Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20477 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20477 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2024
ORDINANZA
nel ricorso R.G. n. 20914/2020
promosso da
RAGIONE_SOCIALE liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore , rappresenta to e difeso dall’AVV_NOTAIO (PEC: ), con studio in Napoli, INDIRIZZO, in virtù di procura speciale in atti;
ricorrente
contro
Fallimento geom. COGNOME NOME , in persona del curatore pro tempore , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (PEC: ), con studio in PotenzaINDIRIZZO INDIRIZZO, in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrente
avverso la sentenza n. 213/2020 della Corte di appello di Potenza, pubblicata il 06/04/2020, notificata il 15/05/2020.
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/02/2024 dal Cons. NOME COGNOME;
letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (di seguito NPL), con istanza di insinuazione tardiva al passivo del Fallimento COGNOME NOME (dichiarato dal Tribunale Fallimentare di Potenza con sentenza del 10/01/2002) chiedeva l’ammissione al passivo dell’importo di € 1.273.213.89 in prededuzione oltre agli ulteriori canoni sino all’effettivo soddisfo – importo precisato nel corso del giudizio in € 2.858.258,67 facendo valere il diritto alla restituzione dei canoni di locazione di immobili di proprietà del fallito concessi in godimento all’Archivio di Stato, incassati dalla Curatela a partire dal fallimento, in virtù della cessione dei relativi crediti, operata dal fallito e notificata al debitore ceduto il 23/06/1995, in favore della RAGIONE_SOCIALE, successivamente incorporata dalla RAGIONE_SOCIALE
A sostegno di tale richiesta, la RAGIONE_SOCIALE, nella qualità di ultima cessionaria del credito ceduto, in forza di atto di cessione del 30/12/2010, prima facente capo alla RAGIONE_SOCIALE (succeduta alla RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE), produceva un atto di ricognizione/riconoscimento di debito e contestuale accordo transattivo, datato 25/06/1999, con firme autenticate dal AVV_NOTAIO Potenza, a mezzo del quale era stata effettuata una ricognizione delle esposizioni debitorie del RAGIONE_SOCIALE alla data del 31/12/1998, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ove il geom. NOME COGNOME dava atto che la cessione dei canoni relativi al contratto di locazione dei locali, siti in Potenza, ad uso Archivio di Stato, a suo tempo rilasciata a favore della RAGIONE_SOCIALE, poi incorporata dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, doveva intendersi confermata fino alla scadenza del contratto e delle successive proroghe, ovvero anche in caso di nuova locazione a terzi, con la precisazione che i
canoni in questione sarebbero stati incamerati direttamente dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a fronte del piano di rimborso in quella sede concordato.
All’udienza del 03/02/2015, il curatore fallimentare – precisando che la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) aveva prodotto l’insinuazione tempestiva al passivo del fallimento per il complessivo importo di € 12.540.250,60 in forza della predetta ricognizione di debito del 25/06/1999, regolarmente ammessa, senza fare alcuna menzione della cessione di credito – proponeva l’esclusione del credito richiesto con ricorso ex art. 101 l.fall.
Trasformato il rito in contenzioso, con memoria di costituzione depositata in data 08/10/2016 si costituiva la curatela fallimentare e, premettendo che nell’accordo transattivo del 1999 erano rientrate tutte le posizioni debitorie del fallito COGNOME NOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, eccepiva: 1) la inammissibilità della domanda tardiva, dal momento che il credito richiesto, incluso nell’atto di cognizione/riconoscimento di debito e contestuale accordo transattivo del 25/06/1999, era stato già azionato dalla RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE per complessivi € 12.540.250,60 (oltre 24 miliardi di vecchie lire), ed ammesso in chirografo al passivo del fallimento, come da domanda; 2) la non opponibilità della cessione al fallimento, in quanto la stessa non era stata mai portata a conoscenza da parte dei vari titolari del credito succedutisi nel tempo, né dapprima all’allora nominato custode giudiziario degli immobili detenuti dall’Archivio di Stato, né poi alla curatela; 3) la prescrizione del credito, considerato che dalla data della dichiarazione di fallimento (10/01/2002) alla data di deposito della domanda tardiva (20/02/2014), alcun valido atto interruttivo era stato posto in essere dall’attuale titolare del credito, né dai precedenti istituti bancari.
Con sentenza n. 233/2019, pubblicata in data 07/03/2019, il Tribunale di Potenza -considerato che il ricorrente aveva posto a base sia della domanda tempestiva che della domanda tardiva l’atto di riconoscimento del debito e il contestuale accordo transattivo del 25/06/1999, che includeva anche gli asseriti crediti locatizi avanzati dalla NPL, e rilevata, in ogni caso, l’intervenuta prescrizione decennale, non essendo stati posti in essere, a partire dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento (10/01/2002) e sino alla data di notifica del ricorso ex art. 101 l.fall. (11/04/2014), formali atti interruttivi di detto termine – dichiarava inammissibile la domanda di insinuazione tardiva, con la condanna dell’opponente alle spese di lite in favore della curatela.
La RAGIONE_SOCIALE proponeva impugnazione contro tale sentenza, deducendo: 1) la violazione e falsa applicazione dell’art. 101 l.f., ritenendo il credito azionato con la domanda tardiva nuovo e diverso rispetto a quello azionato con la domanda tempestiva; 2) la violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2945 c.c. in tema di prescrizione.
Con comparsa di costituzione del 03/09/2019 la Curatela eccepiva: 1) che l’appello era inammissibile in quanto tardivamente proposto; 2) nel merito, che l’appello era infondato, in quanto oggetto della domanda di ammissione tardiva non sarebbe un credito nuovo rispetto a quello della domanda di insinuazione tempestiva; 3) che la asserita cessione non era opponibile al Fallimento e che la Curatela aveva legittimamente incassato i canoni di locazione; 4) che il gravame era contraddittorio poiché, se il credito fosse stato nuovo, ne sarebbe allora già maturata la prescrizione, mancando un atto interruttivo al riguardo.
La Corte di Appello di Potenza, riteneva tempestiva l’impugnazione, ma rigettava l’appello , condannando l’ appellante alla refusione delle spese del grado.
Avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, affidato a cinque motivi di doglianza.
Il fallimento si è difeso con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso vengono così riassunti dal ricorrente:
« Il primo motivo di ricorso censura la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 80 e 42 l.fall. e 1260, 1265 e 2914 c.c., in quanto la Corte di Appello di Potenza ha erroneamente ritenuto inopponibile al fallimento il contratto di cessione di credito del giugno 1995 e venuto meno il titolo a base dello stesso.
Il secondo motivo di ricorso censura la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24 e 101 l.f., nella parte in cui il precedente Giudice ha sostenuto che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto provare a tutelarsi con apposita istanza ex art. 24 l.f.
Il terzo motivo di ricorso censura la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 93 e 101 l.f. del capo della sentenza della Corte di Appello di Potenza in cui si legge che la domanda di insinuazione tardiva trova titolo nel rapporto giuridico consacrat o nell’atto di ricognizione del debito del 25 giugno 1999, cosicché il suo accoglimento finirebbe per violare la par condicio creditorum.
Il quarto motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ed all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., laddove la Corte di Appello di Potenza ha ritenuto inammissibile l’appell o avverso il capo della sentenza del Giudice di Prime Cure che ha accolto l’eccezione di prescrizione della Curatela.
Il quinto motivo di ricorso censura la sentenza della Corte di Appello di Potenza sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2041 e 2946 c.c.»
Il primo motivo di ricorso presenta profili di inammissibilità e comunque risulta infondato.
2.1. Occorre precisare che, sul punto, la Corte territoriale ha statuito come segue: «Il motivo è infondato, poiché il presupposto da cui muove – che cioè la Curatela avrebbe incassato illegittimamente i canoni della locazione -è erroneo. Al riguardo si osserva quanto segue: -a norma dell’art. 80 l.f. il curatore subentrò nel contratto d i locazione dell’immobile stipulato coll’Archivio di Stato di Potenza (in coerenza col principio fondamentale secondo cui la sentenza di fallimento priva il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni, ex art. 42 l.f.); – pertanto, venne meno il titolo posto a base della cessione di credito e questa, che era una modalità rateale di (parziale) estinzione del debito riconosciuto dal sig. COGNOME verso il creditore, perse efficacia; – la richiesta di ordinaria ammissione al passivo, proposta dalla RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE nell’aprile 2002, fu coerente con quanto sopra, poiché essa creditrice agì per la somma riconosciuta dal COGNOME, senza tener conto del descritto meccanismo di estinzione del credito e, soprattutto, senza dolersi che i canoni fossero p agati dall’Amministrazione locataria al curatore: insomma accettando l’impostazione (condivisibile, occorre aggiungere) da questi conferita, sul punto, allo svolgimento della procedura fallimentare; ove la RAGIONE_SOCIALE avesse inteso, piuttosto, far valere il detto meccanismo in proprio favore – in altre parole preteso il pagamento dei canoni -avrebbe potuto (provare a) tutelarsi con apposita azione ex art. 24 l.f. sussistendo in materia la competenza funzionale del Tribunale fallimentare; – è chiaro pertanto: – da un lato, che la Curatela ha incassato legittimamente i canoni di locazione, nel rispetto delle richiamate norme della materia fallimentare, la cui ratio ultima, si noti, è la par condicio creditorum; dall’altro, che la richiesta di amissione qui in esame trova titolo nello stesso rapporto giuridico
consacrato nell’atto 25.6.99 di ricognizione di debito, cosicché il suo accoglimento finirebbe per violare proprio la suddetta par condicio.»
2.2. La decisione si fonda su due rationes decidendi.
Da una parte, la Corte d’appello ha ritenuto che la NPL non potesse far valere nei confronti della Curatela il diritto di riscuotere i canoni di locazione dell’immobile di proprietà del fallito e che pertanto il Curatore avesse correttamente provveduto a incamerare i canoni maturati dopo il fallimento, perché la cessione dei crediti – effettuata prima del fallimento per consentire, con la riscossione dei canoni, il pagamento rateale dei debiti del cedente verso la banca cessionaria – aveva perso efficacia per effetto della dichiarazione di fallimento (come era confermato anche dal contegno processuale della banca, che non aveva agito contro il fallimento per ottenere la ripetizione dei canoni, ma aveva chiesto, e ottenuto, l’insinuazione al passivo per i debiti oggetto delle esposizioni debitorie).
Dall’altra, la medesima Corte ha ritenuto che, comunque, il credito vantato dalla NPL derivava da un rapporto giuridico consacrato in un atto negoziale del 25/06/1999, contenente anche la ricognizione di debito del 25/06/1999, cosicché il suo accoglimento avrebbe finito per violare la par condicio creditorum (evidentemente in ragione del fatto che la cessione del credito serviva per ripianare ratealmente l’esposizione debitoria del cedente verso la banca).
Il primo motivo di ricorso per cassazione censura la prima ratio della decisione, mentre la seconda ratio è attinta dal terzo motivo.
2.3. Con il primo motivo, la ricorrente ha dedotto che il giudice di merito non ha tenuto conto che, ai fini dell’efficacia della cessione di crediti futuri in pregiudizio del creditore pignorante – e dunque del fallimento del cedente – ex art. 2914, n. 2, c.c., è sufficiente che la notifica – o l’accettazione – della cessione sia stata effettuata con atto avente data certa (art. 1265 c.c.) anteriore al pignoramento (o al
fallimento), giacché per il successivo effetto traslativo della cessione (rinviato al momento del sorgere del credito), sottratto alla disponibilità delle parti, non si pone un problema di opponibilità.
Come sopra evidenziato, tuttavia, la Corte di appello ha seguito un’impostazione del tutto diversa della questione, perché ha individuato la causa dell ‘accordo di cessione del credito, rilevando che, con esso, le parti avevano inteso prevedere una modalità di rientro rateale dell’esposizione debitoria del cedente nei confronti della banca cessionaria, oggetto della ricognizione di debito del 25/06/1999, aggiungendo che, a seguito del fallimento del cedente, sia il Curatore e sia la banca cessionaria hanno espresso in modo non equivoco la volontà di sciogliersi da tale accordo, tenuto conto che il Curatore ha incassato i canoni oggetto della cessione e la banca cessionaria, prima che il credito venisse ceduto alla NPL, ha tempestivamente chiesto, ed ottenuto, l’insinuazione al passivo del credito per le esposizioni bancarie del fallito.
La ricorrente ha, invece, esaminato in modo atomistico la cessione del credito operata dal creditore cedente, poi fallito, evidenziando semplicemente che le distinte domande oggetto, rispettivamente, di insinuazione tempestiva e tardiva erano fondate su titoli tra loro diversi, senza nulla dedurre in ordine alla ricostruzione della causa del negozio di cessione e della sorte dello stesso in conseguenza della dichiarazione di fallimento.
La censura non si confronta motivatamente con la ratio della decisione impugnata, che, invece, avrebbe dovuto essere contestata specificamente e, per tale motivo, deve ritenersi inammissibile (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 19989 del 10/08/2017).
2.4. La ricostruzione operata dalla parte non è comunque condivisa da questo Collegio, che intende ribadire un orientamento più volte espresso da questa Corte (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 551 del
17/01/2012; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17590 del 31/08/2005), anche se preceduto da pronunce che hanno espresso principi diversi (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 28300 del 21/12/2005), secondo il quale la natura consensuale del contratto di cessione di credito – relativo a vendita di cosa futura, per la quale l’effetto traslativo si verifica quando il bene viene ad esistenza – comporta che esso si perfeziona per effetto del solo consenso dei contraenti, cedente e cessionario, ma non anche che dal perfezionamento del contratto consegua sempre il trasferimento del credito dal cedente al cessionario, in quanto, nel caso di cessione di un credito futuro, il trasferimento si verifica soltanto nel momento in cui il credito viene ad esistenza e, anteriormente, il contratto, pur essendo perfetto, esplica efficacia meramente obbligatoria. Pertanto, nel caso di cessione di crediti futuri e di sopravvenuto fallimento del cedente, la cessione, anche se sia stata tempestivamente notificata o accettata ex art. 2914 n. 2 c.c., non è opponibile al fallimento se, alla data della dichiarazione di fallimento, il credito non era ancora sorto e non si era verificato l’effetto traslativo della cessione.
A conferma di tali conclusioni è pervenuta una recente pronuncia di questa Corte, in una statuizione richiamata anche da parte ricorrente, ma senza tenere conto della decisione nel suo complesso (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 5616 del 28/02/2020), la quale ha precisato che l’anteriorità alla dichiarazione di fallimento della sopravvenuta esistenza dei crediti – fatti oggetto di cessione in quanto all’epoca futuri -è senz’altro condizione necessaria per il ‘ consolidamento ‘ del trasferimento a vantaggio del cessionario, poiché, altrimenti, i crediti e le relative loro utilità rimangono senz’altro acquisiti alla procedura, posto che il previsto effetto traslativo non potrebbe comunque verificarsi prima dell ‘ effettivo sorgere del credito.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Parte ricorrente ha censurato la decisione di appello nella parte in cui, dopo aver ritenuto che la cessione del credito, quale modalità di rientro dell’esposizione debitoria del soggetto poi fallito nei confronti dell’istituto di credito cessionario, era divenuta inefficace per effetto della dichiarazione di fallimento, ha aggiunto che «… ove la RAGIONE_SOCIALE avesse inteso, piuttosto, far valere il detto meccanismo in proprio favore – in altre parole preteso il pagamento dei canoni -avrebbe potuto (provare a) tutelarsi con apposita azione ex art. 24 l.f. sussistendo in materia la competenza funzionale del Tribunale fallimentare …» ).
La critica attinge affermazioni contenute nella sentenza impugnata che non esprimono la ratio della decisione assunta, ma si aggiungono alle ragioni della stessa, poco prima enunciate, senza spiegare alcuna influenza sul dispositivo, costituendo piuttosto argomentazioni svolte ad abundantiam , improduttive di effetti giuridici, la cui impugnazione è, pertanto, priva di interesse (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 18429 del 08/06/2022).
È superfluo l’esame del terzo motivo di ricorso, poiché la censura attinge la seconda ratio della decisione impugnata, sebbene la prima ratio non sia stata utilmente censurata, così rendendo superfluo l’esame d i questo motivo, comunque non in grado di determinare l’annullamento della decisione .
È superfluo anche l’esame del quarto e del quinto motivo, da ritenersi assorbiti, tenuto conto che il mancato accoglimento delle censure relative alla statuizione che ha ritenuto insussistenti i crediti vantati nei confronti della massa dei creditori rende inutile l’esame dei motivi riferiti alla prescrizione di tali crediti.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
La statuizione sulle spese segue la soccombenza.
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello spettante per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi € 10.000,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge;
dà atto che, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto .
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile