Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4260 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4260 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/02/2024
sul ricorso 11690/2022 proposto da:
COGNOME NOME, dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende e presso il cui studio in Salerno, INDIRIZZO è domiciliata;
-ricorrente –
contro
Fallimento RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE;
– intimati –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Legale Rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in RiomaINDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 2357/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/03/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/11/2023 da COGNOME NOME;
Ritenuto che
1.-La società RAGIONE_SOCIALE, poi fallita, ha acquistato in leasing, concesso da RAGIONE_SOCIALE leasing spa (già RAGIONE_SOCIALE), alcuni macchinari industriali. L’ obbligazione assunta di corrispondere il canone è stata garantita da NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.-RAGIONE_SOCIALE ha ottenuto decreto ingiuntivo nei confronti della debitrice principale (la RAGIONE_SOCIALE) e dei garanti, e ciò sia per il pagamento dei canoni insoluti, che per la restituzione dei beni.
2.1.A questo decreto ingiuntivo ha fatto seguito l’opposizione di entrambe le parti ingiunte, che hanno eccepito la nullità del contratto e la nullità degli interessi per superamento del tasso soglia.
2.2.- Nelle more è fallita RAGIONE_SOCIALE, ed il giudizio è stato interrotto.
3.L’opposizione è stata dunque accolta dal Tribunale di Roma, nei riguardi dei soli garanti, avendo il giudice di primo grado ritenuto come disconosciute le firme apposte dai fideiussori.
3.1.Nelle more dell’appello RAGIONE_SOCIALE, che era succeduta a RAGIONE_SOCIALE, ha ceduto il credito a RAGIONE_SOCIALE, che è succeduta nel giudizio. 3.2.- La Corte di appello di Roma, su impugnazione della società di leasing, cui ha fatto seguito appello incidentale dei garanti, ha annullato la decisione di primo grado, sul presupposto che la questione della sottoscrizione dei contratti non era stata posta in primo grado e dunque non poteva essere decisa, e, decidendo, nel merito, ha riconosciuto il credito della finanziaria nei confronti dei due garanti, salvo tuttavia a ridurne l’ammontare per via della usura riscontrata negli interessi moratori.
4.-Questa decisione è qui fatta oggetto di ricorso dalla sola NOME COGNOME, in proprio e quale erede di NOME COGNOME, nel frattempo deceduto, con sette motivi e memoria, di cui chiede il rigetto la società RAGIONE_SOCIALE con controricorso e memoria.
Considerato che
5.- Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione degli articoli 81, 111, 115 c.p.c.
Deduce di avere eccepito il difetto di legittimazione della RAGIONE_SOCIALE, non avendo la medesima dato prova di essere succeduta nella posizione del creditore.
Lamenta essere errata la ratio della decisione della Corte di Appello che, nell’ affrontare tale questione, ha ritenuto tardivamente proposta l’eccezione di difetto di legittimazione di RAGIONE_SOCIALE in quanto proposta per la prima volta in conclusionale.
Osserva al riguardo che il difetto di legittimazione è rilevabile d’ufficio ed in qualunque stato e grado del procedimento, giusta la giurisprudenza di questa Corte.
6.- Con il secondo motivo la ricorrente denunzia omesso esame di un fatto decisivo e controverso.
O sserva che la Corte avrebbe dovuto verificare, giusta la previsione dell’articolo 58 TUB se nel blocco dei crediti ceduti, e di cui si era data pubblicità in Gazzetta Ufficiale, vi fosse anche quello controverso, non potendo invece il giudice di appello presumere come provata la cessione anche di quest’ultimo.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto pongono una questione comune, sono inammissibili.
Va premesso il principio di diritto secondo cui <> (Cass. 17944/ 2023).
Da questo principio si deduce che l’accertamento del giudice di merito presuppone una contestazione della controparte, che verta naturalmente sulla prova, ossia sulla circostanza che che il credito controverso è da ritenersi compreso nel blocco di quelli ceduti, e, fermo restando, che l’accertamento del giudice di merito, volto ad appurare se il credito controverso è o meno
ricompreso nella cessione in blocco, è un accertamento di fatto, non censurabile in sede di legittimità (Cass. 4277/ 2023).
Ciò premesso, la Corte di Appello non ha ritenuto tardiva l’eccezione circa il difetto di legittimazione: statuizione che sarebbe stata errata, alla luce del principio di rilevabilità d’ufficio del difetto di legittimazione. La Corte di Appello ha invece ritenuto tardiva la contestazione della sufficienza della prova della cessione : ‘ deducono gli appellati che non è sufficiente ai fini della prova della legittimazione il deposito della gazzetta Ufficiale, posto che l art. 58 TUB chiede anche l’iscrizione della cessione presso il RAGIONE_SOCIALE delle Imprese e che non vi è prova della menzionata cessione in blocco, non avendo l’interveniente prodotto il relativo contratto ‘ (p. 8).
Ciò premesso, la Corte di appello osserva come questa contestazione, ossia la contestazione in ordine alla prova della avvenuta cessione del credito (deposito della Gazzetta Ufficiale) è tardiva, perché fatta solo con la conclusionale.
La Corte di Appello, infatti, non trascura la questione della legittimazione, che dunque è affrontata a prescindere dalla eccezione di parte, e non la trascura in quanto la ritiene provata dal deposito della Gazzetta Ufficiale, da cui risulta la cessione in blocco, e dunque ritiene precluso l’esame della legittimazione: ciò che i giudici di merito ritengono invece precluso è che si possa discutere della sufficienza di quella prova, ossia della circostanza che dalla cessione in blocco possa desumersi quella del singolo credito qui controverso, e ciò in quanto una tale questionequanto all’assolvimento dell’onere probatorio – avrebbe dovuto essere posta tempestivamente.
Come riportato innanzi, il principio di diritto è che la mera pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della cessione in blocco non è sufficiente a far presumere anche la cessione del credito controverso, ma occorre, per affermarlo, che il debitore ceduto abbia contestato questa prova, ossia abbia contestato che il credito ceduto è compreso nel blocco.
E’ questa contestazione che i giudici di merito hanno ritenuto tardiva in quanto effettuata con la conclusionale, e la decisione è su tale punto corretta, posto che la conclusionale è atto non idoneo a nuove allegazioni.
7.- Con il terzo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 117 t.u.b. e dell’art. 1421 c.c. nonché dell’art. 61 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2.
La questione è la seguente: la ricorrente assume di avere fatto valere la nullità delle fideiussioni in quanto contenenti la clausola di reviviscenza, ed in quanto dunque compilate in difformità dal modello predisposto dalla ABI, con la conseguenza che le pattuizioni in esse contenute violavano le norme anticoncorrenza.
Secondo una pacifica giurisprudenza, ritiene la ricorrente, la difformità del contratto di fideiussione rispetto alle indicazioni RAGIONE_SOCIALE, su quel punto, rende il contratto nullo e la nullità è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.
Il motivo è inammissibile.
Non coglie la ratio della decisione impugnata.
I giudici di appello non hanno negato che nullità può esservi nel contrasto tra le pattuizioni contrattuali e le indicazioni ABI, né hanno negato che la nullità sia rilevabile d’ufficio: hanno tuttavia osservato che, poiché la circolare ABI non è fonte di diritto, essa, quale prova della nullità del contratto singolo, deve essere depositata dalla parte nei termini di legge, non essendo soggetta alla regola iura novit curia .
Ed hanno altresì osservato che la ricorrente ha depositato la circolare ABI, dunque la prova della nullità del contratto, soltanto con le memorie conclusionali: circostanza che impedisce al giudice di merito di ritenere provata la nullità nei termini in cui è imposta che debba esserlo.
Questa ratio è conforme ai principi di diritto di questa Corte secondo cui:’ Le nullità negoziali che non siano state rilevate d’ufficio in primo grado sono suscettibili di tale rilievo in grado di appello o in cassazione, a condizione che i relativi fatti costitutivi siano stati ritualmente allegati dalle parti. ‘ (Cass. 2071 3/ 2023, proprio in un caso identico in cui la parte aveva tardivamente dedotto la conformità delle clausole contrattuali al modello TARGA_VEICOLO, e non aveva tempestivamente prodotto il predetto modello).
8.- Con il quarto motivo la ricorrente denunzia violazione dell’articolo 112 c.p.c.
Sostiene la ricorrente di avere posto al giudice di appello la questione della indeterminatezza del criterio di calcolo del canone, che, di fatto, si manifestava nella divergenza tra il tasso di interesse dichiarato e quello effettivamente applicato: ignorando tale prospettazione, la Corte di Appello avrebbe omesso di verificare l’effettiva applicazione di un tasso di interesse diverso da quello concordato e più sfavorevole per il cliente. Ciò, senza tenere conto che la nullità derivante da tale indetermina tezza dell’obbligazione è rilevabile di ufficio.
Assume la ricorrente di avere illustrato adeguatamente la questione dimostrando la divergenza tra il tasso pattuito e quello di fatto praticato.
Il motivo è infondato.
A prescindere dal fatto che la Corte di Appello ha ritenuto troppo generica l’allegazione su questo punto, ossia priva della indicazione degli elementi da cui desumere che di fatto è stato praticato un interesse diverso da quello pattuito.
A prescindere da ciò, la sentenza impugnata si fa carico della questione a pagina 11, dove richiama l’Allegato 1 in quanto atto che ‘regolamenta le regole contrattuali sulla variabilità dei canoni e della indicizzazione’, ne riproduce il contenuto e ne deduce che la clausola di determinazione degli interessi non era indeterminata, come eccepito dagli appellati, in particolare quanto alla regolamentazione della variazione del tasso.
Né ha rilievo che l’applicazione del regime di interessi composto ha comportato, secondo i calcoli della ricorrente, un ammontare degli interessi maggiore di quello che sarebbe stato applicando invece il regime semplice, posto che la questione è altra: se il regime effettivamente praticato è stato concordato, ossia se nel contratto è stato determinato quale regime dovesse applicarsi, e l’accertamento della Corte è che quel regime è stato chiaramente determinato (p. 10-11 della sentenza).
9.-Con il quinto motivo la ricorrente denunzia violazione dell’articolo 1815 c.c. Si è detto che la Corte di Appello ha comunque accertato la natura usuraia degli interessi di mora, e li ha ridotti nel termine di quelli legali.
La ricorrente contesta questa decisione, assumendo che, invece, se gli interessi superano il tasso soglia, alcun interesse è dovuto, dovendosi applicare agli
interessi moratori la regola della nullità della clausola senza sostituzione ad essa della regola legale.
Con la conseguenza che, nulla la clausola sugli interessi, questi non sono dovuti affatto, e non già nella misura legale.
Il motivo è infondato.
La stessa ricorrente prende atto del principio di diritto di questa Corte a Sezioni unite secondo cui <> (Cass. Sez. Un. 19597/ 2020), ma lo ritiene in contrasto con la sentenza n. 29 del 2002 della Corte Costituzionale.
L’argomento non ha pregio, tenuto conto del fatto che, a tacere di ogni altra considerazione, la Corte Costituzionale, in quella decisione, si limita a prospettare che anche gli interessi moratori devono rispettare il tasso soglia, ma non ne trae la conseguenza che, in caso contrario, alcun interesse è dovuto.
10.- Con il sesto motivo la ricorrente denunzia violazione dell’articolo 1384 c.c. Il contratto conteneva una clausola penale, quanto al riconoscimento di un risarcimento del danno al concedente, per l’uso ed il deterioramento della cosa.
La ricorrente aveva prospettato come manifestamente eccessivo il riconoscimento di un tale diritto al concedente, ed aveva chiesto che la misura di esso venisse ridotta ad equità.
La Corte di Appello ha osservato come la clausola prevedeva che, a fronte del diritto del concedente di avere corrisposti i canoni a scadere con accessori, v’era però riconosciuto il diritto del soggetto finanziato di avere per sé, una volta soddisfatto l’ interesse del creditore, il corrispettivo della vendita del bene: secondo i giudici di merito questa previsione, ossia il vantaggio per il concessionario di avere il corrispettivo della vendita, bilanciava la perdita consistente nel dovere corrispondere i canoni da scadere con accessori.
Con questo motivo, la ricorrente si duole della mancata riduzione ad equità, e sostiene che quel ragionamento è errato, e che l’apprezzamento della eccessiva onerosità della penale avrebbe dovuto essere diverso: in particolare si sarebbe
dovuto tener conto del fatto che, in astratto, quel meccanismo è oneroso per il concessionario, come statuito dalla giurisprudenza di questa Corte (e si cita Cass. 20840/ 2018).
Il motivo è infondato.
Intanto, è da osservare che <> (Cass. 23750/ 2018), ma a prescindere da ciò, la giurisprudenza citata dalla ricorrente, a dimostrazione che una pattuizione di quel genere è nulla, o che contiene una penale eccessiva, afferma in realtà una cosa diversa: che è manifestamente eccessiva la penale quando attribuisca al concedente, oltre che l’intero importo del finanziamento, anche la proprietà del bene (la citata Cass. 20840/ 2018).
Invece la clausola prevedeva il diritto del concedente all’intero importo del finanziamento, ma riconosceva, per contro, al concessionario il corrispettivo del prezzo di vendita del bene, che dunque non era a vantaggio del finanziatore.
11.- Con il settimo motivo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo.
Secondo la ricorrente, la Corte di Appello, dopo avere ritenuto, come si è detto al motivo precedente, che la previsione del diritto, a favore del finanziato, di avere il corrispettivo della vendita del bene, bilanciava il diritto del finanziatore ad avere l’intero importo del finanziamento, non ha però verificato in concreto se la vendita è effettivamente avvenuta o se potesse avvenire di fatto, posto che il finanziatore era diventato, per cessione del credito, un soggetto originario da quello diverso.
Il motivo è inammissibile.
L’omesso esame presuppone che un atto fosse emerso, se ne fosse discusso e che non sia stato tenuto in considerazione ai fini del decidere: dunque, nel caso che ci occupa, si sarebbe potuto discutere di omesso esame se fosse emerso che la vendita non era stata di fatto effettuata, e non avrebbe potuto mai esserlo, in e che di tale circostanza i giudici di merito non avessero tenuto conto.
Invece, con questo motivo di ricorso ci si duole non tanto di un omesso esame di un fatto emerso e non valutato, ma di un mancato accertamento di quel fatto, ossia della circostanza che la Corte , che d’ ufficio peraltro non poteva farlo, non abbia verificato -dunque con istruttoria- se il bene era stato di fatto venduto o se, data la successione nel credito, non avrebbe mai potuto esserlo (il perché non è chiaro): ci si duole, i n sostanza, non dell’omesso esame, ma di una incompleta istruttoria su una questione, peraltro non decisiva, della controversia, atteso che il diritto al corrispettivo non viene meno, e può essere esercitato qualora il bene sia venduto.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente società RAGIONE_SOCIALE, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 10.200, di cui euro 10.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente società RAGIONE_SOCIALE.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Roma 9.11.2023
Il Presidente