Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14852 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14852 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 15701/2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , con sede in San Martino di Venezze (RO), alla INDIRIZZO, in persona della socia accomandataria NOME COGNOME, nonché quest’ultima in proprio, rappresentate e difese, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’ AVV_NOTAIO, presso il cui studio elettivamente domiciliano in RAGIONE_SOCIALE, al INDIRIZZO.
-ricorrenti -contro
RAGIONE_SOCIALE, – costituitasi, con atto del 9 novembre 2020, quale nuova procuratrice speciale di RAGIONE_SOCIALE, già precedentemente rappresentata, in questa sede, da RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) – con sede in San Donato Milanese INDIRIZZO, alla INDIRIZZO, in persona del procuratore dottAVV_NOTAIO COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al l” Atto di costituzione di nuovo difensore ‘ del 9 novembre 2020 ,
dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO.
– controricorrente –
e
COGNOME NOME; RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE).
– intimati – avverso la sentenza n. 366/2020 della CORTE DI APPELLO DI RAGIONE_SOCIALE pubblicata il giorno 05/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 07/05/2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto ritualmente notificato l’8 gennaio 2013, RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE) citò NOME COGNOME, NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE innanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE chiedendo dichiararsi l’inefficac ia, ex art. 2901 cod. civ., degli atti di disposizione patrimoniale realizzati da NOME COGNOME mediante i conferimenti in RAGIONE_SOCIALE del 20 luglio e dell’8 agosto 2012, ivi compiutamente descritti. Dedusse: i ) di essere creditrice di NOME COGNOME, in proprio e quale fideiussore della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, di € 977.820,12, per quanto riguarda il rapporto di mutuo con la prima di dette socRAGIONE_SOCIALE, di € 121.643,16, in relazione al rapporto con l a seconda, di € 11.868,87 del COGNOME in proprio; ii ) che erano sussistenti i presupposti richiesti per giungere alla suddetta declaratoria, e, segnatamente: l’ eventus damni , per avere il COGNOME conferito i suoi immobili nella RAGIONE_SOCIALE, determinando una diminuzione qualitativa e quantitativa del proprio patrimonio; il consilium fraudis , ovvero la
consapevolezza del danno arrecato ai creditori; la partecipatio fraudis del terzo, dimostrabile anche per presunzioni.
1.1. Costituitisi, tempestivamente, NOME COGNOME e, tardivamente, le altre convenute, che tutti contestarono l’avversa pretesa, in prossimità dell’udienza di precisazione delle conclusioni si costituì pure RAGIONE_SOCIALE, qualificandosi procuratrice speciale di RAGIONE_SOCIALE, a sua volta cessionaria di un ‘ portafoglio di crediti pecuniari individuabili in blocco ‘, precedentemente appartenenti a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE, tra i quali si affermava e ssere compreso ‘ quello vantato nei confronti della socRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE … e d ella socRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE … e del loro garante NOME COGNOME con annessi privilegi, garanzie ed accessori ‘.
1.2. L’adito tribunale con sentenza del 19/21 giugno 2017, n. 479, accolse la domanda attrice e revocò, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, nella indicata qualità, gli atti di disposizione suddetti.
Pronunciando sul gravame promosso contro quella statuizione da NOME COGNOME, in proprio e quale socia accomandataria della RAGIONE_SOCIALE, l’adita Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE con sentenza dell’8 ottobre 2019/5 febbraio 2020, n. 366, resa nel contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) e nella contumacia di NOME COGNOME e di RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), così decise: « accoglie l’interposto appello per quanto di ragione e in parziale riforma della impugnata sentenza , che per il resto conferma così provvede: 1) revoca la condanna in solido di NOME COGNOME al pagamento delle spese di lite per il giudizio di primo grado, che si mantengono, nella misura già liquidata dal Tribunale, a solidale carico di NOME COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE, ; 2) pone interamente a carico della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE NOME le spese e competenze di lite di questo grado di appello ».
2.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte: i ) disattese il secondo motivo di gravame osservando che « A supporto della legittimazione
attiva della socRAGIONE_SOCIALE procuratrice costituitasi in limine in primo grado, parte appellata ha prodotto in appello anche il contratto di cessione in blocco dei crediti della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE e tale produzione non può riteners i tardiva in quanto – costituitasi RAGIONE_SOCIALE, quale cessionaria del credito presupposto dall’azione revocatoria, quando già la causa era pervenuta alla udienza di precisazione delle conclusioni (15-02-2017) e contestata di seguito la sua legittimazione, nonché respinta con la sentenza impugnata la relativa eccezione – è solo in questo giudizio di appello che la parte convenuta ha avuto modo di integrare la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale , a riscontro della doglianza di parte appellante, superando peraltro il proprio onere di allegazione, già soddisfatto con l’estratto della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, idoneo a consentire l’individuazione dell’oggetto della cessione e della risalenza della sua efficacia »; ii ) diede atto che la garanzia fideiussoria prestata da NOME COGNOME per i contratti di mutuo e le obbligazioni assunte dalle due socRAGIONE_SOCIALE di cui era socio (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) ed il relativo debito erano antecedenti alla costituzione (il 20 luglio 2012) della nuova socRAGIONE_SOCIALE agricola, ivi appellante, ed ai coevi conferimenti in essa eseguiti dal COGNOME; iii ) ribadì la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 2901 cod. civ..
Per la cassazione di questa sentenza hanno proposto ricorso la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME in proprio, affidandosi a tre motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.. Ha resistito, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), quale procuratrice speciale di RAGIONE_SOCIALE, mentre non hanno svolto difese in questa sede NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE sRAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE).
RAGIONI DELLA DECISIONE
Si dà atto, preliminarmente, che si rinviene nel fascicolo di ufficio ‘ un atto di costituzione di nuovo difensore ‘ in cui RAGIONE_SOCIALE, già costituita in questa sede tramite la procuratrice speciale RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE,
dichiara di aver revocato la procura speciale rilasciata in favore di quest’ultima e di averla conferita, in sua sostituzione, alla RAGIONE_SOCIALE, di cui deposita anche la procura ad litem al suo difensore.
Il primo motivo di ricorso è rubricato: « Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 345 c.p.c. ». Si contesta alla corte lagunare di avere ritenuto tempestiva la produzione del contratto di cessione in blocco di crediti da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, allegato da RAGIONE_SOCIALE alla propria comparsa di costituzione in appello, malgrado l’art. 345, co mma 3, cod. proc. civ., nel testo modificato dal d.l. n. 83/2012, convertito con modificazioni, dalla legge n. 134/2012, abbia eliminato la possibilità di produrre in sede di gravame i documenti ritenuti ‘ indispensabili ‘ ai fini della decisione, né avendo l’appellante mai dedotto, ancor prima che dimostrato, di non aver potuto produrre tempestivamente quel documento per causa a sé non imputabile.
1.1. Questa doglianza si rivela insuscettibile di accoglimento.
1.2. Invero, si legge nella sentenza impugnata ( cfr . pag. 7-8) che RAGIONE_SOCIALE, qualificandosi procuratrice speciale di RAGIONE_SOCIALE, a sua volta cessionaria in blocco dei crediti della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, si era costituita, in primo grado, ivi intervenendo, ex art. 111 cod. proc. civ., « quando già la causa era pervenuta alla udienza di precisazione delle conclusioni (15-02-2017) » e che, « contestata di seguito la sua legittimazione, nonché respinta con la sentenza impugnata la relativa eccezione – è solo in questo giudizio di appello che la parte convenuta ha avuto modo di integrare la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale , a riscontro della doglianza di parte appellante ».
1.3. Giova rimarcare, poi, che quello ex art. 111 cod. proc. civ. è un intervento con caratteristiche del tutto peculiari, consentito perché l’interventore non si configura quale « terzo », ossia titolare di un diritto autonomo e indipendente, né, tantomeno, quale litisconsorte necessario, ma in quanto titolare della medesima posizione giuridica e processuale del suo dante causa ( cfr . Cass. n. 21492 del 2018, Cass. n. 21454 del 2016 e Cass.
n. 5129 del 2020, tutte richiamate, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 5728 del 2024).
1.3.1. In particolare, Cass. n. 996 del 2021 ha opinato, in proposito, che tale intervento « che è regolato dall’art. 111 cod. proc. civ. e non dall’art. 105 cod. proc. civ. e dà luogo, una volta avvenuto, ad una fattispecie di litisconsorzio necessario, non può essere qualificato come intervento adesivo dipendente (Cass. 18767/2017) o autonomo . Questa coincidenza di posizione processuale assunta dal successore a titolo particolare e dal suo dante causa comporta che il primo non possa proporre domande nuove, salvo quella diretta all’accertamento del suo diritto di intervenire, qualora venga contestato da una delle parti originarie (Cass. 10490/2001). Accertamento, questo, che per avvenire deve poter comportare per l’interveniente la possibilità di addurre ogni prova a ciò funzionale (e per le parti originarie la correlata facoltà di addurre ogni prova utile a contestare l’asserita legittimazione). Depone in questo senso il disposto dell’art. 372 cod. proc. civ., secondo cui in sede di legittimità possono e debbono essere prodotti i documenti diretti a fornire la prova della legittimazione a proporre ricorso da parte di chi si assuma successore del soccombente in tempi anche successivi a quello del deposito del ricorso, purché precedenti la discussione del medesimo (Cass. 6238/2006); tale possibilità, se è data all’interno del processo di legittimità, a maggior ragione non può che essere riconosciuta anche nei gradi di merito, caratterizzati da preclusioni meno rigide in tema di nuove produzioni documentali. Il riconoscimento della preclusione di un simile accertamento in correlazione con lo sviluppo del processo comporterebbe, per contro, non solo la negazione del diritto di intervento che invece l’art. 111, comma 3, cod. proc. civ. espressamente riconosce, ma anche l’obbligo per il successore nel diritto controverso di soggiacere agli effetti di merito della sentenza pronunciata, ai sensi del successivo capoverso, senza avere la possibilità di prendere parte alla lite per l’impossibilità di far valere la propria legittimazione ».
1.3.2 . Nell’odierna fattispecie, dunque, la cessionaria, intervenendo in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado, producendo, a corredo
della propria legittimazione, l’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 66 del 6 giugno 2020 recante l’indicazione per categorie dei rapporti cedutile in blocco, ai sensi dell’art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993, ha sostanzialmente accettato la lite nello stato in cui si trovava.
1.4. Le odierne ricorrenti, pur affermando di aver contestato « la legittimazione attiva dell’intervenuta per mancanza di prova dell’avvenuta cessione del credito » ( cfr . pag. 4 del controricorso), non hanno specificato, tuttavia, quando tale contestazione era concretamente avvenuta: in particolare, se già in sede di udienza di precisazione delle conclusioni o successivamente.
1.4.1. La doglianza nemmeno riporta (come, invece, avrebbe dovuto, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso) il contenuto del verbale della prima udienza tenutasi successivamente alla descritta costituzione di RAGIONE_SOCIALE, mentre, dall’esame del fascicolo di ufficio, cui questa Corte ha accesso in ragione della natura di error in procedendo del vizio denunciato, emerge che una tale contestazione era stata formulata nella comparsa conclusionale delle convenute odierne ricorrenti.
1.4.2. Va ricordato, però, che, secondo la costante, e qui condivisa, giurisprudenza di questa Corte, la comparsa conclusionale di cui all’art. 190 cod. proc. civ. ha la sola funzione di illustrare le domande e le eccezioni già ritualmente proposte, sicché con tale atto non può essere prospettata, per la prima volta, una questione nuova ( cfr . Cass. n. 20232 del 2022; Cass., 5 agosto 2005, n. 16582 del 2005; Cass. n. 11175 del 2002).
1.4.3. Ne consegue, allora, che la produzione, da parte di RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), contestualmente alla sua costituzione in appello quale procuratrice speciale di RAGIONE_SOCIALE, anche del contratto di cessione in blocco , in favore di quest’ultima, dei crediti della RAGIONE_SOCIALE, poteva considerarsi ammissibile in quanto tempestivamente avvenuta alla prima difesa successiva alla rituale contestazione della sua legittimazione (ritenuta sussistente, invece, dal tribunale nella sua sentenza n. 479/2017, come emerge dalla decisione oggi impugnata. Cfr . pag. 8) contenuta -in assenza
di diversa dimostrazione ed atteso quanto si è detto circa la tardività di quella rinvenibile nella comparsa conclusionale predetta solo nell’atto di appello di NOME COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE
Il secondo motivo di ricorso denuncia la « Violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione alla violazione e/o falsa applicazione degli artt. 58 TUB e 111 c.p.c. ›. Si censura l’affermazione della corte distrettuale secondo cui ‘ l’onere di allegazione ‘ di RAGIONE_SOCIALE, relativamente alla propria legittimazione attiva, doveva ritenersi ‘ soddisfatto con l’estratto della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ‘ ex art. 58 TUB. Assumono, invece, le ricorrenti che, per poter ritenere sussistente la legittimazione attiva del cessionario di un credito, è necessario che questi « fornisca la prova della cessione dello specifico credito azionato nel procedimento. Il documento prodotto da COGNOME, ovvero l’estratto della Gazzetta Ufficiale del 29.12.2015, non è idoneo a fornire la suddetta prova, poiché non menziona gli specifici crediti ceduti; né controparte ha dato prova della sussistenza, nel caso di specie, dei requisiti elencati nell’avviso pubblicato nella G.U., che consentirebbero di individuare i singoli crediti ».
2.1. Questa doglianza non merita accoglimento sebbene dovendosi procedere, in parte qua , alla parziale correzione della motivazione della decisione qui impugnata.
2.2. Invero, l’affermazione della corte distrettuale secondo cui, attraverso l’avvenuta produzione, contestualmente alla sua costituzione in sede di gravame, anche del contratto di cessione in blocco dei crediti della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE , l’appellata aveva avuto « modo di integrare la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale , a riscontro della doglianza di parte appellante, superando peraltro il proprio onere di allegazione, già soddisfatto con l’estratto della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, idoneo a consen tire l’individuazione dell’oggetto della cessione e della risalenza della sua efficacia , mostra chiaramente di ritenere comunque soddisfatto l’onere probatorio gravante sulla cessionaria di crediti in blocco già per effetto della
sola produzione del l’avviso di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ex art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993.
2.3. Una tale opinione, tuttavia, ove intesa nella sua assolutezza, non è coerente con la più recente giurisprudenza di questa Corte, la quale ha ritenuto ( cfr . Cass. n. 17944 del 2023, richiamata, in motivazione, dalle più recenti Cass. n. 5478 del 2024, pag. 10-15 della motivazione, Cass. n. 7866 del 2024, pag. 5. e ss. della motivazione e Cass. n. 10786 del 2024, pag. 38 della motivazione) che la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della cessione in blocco esonera la cessionaria dal notificare la cessione al titolare del debito ceduto ed è un adempimento che si pone sullo stesso piano di quelli prescritti in via generale dall’art. 1264 cod. civ., ma non esonera la parte che agisce affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un’operazione di cessione in blocco secondo la speciale disciplina di cui al d.lgs. n. 385 del 1993, art. 58, dall’onere di dimostrare l’inclusione del credito per cui agisce in detta operazione; dimostrazione che -quando non sia contestata l’esistenza del contratto di cessione in sé (come, invece, accaduto nella odierna fattispecie) -può dirsi soddisfatta tramite l’indicazione delle caratteristiche dei crediti ceduti, contenuta nell’avviso della cessione pubblicato dalla socRAGIONE_SOCIALE cessionaria nella Gazzetta Ufficiale, là dove tali indicazioni siano sufficientemente precise e consentano, quindi, di ricondurlo con certezza tra quelli compresi nell’operazione di trasferimento in blocco, in base alle sue caratteristiche concrete; con la conseguenza che ove tale riconducibilità non sia desumibile con certezza dalle suddette indicazioni sarà necessaria la produzione del contratto e/o dei suoi allegati, ovvero sarà necessario fornire la prova della cessione dello specifico credito oggetto di controversia in altro modo.
2.3.1. In altri termini, la parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un’operazione di cessione in blocco secondo la speciale disciplina di cui all’art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993, ha anche l’onere di dimostrare l’inclusione del credito medesimo in detta operazione, in tal modo fornendo la prova documentale della propria
legittimazione sostanziale, salvo che il resistente non l’abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta ( cfr . Cass. n. 24798 del 2020).
2.4. Fermo quanto precede, e dovendosi intendere così corretta, in parte qua , la decisione oggi impugnata, rileva il Collegio che l’avvenuta produzione, contestualmente alla sua tempestiva costituzione in appello, da parte di RAGIONE_SOCIALE, del contratto di cessione in blocco dei crediti della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, e le argomentazioni fondanti l’avvenuto rigetto del primo motivo dell’odierno ricorso, rendono affatto superfluo indugiare oltre relativamente alla censura in esame.
Il terzo motivo di ricorso, infine, lamenta la « Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione agli artt. 2729 e 2901 c.c., per avere il Tribunale dedotto la sussistenza della consapevolezza, da parte del terzo, del nocumento recato ai creditori, sulla base di elementi presuntivi irrilevanti e che non presentano i necessari requisiti di gravità, precisione e concordanza » . Muovendo dal rilievo che, al fine dell’accoglimento dell’azione revocatoria, ove si tratti di atto di disposizione oneroso successivo al sorgere del credito, l’art. 2901 cod. civ. richiede che venga provato che il terzo fosse consapevole del pregiudizio arrecato dall’atto agli interessi del creditore, si ascrive alla corte territoriale di aver ritenuto, per quanto riguarda gli atti di conferimento del 20 luglio e dell’8 agosto 2012 a ministero del AVV_NOTAIO, che « la consapevolezza del pregiudizio in capo a NOME COGNOME, quale rappresentante legale della conferitaria RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, è stata configurata dal Tribunale alla stregua di elementi di natura presuntiva gravi, precisi e concordanti », individuati nel grado di parentela tra il debitore conferente e l’accomandataria della socRAGIONE_SOCIALE, e nel fatto che NOME COGNOME sia stata consigliere d’amministrazione nella RAGIONE_SOCIALE. Tali elementi, invece, secondo le ricorrenti, « non possiedono i necessari requisiti di gravità, precisione e concordanza da cui si possa desumere ragionevolmente che NOME COGNOME fosse consapevole del danno alle ragioni della creditrice o che fosse a conoscenza della consistenza del patrimonio immobiliare e
mobiliare di NOME COGNOME, e pertanto della minore o maggiore incidenza, sulla garanzia patrimoniale generica, degli atti di disposizione summenzionati ».
3.1. Tale doglianza risulta inammissibile.
3.2. Invero, giova premettere che, con specifico riferimento agli atti dispositivi del fideiussore (tale qualità rivestendo, pacificamente, NOME COGNOME rispetto alla banca attrice originaria), la Suprema Corte, premettendo che gli stessi sono assoggettati, al pari di quelli del debitore principale, al rimedio dell’azione revocatoria ricorrendone le condizioni ( cfr . Cass. n. 2115 del 1991; Cass. n. 591 del 1999; Cass. n. 22465 del 2006; Cass. n. 10522 del 2020), ha chiarito che: a ) l’acquisto della qualità di debitore nei confronti del creditore risale all’atto della nascita stessa del credito, cosicché è a tale momento che occorre fare riferimento al fine di stabilire se l’atto pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito ( cfr . Cass. n. 591 del 1999), con la conseguente affermazione che, laddove l’atto dispositivo sia stato posto in essere in epoca successiva alla sussistenza del credito (come pacificamente accaduto nell’odierna fattispecie) in relazione al quale è stata prestata la garanzia fideiussoria, ai fini dell’accoglimento dell’azione è necessario soltanto il requisito della scientia damni da parte dello stesso fideiussore, ossia la consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi dei creditori; b ) le argomentazioni tendenti a prospettare una situazione economica del debitore principale soddisfacente all’epoca dell’atto dispositivo del fideiussore sono irrilevanti, posto che ai fini della sussistenza dell’ eventus damni conseguente a tale atto si deve prescindere da ogni valutazione circa la consistenza patrimoniale del soggetto garantito e la sua eventuale solvibilità ( cfr . Cass. n. 22465 del 2006; Cass. n. 2400 del 1990) occorrendo invece orientare tale indagine soltanto nei confronti del fideiussore stesso.
3.3. Quanto, poi, alle caratteristiche della prova presuntiva, è utile ricordare che essa si configura come mezzo per la cognizione mediata ed indiretta di fatti controversi, costituendo, pertanto, un mezzo di prova critica in relazione al quale è rimessa al prudente apprezzamento del giudice la
formulazione dell’inferenza dal fatto noto a quello ignoto. Più specificamente, affinché si possa conseguire la prova del fatto ignoto, l’art. 2729 cod. civ. richiede che gli elementi presuntivi siano gravi, precisi e concordanti, venendo meno, in caso contrario, la garanzia di ragionevole certezza circa la verità del fatto stesso. Tali requisiti rappresentano i presupposti per il valido impiego del ragionamento inferenziale, dovendosi escludere che, in loro assenza, le presunzioni stesse possano fornire al giudice la piena prova del fatto ignoto. La loro definizione esatta, peraltro, non è agevole, né univoca in dottrina. È sufficiente rimarcare, in questa sede (in sostanziale conformità a quanto recentemente sancito da Cass. n. 4784 del 2023 e Cass. n. 9054 del 2022), che: i ) il requisito della gravità implica la necessità di un elevato grado di attendibilità della presunzione in relazione al convincimento che essa è in grado di produrre in capo al giudice; ciò non significa comunque che l’affermazione dell’esistenza del fatto ignorato debba desumersi dal fatto noto con assoluta certezza, essendo sufficiente un grado di probabilità superiore a quello che spetta all’opposta tesi della sua inesistenza. Tanto, del resto, è coerente con la struttura del ragionamento presuntivo e con la natura delle massime d’esperienza su cui esso si fonda: salvo i casi eccezionali in cui esse corrispondano a leggi naturali o scientifiche, le massime di esperienza non sono, infatti, di regola idonee a conferire certezza assoluta alla conoscenza del fatto ignorato, esprimendo, per lo più, una connessione meramente probabile fra questo ed il fatto noto; ii ) il requisito della precisione evoca, a sua volta, un concetto di non equivocità, valendo ad escludere la validità del ragionamento presuntivo ove da esso derivino conclusioni contraddittorie e non univocamente riferibili al fatto da provare. In altri termini, la precisione va riferita al fatto noto (indizio) che costituisce il punto di partenza dell’inferenza e postula che esso non sia vago ma ben determinato nella sua realtà storica. In linea con quanto detto circa il requisito della gravità, la conseguenza circa l’esistenza del factum probandum non deve necessariamente configurarsi come l’unica possibile, essendo sufficiente che essa sia la più probabile tra quelle che possono derivare dal fatto noto; iii ) più complessa e problematica è, infine, la
definizione del concetto di concordanza: col richiedere la sussistenza di tale requisito, infatti, la norma sembra riferirsi alla necessaria convergenza sulla medesima conclusione di una pluralità di presunzioni semplici. Tuttavia, in dottrina e soprattutto nella giurisprudenza, è prevalsa, invece, una interpretazione ” debole ” della norma che conduce ad ammettere la validità dell’inferenza deduttiva anche quando essa si fondi su una sola presunzione, purché essa si configuri come grave e precisa ( cfr., ex aliis , Cass. n. 9054 del 2022; Cass. n. 2482 del 2019; Cass. n. 19088 del 2007; Cass. n. 16993 del 2007; Cass. n. 4472 del 2003).
3.3.1. In quest’ottica, come condivisibilmente puntualizzato da Cass. n. 9054 del 2022, « la deduzione del vizio di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729, primo comma, cod. civ., suppone allora un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito – assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato – risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza. Di contro, la critica al ragionamento presuntivo svolto dal giudice di merito sfugge al concetto di falsa applicazione quando si concreta, invece, o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali, in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo (sicché il giudice di merito è partito in definitiva da un presupposto fattuale erroneo nell’applicare il ragionamento presuntivo), o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perché quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729, primo comma (e ciò tanto se questa prospettazione sia basata sulle stesse circostanze fattuali su cui si è basato il giudice di merito, quanto se basata altresì su altre circostanze fattuali). In questi casi la critica si risolve in realtà in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti , e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio e ci si pone
su un terreno che non è quello del n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ. (falsa applicazione dell’art. 2729, primo comma, cod. civ.), ma è quello che sollecita un controllo sulla motivazione del giudice relativa alla ricostruzione della quaestio facti. Terreno che, come le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno avuto modo di precisare, vigente il nuovo n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., è percorribile solo qualora si denunci che il giudice di merito abbia omesso l’esame di un fatto principale o secondario, che avrebbe avuto carattere decisivo per una diversa individuazione del modo di essere della detta quaestio ai fini della decisione, occorrendo, peraltro, che tale fatto venga indicato in modo chiaro e non potendo esso individuarsi solo nell’omessa valutazione di una risultanza istruttoria ».
3.3.2. In definitiva, come si legge in Cass. n. 3845 del 2018 ( cfr. pag. 29 e ss.), « Le presunzioni semplici consistono, , nel ragionamento del giudice il quale, una volta acquisita, tramite fonti materiali di prova (o anche tramite il notorio o a seguito della non contestazione) conoscenza di un fatto secondario, deduce da esso l’esistenza del fatto principale ignoto. L’apprezzamento del giudice di merito circa il ricorso a tale mezzo di prova e la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di produzione, sono incensurabili in sede di legittimità, l’unico sindacato in proposito riservato al giudice di legittimità essendo quello sulla coerenza della relativa motivazione (Cass. n. 2431/2004). Allorquando la prova addotta sia costituita da presunzioni, le quali anche da sole possono formare il convincimento del giudice del merito, rientra, infatti, nei compiti di quest’ultimo il giudizio circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire inferenze che ne discendano secondo il criterio dell’ id quod prelumque accidit, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità, se sorretto da motivazione immune da vizi logici o giuridici e, in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti ad una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi (Cass. n. 12002/2017). Si
aggiunga, poi, che, al fine di controllare la validità del ragionamento presuntivo, per un verso, non è necessario che tutti gli elementi noti siano convergenti verso un unico risultato, in quanto il giudice deve svolgere una valutazione globale degli indizi, alla luce del complessivo contesto sostanziale e processuale (Cass. n. 26022/2011), e che, per altro verso, in tale tipo di prova, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità: occorre, al riguardo, che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza (Cass. n. 22656/2011) ».
3.4. Tali essendo, allora, i principi complessivamente applicabili per la decisione dell’odierna controversia, rileva il Collegio che la corte distrettuale ne ha fatto corretta applicazione: ciò sia non trascurando affatto l’indagine circa la ricorrenza dei presupposti di cui all’a rt. 2901 cod. civ. in relazione ad un atto dispositivo compiuto da un fideiussore successivamente al sorgere del credito per il quale quest’ultimo aveva prestato garanzia nei confronti della banca istante; sia quanto al modus procedendi seguito riguardo ( a ) all’opportunità di avvalersi della prova presuntiva, ( b ) alla individuazione dei fatti da porre a suo fondamento ed ( c ) all’accertamento della rispondenza degli stessi ai prescritti requisiti di gravità, precisione e concordanza, dovendosi qui solo evidenziare che i corrispondenti apprezzamenti costituiscono giudizi fattuali, la cui censura, in sede di legittimità, non può risolversi nella mera prospettazione di un convincimento diverso da quello espresso nel provvedimento impugnato, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorRAGIONE_SOCIALE del ragionamento decisorio (nella specie, invece, assolutamente inconfigurabile per quanto si è detto anche disattendendosi i precedenti motivi), restando escluso, peraltro, che la sola mancata
valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo ( cfr . Cass. n. 27070 del 2022).
3.5. Non resta, dunque, che prendere atto dei relativi accertamenti di merito effettuati dalla corte predetta, rispetto ai quale le argomentazioni della censura in esame, sul punto, appaiono sostanzialmente volte ad ottenerne un riesame, così dimenticando che: i) il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione ( cfr . tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 13408, 10033 e 9014 del 2023; Cass. n. 31071 del 2022; Cass. nn. 28462 e 25343 del 2021; Cass. n. 16700 del 2020. Si veda pure Cass., SU, n. 23745 del 2020, a tenore della quale, « in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa »); ii ) il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò
solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429 e 10712 del 2024).
4. In definitiva, quindi, l’odierno ricorso della RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME in proprio deve essere respinto, restando a loro carico, in via solidale, le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla sola costituitasi parte controricorrente, altresì dandosi atto, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte delle medesime ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso promosso da RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE in proprio e le condanna, in solido tra loro, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi parte controricorrente , liquidate in € 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera delle medesime
ricorrenti, in solido tra loro, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile