Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 34173 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 34173 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13193/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COMUNE DI CERESARA, in persona del Sindaco pro tempore , NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 509/2023 della Corte d’Appello di Brescia, depositata il 05/04/2023 e notificata in data 13/04/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/12/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Mantova, prima, con la sentenza n. 660/2021, e la Corte d’Appello di Brescia, poi, con la sentenza n. 509/2023, depositata il 05/04/2023 e notificata in data 13/04/2023, hanno ritenuto RAGIONE_SOCIALE priva di legittimazione attiva, ai sensi degli artt. 69 e 70 del R.D. 2240/1923, ad agire contro il Comune di Ceresara, quale titolare del credito cedutole da RAGIONE_SOCIALE a sua volta cessionaria del credito vantato da RAGIONE_SOCIALE per fornitura di energia elettrica, per ottenerne la condanna al pagamento nei suoi confronti di quanto dovuto.
Segnatamente, in entrambe le decisioni è stato affermato che la cessione del credito richiedeva l’accettazione espressa dell’ente locale, come previsto dall’art. 70 del R.D. 2240/1923.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione della pronuncia n. 509/2023 della Corte d’Appello di Brescia, fondato su un solo articolato motivo, corredato di memoria.
Il Comune di Ceresara ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.
Il Consigliere delegato ha formulato una proposta di definizione accelerata ai sensi dell’art. 380 -bis cod.proc.civ., con cui ha prospettato il rigetto del ricorso.
Avendo BFF Bank RAGIONE_SOCIALE chiesto ritualmente e tempestivamente la decisione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis , 2° comma, cod.proc.civ., la trattazione è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente denunzia <>, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.
Il motivo contiene tre ordini di censure che investono altrettante statuizioni dell’impugnata sentenza: a) quella con cui è stato ritenuto che la cessione dei crediti vantati nei confronti di un ente comunale richiede la manifestazione espressa del consenso del debitore ai fini della sua cedibilità; b) quella con cui è stata esclusa l’applicabilità dell’art. 106, comma 13, D.Lgs. n. 50/2016 come normativa sopravvenuta; c) quella con cui è stato escluso che la cessione dei crediti sia opponibile al Comune debitore dopo la cessazione del rapporto contrattuale da cui sono originati i crediti ceduti.
Il motivo è infondato.
Con la prima censura non formulata nel giudizio di appello – ove RAGIONE_SOCIALE aveva sostenuto che alla cessione dei crediti in proprio favore, stipulata in data 2 dicembre 2015 e notificata al Comune in data 11 dicembre 2015, si sarebbe dovuta applicare la norma di cui all’art. 117, comma 3, d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, poi trasfusa nell’art. 106, comma 13, d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50, con conseguente applicazione del principio per il quale l’adesione della pubblica amministrazione debitrice si presume salvo rifiuto da notificarsi al cedente e al cessionario entro quarantacinque giorni dalla notifica e che il divieto di cessione, in assenza dell’adesione dell’amministrazione interessata, opera unicamente fino a quando il contratto non abbia cessato la propria efficacia – e che comunque non attinge una statuizione (espressa) della corte d’appello, BBF Bank S.p.A. formula una tesi in iure che non trova riscontro nella giurisprudenza di questa Corte, orientata a ritenere che il divieto di cessione dei crediti verso la P.A. senza l’adesione di quest’ultima, sancito dall’art. 70 r.d. n. 2240 del 1923, trovi applicazione nei
confronti della P.A. nel suo complesso, vale a dire nelle sue varie articolazioni, comprensive degli enti pubblici che la compongono, con la conseguenza che dev’essere ritenuta applicabile anche alle cessioni di crediti vantati nei confronti di un ente comunale: cfr. Cass. 11/12/1996 n. 11041; Cass. 28/01/2002, n. 981. L’applicazione della disciplina per cui è causa viene esclusa, infatti, là dove i crediti ceduti non siano quelli di un ente pubblico da intendersi come articolazione della P.A.: cfr. Cass. 13/12/2019, n. 32788, relativa alla cessione dei crediti vantati verso una fondazione, Cass. 21/12/2017, n. 30658, ove si controverteva dei crediti di una Asl; Cass. 15/10/2020, n. 22315, citata dalla ricorrente a supporto della sua tesi, ma in maniera del tutto inconferente, perché essa ha sì escluso l’applicazione dell’art. 70 r.d. n. 2240 del 1923 ad enti che non fanno parte dell’amministrazione statale si trattava dell’ACEA RAGIONE_SOCIALE.p.A. ma appunto proprio perché la società ceduta non era un’articolazione della P.A.
Non suffragano la tesi del ricorrente neppure Cass. n. 20739/2015 e Cass. n. 17496/2008 che si sono occupate della forma della cessione di crediti derivanti da un appalto.
Tantomeno merita accoglimento il secondo ordine di censure, perché, come questa Corte ha già statuito, la disciplina della cessione dei crediti verso la P.A. (artt. 69 e 70 r.d. novembre 1923, n. 2440) ha natura speciale e non è stata abrogata dalla l. n. 52/1991, relativa alla cessione dei crediti d’impresa in generale; non a caso, l’art. 26, comma 5, della l. n. 109/1994, la quale ha esteso espressamente le disposizioni della l. n. 52/1991 “ai crediti verso le pubbliche amministrazioni derivanti da contratti di appalto di lavori pubblici, di concessione di lavori pubblici e da contratti di progettazione nell’ambito della realizzazione di lavori pubblici; il che implica non solo che la legge n. 52/1991 era precedentemente inapplicabile ai crediti verso le pubbliche amministrazioni, ma
anche che l’estensione prevista dal citato art. 26 non riguarda neppure tutti i crediti verso la pubblica amministrazione e, in particolare, non riguarda i crediti derivanti da contratti di fornitura’ (così Cass. 16/09/2002, n. 13481). Pertanto, non è affatto incorso in errore il giudice a quo quando ha ritenuto non applicabile il d.lgs n. 163/2006 alla cessione dei crediti derivanti dal contratto per cui è causa.
Infondato è altresì l’ultimo ordine di censure, volto a contestare che il credito ceduto derivasse da un contratto ormai cessato, adducendo che il debitore non può invocare la inefficacia della cessione: a) quando non ha pagato il creditore originario (costringendolo, appunto, a cedere il credito per munirsi dei mezzi finanziari necessari); b) quando il rapporto contrattuale è cessato (senza peraltro che sia stato lamentato qualche inadempimento da parte del fornitore), per il solo fatto che la cessione del credito ha preceduto la cessazione della relazione contrattuale.
Un discorso sono gli effetti della cessione del contratto nei confronti del debitore ceduto altro è la questione dell’efficacia della cessione, di cui si controverte, e della sussistenza delle ragioni che giustificano, in favore dell’ente pubblico, la deroga alla disciplina di diritto comune.
Come ha accertato il giudice a quo , solo nel 2017 il Comune di Ceresara aveva stipulato un nuovo contratto di fornitura con RAGIONE_SOCIALE, quindi, nel 2015, quando il credito derivante dal contratto di fornitura era stato ceduto era ancora in essere il precedente contratto e vi era ancora l’esigenza di tutelare l’amministrazione, mettendola ‘in condizioni di esercitare un controllo sulle ragioni della cessione che potrebbero essere indicative dello stato di salute economica del cedente il credito il quale deve continuare ad erogare la prestazione’.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del Comune di Cerasara, seguono la soccombenza.
Considerato che la trattazione del ricorso è stata chiesta ai sensi dell’art. 380bis , 2° comma, cod.proc.civ. a seguito di proposta di manifesta infondatezza del Consigliere delegato, la ricorrente va altresì condannata al pagamento di somme, liquidate come in dispositivo, ex art. 96, 3° e 4° comma, cod.proc.civ., ricorrendone i rispettivi presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Comune di Cerasara, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 3.200,00, di cui euro 3.000,00 per compensi, oltre a spese generali e accessori come per legge; di euro 3.000,00 ex art. 96, 3° comma, cod.proc.civ. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di euro 1.000,00 ai sensi dell’art. 96, 4° comma, cod.proc.civ.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 6 dicembre 2024 dalla