Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7544 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7544 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12038/2023 R.G. proposto da: COGNOME DI COGNOME NOME E COGNOME RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME, già domiciliata presso lo studio legale COGNOME NOME ed attualmente domiciliata per legge presso l’indirizzo di posta elettronica certificata di entrambi i suddetti locali;
-ricorrente-
contro
PENIE’ RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOMECOGNOME presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del quale è domiciliata per legge;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 729/2023, depositata il 30/03/2023; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/02/2025 dal
Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Nel 2017 la società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità, la società RAGIONE_SOCIALE) conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di Belluno, la società di RAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità, la società RAGIONE_SOCIALE) esponendo di aver concluso con la convenuta il 23 novembre 2009 contratto d’affitto di ramo d’azienda con contestuale locazione di immobile e chiedendo: in via principale che venisse accertato l’inadempimento della convenuta, quale proprietaria, in relazione alle obbligazioni derivanti dal suddetto contratto, con condanna della convenuta al pagamento a tale titolo della somma di euro 1.390.711,27 oltre IVA. In sintesi, la società attorea sosteneva di aver diritto ad un importo corrispondente all’ammontare delle spese condominiali, riferite alla quota di multiproprietà della società RAGIONE_SOCIALE (pari a 230,256334/1000), oggetto di un contratto di locazione, che la società RAGIONE_SOCIALE aveva in precedenza (e precisamente in data 9 novembre 2007) concluso con la RAGIONE_SOCIALE, importo che, a dire di RAGIONE_SOCIALE sarebbe stato indebitamente trattenuto dalla società RAGIONE_SOCIALE In via subordinata, la società ricorrente chiedeva che il contratto 23 novembre 2009 fosse annullato per dolo o errore, essenziale e riconoscibile, risultando ab origine privo di ogni senso economico, con ogni conseguente pronuncia restitutoria e/o risarcitoria.
Si costituiva in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE chiedendo il rigetto delle domande avversarie. In particolare evidenziava che il contratto intercorso tra le parti: a) prevedeva espressamente il subentro della società RAGIONE_SOCIALE, quale affittuaria, ai sensi dell’art. 2558 c.c., nei contratti stipulati per l’esercizio dell’impresa, con esclusione dei
contratti di natura strettamente personale e del contratto di fornitura di servizi alberghieri stipulato da essa società RAGIONE_SOCIALE con la RAGIONE_SOCIALE; b) prevedeva, tuttavia, che detti servizi sarebbero stati – come avvenuto – sub-appaltati in esclusiva alla società RAGIONE_SOCIALE <> da essa società affittante da parte della RAGIONE_SOCIALE. In particolare, la società convenuta evidenziava che RAGIONE_SOCIALE aveva esercitato l’attività d’impresa avendo la disponibilità di tutti gli immobili facenti parte della Comunione dell’Hotel Cristallino d’Ampezzo e degli immobili di sua proprietà esclusiva della stessa, con la conseguenza che erano a carico all’affittuaria, nella sua veste di conduttrice/subconduttrice, tutti gli oneri condominiali dapprima spettanti a RAGIONE_SOCIALE
Istruita la causa mediante CTU contabile al fine di verificare i rapporti di dare ed avere tra le parti, il Tribunale di Belluno, con sentenza n. 136/2020, rigettava le domande attoree e compensava interamente tra le parti le spese di lite, tenuto conto della notevole complessità della vertenza e della natura interpretativa delle questioni esaminate.
Avverso detta sentenza proponeva impugnazione RAGIONE_SOCIALE, formulando quattro motivi.
RAGIONE_SOCIALE.n.c. si costituiva anche nel giudizio di appello chiedendo il rigetto del gravame e proponendo appello incidentale in relazione alla compensazione delle spese di lite e di CTU.
La Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 729/2023:
rigettava l’appello principale proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE;
in accoglimento dell’appello incidentale proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE condannava la società RAGIONE_SOCIALE a pagare alla società RAGIONE_SOCIALE le spese di lite relative ad entrambi i gradi di giudizio, oltre alle spese di ctu.
Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso la società RAGIONE_SOCIALE COGNOME Paola RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE
Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte.
I Difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria a sostegno delle rispettive ragioni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Giova preliminarmente ripercorrere il decisum dei giudici di merito.
1.1. Il giudice di primo grado – dopo aver rilevato che, in conseguenza della stipula del contratto di affitto di ramo d’azienda, la RAGIONE_SOCIALE, secondo circostanza pacifica in causa, aveva avuto la disponibilità sia delle quote di cui la società RAGIONE_SOCIALE era titolare, sia di quelle per le quali quest’ultima era conduttrice, subentrando nel relativo godimento – ha ritenuto provato il subentro, ai sensi dell’art. 2558 c.c., di RAGIONE_SOCIALE nel contratto di locazione concluso da RAGIONE_SOCIALE s.n.c. con RAGIONE_SOCIALE (con la conseguenza che l’affittuaria era tenuta a sopportare gli oneri relativi ai servizi comuni, di cui beneficiava):
sia perché, in caso di affitto d’azienda relativo ad attività svolta in un immobile condotto in locazione, la cessione del contratto di locazione o la sublocazione si presume fino a prova contraria, alla stregua dei principi di cui all’art. 2558 c.c.;
b) sia perché il contratto oggetto di causa risultava denominato dalle parti ‘contratto di affitto di ramo d’azienda con contestuale locazione d’immobile’ e recava, quindi, un espresso riferimento a una contestuale locazione che, in assenza di cessione del relativo contratto, non si sarebbe spiegato, essendo il contratto di locazione tra RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE (stipulato il 9.11.2007) intervenuto in epoca antecedente all’affitto d’azienda;
c) sia in considerazione delle seguenti concorrenti ragioni: c1) nel contratto vi era l’espressa previsione dell’art. 2558 c.c.; c2) il contratto di locazione non aveva natura strettamente personale ed era funzionale all’esercizio dell’attività imprenditoriale; c3) l’art. 36 legge 392/1978, autorizza la cessione del contratto di locazione senza il consenso del locatore a condizione che (come nel caso di specie) sia contestualmente ceduta o locata l’azienda; c4) la previsione di cui all’art. 5 del contratto di affitto di ramo d’azienda si giustificava considerando ceduto il contratto di locazione in capo all’affittuaria, con i relativi oneri; c5) la tesi sostenuta dalla convenuta risultava confermata dal documento n. 11, dalla stessa prodotto (bozza del contratto d’affitto di ramo d’azienda in cui, diversamente dalla versione definitiva, era stata prevista espressamente l’esclusione del contratto di locazione immobiliare stipulato il 9.11.2007 dai contratti nei quali la società affittuaria sarebbe subentrata ai sensi dell’art. 2558 c.c.); c6) la società attrice, nel corso del rapporto contrattuale, durato più anni, non risultava aver intimato a RAGIONE_SOCIALE il pagamento di una somma corrispondente agli oneri per i servizi comuni lamentandone l’indebita trattenuta da parte della convenuta.
Il giudice di primo grado ha ritenuto infondata anche la domanda di annullamento del contratto per dolo o errore, formulata in via subordinata, argomentando: a) sia sul fatto che la RAGIONE_SOCIALE non aveva specificamente indicato quali artifizi e raggiri sarebbero stati posti in essere dalla controparte nel rappresentare una situazione di fatto e di diritto diversa da quella effettiva; b) sia sul fatto che l’errore sul valore della prestazione atteneva alla valutazione economica dell’operazione economica e non era errore essenziale.
1.2. La corte territoriale nella impugnata sentenza, nello scrutinare i quattro motivi di appello (pp. 28-39), ha confermato
l’impianto argomentativo della sentenza di primo grado, specificando (pp. 34 e 35) anche le ragioni per cui apparivano <> gli elementi, addotti dall’appellante principale, a sostegno della tesi che il contratto di locazione non era stato ad essa trasferito.
La società RAGIONE_SOCIALE di Derman RAGIONE_SOCIALE articola in ricorso due motivi.
2.1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto che, nel complesso rapporto contrattuale intercorso fra essa società ricorrente e la società RAGIONE_SOCIALE, le parti avevano stipulato, anche tacitamente, un negozio di cessione del contratto di locazione, all’epoca già in essere in essere fra la società RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, a RAGIONE_SOCIALE (con il conseguente obbligo a carico di quest’ultima di pagare anche le spese di gestione dell’immobile/albergo locato quali acqua, energia elettrica, riscaldamento, etc).
Sostiene che la corte territoriale ha argomentato la sua decisione esclusivamente su presunzioni e cioè ha ritenuto dimostrato, sulla base di una serie di elementi di fatto noti, un fatto ignoto (cioé l’avvenuta stipula della cessione del contratto di locazione), disattendendo il senso letterale delle parole usate nell’art. 5 del contratto, per giungere ad una decisione inaccettabile.
In definitiva, secondo la società ricorrente, dal tenore letterale e delle parole usate dalle parti nel Contratto di affitto di ramo d’azienda risulterebbe la loro comune intenzione di non operare alcuna cessione alla ricorrente del contratto di locazione di immobile/albergo in essere fra RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, con quel che ne consegue in relazione ai costi di gestione, che in tesi difensiva dovrebbero rimanere in capo a COGNOME.
Aggiunge che la corte territoriale, affermando quanto sopra, ha anche violato il disposto dell’art. 2558 c.c, I e III comma, e dell’art. 36 della L. 392/1978, come interpretati da questa Corte (e, in particolare, da Cass. n. 12016/2017), sia perché le parti nel contratto d’affitto di ramo d’azienda avevano previsto che il contratto di locazione d’immobile/albergo rimanesse in essere fra le parti originarie; sia perché il canone per la locazione dell’immobile/albergo fu sempre pagato da Peniè alla RAGIONE_SOCIALE.
2.2. Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale non ha tenuto conto dei seguenti fatti noti, pacifici in causa e completamente dissonanti dagli elementi di fatto noti valorizzati nella sentenza impugnata: il fatto che il canone sia stato sempre pacificamente pagato direttamente da RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE; il fatto che alla prima scadenza della locazione (nel novembre 2013) la locazione fu tacitamente rinnovata tra RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE (come indicato fin dall’atto di citazione di primo grado e mai contestato da COGNOME); il fatto che, per tutta la durata del rapporto, la RAGIONE_SOCIALE emise fattura solo ed esclusivamente nei confronti di COGNOME, circostanza anch’essa non contestata; quanto contenuto nella nota integrativa al bilancio 2013, a commento delle ‘operazioni con parti correlate’; il fatto che nel contratto di locazione RAGIONE_SOCIALE / RAGIONE_SOCIALE all’ art. 9. fosse espressamente indicato il divieto di trasferimento della locazione, salvo consenso scritto del proprietario locatore, mai rilasciato da Peniè.
In definitiva, secondo la società ricorrente, alla luce di tali elementi di fatto, mai contestati, la corte territoriale avrebbe dovuto ritenere provato che mai fu concordata, anche tacitamente, una cessione del contratto di locazione in favore della ricorrente.
I motivi – che concernono entrambi la questione se la RAGIONE_SOCIALE sia o no tenuta a sopportare gli oneri condominiali
relativi alle unità immobiliari di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, di cui aveva avuto godimento in forza del contratto del 23 novembre 2009 sono inammissibili.
3.1. In primo luogo, occorre osservare che la corte territoriale ha argomentato nel senso che (cfr. sentenza impugnata, p. 38): <>.
La motivazione che precede integra una distinta ed autonoma ratio decidendi , che non è stata impugnata dalla società ricorrente, con la conseguenza che sulla relativa statuizione si è formato il giudicato.
3.2. Al rilievo che precede, di per sé dirimente, si aggiunge: quanto al motivo primo, la circostanza che la società ricorrente deduce inammissibilmente la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale (e in particolare del canone letterale).
Invero, parte ricorrente continua ad interpretare l’art. 5 del contratto inter partes (secondo il quale <> ) nel senso che il contratto di locazione fra RAGIONE_SOCIALE e la società proprietaria dell’immobile rimanesse ‘in capo’ a RAGIONE_SOCIALE.
Senonché, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, entrambi i giudici di merito, ad esito di un articolato percorso argomentativo, hanno ritenuto che la volontà delle parti fosse quella di operare la cessione di tale contratto alla RAGIONE_SOCIALE
In particolare – essendo pacifico in fatto che la RAGIONE_SOCIALE è subentrata nel godimento delle quote di multiproprietà di RAGIONE_SOCIALE – la corte territoriale, nell’interpretare il contratto per cui è ricorso, ha esaminato la previsione contenuta nell’art. 5 e, confermando la sentenza di primo grado (p. 12), è giunta alla conclusione (p. 30), che con il contratto di affitto di ramo di azienda era stato ceduto in capo all’affittuaria RAGIONE_SOCIALE anche il contratto di locazione del 9 novembre 2007, con conseguente imputazione degli oneri condominiali in capo alla stessa RAGIONE_SOCIALE.
Occorre qui ribadire che l’accertamento, anche in base al significato letterale delle parole, della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto dei negozi inter partes (cfr. Cass. n. 18509/ 2008), si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito.
Ne consegue che tale accertamento è censurabile in sede di legittimità soltanto per vizio di motivazione (Cass. n. 1646/2014), nel caso in cui , contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie, la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683; n. 18375 e n. 1754 del 2006).
Per sottrarsi al sindacato di legittimità, infatti, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, sicché quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto la interpretazione poi disattesa dal giudice del merito,
dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 10466/2017; n. 8909/2013; n. 24539/2009; n. 15604 e n. 4178 del 2007; n. 17248/2003).
Essendo altresì pacifico che il difetto di motivazione censurabile in sede di legittimità è configurabile solo quando dall’esame del ragionamento svolto dal Giudice di merito, e quale risulta dalla stessa sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre a una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza del processo logico che ha indotto il Giudice al suo convincimento, ma non già quando vi sia difformità rispetto alle attese del ricorrente (Cass. n. 13054/2014).
3.3. Anche il secondo motivo è inammissibile.
Invero, la violazione dell’art. 2729 c.c. è dedotta senza rispettare i criteri indicati, in ampia motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, da Cass., Sez. Un., n. 1785 del 2018, ai cui paragrafi 4 e ss. della motivazione si fa rinvio.
Inoltre, le censure svolte dalla società ricorrente RAGIONE_SOCIALE con il motivo in esame, dietro l’apparente forma di un richiesto controllo del rispetto sui principi del ragionamento presuntivo, si risolvono in una critica di merito del risultato dell’interpretazione del contratto del 23.11.2009 operata dalla Corte d’Appello di Venezia e, quindi, nell’inammissibile richiesta, rivolta a questa Corte, di procedere ad una nuova valutazione del merito, attraverso un nuovo esame di elementi già vagliati dalla Corte territoriale.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
La Corte:
-dichiara inammissibile il ricorso;
-condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte resistente delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 15.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2025, nella camera di consiglio