Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9352 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9352 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23112/2023 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, EMAIL);
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME, in persona del rappresentante legale, NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
nonché contro
LA RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, in persona del Liquidatore e legale rappresentante p.t., COGNOME,
rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOMEBRNLDA63R16A944B, ;
-controricorrente-
e nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE, incorporante RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
e sul ricorso incidentale proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, incorporante RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente incidentale- contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BRESCIA n. 1398/2023, depositata il 18/09/2023, notificata il 22/09/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva, dinanzi al Tribunale di Brescia, la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE rappresentando di avere preso in leasing per euro 95.140,91, al netto d’Iva, una Aston Martin V8 Vantage, rivelatasi
affetta da gravi problemi meccanici immediatamente dopo averla ottenuta in locazione finanziaria dalla RAGIONE_SOCIALE, e domandando la nullità del contratto di leasing in quanto stipulato presso il suo studio, quindi, fuori dalla sede della concedente, senza la previsione del diritto di recesso, in dispregio della normativa prevista dal Codice del Consumo, e la risoluzione del contratto di fornitura stipulato tra RAGIONE_SOCIALE, rivenditrice dell’auto, e RAGIONE_SOCIALE e, in INDIRIZZO subordinata, la risoluzione del contratto di leasing e del contratto di fornitura stipulato tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in entrambi i casi con condanna delle convenute alla restituzione di tutte le somme sostenute e sostenende, ovvero le rate della locazione finanziaria, la tassa di circolazione ed il premio della polizza assicurativa, con ulteriore condanna al risarcimento di tutti i danni patiti e patiendi , patrimoniali e non.
Il Tribunale di Brescia, con sentenza n. 2792/2012, ai fini che qui interessano, negava che l’attore fosse un consumatore, avendo riportato nel contratto di leasing il numero di Partita Iva, a dimostrazione di un utilizzo del bene nell’ambito dell’esercizio della professione, rigettava la domanda di risoluzione del contratto del fornitore, stante il mancato superamento dell’onere della prova attinente allo specifico vizio da cui era affetta l’autovettura.
La Corte d’appello di Brescia, con la sentenza n. 1425/2017, rigettava l’appello principale proposto da NOME COGNOME e l’appello incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE, ritenendo decisiva per non applicare la disciplina consumeristica la indicazione della partita iva nel contratto, indimostrati i gravissimi vizi del bene, legittima la pronuncia sulle spese del tribunale in virtù della soccombenza totale.
NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione, con cui denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 1490, 1492,
1495, 1497 cod.civ. e dell’art. 2967 cod.civ. con riguardo alla statuizione sulla ripartizione dell’onere della prova in ordine alla natura redibitoria dei vizi e la violazione e falsa applicazione della disciplina consumeristica.
All’esito del giudizio di cassazione, con ordinanza n. 6578/2021, questa Corte, in accoglimento del secondo motivo del ricorso, assorbito il primo e il ricorso incidentale condizionato spiegato da Unicredit Leasing S.p.A. sulla mancata pronuncia della corte d’appello in merito all’eccepita rinuncia del Bafunno a far valere l’azione di nullità del contratto di leasing stante l’avvenuta cessione a terzi, cassava con rinvio l’impugnata sentenza.
La Corte d’appello di Brescia, con la sentenza n. 1398/2023, depositata il 18/09/2023 e notificata il 22/09/2023, all’esito del giudizio di rinvio: a) ha riscontrato la violazione dell’art. 52 cod. cons., non essendo stata prevista la facoltà di recesso dal contratto, ma ha escluso che ciò giustifichi la nullità del contratto, ritenendo, invece, postergata la decorrenza del termine per l’esercizio da parte del consumatore dello ius poenitendi ; b) ha escluso che la omessa indicazione del TAEG/ISC determini l’applicazione degli artt. 123 e 125 TUB; c) ha negato che la mancata informazione sul contenuto economico del contratto comporti la nullità dell’intero contratto; d) ha rilevato che le clausole nn. 3 e 5 del contratto precludevano all’utilizzatore la facoltà di agire per la risoluzione del contratto nei confronti della fornitrice o per chiedere il risarcimento dei danni o per far valere la garanzia per i vizi nei confronti della concedente; e) ha dichiarato la Aston Martin LTD priva di legittimazione passiva rispetto all’azione di nullità, di risoluzione del contratto e di risarcimento del danno; f) stante l’avvenuta cessione del contratto di locazione finanziaria, ha ritenuto la titolarità del rapporto contrattuale passata al cessionario, subentrato in tutte le posizioni giuridiche afferenti alla locazione finanziaria, con il venir meno del potere del
cedente <>, con conseguente rigetto della domanda di risoluzione del contratto: rigetto che vi sarebbe stato anche là dove non avesse avuto luogo la cessione del contratto, atteso che le clausole nn. 3 e 5 del contratto escludevano qualsiasi responsabilità della concedente per la presenza di vizi del bene; g) ha negato la legittimazione dell’utilizzatore a proporre la risoluzione del contratto di compravendita, funzionale a far ottenere alla società di leasing la restituzione del bene da parte della venditrice e all’utilizzatore la restituzione dei canoni da parte della società di leasing, per più ragioni: i) l’avvenuta cessione del contratto di leasing ; ii) la mancata cessione da parte della società concedente all’utilizzatore del diritto di promuovere nei confronti del fornitore l’azione di risoluzione oltre all’azione derivante dalla garanzia di buon funzionamento di cui all’art. 1512 cod.civ.; h) dato che il nuovo utilizzatore non aveva lamentato vizi del bene, ha reputato pacifico che l’auto era stata riparata e risultava funzionante; i) ha ritenuto immeritevole di accoglimento la domanda di sostituzione del bene, atteso che essa implicava costi ingiustificati; l) ha escluso, in ogni caso, la ricorrenza dei presupposti che, ai sensi dell’art. 130 cod. cons., giustificano la risoluzione o la riduzione del prezzo, perché entro un tempo ragionevole, un mese, il bene era stato riparato, e la precedente restituzione non aveva determinato alcun inconveniente economicamente apprezzabile, a parte il disagio di dover utilizzare l’auto sostitutiva; m) ha negato la legittimazione attiva dell’utilizzare anche all’esercizio dell’azione redibitoria, della quale comunque difettavano i presupposti; n) ha rigettato la domanda risarcitoria per insussistenza del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale; o) ha rigettato il motivo
di appello con cui il COGNOME si era lamentato della liquidazione delle spese di lite.
NOME COGNOME ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando sei motivi.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in liquidazione resistono con separati controricorsi.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato, fondato su due motivi.
La trattazione dei ricorsi è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, Unicredit RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo il ricorrente si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 1, 5 cod.proc.civ., per avere il giudice a quo escluso la sussistenza in capo all’utilizzatore esponente della legittimazione alla proposizione della domanda di risoluzione del contratto di vendita nei confronti della fornitrice, per ritenerla riservata alla sola concedente, assumendo che il contratto di locazione finanziaria non prevedesse la cessione da parte della concedente del diritto di promuovere tale azione, ma esclusivamente quella derivante dalla garanzia di buon funzionamento ex art. 1512 cod.civ.
Al giudice a quo si rimprovera l’erroneità della interpretazione delle disposizioni contrattuali 3) e 5), comprovata dalla comunicazione della concedente del 30.05.006 e dalla comparsa di costituzione della società di leasing , con cui, rispettivamente, Unicredit Leasing S.p.A. riscontrava la comunicazione di risoluzione del contratto di fornitura ricevuta dall’utilizzatore non per contestarne o negarne la legittimazione, ma esclusivamente per ricordare il perdurare dell’obbligo di pagamento delle rate e per ribadire espressamente che l’utilizzatore era legittimato ad agire,
previa autorizzazione -che si impegnava a fornire – direttamente nei confronti del fornitore, la comparsa di costituzione non conteneva alcuna contestazione in punto di legittimazione ad agire nei confronti della venditrice né rivendicava alla comparente tale titolarità.
Il motivo è inammissibile, perché è stato dedotto in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6 cod.proc.civ., non avendo il ricorrente riprodotto il contenuto delle clausole asseritamente male interpretate; l’erronea interpretazione non è fatta dipendere dalla violazione dei canoni di interpretazione.
È opportuno ribadire che: 1) anche declinato secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, COGNOME e altri c/ Italia, la quale ha ribadito che il fine legittimo, in linea generale ed astratta, del principio di autosufficienza del ricorso è la semplificazione dell’attività del giudice di legittimità unitamente alla garanzia della certezza del diritto e alla corretta amministrazione della giustizia, (ai p.ti 74 e 75 in motivazione), investendo questa Corte del compito di non farne una interpretazione troppo formale che limiti il diritto di accesso ad un organo giudiziario (al p.to 81 in motivazione), esso (il principio di autosufficienza) può dirsi soddisfatto solo se la parte riproduce il contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso e se sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950); ii) la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale ha l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma
solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. 28/11/2017, n.28319 Cass. 09/04/2021, n. 9461).
2) Con il secondo motivo il ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ., perché il cessionario, diversamente da quanto ritenuto dalla corte d’appello, non subisce pregiudizio in caso di prosecuzione del giudizio fra le parti originarie e di accoglimento della domanda.
La tesi del ricorrente è che, non essendosi il terzo, cioè l’utilizzatore subentratogli nel contratto di leasing cui era stato ceduto il diritto controverso nel corso del processo, costituito in giudizio né essendo stato evocato dalla società di leasing, il processo è legittimamente proseguito tra le parti originarie, in applicazione dei principi di carattere generale che disciplinano la posizione processuale e sostanziale del successore con disposizioni di carattere generale prive di distinguo (Cass. n. 1633/2014). Peraltro, espressamente per mera completezza, il ricorrente richiama il principio giurisprudenziale secondo cui l’alienazione del bene -del cui atto di acquisto era stata proposta azione di risoluzione dal compratore a causa di vizi redibitori -non costituisce preclusione alla prosecuzione del giudizio quando risulti che l’atto di disposizione sia diretto ad <> a danno del medesimo (Cass. nn. 12382/2006, 489/2001, 5552/1994). Il motivo è infondato.
Alla base delle argomentazioni del ricorrente vi è l’assunto erroneo che sia stato ceduto il diritto di credito al godimento dell’Aston Martin e non anche l’intera posizione contrattuale di utilizzatore; in
altri termini, il ricorrente confonde la cessione del credito con la cessione del contratto e gli effetti sostanziali e processuali che ne derivano.
Mentre la cessione del contratto opera il trasferimento dal cedente al cessionario, con il consenso dell’altro contraente, dell’intera posizione contrattuale, con tutti i diritti e gli obblighi ad essa relativi, la cessione del credito ha un effetto più circoscritto, in quanto è limitata al solo diritto di credito derivato al cedente da un precedente contratto e produce, inoltre, rispetto a tale diritto, uno sdoppiamento fra la titolarità di esso, che resta all’originario creditore-cedente, e l’esercizio, che è trasferito al cessionario. Dei diritti derivanti dal contratto, costui acquista soltanto quelli rivolti alla realizzazione del credito ceduto, e cioè, le garanzie reali e personali, i vari accessori e le azioni dirette all’adempimento della prestazione. Non gli sono, invece, trasferite le azioni inerenti alla essenza del precedente contratto, fra cui quella di risoluzione per inadempimento, poiché esse afferiscono alla titolarità del negozio, che continua ad appartenere al cedente anche dopo la cessione del credito (Cass. 29/03/2024, n.8579).
Nella cessione del contratto, disciplinata dagli artt. 1406 e ss. cod.civ., si verifica una sostituzione nella figura di parte di un contratto a prestazioni corrispettive non ancora eseguite; sostituzione che è totale, in quanto il cedente viene completamente estromesso dalla titolarità del rapporto che, invece, viene conseguita dal cessionario, il quale sarà l’unico legittimato a ricevere la prestazione e ad avvalersi dei rimedi contrattuali, in quanto tenuto a sua volta ad eseguire una prestazione a favore del contraente ceduto.
3) Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione della delibera CICR del 4.3.003, dell’art. 117, comma 8, d.lgs. n. 385/93, degli artt. 38, 47, 50, 52 e 64 d.lgs
206/2005 e dell’art. 1418, 2° comma, cod.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.
Alla corte d’appello si imputa di avere individuato nel d.lgs. n. 141/2010 la fonte dell’obbligo di informazione del contenuto minimo dei contratti di natura finanziaria, avendo invece già la delibera del 4.3.2003 del CICR che, secondo l’art. 1 del d.lgs. n. 385/93 (TUB), ha l’alta vigilanza in materia di credito e di tutela del risparmio e delibera nelle materie attribuite alla sua competenza enunciato principi inderogabili a carico degli intermediari finanziari in tema di trasparenza bancaria e di obblighi informativi nei confronti della clientela, prevedendo l’obbligo per gli intermediari finanziari di rendere noto un Indicatore Sintetico di Costo, comprensivo degli interessi e degli oneri che concorrono a determinare il costo effettivo della operazione per il cliente. Né la corte avrebbe attribuito rilievo alla locuzione <> adottata nel contratto, capziosa ed ingannevole, poiché volta ad ingenerare il convincimento della ricomprensione, in tale denominatore, del costo globale del contratto, anziché di quello limitato ai soli interessi.
E ancora la corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto applicabile l’art. 117 TUB alla sola clausola del tasso d’interesse e non all’intero contratto, senza rilevare che il contratto non conteneva né le ulteriori voci di costo, né le altre informazioni essenziali, quali il criterio d’ammortamento e le modalità di ricalcolo, trattandosi di tasso variabile.
Il ricorrente, inoltre, si duole che la corte d’appello non abbia pronunciato la nullità del contratto per l’assenza di informazione sul diritto di recesso, ritenendo che al consumatore privato dell’informazione spettasse solo il diritto a vedersi postergato il termine per esercitare il diritto di recesso, violando l’art. 67 septiesdecies cod. cons. che sanziona con la nullità di protezione
per vizio strutturale del contratto la violazione degli obblighi di informativa relativa ad elementi essenziali del contratto.
La disciplina consumeristica vigente all’epoca dei fatti avrebbe dovuto essere integrata con le tutele già apprestate dall’ordinamento nell’ambito di contratti conclusi con moduli predisposti da una parte, in una situazione di disequilibrio di forze e di asimmetria conoscitiva, nonché di comportamenti prevaricatori del contraente forte (di cui già all’art. 16 del d.lgs. n. 190/2005).
Il motivo è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato.
Va premesso che questa Corte ritiene, con un indirizzo costante, che l’indicazione del TAEG/ISC non sia obbligatoria per il leasing , ma lo sia per le operazioni di credito al consumo: v. Cass. 13/12/2023, n.34889, ove è stato precisato che <>. Per Cass. 14/02/2023, n. 4597, il TAEG/ISC <>.
Nelle operazioni di credito al consumo l’omessa o erronea indicazione del TAEG è invece causa di nullità <> (v. Cass. 13/06/2024, n.16456).
Va poi aggiunto che il TAEG, cioè il Tasso Annuo Effettivo Globale, è il perno attorno al quale ruota l’esigenza di chiarezza e informazione delle operazioni di credito al consumo; che cosa sia si ricava dal combinato disposto delle lett. d ) ed e ) dell’art. 1 della dir. 87/102/CEE, quale sia il metodo di calcolo è stato definito nella dir. 90/88/CEE; la affidava al CICR il
compito di stabilire le modalità di calcolo del TAEG e gli elementi da computare a tal fine. In sede di prima applicazione, la disciplina ed i criteri di definizione del TAEG per la concessione di credito al consumo furono definiti dal dm 8 luglio 1992, in cui il TAEG, quale <> (art. 2, comma 1), era definito <> (art. 2, comma 2). La formula per il calcolo del TAEG era contenuta nell’allegato 1 al detto decreto ministeriale, essa si rifaceva all’allegato 2 alla dir. 90/88/CEE che, come detto, si era fatta carico dell’esigenza di superare le incolmabili differenze riguardo ai metodi usati negli Stati membri per il calcolo del TAEG, elaborando una formula matematica unica. L’art. 9, comma 2, della delib. CICR del 4 marzo 2003 in tema di <> demandava alla Banca d’Italia l’individuazione delle operazioni e dei servizi a fronte dei quali il predetto indice <> doveva essere segnalato nonché la formula per rilevarlo.
Indicazioni articolate sul TAEG si rinvengono, infatti, al par. 4.2.4 del provvedimento del 29 luglio 2009 della Banca d’Italia sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari e la correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti; lo stesso provvedimento contiene, nell’allegato 5B, la formula matematica per il calcolo del TAEG: la competenza, sul punto, della Banca d’Italia, è stata successivamente confermata dall’
, nel testo modificato dal . Nello stesso articolo del testo unico, al comma 1, lett. m), è spiegato che il TAEG indica, in percentuale annua, il costo effettivo del credito
Tuttavia, ciò non giova al ricorrente, perché egli ha omesso di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti perché fosse applicata nei suoi confronti la disciplina del credito al consumo.
Come si è detto non tutti i contratti di leasing integrano gli estremi di un’operazione di credito al consumo. Infatti, il credito al consumo, anzi, il <>, secondo il d.lgs. 13/8/2010, n. 141, con il quale è stata data
attuazione alla dir. 23/4/2008 n. 48, che ha sostituito la locuzione di credito al consumo, di cui all’art. 121 TUB, nel quale era stato trasfuso l’art. 18 della l. n. 142/1992, descrive un’operazione economica (e non uno o più contratti), la cui disciplina è applicabile ad una pluralità di fattispecie concrete accomunate da una causa di finanziamento, ma divergenti sotto il profilo strutturale (giacché possono essere bi o trilaterali), soggettivo (oltre allo stesso venditore/fornitore, il finanziatore, infatti, può essere una banca, una società finanziaria non bancaria, persino un’impresa di assicurazioni o un broker ) e oggettivo (prestiti personali, crediti finalizzati, ecc.).
Il contratto di leasing vi rientra -nonostante la disciplina consumeristica non si applichi, tra l’altro, alla locazione, sempreché in essa sia espressamente previsto che in nessun caso la proprietà della cosa locata possa passare, con o senza corrispettivo, al locatario- ma a precise condizioni: in termini positivi, se il leasing abbia le caratteristiche di quello che questa Corte, a Sezioni Unite, con le pronunce dal n. 5569 al 5574 del 13/12/189, ebbe a definire leasing traslativo al consumo; in termini negativi, se il finanziamento non si collochi né al di sotto né al di sopra di una certa somma, che l’art. 122, comma 1°, TUB, ha fissato, rispettivamente, in euro 200,00 e in euro 75.000,00. Prima dell’entrata in vigore del TUB e fino al d.lgs. n. 141/2010 non era intervenuta alcuna delibera del CICR volta a stabilire il limite minimo e il limite massimo e, pertanto, restavano in vigore i limiti fissati dall’art. 18, comma 3, della l. n. 142/1992, pari a L. 300.000 e a L. 60.000.00, malgrado l’abrogazione della l. n. 142/1992 ad opera dello stesso TUB (abrogazione che non aveva riguardato l’art. 18, comma 3, della l. n. 142/1992, in virtù del singolare meccanismo di ultrattività previsto dall’art. 161, comma 2, TUB).
Va rigettata la pretesa del ricorrente volta ad ottenere la declaratoria di nullità del contratto per omessa informazione sul diritto di recesso.
Come questa Corte ha avuto occasione anche di recente di affermare <> (Cass. 27/9/2018, n. 23412; Cass. 12/11/2024, n. ).
4) Con il quarto motivo parte ricorrente imputa al giudice a quo la violazione e falsa applicazione dell’art. 129, comma 2°, lett. c. del d.lgs 206/2005, in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.
La corte d’appello avrebbe omesso l’esame della domanda risarcitoria avanzata nei confronti del produttore per avere reso un’informazione inveritiera e scorretta, riguardo alla specifica qualità dell’affidabilità del veicolo.
Il motivo è inammissibile.
Affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 cod.proc.civ., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente e inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronuncia si sia resa necessaria e ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale
di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primis , la ritualità e la tempestività e, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 cod.proc.civ., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del fatto processuale, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente -per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere a una loro autonoma ricerca, ma solo a una verifica degli stessi (Cass. 05/08/2019, n. 20924).
5) Con il quinto motivo il ricorrente si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ., avendo il giudice a quo disatteso le risultanze documentali circa la sussistenza dei presupposti della durata delle riparazioni e dell’esito delle medesime stabiliti dall’art. 130 cod. cons. per la risoluzione del contratto.
In particolare, lamenta non essere stato considerato dalla corte d’appello che la comunicazione della concessionaria del 30.5.006 superava, annullandola, la precedente dell’8.5.006 in ordine alla riuscita del ripristino ed alla durata delle riparazioni; pertanto i tempi di riparazione sarebbero stati ben più lunghi – quantomeno di tre settimane -rispetto a quanto sostenuto dal giudice a quo .
Il motivo è inammissibile.
La censura di violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ. va disattesa, perché detta disposizione del codice di rito riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo
all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, 1° comma, n. 6, e 369, 2° comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053). Si evidenzia, altresì, che costituisce un “fatto”, agli effetti dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod. proc. civ., non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. 6/09/2019, n. 22397; Cass. 8/09/2016, n. 17761; Cass., Sez. Un., 23/03/2015, n. 5745; Cass. 4/04/2014, n. 7983; Cass. 5/03/2014, n. 5133). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio di cui alla richiamata norma del codice di rito le argomentazioni, supposizioni o deduzioni difensive (Cass. 18/10/2018, n. 26305; Cass. 14/06/2017, n. 14802); gli elementi istruttori (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053); una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. 21/10/2015, n. 21439; Cass. 29/10/2018, n. 27415), sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente estendano il paradigma normativo a questi ultimi profili, come nel caso all’esame (cfr. Cass. 14/09/2022, n.27076; Cass. 25/07/2023, n.22273).
6) Con il sesto motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 130 del d.lgs n. 206/2005 in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ., per avere il giudice a quo
violato e falsamente applicato l’art. 130 cod. cons., là dove ha escluso la ricorrenza dei presupposti per la risoluzione del contratto di vendita, ritenendo la riparazione avvenuta in un tempo ragionevole, senza spese o disagi notevoli per il ricorrente ed in esatto assolvimento della garanzia del venditore (definita convenzionale)
Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente contesta una valutazione di fatto, cioè che la riparazione del bene sia avvenuta in tempi ragionevoli come sostenuto dal giudice a quo , ma non fornisce nessun elemento in iure a supporto della denuncia di una violazione di legge, in particolare non ha soddisfatto l’onere , giusta il disposto di cui all’art. 366, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ., di specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente ha ritenuto in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non permettendo a questa Corte di adempiere al compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v. Cass. 26/06/2013, n. 16038; Cass. 01/12/2014, n. 25419; Cass.12/01/2016, n. 287; Cass. 26/07/2024, n. 20870). Deve, infatti, ribadirsi che <> (v., da ultimo, in tal senso Cass. 26/07/2024, n. 208709).
Nonostante gli sforzi argomentativi di parte ricorrente la vicenda resta confinata negli apprezzamenti di merito, non bastando, come più volte chiarito in questa sede, la enunciazione della pretesa violazione di legge argomentata con la mera critica del
convincimento cui il giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione di una difforme interpretazione degli accertamenti fattuali rispetto a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi di argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità.
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate nella misura indicata in dispositivo in favore delle società controricorrenti, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida: in complessivi euro 8.200,00, di cui euro 8.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori come per legge, in favore della società Unicredit RAGIONE_SOCIALE S.p.A.; in complessivi euro 8.200,00, di cui euro 8.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori come per legge, in favore della società La RAGIONE_SOCIALE in liquidazione; b) in complessivi euro 7.200,00, di cui euro 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori come per legge, in favore della società RAGIONE_SOCIALE
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 7 febbraio 2025 dalla