Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18911 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18911 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22227-2019 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– ricorrente –
contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrente –
nonchè contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME CONCETTA
– intimati –
avverso la sentenza n. 2066/2016 della CORTE DI APPELLO di PALERMO, depositata il 08/11/2016;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 6.10.2004 COGNOME NOME evocava in giudizio COGNOME NOME e COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Palermo, invocando l’emissione di sentenza ex art. 2932 c.c. in relazione ad un contratto preliminare di compravendita intercorso tra esso attore ed il convenuto COGNOME in data 21.1.2002, avente ad oggetto un immobile di proprietà di COGNOME NOME e NOME, rimasto inadempiuto a causa del rifiuto di stipulare il definitivo opposto da COGNOME NOME, che con rogito del 18.9.2003 per atto del AVV_NOTAIO, rep. 23991, aveva acquistato dalle sorelle COGNOME la proprietà del cespite oggetto del preliminare del 2002 impegnandosi espressamente, in pari data, nei confronti del COGNOME a subentrare in tutti i rapporti attivi e passivi derivanti dal predetto contratto preliminare.
Si costituiva il COGNOME, resistendo alla domanda ed eccependo la nullità del contratto preliminare per inesistenza del suo oggetto, trattandosi di bene di proprietà di terzi al momento della sua conclusione, nonché l’insussistenza dei requisiti per l’emissione di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., attesa la non conformità del bene alle vigenti norme urbanistiche.
Si costituiva altresì il COGNOME, non opponendosi alla domanda ma dichiarando la sua estraneità al fatto, essendo la mancata conclusione del preliminare del 2002 da imputare esclusivamente al comportamento del COGNOME, che ne aveva acquistato la proprietà con il rogito del 2003, impegnandosi a dar corso al
preliminare di compravendita del 2002, e poi aveva inadempiuto a tale specifica obbligazione. Lo stesso chiedeva ed otteneva altresì la chiamata in causa di COGNOME NOME e COGNOME NOME, responsabili, a suo dire, delle difficoltà insorte nell’ iter amministrativo per la concessione dei fondi destinati al risanamento degli immobili siti nel centro storico di Palermo.
Con sentenza n. 4662/2010 il Tribunale accoglieva la domanda ex art. 2932 c.c., disponendo il trasferimento della proprietà del bene oggetto del preliminare del 21.1.2002 in favore di COGNOME NOME.
Con la sentenza oggi impugnata, n. 2066/2016, la Corte di Appello di Palermo ha rigettato il gravame interposto dall’odierno ricorrente avverso la decisione di prime cure, confermandola.
Avverso tale sentenza il COGNOME ha proposto revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., e la Corte di Appello ha sospeso il termine per la proposizione del ricorso in Cassazione avverso la decisione oggetto della domanda di revocazione.
A seguito del rigetto dell’impugnazione per revocazione, propone ricorso per la cassazione della decisione di seconde cure il COGNOME, affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso COGNOME NOME.
Le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente denunzia il difetto di legittimazione passiva e la violazione o falsa applicazione degli artt. 1046 e ss. c.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente qualificato la fattispecie negoziale oggetto di causa in termini di cessione del contratto, non considerando che la parte promissaria acquirente, COGNOME NOME, aveva integralmente onorato la propria obbligazione di pagamento del corrispettivo in favore del promittente venditore, COGNOME NOME; di conseguenza, la cessione
del contratto preliminare sarebbe impossibile, avendo una delle parti già adempiuto al proprio obbligo. Non si sarebbe verificata, dunque, alcuna cessione del rapporto contrattuale nascente dal preliminare del 21.1.2002, il quale avrebbe continuato a spiegare la sua efficacia obbligatoria soltanto tra le parti originarie stipulanti.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha inquadrato la vicenda negoziale intercorsa tra il COGNOME, il COGNOME ed il COGNOME in termini di cessione del contratto preliminare del 2002 stipulato tra gli ultimi due, sulla base del rilievo che il primo, subentrando nel rapporto con dichiarazione apposta in calce all’originario contratto, avesse manifestato, mediante l’uso di espressioni inequivoche, la chiara volontà di sostituirsi al COGNOME quale parte promittente venditrice (cfr. pag. 7 della sentenza). Tale statuizione viene contestata dall’odierno ricorrente sul presupposto che la cessione del contratto preliminare non fosse possibile, avendo il La COGNOME integralmente adempiuto alla propria obbligazione. L’argomento non considera, tuttavia, che dal contratto preliminare di compravendita non deriva soltanto l’obbligazione, del promittente venditore, di consegnare la cosa compromessa in vendita, cui corrisponde quella, del promissario acquirente, di saldare il corrispettivo pattuito, bensì anche il reciproco impegno, di ambo le parti, di concludere il contratto definitivo, prestando il relativo consenso nelle forme previste dalla legge. Alla data della cessione del contratto preliminare originariamente concluso tra il COGNOME ed il COGNOME quest’ultimo non era stato adempiuto, in quanto il definitivo non era stato ancora stipulato. Tanto è vero che il COGNOME, proprio per superare la mancata prestazione del consenso alla stipula da parte del COGNOME, ha esercitato l’azione prevista dall’art. 2932 c.c. Non può quindi affermarsi che, alla data della cessione, il contratto preliminare fosse stato integralmente adempiuto da
alcuna delle parti, onde la configurazione della vicenda negoziale di cui si discute nei termini di cui all’art. 1406 c.c. è corretta.
Con il secondo motivo, la parte ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe tralasciato di considerare che, nella specie, non sussistevano i requisiti previsti dall’art. 2932 c.c., a fronte dell’assenza della regolarità urbanistica del bene oggetto del contratto preliminare di cui è causa.
La censura è inammissibile.
La Corte distrettuale, all’esito di un accertamento in punto di fatto, ha ritenuto che nel caso di specie le difformità rilevate dalla C.T.U., sulle quali si diffonde la doglianza in esame, non fossero sostanziali e dunque non impedissero l’emanazione della sentenza costitutiva prevista dall’art. 2932 c.c. (cfr. pagg. 9 e s. della sentenza impugnata). Trattasi di ricostruzione del fatto e delle prove, alla quale il ricorrente contrappone una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le
ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
Né si configura, nel caso di specie un vizio di apparenza della motivazione, che non è manifestamente illogica ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico -argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
Con il terzo motivo, infine, la ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 19, comma 14, del D.L. n. 78 del 2010, convertito in legge n. 1221 del 2010, e 2932 c.c., perché la Corte distrettuale avrebbe omesso di rilevare che, nella specie, mancava anche la dichiarazione di conformità catastale prevista per i trasferimenti immobiliari.
La censura, oltre ad implicare essa pure, come la precedente, una rivalutazione del giudizio di merito operato dalla Corte distrettuale, è anche inammissibile perché nuova. Di essa, infatti, non v’è traccia nella decisione impugnata ed il ricorrente non chiarisce in quale momento del giudizio, e con quale strumento processuale, l’avrebbe proposta, con conseguente deficit di specificità della doglianza.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 4.300, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda