle spese, nonché il pagamento di quanto dovuto alla società RAGIONE_SOCIALE, cui era stata affidata in subappalto
una parte dei lavori di edificazione; (f) in ragione dei suddetti inadempimenti essa attrice aveva proposto ricorso per ATP per ricostruire la contabilità del cantiere e determinare l’esistenza di utili. Nel corso del procedimento, il aveva negato l’accesso a qualsiasi tipo di documentazione e ai dati sulla gestione del cantiere, per cui il nominato CTU aveva elaborato un rendiconto presunto sulla base di una ricostruzione dei costi rapportabili alle opere eseguite ed agli incassi, dal quale era emerso un utile (riferito ai soli immobili in corso di costruzione) di € 716.781,21 con diritto di essa attrice ad esigere incassi netti per € 126.727,12, oltre alla possibilità di ottenere il rimborso delle somme anticipate (pari ad € 469.315,24).
Tanto premesso, l’attrice, chiese che l’adito Tribunale, accertato l’inadempimento dei convenuti agli obblighi a loro carico e previa redazione del rendiconto, con l’esibizione di tutta la documentazione all’uopo necessaria, gli stessi fossero condannati in solido alla corresponsione dell’utile conseguito nella misura minima di € 126.727,12, al netto di imposte (come accertata in sede di ATP), oltre al rimborso delle somme anticipate da essa attrice, ovvero nella diversa misura che sarebbe stata accertata a seguito della presentazione del rendiconto o mediante CTU volta alla ricostruzione della contabilità dell’affare. Chiese, inoltre, la condanna dei convenuti, in caso di violazione degli obblighi di rendiconto e di mancato adempimento entro un termine perentorio da assegnarsi dal Giudice, al pagamento di una sanzione ex art. 614bis cpc per ogni giorno di ritardo ed al risarcimento del danno per l’inadempimento contrattuale e per violazione degli obblighi di buona fede e specifici di rendimento dei conti nella misura minima di € 100.000,00 o in quel diverso importo che sarebbe stato determinato in corso di causa, o in mancanza, in via equitativa dall’illustre Tribunale. Il tutto con il favore delle spese di giudizio, comprese quelle per l’espletato ATP.
Costituendosi in giudizio, la società e , in proprio, contestarono estensivamente le domande attoree, eccependo: (a) in via preliminare, il difetto di legittimazione passiva di con conseguente sua estromissione dal giudizio; (b) sempre in via preliminare, la nullità/inammissibilità della Consulenza Tecnica Preventiva ex art. 696 bis c.p.c. redatta dall’ arch. coadiuvata dalla dott. ; (c) nel merito, la inesistenza di qualsivoglia credito vantato dalla in quanto il cantiere non era stato ancora completato e gli esiti della CTU svolta in sede di ATP dovevano ritenersi nulli; (d) l’inadempimento degli obblighi contrattuali da parte della che non aveva provveduto a versare il 50% delle somme necessarie alla costruzione dell’erigendo complesso immobiliare del valore di oltre sei milioni di euro; (e) la insussistenza di qualsivoglia inadempimento da parte della avendo la stessa sempre messo a disposizione della la documentazione inerente all’affare.
Chiesero, pertanto, il rigetto delle avverse domande e, in via riconvenzionale, la condanna dell’attrice al pagamento della somma di € 500.000,00, o di quella diversa che sarebbe stata accertata in corso di causa, oltre interessi e rivalutazione monetaria, a titolo di risarcimento dei danni rivenienti dall’inadempimento della stessa agli
obblighi assunti con l’atto costitutivo dell’associazione in partecipazione. Il tutto con il favore delle spese di giudizio.
Istruita la causa mediante CTU contabile, per il tramite del dott. ed acquisita la documentazione in atti, il Tribunale adito, disattesa l’eccezione di difetto di legittimazione passiva del convenuto, persona fisica, (sul dedotto presupposto per cui la omonima ditta individuale, con la quale la aveva sottoscritto in data 7.4.2011 il contratto di associazione in partecipazione, era stata conferita integralmente nella società con tutte le sue attività e passività) con la sentenza in epigrafe indicata, oggetto del presente gravame, così ebbe ha sttuito:
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Avverso la sentenza, con atto di citazione notificato a mezzo pec il 22/12/ la società e , in proprio, hanno proposto appello, chiedendone, previa sospensione della provvisoria esecuzione, l’integrale riforma, con il rigetto delle domande attoree e l’accoglimento di quella riconvenzionale proposta da essi appellanti e con le consequenziali statuizioni sulle spese dell ‘intero procedimento .
Il gravame è stato affidato a quattro motivi:
1) con il primo , ha censurato il capo della sentenza che aveva disatteso l’eccezione con la quale egli, in proprio, aveva dedotto il proprio difetto di legittimazione passiva atteso che, dopo aver sottoscritto il contratto di associazione in
partecipazione oggetto di causa come titolare dell’omonima impresa individuale, aveva conferito la stessa nella con tutte le sue attività e passività, ivi compreso il contratto di associazione in partecipazione. La avverso tale conferimento, benché oggetto di perizia da parte del Tribunale di Trani ed iscrizione presso la Camera di Commercio, non aveva spiegato alcuna opposizione.
Sicché, in forza dell’intervenuto conferimento, tutti gli obblighi rivenienti da quel contratto si erano trasferiti alla la sola nei cui confronti l’originaria attrice avrebbe potuto far valere le sue pretese.
Secondo il Giudice di prime cure, invece, in forza del disposto di cui all’art. 2560 c.c., applicabile anche al conferimento di una ditta individuale in una società di capitali, il conferimento della ‘ ‘ nella società pur comportando il trasferimento in capo a quest’ultima di tutti i rapporti attivi e passivi inerenti all’azienda ceduta, non aveva comportato anche la liberazione del persona fisica, dalla diretta responsabilità per i rapporti pregressi. Oltretutto, trattandosi di ditta individuale, non vi era alcuna distinzione di soggettività giuridica con il suo titolare e non era pertanto neppure ipotizzabile un’estinzione di tale soggetto giuridico a seguito della cessazione dell’attività d’impresa.
Tale statuizione, a parere dell’appellante, non considerava che l ‘ art. 2560 c.c. era destinato a trovare applicazione per i debiti in sé soli considerati e non anche quando, viceversa, essi si ricollegavano a posizioni contrattuali nelle quali il cessionario, come nella specie, era subentrato a norma del precedente art. 2558 c.c..
Era innegabile che al momento della conferimento di azienda le palazzine previste nel contratto di associazione in partecipazione non erano ancora state realizzate ed al momento del conferimento non esisteva nessun debito, sia per sorta capitale che per utili, nei confronti della ma, semmai, esistevano i soli e semplici rapporti obbligatori dovuti alla natura del contratto in partecipazione.
con il secondo motivo gli appellanti censurano sotto molteplici profili i capi condannatori della pronuncia, deducendo in particolare ed in sintesi che il Giudice di prime cure, facendo proprie le conclusioni del CTU non aveva considerato che, nella specie, era stata stipulato un contratto di associazione in partecipazione per il compimento di un solo affare (la realizzazione e vendita del fabbricato in Trani previsto in contratto) con la partecipazione da parte della al capitale e all’affare nella misura percentuale del 50%.
L’associata, oltre al contributo non ripetibile di € 85.000,00, a titolo di rimborso delle spese già anticipat e dall’associante, aveva inizialmente versato soltanto € 468.315,24.
In ragione della natura del contratto, il rendiconto dell’affare avrebbe potuto rendersi solo alla sua effettiva conclusione; vale a dire dopo che tutti gli alloggi erano stati realizzati e venduti. L ‘unico procedimento tecnicamente valido per determinare il capitale residuo e l’utile o la perdita eventualmente scaturita dall’affare, era quello di raffrontare lo stato patrimoniale iniziale, il conto economico dell’intero affare e lo stato patrimoniale finale, non essendo corretto ricorrere, a tal fine, al sistema contabile (costi, ricavi e rimanenze) previsto dal bilancio civilistico, così come era stato erroneamente fatto dal CTU, atteso che le rimanenze mentre nel sistema civilistico costituiscono componenti positivi di reddito (nonostante non siano proventi derivati dalle vendite), nel contratto di associazione in partecipazione esse individuano i costi sostenuti per l’affare in attesa di realizzo (vendita) e finché ciò non avviene nessun utile o perdita può essere determinata.
Peraltro, il Giudice di prime cure, pur avendo accertato il CTU, che per la realizzazione dell’affare erano stati sostenuti costi per €. 8.344.212,78 -a fronte dei quali la aveva corrisposto un contributo di soli €. 468.315,24 – mentre i ricavi realizzati erano stati di €. 7.388.011,98, aveva determinato il presunto utile riveniente dall’affare, escludendo dal computo dei suddetti costi alcuni importi, che invece avrebbero dovuto accludervisi, quali quello di € 521.830,47 , versato al per l’acquisto del suolo relativo ai lotti D5 e D6, anche se il contratto non era mai stato stipulato, il valore degli immobili ultimati ma non ancora venduti e l’anticipazione bancaria di € 2.000.000 che la aveva richiesto per far fronte ai lavori.
con il terzo motivo , si censura il capo della sentenza che aveva disatteso l’eccezione di nullità dell’ATP espletato ante causam , in quanto di esso si era tenuto conto ai fini della decisione sebbene il nominato ausiliare si fosse addentrato nella soluzione di questioni giuridiche rimesse alla esclusiva valutazione del Giudice previa necessaria acquisizione di tutte le risultanze probatorie che le parti avrebbero potuto allegare solo nel corso del giudizio di merito.
Con il quarto motivo si lamenta il rigetto della domanda riconvenzionale spiegata dalla disposto dal Tribunale senza motivazione alcuna.
Al contrario, la domanda andava accolta, atteso che, nello svolgimento del rapporto contrattuale, era stata proprio la società attrice a rendersi inadempiente per aver omesso di versare la quota a suo carico delle spese necessarie alla realizzazione dell’affare, così costringendo l’associante a ricorrere ad un mutuo fondiario per € 2.000.000.
Né poteva imputarsi ad essa appellante la mancata osservanza dell’obbligo di rendicontazione periodica atteso che ella aveva sempre consentito alla di consultare la documentazione contabile presso i propri uffici, non essendo tenuta a trasmettergliela. La inizialmente, aveva seguito l’andamento delle attività, ma dopo un po’ di tempo se ne era completamente disinteressata.
L’appellata, costituitasi ritualmente con comparsa depositata il 31.03.2021 ha contestato estensivamente il gravame, chiedendone il rigetto con condanna degli appellanti alla rifusione delle spese di giudizio ed anche ex art. 96 c.p.c. per aver agito in malafede.
Disattesa con ordinanza del 23/03/2021 l’istanza di inibitoria , con successiva ordinanza del 10/06/202 2, resa all’esito all’udienza tenutasi in pari data, è stata disposta l’interruzione del processo, avendo il difensore delle parti appellanti dichiarato , con note scritte depositate il 01/06/2022, l’intervenuto fallimento della disposto dal Tribunale di Trani con sentenza n. 21/2021, pronunciata in data 30/04/2021 e pubblicata il 07/05/2021.
Il Giudizio è stato quindi riassunto da , in proprio, con ricorso depositato il 05.07.2022.
La Curatela del fallimento, nonostante rituale notifica del ricorso in riassunzione e del provvedimento di fissazione udienza, non si è costituita in giudizio.
Quindi, acquisita la documentazione in atti, all’udienza collegiale del 3 marzo 2023, la causa, sulle conclusioni di cui in epigrafe, è stata introitata a sentenza con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c..
=Motivi della decisione=
Preliminarmente, va dichiarata la contumacia della curatela del fallimento della la quale, sebbene le sia stato ritualmente notificato l’atto di riassunzione del giudizio, non si è costituita.
Sempre in via preliminare , va disattesa l’eccezione di estinzione del processo sollevata dalla sul presupposto che in quanto legale rappresentante della aveva avuto conoscenza dell’avvenuto fallimento sin dal momento in cui lo stesso era stato dichiarato dal Tribunale di Trani, per cui la successiva riassunzione del giudizio a distanza di oltre un anno doveva considerarsi tardiva. Tanto, in virtù del principio di enunciato dalle S.U. della Suprema Corte, sec ondo cui ‘ In caso di apertura del fallimento, l’interruzione del processo è automatica ai sensi dell’art. 43, comma 3, l. fall., ma il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione, per evitare gli effetti di estinzione di cui all’art. 305 c.p.c. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ai sensi degli artt. 52 e 93 l. fall. per le domande di credito, decorre dal momento in cui la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte; tale dichiarazione, qualora non già conosciuta in ragione della sua pronuncia in udienza ai sensi dell’art. 176, comma 2, c.p.c., va notificata alle parti o al curatore da uno degli interessati o comunque comunicata dall’ufficio giudiziario ‘ (Cass. S.U., 07/05/2021, n. 12154).
Il principio, unanimemente condiviso dalla giurisprudenza successiva (cfr. tra le più recenti, Cass. 05/01/2024, n. 322; Cass. 04/07/2024, n. 18285 e Cass. 08/07/2024, n. 18580) è stato altresì recepito dal legislatore che, nel riformare le procedure concorsuali, ha previsto all’art. 143 , comma 3, D.Lgs. n. 14 del 2019 (codice della crisi dell’impresa) che ‘ L’apertura della liquidazione giudiziale determina l’interruzione del processo. Il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l’interruzione viene dichiarata dal giudice ‘.
Nel caso di specie -esclusa la ricorrenza di una delle ipotesi di improcedibilità previste dall’art. 52 e 93 L.F. per le domande di credito (atteso che al momento in cui venne dichiarato il fallimento era già pendente il procedimento di appello, promosso anche dalla società poi fallita, avverso la sentenza che aveva accertato il credito vantato nei suoi confronti dall’originaria attrice) – ai fini della decorrenza del termine trimestrale per la riassunzione del giudizio interrotto e/o per la sua prosecuzione, rileva, quale dies a quo, il momento in cui la dichiarazione giudiziale dell’interruzione sia portata a conoscenza di ciascuna parte; tale dichiarazione, qualora non già conosciuta in ragione della sua pronuncia in udienza ai sensi dell’art.176, comma 2, cod. proc. civ., va notificata alle parti o al curatore da uno degli interessati o comunque comunicata dall’ufficio giudiziario.
Nel caso di specie, l’interruzione del processo è stata dichiarata all’udienza 10/06/2022, per cui è da tale data che va calcolata l’osservanza del termine trimestrale per la riassunzione della causa, non rilevando la circostanza che taluna delle parti (nella specie e la avesse in precedenza acquisito aliunde la conoscenza dell’evento interruttivo.
La riassunzione, ad istanza di è avvenuta con ricorso del 05/07/2022 , con ciò impedendo l’estinzione del processo .
Va peraltro soggiunto che nel caso in esame, caratterizzato dalla pluralità delle parti in causa, l’evento interruttivo del processo relativo ad una di esse avrebbe avuto portata limitata a quest’ultima e non si sarebbe comunque esteso all’intera vicenda processuale, per cui e l ‘eventuale tardività dell’istanza di riassunzione avrebbe potuto interessare solo il rapporto processuale relativo alla detta parte.
Passando, quindi, al l’esame del merito del gravame, ritiene la Corte, melius re perpensa rispetto a quanto sommariamente delibato in sede di esame dell’istanza di inibitoria, che sia fondato il primo motivo con il quale in proprio, deduce l’erroneità dell’impugnata sentenza per aver disatteso l’eccezione del proprio difetto di legittimazione passiva (o, più correttamente, dell’infondatezza della domanda proposta nei suoi confronti a titolo personale).
Il Giudice di prime cure ha adottato la decisione assunta sul punto ritenendo applicabile, nella specie, il di sposto di cui all’art. 2560 c.c., in forza del quale, il
conferimento della ‘ ‘ nella società pur comportando il trasferimento in capo a quest’ultima di tutti i rapporti attivi e passivi inerenti all’azienda ceduta, non av rebbe comportato anche la liberazione del persona fisica, dalla diretta responsabilità per i rapporti pregressi. Oltretutto, trattandosi di ditta individuale, non vi era alcuna distinzione di soggettività giuridica con il suo titolare e non era pertanto neppure ipotizzabile un’estinzione di tale soggetto giuridico a seguito della cessazione dell’attività d’impresa .
È opinione della Corte che siffatta statuizione non sia giuridicamente corretta.
Risulta dalla documentazione in atti che con contratto di associazione in partecipazione con apporto di capitale stipulato in data 07/04/2011 ai sensi dell’art. 2549 c.c., l’impresa edile individuale (Associante) in persona del suo unico titolare, il prefato quale impresa capogruppo dell’RAGIONE_SOCIALE e soggetto attuatore, associ ò con apporti di somme di danaro, la società (RAGIONE_SOCIALE) in persona dell’amministratore unico sig. , p er la realizzazione del Contratto di Quartiere INDIRIZZO ‘ giusta convenzione stipulata con il Comune di Trani il 22/02/2010.
Gli utili, come risultanti da rendiconto, sarebbero stati divisi al 50% (art. 1), mentre le perdite al 50% ma con il limite massimo corrispondente agli apporti in denaro effettuato (art. 7). In ogni caso la avrebbe avuto facoltà di richiedere la restituzione parziale degli apporti qualora la disponibilità finanziaria lo avesse consentito (art. 9).
La avrebbe corrisposto all’Associante il 50% delle somme necessarie all’avanzamento dei lavori dell’intervento costruttivo (art. 2) .
La gestione e l’organizzazione dell’Impresa sarebbe spettata in modo esclusivo al l’associante , ma le parti convennero che tutti gli incassi e tutti i pagamenti avrebbero dovuto essere portati a conoscenza dell’associata e sottoscritti dalla stessa per presa visione (art. 5).
Fu previsto che la tutte le volte che lo avesse ritenuto opportuno avrebbe potuto avere notizie sull’andamento dell’attività e di ricevere ogni tre mesi il rendiconto della gestione da parte dell’Associante (che avrebbe dovuto tenere a disposizione dell’associata e del proprio consulente tutta la documentazione (art. 8).
Addivenendosi alla cessazione del contratto contestualmente al trasferimento dell’ultima unità immobiliare (art. 4) le parti avrebbero dovuto redigere rendiconto finale.
È altresì incontestato che a distanza di poco più di un anno dalla stipula del contratto, in data 06.11.2012, conferì la propria impresa individuale
nella neocostituita (cfr. visure storiche camerali in atti) la quale, in tale veste, subentrò nella conduzione del cantiere e, quindi, dell’affare oggetto del contatto di associazione in partecipazione.
Ebbene, è opinione largamente condivisa in giurisprudenza che in tema di cessione di azienda, il regime fissato dall’art. 2560 con riferimento ai debiti relativi all’azienda ceduta (secondo cui dei debiti anteriori alla cessione risponde oltre l’alienante anche l’acquirente dell’azienda allorché essi risultino dai libri contabili obbligatori) è destinato a trovare applicazione quando si tratti di debiti in sé soli considerati e non anche quando, viceversa, essi si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite, in cui il cessionario sia subentrato a norma del precedente art. 2558 c.c., inserendosi la responsabilità, in tal caso, nell’ambito della più generale sorte del contratto (purché, beninteso, non già del tutto esaurito), anche se in fase contenziosa al tempo della cessione dell’azienda (Cass. n. 11318 del 2004 e, tra le ultime, Cass. 22/11/2023, n. 32487).
In base all’enunciato principio, è palese che, essendo ancora in corso il contratto alla data del conferimento dell’azienda nell’ambito della quale era stato stipulato, esso si è trasferito alla conferitaria ai sensi dell’art. 2558 c.c. per cui i debiti da esso rivenienti fuoriescono dal regime dell’art. 2560 c.c. per ciò solo e fanno capo esclusivamente alla
Dispone, infatti, l’art. 2558 c.c. (“Successione nei contratti”) che ” se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale ” (1° comma); ” il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante ” (2° comma); ” le stesse disposizioni si applicano anche nei confronti dell’usufruttuario e dell’affittuario per la durata dell’usufrutto e dell’affitto ” (3° comma).
Nel caso di specie è escluso che trattasi di contratto avente carattere personale, qualificandosi il contratto di associazione in partecipazione per il carattere sinallagmatico fra l’attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota degli utili derivanti dalla gestione di una sua impresa o di un suo affare all’altro (associato) e l’apporto, da quest’ultimo conferito, che può essere di qualsiasi natura, purché avente carattere strumentale per l’esercizio di quell’impresa o per lo svolgimento di quell’affare. Né era previsto in contratto il divieto di cessione e nemmeno risulta che l’associato abbia esercitato il recesso dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento.
È poi opinione largamente condivisa che le norme contenute nel 1° e 3° comma dell’art. 2558 c.c. possano trovare applicazione, in virtù di un’interpretazione estensiva, non
soltanto nelle ipotesi, da esse espressamente previste, dell’alienazione, dell’usufrutto e dell’affitto dell’azienda, ma anche negli altri casi nei quali ricorra un trasferimento dell’azienda, cioè la sostituzione, in forza di un fatto giuridico idoneo a produrla, di un imprenditore a un altro nell’esercizio dell’impresa; fattispecie, questa, ricorrente anche nell’ipotesi di conferimento di un’azienda individuale ad una società, sia essa di persone o di capitali, verificandosi, anche in siffatta ipotesi, un fenomeno traslativo soggetto alla disciplina dell’art. 2558 ss. c.c., consistente nella cessione dell’azienda del conferente in favore del soggetto cui viene conferita , nell’ambito della quale il cedente acquista la qualità di socio della società conferitaria, ma continua a rispondere dei debiti contratti anteriormente solo ove ricorrano i presupposti previsti dall’art. 2560 c.c.; vale a dire, debiti consolidatisi già anteriormente al conferimento (cfr. Cass. 28/09/2004, n.19454; Cass. 29/09/2006, n.21229; Cass. 6/09/2019, n. 24101).
Nel caso di specie, come già rilevato, al momento del conferimento, il contratto oggetto di causa era ancora in corso, essendo ancora in fase di esecuzione i lavori di edificazione del complesso residenziale oggetto dello stesso e non ancora ultimate le vendite degli alloggi realizzati (cfr. relazioni di ATP e CTU, in atti). A quell’epoca, quindi, nessun debito si era già consolidato a carico del conferente, nemmeno sotto il profilo risarcitorio per inadempimento agli obblighi informativi e di rendiconto periodico previsti in contratto, anch’essi insorti in epoca successiv a al conferimento. Peraltro, la sentenza impugnata ha rigettato la domanda risarcitoria al riguardo proposta dalla che non ha proposto gravame avverso detta statuizione.
Nemmeno è condivisibile l’ulteriore assunto contenuto in sentenza secondo cui , trattandosi di ditta individuale, non vi era alcuna distinzione di soggettività giuridica con il suo titolare e non era pertanto neppure ipotizzabile un’estinzione di tale soggetto giuridico a seguito della cessazione dell’attività d’impresa .
Nel caso di specie, infatti, si discute non della estinzione del soggetto giuridico che ebbe a stipulare il contratto (situazione questa che si verifica in caso di trasformazione di una società da un tipo in un altro con gli effetti di cui all’art. 2498 c.c. ) bensì degli effetti sui rapporti pregressi rivenienti dalla costituzione di una società con conferimento di azienda già destinata all’esercizio di impresa individuale, la quale, come già sopra ricordato, da luogo ad un fenomeno traslativo soggetto alla disciplina di cui agli artt. 2558 e ss. c.c. che non indice sulla soggettività giuridica del conferente bensì sull’oggetto (la sua impresa individuale) del conferimento e dei rapporti giuridici ad essa inerenti.
In definitiva, per le ragioni esposte, in accoglimento del primo motivo di appello ed in riforma dell’impugnata sentenza, deve rigettarsi la domanda proposta dalla nei confronti di , in proprio.
La superiore statuizione comporta l’assorbimento degli ulteriori motivi di gravame proposti dal suddetto appellante, non avendo egli più interesse alla pronuncia sul merito degli stessi, mentre riguardo all’impugnazione originariamente proposta dalla la stessa va dichiarata improcedibile non essendosi la curatela del suo fallimento costituita per proseguirla.
Invero, successivamente alla riassunzione del giudizio, la con le note di trattazione scritta depositate il 25.11.2022 ha dedotto di aver presentato istanza di ammissione al passivo del fallimento della così ottemperando al disposto di cui all’art. 96 comma 2, n. 3) L.F., applicabile ratione temporis , a norma del quale sono ammessi al passivo con riserva i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunziata prima della dichiarazione di fallimento.
L’ultimo periodo della disposizione soggiunge che in tale ipotesi i l curatore può proporre o proseguire il giudizio di impugnazione.
E’ ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’indirizzo in base al quale, in tema di ammissione al passivo del fallimento, in ragione della L.F., art. 96, comma 2, n. 3), contenente una deroga al principio generale fissato dall ‘art. 52 della stessa legge ed alla vis attractiva della procedura concorsuale, il curatore è onerato di proporre o proseguire il giudizio di impugnazione avverso la sentenza pronunziata prima della dichiarazione di fallimento e non ancora passata in giudicato, che accerti l’esistenza di un credito nei confronti del fallito. Sicché, qualora l’onere sia disatteso e sulla sentenza in parola maturi il giudicato, il credito va ammesso al passivo senza alcuna riserva (v. Cass. n. 2949 del 2021).
Ne discende che, in applicazione del richiamato art. 96, comma 2, n. 3) L.F., per l’ipotesi in cui un credito sia stato già accertato con sentenza del giudice non passata in giudicato, pronunciata prima della dichiarazione di fallimento, il curatore può proporre o proseguire il giudizio di impugnazione e tale ultima iniziativa, ove il giudizio di impugnazione sia stato già promosso dal fallito quando era in bonis , ne esclude l’impro cedibilità (cfr. Cass. 30/05/2019, n. 14768 e Cass. 13/10/2022, n. 29934).
Questa, invece, ha luogo nell’ipotesi in cui, come nella specie, la curatela del fallimento non si costituisca in luogo del fallito che, quando era in bonis, aveva impugnato la sentenza di accertamento del credito nei suoi confronti.
La curatela del alla quale il ricorso in riassunzione è stato ritualmente notificato, non si è costituita in giudizio per proseguirlo onde coltivare l’impugnazione originariamente proposta dal fallito in bonis . Tanto comporta, in base ai richiamati principi, l’improcedibilità dell’appello ed il passaggio in giudicato della sentenza di condanna emessa in prime cure e la sua opponibilità al fallimento.
In definitiva, per le ragioni esposte, va accolto l’appello proposto da , rigettandosi la domanda attorea originariamente proposta nei suoi confronti, mentre va dichiarato improcedibile l’appello proposto dalla per non essere stato proseguito dalla curatela del suo fallimento.
L’accoglimento del g ravame, comportando la riforma del decisum, impone, ai sensi dell’art. 336 c.p.c., una nuova regolazione delle spese del doppio grado di giudizio, che, riguardo al rapporto processuale tra la e
tenuto conto dell’esito complessivo della causa ( favorevole a quest’ultimo ) devono far carico sulla prima, nella misura liquidata in dispositivo a mente del 55/2014 e s.m., escluso il rimborso del contributo unificato versato per l’appello non essendone scindibile il pagamento rispetto alla contestuale impugnazione proposta dalla
mentre riguardo al rapporto processuale tra la e la fallita in corso di causa, l’improcedibilità dell’appello in ragione della mancata costituzione del fallimento ne giustifica l’integrale compensazione tra le suddette parti.
dovrà, altresì, essere tenuto indenne dalle spese delle ctu esplate in sede di ATP e nel corso del giudizio di prime cure, le quali, come già ivi statuito, dovranno solidalmente far carico in ragione del 50% ciascuno sulla
e sulla
P.Q.M.
la Corte d’Appello, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da in proprio, e dalla (fallita in corso di causa senza che la curatela del suo fallimento si sia costituita per coltivare l’appello, rimanendo contumace) nei confronti della in persona del suo legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 1896/2020, resa dal Tribunale di Trani il 27.11.2020, pubblicata il 01.12.2020, disattesa ogni diversa domanda, eccezione e deduzione, così provvede:
dichiara la contumacia della curatela del fallimento della
2)accoglie l’appello proposto da in proprio e, per l’effetto, in parziale riforma dell’impugnata pronuncia, rigetta le domande proposte nei suoi confronti dalla
2)dichiara improcedibile l’appello proposto dalla
condanna la a rifondere a le spese di entrambi i gradi del giudizio e dell’ATP espletato ante causam , che liquida, per compensi, in € 4.000,00 quanto al procedimento di ATP, in € 18.000,00, quanto al giudizio di primo grado, ed in € 15.000,00 quanto al giudizio di secondo grado, oltre al rimborso delle spese generali in misura del 15% sui compensi liquidati, cap ed iva, come e se per legge dovuta;
4) compensa integralmente le spese di giudizio tra la e la curatela del fallimento della 5)- pone definitivamente e solidalmente a carico della e della le spese per le CCTTUU espletata in prime cure e nel corso dell’ATP; Così deciso nella camera di consiglio della seconda sezione civile, in videoconferenza, in data 17 dicembre 2024
Il Presidente dott. NOME COGNOME
Il G.A. estensore
avv. NOME COGNOME