Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27770 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27770 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 08947/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, nel cui studio in INDIRIZZO IrpinoINDIRIZZO, è elettivamente domiciliata;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa, unitamente e disgiuntamente, dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4025/2019, emessa dalla Corte d’Appello di Napoli, depositata il 24/7/2019 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
18/9/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
FATTI DI CAUSA
1. La RAGIONE_SOCIALE, poi RAGIONE_SOCIALE, premesso di aver acquistato con atto pubblico del 4/6/2008 l’azienda commerciale denominata ‘RAGIONE_SOCIALE‘ per il corrispettivo di euro 60.000,00, di cui euro 9.950,00 già versati e quietanzati ed euro 50.050,00 rateizzati, citò in giudizio la cedente onde ottenere la risoluzione del contratto per grave inadempimento della stessa, in quanto l’azienda ceduta non era in regola con le vigenti normative riguardo all’immissioni di fumi, sia perché non dotata di canna fumaria indipendente, prolungata per almeno 1 mt. al di sopra del tetto o terrazza, sia perché non in regola con le relative autorizzazioni, e chiedendo anche il risarcimento dei danni.
RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME si costituì tardivamente in giudizio, eccependo la nullità della notifica e chiedendo la remissione in termini e, nel merito, il rigetto della domanda.
Con sentenza n. 1412/2014, pubblicata il 5/6/2014, il Tribunale, ritenuto provato il grave inadempimento della cedente, che all’art. 7 del rogito, aveva dichiarato l’inesistenza di pendenze a suo carico per violazioni amministrative e fiscali, accolse la domanda, dichiarò risolto il contratto per l’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE e la condannò al pagamento della somma di euro 101.877,00 a titolo di risarcimento del danno, oltre interessi locali dalla domanda al soddisfo.
Con atto del 19/1/2015, la RAGIONE_SOCIALE propose gravame avverso la suddetta sentenza davanti alla Corte d’Appello di Napoli, che, nella resistenza della RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE di
NOME COGNOME, emise la sentenza n. 4025/2019, pubblicata il 24/7/2019, con la quale accolse in parte l’appello e, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, rideterminò la misura del risarcimento del danno in euro 51.064,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, mentre rigettò la censura relativa alla risoluzione del contratto per inadempimento, ritenendo rilevanti le irregolarità della canna fumaria e sostenendo che i sopralluoghi effettuati dai tecnici dell’acquirente non escludessero la responsabilità dell’alienante, non essendo provato che questi avessero avuto ad oggetto anche la regolarità della canna fumaria; che mancava la prova della verifica sulla canna fumaria da parte dell’acquirente; che, in ogni caso, tale informazione, in virtù del dovere di buona fede, avrebbe dovuto essere fornita dal venditore; che la presenza delle autorizzazioni amministrative non dimostrasse la verifica, da parte dell’Amministrazione, della regolarità della canna fumaria; che i lavori straordinari svolti dall’acquirente, con possibilità di adeguamento della canna fumaria, non attenuassero la responsabilità del venditore e che nessuna domanda di riduzione del prezzo fosse stata proposta con conseguente insussistenza del vizio di omessa pronuncia sul punto. La Corte d’Appello ritenne fondata, invece, la censura relativa al risarcimento del danno da lucro cessante.
Avverso detta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME, affidandolo a cinque motivi. RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Col primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2555, 1453 e 1455 cod. civ., in relazione
all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto sussistente il grave inadempimento e, dunque, il presupposto per la risoluzione del contratto, stante le irregolarità accertate della canna fumaria presente nel locale, citando al riguardo il precedente affermato da questa Corte con la sentenza n. 11130 del 2006, senza considerare che, nella fattispecie ivi analizzata, l’azienda ceduta non era stata in grado di svolgere l’attività di cottura dei cibi, mentre nella presente causa l’azienda ceduta aveva regolarmente lavorato per tutto il periodo estivo, con la conseguenza che l’inadempimento non poteva dirsi così grave da determinare la risoluzione, considerato il complessivo assetto negoziale. Inoltre, la Corte d’Appello non aveva tenuto in debita considerazione il fatto che l’acquirente, svolgendo lavori di ristrutturazione del locale, avesse modificato il vecchio impianto di aspirazione dei fumi con un impianto di depurazione dei fumi.
1.2 Il primo motivo è infondato.
Come riportato nella sentenza impugnata, i giudici di merito, premesso che la cessione aveva avuto ad oggetto un’azienda commerciale denominata ‘RAGIONE_SOCIALE‘ -, svolgente l’attività di ristorazione, e che la cedente aveva omesso di rendere nota la conformità a norma della canna fumaria in dotazione, siccome irrispettosa delle altezze necessarie, rendendosi così inadempiente, hanno ulteriormente considerato che la presentazione o meno di rimostranze per l’immissione di fumi non consentisse di escludere l’irregolarità di tale manufatto, che il sopralluogo effettuato dai tecnici incaricati dalla cessionaria non risultava avesse avuto di mira anche l’accertamento di tale circostanza né escludesse l’omessa comunicazione sul punto da parte della cedente e che nessuna rilevanza avesse la dotazione dell’azienda circa le necessarie autorizzazioni per la somministrazione di alimenti e bevande, in quanto non era provato
che esse presupponessero la regolarità della canna fumaria, né che l’acquirente avesse svolto lavori di manutenzione straordinaria dell’immobile detenuto in locazione dall’azienda, siccome circostanza inidonea ad attenuare la responsabilità del ricorrente.
I giudici hanno quindi richiamato quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 11130 del 15/5/2006, che, occupandosi della rilevanza della canna fumaria nell’ambito dell’attività di commercio alimentare ai fini della valutazione della gravità dell’inadempimento, ha affermato come l’oggetto del negozio non potesse che essere il complesso di beni organizzati per l’esercizio di quell’impresa, da identificarsi mediante la specificazione del tipo di attività svolta e dei locali in cui la stessa era esercitata, trattandosi di indicazioni idonee a comprendere tutti i beni presenti in detti locali e destinati allo svolgimento dell’attività, che, ‘nel quadro della chiesta risoluzione del contratto per inadempimento’, rilevava ‘l’individuazione dell’attività oggetto della cessione d’azienda in relazione a quanto effettivamente pattuito fra le parti’ e che correttamente i giudici di merito avevano rilevato l’esistenza del vizio della insussistenza delle qualità essenziali promesse ed essenziali all’uso cui l’azienda era destinata, ai sensi dell’art. 1497 cod. civ., non essendo stata consentita alla cessionaria l’attività di cottura dei cibi, sulla base delle disposizioni regolamentari già vigenti al momento di conclusione del contratto a causa della mancanza dell’impianto di smaltimento di fumi e odori.
La fattispecie analizzata in quella pronuncia, nella quale la totale mancanza di un impianto di smaltimento di fumi e odori aveva inibito alla cessionaria l’esercizio dell’attività d’impresa sulla base delle disposizioni regolamentari vigenti al momento della conclusione del contratto, non si discosta, quanto alla rilevanza della canna fumaria in un locale destinato alla cottura di cibi, da quella in esame.
Infatti, l’esistenza di una canna fumaria priva dei requisiti di legge per poter espletare la sua funzione, non esclude, al pari dei casi in cui questa sia del tutto assente, la sussistenza di un vizio sulle qualità essenziali del bene compravenduto idoneo a costituire grave inadempimento, rilevando all’uopo l’oggetto dell’attività commerciale da svolgersi nel locale, che sarebbe inibita o resa economicamente più onerosa per l’acquirente, oltre a ritardare l’avvio dell’attività, in quanto gli imporrebbe lo svolgimento di lavori idonei al conseguimento delle necessarie autorizzazioni amministrative.
In caso di contratto di cessione d’azienda, infatti, al fine di stabilire se il cedente sia inadempiente, occorre verificare se, al momento della conclusione del contratto, sussistano tutte le condizioni per svolgere l’attività commerciale alla quale è preordinato l’insieme dei beni organizzati in azienda e, dunque, se i locali siano idonei allo svolgimento dell’attività inerente all’azienda ceduta, costituendo presupposto per l’esercizio di tale attività la possibilità per il cessionario di ottenere dal Comune l’intestazione della licenza, senza che assuma carattere di decisività il riferimento all’effettivo esercizio dell’attività da parte del cedente prima e della cessionaria dopo la conclusione del contratto, atteso che il conseguimento della licenza commerciale o, per meglio dire, le condizioni necessarie per ottenerla costituiscono un presupposto indefettibile per lo svolgimento dell’attività relativa all’azienda ceduta (Cass., Sez. 2, 20/6/2013, n. 15539), come nella specie la sussistenza di una canna fumaria in regola con le norme vigenti.
Né rileva, a questi fini, il principio, più volte affermato dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui l’assenza della canna fumaria non consente in sé alla pubblica amministrazione di ordinare la cessazione dell’attività di ristorazione con cottura dei cibi , dovendosi prima verificare la possibilità di utilizzare sistemi
alternativi di captazione e abbattimento dei fumi previsti dalla normativa regolamentare ( Consiglio di Stato sentenza n. 523 del 2019; id sentenza n. 524 del 2019; id sentenza n. 2712 del 2019), giacché questo è rivolto alla pubblica amministrazione, mentre in questo caso il vizio viene ad intaccare l’esecuzione del programma contrattuale, anche solo determinando un ritardo nell’avvio dell’attività.
Deriva da quanto detto l’infondatezza della censura.
2. Col secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2555, 1455 e 1490 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto che l’inadempimento consistesse nell’avere taciuto all’acquirente che l’azienda ceduta non era dotata di canna fumaria a norma di legge; che fossero irrilevanti sia la presentazione o meno di rimostranze per l’immissione di fumi, stante la permanenza della irregolarità della canna fumaria, sia la visione del locale da parte di tecnici incaricati dall’acquirente prima della stipula del contratto di vendita, stante la mancata dimostrazione che i sopralluoghi avessero avuto ad oggetto la verifica sulla canna fumaria; che non fosse stato dimostrato un sopralluogo da parte dell’acquirente; che, in ogni caso, il venditore avrebbe dovuto informare l’acquirente del relativo problema e che fossero irrilevanti i lavori di ristrutturazione compiuti sul locale dall’acquirente. Ad avviso della ricorrente, i giudici avevano errato nel ritenere che l’irregolarità della canna fosse motivo di risoluzione del contratto, in quanto non avevano considerato che tale manufatto era presente nell’attività gestita dai ricorrenti, che l’acquirente, coi lavori di ristrutturazione, aveva modificato lo stato dei luoghi e che le irregolarità riscontrate avrebbero potuto al più ridurre il valore dell’azienda, ma non determinare la risoluzione del contratto.
Col terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2556 e 1495 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché le irregolarità relative al locale in cui viene esercitata l’attività dell’azienda oggetto di cessione sono rilevanti, ai fini dell’inadempimento delle obbligazioni da essa discendenti, solo in caso di mancanza di un elemento essenziale, mentre le irregolarità della canna fumaria non potevano definirsi ‘vizio occulto’, sia perché, durante le trattative, le parti acquirenti avevano potuto valutare la legittimità dei locali personalmente e per il tramite di personale tecnico incaricato; sia perché gli acquirenti erano consapevoli della necessità di svolgere nel locale lavori di ristrutturazione, tant’è che la denuncia di inizio di attività era stata da essi presentata pochi giorni dopo l’acquisto; sia perché pochi giorni prima del rogito erano state consegnate all’acquirente le chiavi del locale. Inoltre, l’acquirente era un imprenditore commerciale, sicché aveva chiara cognizione delle attrezzature necessarie per lo svolgimento dell’attività di ristorazione, con conseguente esclusione dell’occultamento della circostanza da parte dell’alienante, mentre l’azienda era dotata di tutte le autorizzazioni amministrative, comprese quelle della RAGIONE_SOCIALE, che non avrebbe rilasciato la propria in caso di violazione dei regolamenti in materia di fumi ed esalazioni prodotti dalla cucina. Infine, l’azione era soggetta alla decadenza e alla prescrizione ex art. 1495 cod. civ., mentre l’acquirente non aveva tempestivamente denunciato al venditore le citate irregolarità entro otto giorni dalla relativa scoperta.
Col quarto motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1493 e 1458 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché la domanda di risoluzione -l’unica avanzata dall’acquirente non avrebbe potuto essere accolta, non potendosi eseguire i conseguenti obblighi di
restituzione, atteso che il cessionario aveva smantellato interamente l’attività e che non vi era stata alcuna restituzione dell’azienda smantellata e depauperata e non restituita al cedente per fatto proprio del cessionario.
5. Col quinto motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2556 e 1460 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché l’acquirente, avendo provveduto, in sede di ristrutturazione del locale, a sostituire la vecchia cappa di aspirazione fumi con un impianto di depurazione fumi, apportando in tal modo importanti modifiche al precedente impianto, non avrebbe potuto invocare il grave inadempimento contrattuale, che era stato artificiosamente prospettato solo quando erano state avanzate le richieste di pagamento del prezzo e al solo fine di ricavare un profitto dato dalla richiesta risarcitoria, in contrasto col principio secondo cui l’eccezione di inadempimento è ammessa se il rifiuto di adempiere non è contrario a buona fede. Ciò avrebbe imposto al giudice di verificare i reciproci inadempimenti, secondo una valutazione comparativa che tenesse conto della loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e della loro incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sui rispettivi interessi.
Il secondo, terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, da trattare congiuntamente in ragione della stretta connessione, sono inammissibili.
Come si è detto nel precedente punto 1.2, i giudici di merito, oltre ad avere richiamato la sentenza di questa Corte n. 11130 del 15/5/2006, hanno ritenuto che la presentazione o meno di rimostranze per l’immissione di fumi non consentisse di escludere l’irregolarità della canna fumaria; che il sopralluogo effettuato dai tecnici incaricati dalla cessionaria non avesse avuto di mira anche
l’accertamento di tale circostanza, né escludesse l’omessa comunicazione sul punto da parte della cedente e che nessuna rilevanza avesse la dotazione dell’azienda delle necessarie autorizzazioni per la somministrazione di alimenti e bevande, in quanto non era provato che esse presupponessero la regolarità della canna fumaria, né che l’acquirente avesse svolto lavori di manutenzione straordinaria dell’immobile detenuto in locazione dall’azienda, siccome circostanza inidonea ad attenuare la responsabilità del ricorrente.
Orbene, le doglianze proposte con le censure non fanno altro che descrivere gli elementi che, a dire del ricorrente, avrebbero dovuto indurre i giudici a escludere la non riconoscibilità del vizio da parte dell’acquirente e la sua natura di vizio occulto, oltreché a imporre la verifica dei reciproci inadempimenti, e che, però, sono stati tutti presi in considerazione nella sentenza, sebbene con esiti non conformi alle pretese dello stesso.
E’ perciò evidente che le censure, ancorché prospettate in termini di violazione e/o falsa applicazione di legge, non rientrano affatto nella fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., essendo con esse allegata un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma, siccome inerente alla tipica valutazione del giudice di merito (cfr. Cass., Sez. 1, 14/01/2019, n. 640), e sollecitando, dunque, una nuova lettura della documentazione prodotta per addivenire ad un diverso apprezzamento della fattispecie concreta che si pone al di fuori del perimetro delimitante il sindacato del giudice di legittimità (Cass., Sez. 1, 27/3/2024, n. 8272; Cass., Sez. 3, 4/3/2022, n. 7187).
E’ infine inammissibile la questione descritta nel quarto motivo e afferente all’impossibilità di procedere alla restituzione delle reciproche prestazioni per avere l’acquirente modificato lo stato dei
luoghi, non essendo stata sindacata nella sentenza e non avendo il ricorrente chiarito in quale fase del procedimento e in quali atti l’avesse proposta.
7. In conclusione, dichiarata l’infondatezza dei motivi, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 18/9/2025.
IL Presidente NOME COGNOME