Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22724 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22724 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20622/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in MILANO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
NOME, NOME, elettivamente domiciliati in TREVISO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-controricorrenti-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 572/2023 depositata il 15/03/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME e NOMECOGNOME quali eredi di NOME COGNOME, hanno convenuto in data 29 aprile 2005 Veneto Banca (VB), all’epoca in bonis , davanti al Tribunale di Treviso per sentir accertare -per quanto qui ancora rileva -la responsabilità della banca per il periodo 1999 -2009 per le operazioni distrattive compiute dalla allora responsabile della filiale della banca di Fossalta Maggiore in danno del de cuius.
Il Tribunale di Treviso ha accolto la domanda e, tenuto conto del concorso di colpa del cliente, ha condannato la banca al pagamento di € 3.050.410,25, oltre accessori e oltre € 250.000,00 di danno non patrimoniale.
La Corte di Appello di Venezia, con sentenza in data 15 giugno 2016, ha parzialmente accolto l’appello della banca e ha rigettato l’appello incidentale degli eredi COGNOME condannando la banca al pagamento della minor somma di € 1.494.465,60, oltre accessori e oltre € 30.000,00 per danno non patrimoniale. La sentenza di appello è stata cassata con rinvio da questa Corte (Cass., n. 3086/2022), per avere il giudice di appello utilizzato una CTU grafologica alla quale la banca aveva rinunciato.
Il giudizio di rinvio è stato incardinato nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e nei confronti di Intesa San Paolo S.p.A. (ISP) quale cessionaria dei rapporti pendenti alla data del contratto di cessione di azienda del 26 giugno 2017.
20622/2023 R.G. 5. La Corte di Appello di Venezia, con la sentenza qui impugnata, ha parzialmente accolto l’appello degli eredi COGNOME
condannando ISP al pagamento di € 3.050.410,25, oltre € 30.000,00 di danno non patrimoniale. Il giudice del rinvio ha, in primo luogo, rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’atto di riassunzione per inosservanza delle norme di deposito telematico degli atti relativo ai fascicoli di parte dei precedenti gradi di giudizio, in ossequio al principio di strumentalità delle forme, avendo l’atto raggiunto il proprio scopo, avendo i convenuti in riassunzione avuto conoscenza degli atti depositati in forma cartacea. Ha ritenuto, inoltre, il giudice di appello -per quanto qui rileva – che ISP, a termini degli artt. 2 e 3 d. lgs. n. 99/2017 e del conseguente contratto di cessione di ramo di azienda tra VB e ISP, è successore a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 cod. proc. civ.
Propone ricorso per cassazione ISP, affidato a tre motivi, cui resistono con controricorso gli eredi COGNOME L’intimata VB in l.c.a. non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 16 -bis d.l. n. 179/2012, convertito con l. n. 221/2012, dell’art. 221, comma 3, d.l. n. 34/2020, convertito con l. n. 77/2020 ), nonché dell’art. 16 d.l. n. 228/2021, convertito con modificazioni con l. n. 15/2022), nella parte in cui la sentenza impugnata , nel rigettare l’eccezione di inammissibilità della riassunzione operata dagli eredi COGNOME per effetto del deposito dei fascicoli di parte in forma cartacea anziché in forma digitale, ha ritenuto che il deposito dei fascicoli di parte in forma cartacea non comportassero l’inammissibilità della riassunzione del giudizio per raggiungimento dello scopo. Deduce parte ricorrente che il deposito cartaceo ha impedito che fosse raggiunto lo scopo del deposito digitale, comportando un concreto pregiudizio al diritto di difesa
delle altre parti, non avendo -in particolare – ISP preso parte ai precedenti gradi del giudizio di merito, nonché al giudizio rescindente. Osserva, peraltro, parte ricorrente come non sia stata rilasciata alcuna autorizzazione al deposito cartaceo.
Il primo motivo, ove deduce l’inammissibilità della riassunzione non attuata in modalità telematica, è infondato. La riassunzione del rinvio è avvenuta in ambito prosecutorio, fase giudiziale che non costituisce una mera prosecuzione del giudizio rescindente, la quale può essere introdotta in forma cartacea e non telematica, né avendo il relativo atto natura endoprocessuale. Si tratta, difatti, di una nuova e autonoma fase, che, pur soggetta, per ragioni di rito, alla disciplina riguardante il corrispondente procedimento di primo o secondo grado, ha natura rescissoria ed è funzionale all’emanazione di una sentenza che, senza sostituirsi ad una precedente pronuncia, riformandola o modificandola, statuisce direttamente sulle domande proposte dalle parti (Cass., n. 24372/2022).
L’effetto processuale della riassunzione del giudizio è analogo alla riassunzione del giudizio che fa seguito alla declaratoria di incompetenza. L’atto di riassunzione della causa innanzi al giudice competente, integrando una nuova costituzione che instaura il rapporto processuale dinanzi a un nuovo giudice, non ha natura di atto endoprocessuale ai sensi dell’art. 16bis d.l. n. 179/2012, tali dovendosi considerare, ai fini della normativa sul processo telematico, solo quegli atti che vengono depositati innanzi allo stesso ufficio giudiziario, e può essere depositato anche in modalità cartacea e non – obbligatoriamente – telematica (Cass., n. 31834/2024).
20622/2023 R.G. 4. Tale lettura è conforme alla struttura dell’art. 16 -bis d.l. n. 179/2012, convertito con l. n. 221/2012, che impone al comma 1 in forma esclusiva (« esclusivamente ») il deposito telematico « degli
atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite», mentre per « ogni atto diverso da quelli previsti dal comma 1 », oltre che dei documenti, il deposito telematico è facoltativo (« è sempre ammesso il deposito telematico» : art. 16bis , comma 1bis , d.l. ult. cit.). Il deposito telematico è, pertanto, imposto unicamente per gli atti espressamente indicati nel comma 1, mentre il deposito telematico è consentito per tutti gli altri atti processuali, oltre che dei documenti. Nulla espressamente dispone , invece, l’art. 16 -bis per quelle fasi processuali che si trovino in una fase di quiescenza, non costituenti un nuovo giudizio ma riattivazione del giudizio (Cass., n. 21480/2019), rimessa a un atto di riassunzione (Cass., n. 14607/2020; Cass., n. 1950/2016; Cass., n. 17531/2014).
L’assenza di una specifica disciplina per gli atti di tale fase processuale comporta l’applicazione dell’art. 16 -bis , comma 1bis d.l. n. 179/2012, risultando l’obbligatorietà del deposito telematico circoscritto « sulla base non già della natura endoprocessuale o extraprocessuale dell’atto da depositare, ma dell’avvenuta instaurazione del contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario investito della controversia», dalla cui operatività sono escluse « quelle fasi del giudizio in cui il rapporto processuale risulti in stato di quiescenza» (Cass., n. 8557/2022).
Se, pertanto, l’atto di riassunzione del giudizio di rinvio può essere depositato in forma cartacea, a fortiori ciò può avvenire per il deposito in forma cartacea dei fascicoli dei precedenti gradi di giudizio. La sentenza impugnata ha, pertanto, fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
20622/2023 R.G. 7. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 4 d.l. n. 99/2017, convertito con l. n. 121/2017, nonché, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc.
civ., per violazione dell’art. 111 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha affermato la successione della ricorrente nei rapporti a essa ceduti a termini del d.l. n. 99/2017 sulla base della sola pendenza della lite. Osserva parte ricorrente che, ai fini della legittimazione della ricorrente quale successore di VB in l.c.a. occorre fare riferimento al contratto di cessione, attuativo dell’art. 3, comma 1, lett. c) d.l. n. 99/2017, laddove prevedono che sono esclusi in linea di principio i contenziosi riferibili a fatti o atti precedenti la cessione (cd. limite oggettivo di non cedibilità), salvo quanto oggetto del contratto di cessione. Rileva il ricorrente che la legge abbia rimesso al contratto di cessione il perimetro delle attività cedute, come confermato da Coste cost., n. 225/2022, con riferimento alle attività astrattamente cedibili. Ad avviso del ricorrente, non è la mera pendenza della lite che comporta il subentro del cessionario nei rapporti del cedente, ma la espressa previsione del rapporto litigioso nel contratto di cessione. Osserva, inoltre, parte ricorrente, come l’art. 4, comma 1, lett. c) attiene all’importo massimo della garanzia di Stato, individuata per relationem sulla base dei rapporti astrattamente cedibili. Conclude per l’inapplicabilità al caso di specie della disciplina di diritto comune, come quella prevista dagli artt. 2558 e 2560 cod. civ.
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1365 cod. civ. nonché, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 111 cod. proc. civ., in relazione al medesimo profilo di cui al superiore motivo. Osserva parte ricorrente che, ai fini della cessione dei contenziosi in essere, occorre l’inerenza e la funzionalità all’impresa bancaria della cessionaria del rapporto oggetto di cessione, funzionalità che va esclusa in caso di rapporti esauriti o estinti.
In memoria, parte ricorrente si richiama a un recente arresto di questa Corte (Cass., n. 15083/2025), che – in difformità da altro precedente di questa Corte (Cass., n. 17834/2023) -si è espressa in conformità con gli assunti del ricorrente, individuando nel contratto di cessione la fonte dei rapporti giuridici transitati in capo al cessionario.
Il secondo e il terzo motivo, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati. Questa Corte, con il precedente richiamato dal ricorrente in memoria (Cass., n. 15083/2025), ha ritenuto che « in tema di controversie intraprese da o contro Veneto Banca s.p.a. o Banca Popolare di Vicenza s.p.a., poi sottoposte a liquidazione coatta amministrativa durante i rispettivi giudizi, non si verifica il subentro di Intesa Sanpaolo s.p.a. nella posizione sostanziale e processuale delle banche suddette nelle liti pendenti alla data (26 giugno 2017) del contratto di cessione stipulato dai commissari liquidatori di quelle banche con Intesa Sanpaolo s.p.a., giusta il d.l. n. 99 del 2017 (convertito dalla legge n. 121 del 2017), ed aventi ad oggetto rapporti bancari già estinti alla data predetta, atteso che tali rapporti rientrano tra quelli di cui al cd. ‘Contenzioso escluso’ previsto nel menzionato contratto ».
Il contratto di cessione, cui rinvia l’art. 3, commi 1 e 2, d.l. n. 99/2017 (come prevede espressamente il comma 2 dell’art. 3 d.l. cit., che prevede « efficacia verso i terzi » delle relative disposizioni), « si intreccia con il dato normativo e conferisce al contratto efficacia rispetto ai terzi, affidando ai contraenti di stabilire cosa rientri, o non, nel perimetro della cessione» (Cass., nn. 21819-21821/2025; Cass., n. 15689/2025).
20622/2023 R.G. 12. Dal contratto di cessione (art. 3.1.2 lett. b) emerge, difatti, che , ai fini dell’inclusione delle passività nell’Insieme Aggregato ceduto ad Intesa Sanpaolo S.p.A., non è sufficiente il mero dato
temporale della sola pendenza della corrispondente lite al momento (26 giugno 2017) della stipulazione del contratto di cessione, ma è necessario che si tratti di debiti « che derivano da rapporti inerenti e funzionali all’esercizio dell’impresa bancaria ».
La funzionalità del rapporto obbligatorio va, pertanto, intesa in relazione non all’attività bancaria in generale, ma alla impresa bancaria e, in particolare, in relazione « a quei rapporti che, oltre ad essere inclusi nei rapporti aziendali, rilevino finalisticamente per lo svolgimento della specifica attività di impresa della cessionaria: che cioè le passività oggetto di trasferimento debbano inscriversi in rapporti che, per non essersi esauriti alla data della cessione, debbano per tale ragione reputarsi funzionali all’esercizio dell’impresa bancaria di Intesa Sanpaolo spa», con « esclusione dalla cessione di qualsiasi di contenzioso avente ad oggetto rapporti estinti» (Cass., n. 15083/2025).
Questa interpretazione risulta confermata dal l’esame del Secondo Accordo Ricognitivo del 17 gennaio 2018, che rafforza, alla stregua di elemento testuale di ulteriore conferma, l’interpretazione già ricavabile dalla lettura dell’atto di cessione de quo , secondo la quale la pendenza della lite non è criterio sufficiente, per reputare un rapporto incluso nel perimetro della cessione ad Intesa Sanpaolo S.p.A., restandone fuori i rapporti esauriti. La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
Il ricorso va accolto in relazione al secondo e al terzo motivo e la sentenza cassata con rinvio per nuovo esame in conformità ai principi enunciati. Al giudice del rinvio è rimessa la decisione in ordine alla regolazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
20622/2023 R.G.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo, rigetta il primo motivo del ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Venezia in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 24/06/2025.