Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21820 Anno 2025
sul ricorso 1495/2021 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE SANPAOLO SP rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21820 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/07/2025
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE AMMINISTRATIVA rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 555/2020 depositata il 25/05/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/05/2025 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.1. Il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ricorre a questa Corte -sulla base di due motivi, ai quali resistono con controricorso e memoria le banche intimate -al fine di sentire cassare la sopra riportata sentenza con la quale la Corte di appello di Torino, accogliendo parzialmente il gravame proposto di Intesa San Paolo, ha riformato l’impugnata decisione dei primo grado nella parte in cui questa aveva condannato l’appellante -cessionaria per effetto del d.l. 25 giugno 2017 n. 99 convertito in l. 31 luglio 2017, n. 121 della azienda bancaria già facente capo a Veneto Banca s.p.a., nelle more sottoposta a liquidazione coatta amministrativa -a ripetere nei confronti dell’odierna ricorrente le somme indebitamente introitate in relazione al pregresso rapporto bancario da essa già intrattenuto con Veneto Banca.
Nel dettaglio la Corte territoriale ha ritenuto di dover dichiarare la carenza di legittimazione e di titolarità passiva in capo all’appellante sulla considerazione che il rapporto di che trattasi non ricadeva del perimetro dell’operata cessione di azienda, posto che, sebbene l’art. 3, comma 1, lett. c) d.l. 99/2017 avesse previsto che la cessione non si estendesse alle “controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa”, il criterio temporale non era in tal senso decisivo, dal momento che in sede di stipulazione del negozio di cessione, allorché si era proceduto all’art.
3 a disciplinare l'”Insieme Aggregato” includente tutte le attività e le passività oggetto di trasferimento, si era dato rilievo anche al criterio dell'”inerenza e funzionalità all’esercizio dell’impresa bancaria”, sempreché del rapporto oggetto di cessione vi fosse una “risultanza contabile”. Di conseguenza, prosegue la Corte, poiché il conto corrente in relazione al quale erano maturate le ragioni di indebito azionate dalla correntista si era estinto il 31.12.2013, il rapporto in parola doveva considerarsi escluso dall’insieme aggregato, atteso che il credito relativo ad un rapporto chiuso prima della cessione ad Intesa non può ritenersi “funzionale all’esercizio dell’impresa bancaria” che è la condizione primaria a cui è subordinato il trasferimento di eventuali passività. In sintesi «la circostanza che il contenzioso fosse pendente alla data della cessione, avendo ad oggetto un rapporto “non riferibile ad attività e passività incluse”, e comunque non “inerente all’impresa bancaria”, risulta pertanto del tutto irrilevante e non vale di per sé sola ad includerlo nel perimetro della cessione. Dunque l’art. 3.1.2 lettera b) non va letto in modo atomistico, ma va coordinato con le ulteriori disposizioni dettate dell’art. 3 del Contratto di Cessione che definisce l’Insieme Aggregato ceduto a Intesa Sanpaolo, da cui emerge che perché una passività possa ritenersi inclusa deve derivare da rapporti “inerenti e funzionali all’esercizio dell’impresa bancaria” e un rapporto estinto prima della Cessione deve ritenersi abbia esaurito ogni sua funzionalità. Si deve pertanto ritenere che, ai sensi dell’art. 3.1.4 B del contratto di cessione sopra esaminato, il rapporto negoziale di cui si discute, estinto senza pendenze nel dicembre 2013 e quindi in epoca ben precedente la messa in liquidazione coatta amministrativa della banca e al conseguente contratto di cessione di ramo d’azienda, rapporto al quale inserisce la pretesa fatta valere nell’ambito di questo giudizio, dalla snc RAGIONE_SOCIALE non si sia trasferito a Intesa Sanpaolo spa ma faccia parte proprio dell’Attivo-
Passivo Escluso. Ne consegue che nessuna successione si è operata nella posizione negoziale di Veneto Banca s.c.p.a. e, di conseguenza, nessuna successione di Intesa Sanpaolo spa è intervenuta nella posizione processuale di Veneto Banca s.c.p.a. ai sensi delle disposizioni specificamente dettate per la liquidazione coatta amministrativa di Veneto Banca s.c.p.a. Intesa San Paolo s.p.a. è pertanto estranea alla presente controversia».
1.2. Chiamata inizialmente in trattazione all’adunanza camerale del 22.11.2023, con ordinanza interlocutoria 14500/2024 la causa, rilevato che «il ricorso pone questioni, involgenti il nesso tra normativa speciale sulle c.d. banche venete e la previsione negoziale alla quale è ancorata, secondo legge, la cessione delle passività a Intesa Sanpaolo, che è opportuno siano trattate in unico contesto assieme a vari altri ricorsi che analogamente le propongono», era rinviata a nuovo ruolo ed era nuovamente fissata in trattazione per l’odierna udienza camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Il primo motivo di ricorso -con il quale si censura la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 3 d.l. 99/2017 in riferimento al contratto di cessione aziendale, nonché in relazione agli artt. 2558, 2560, 1362, 1363 e 1367 cod. civ. per aver la Corte d’appello, sulla scorta della richiamata interpretazione del negozio di cessione, escluso la legittimazione della titolarità passiva in capo alla cessionaria Intesa San Paolo, escludendo che la controversia di che trattasi rientrasse tra quelle trasferite alla cessionaria, e ciò malgrado il travisamento in cui il decidente era incorso interpretando le clausole di detto negozio in modo atomistico e disomogeneo in contrasto con le regole di ermeneutica, estrapolando indebitamente, dal contesto complessivo del contratto, il criterio dell’inerenza e della funzionalità all’esercizio dell’impresa bancaria e discostandosi dal
quadro giurisprudenziale, segnatamente di merito, saldamente orientato in direzione opposta a quella valorizzata dalla Corte torinese -è, in disparte da ogni altra preclusione comunque fatta valere dalle controparti, primariamente inammissibile essendo inequivocabilmente volto a censurare il ragionamento interpretativo svolto dal decidente di merito a suffragio della decisione assunta.
2.2. A conforto della preclusione così rilevata basta, infatti, rammentare che «l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per inadeguatezza della motivazione, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione antecedente alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, oppure – nel vigore della novellato testo di detta norma – nella ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti» ( ex plurimis , Cass., Sez. III, 14/07/2016, n. 14355); enunciazione, questa, a cui poi si deve pure accostare la considerazione che «la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi
disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra» (ex plurimis, Cass., Sez. III, 28/11/2017, n. 28319).
2.3. Il motivo in disamina non ottempera minimamente a questi precetti.
Siamo in presenza di una confutazione della pretesa legittimità del ragionamento interpretativo del decidente di merito che, lungi dall’integrare anche solo sommariamente i presupposti per la sua scrutinabilità in questa sede, vero che la ricorrente si astiene dall’indicare nel dettaglio dove e perché l’interpretazione accolta violi i criteri legali di ermeneutica, difetta perciò di contenuto critico, evidenzia una finalità puramente esplorativa e concreta, al più, l’indiretta sollecitazione a rinnovare il giudizio di merito.
2.4. Ciò nondimeno, non crede il collegio, comunque, di non poter osservare, nel merito, che il d.l. 99/2017, per definire il quadro dei rapporti oggetto di trasferimento in capo ad Intesa, si è dato cura di demandare il compito di stabilire termini e condizioni all’accordo tra le parti formalizzato nella duplice intesa del 26.1.2017 e del 17.2018. Anzi, vi è di più, perché come annota la Corte Costituzionale nella sentenza 225 del 2022 il decreto riflette il testo dell’intesa a tal riguardo intercorsa tra le parti e, per essere più precisi, il testo dell’offerta che era stata in tal senso formulata da Intesa San Paolo. Ora, questo significa che nella risoluzione della questione si sarebbe dovuto aver riguardo non solo al dettato normativo, ma anche a quanto previsto dagli accordi dianzi citati.
2.5. Come si è perciò già notato in altra sede, segnatamente da Cass. 15083/25 -che, nell’occasione, ha enunciato un principio di diritto a cui il collegio intende aderire -va sottolineata la peculiarità dell’assetto regolamentare che viene in tal modo al vaglio di questa Corte, ove emerge come il decreto legge abbia inteso impiegare il
contratto quale strumento di attuazione del programmato intervento normativo, rendendolo così implicitamente ma ineluttabilmente suscettibile di diretta interpretazione da parte della Corte di cassazione. «Quello stipulato il 26 giugno 2017 dai commissari liquidatori delle menzionate Banche Venete ed Intesa Sanpaolo s.p.a.» -si è detto nel precedente citato di questa Corte -«è sì un contratto, e non una fonte normativa, ma è nondimeno un contratto sui generis , che si intreccia con il dato normativo, il quale riflette a propria volta i pregressi accordi e pattuizioni e conferisce al contratto efficacia rispetto ai terzi, affidando ai contraenti di stabilire cosa rientri, o non, nel perimetro della cessione: il contratto intercorso tra i commissari liquidatori ed Intesa Sanpaolo S.p.A. costituisce così espressione dell’autonomia negoziale degli stipulanti, e dunque rientra nella nozione di contratto accolta dall’art. 1321 c.c. , suscettibile di interpretazione secondo i criteri dell’interpretazione contrattuale, ma incide altresì sulla regolamentazione di un’ampia pluralità di rapporti con conseguente esigenza dell’adozione di modalità interpretative tali da garantire uniformità applicativa, necessaria affinché il congegno adottato non fallisca il suo compito di fondare la compiuta regolazione di detti rapporti».
2.6. Dall’intreccio tra dati normativi (art. 3, comma 1, lett. c), d.l. 99/2017) e dati negoziali (art. 3.1.2, lett. b), art. 3.1.4. e art. 3.1.4, lett. b) del contratto, che identificano il perimetro della cessione, stabilendo, in particolare, il primo che sono oggetto di cessione le passività ” che derivano da rapporti inerenti e funzionali all’esercizio dell’impresa bancaria”), emerge, allora, che per stabilire se i debiti derivanti rapporti (come quello di cui oggi si discute) cessati in data antecedente all’apertura (avvenuta il 25 giugno del 2017) della liquidazione coatta amministrativa della banca, siano ricompresi o no nel contenzioso pregresso e siano perciò o meno oggetto di
trasferimento non è sufficiente il mero dato temporale della sola pendenza della corrispondente lite al momento (26 giugno 2017) della cessione, ma occorre chiedersi se si tratti o meno di debiti che ” derivano da rapporti inerenti e funzionali all’esercizio dell’impresa bancaria”. A questo riguardo si è ritenuto necessario precisare, a fronte dell’oggettiva opinabilità della locuzione, che essa deve essere intesa, in adesione, del resto, alla volontà rappresentata dalle parti -e, segnatamente, dalla parte forte del rapporto -nel senso di ritenere inclusi nella cessione i soli rapporti aziendali che rilevino finalisticamente per lo svolgimento della specifica attività di impresa della cessionaria, sicché le passività oggetto di trasferimento debbono inscriversi in rapporti che per tale ragione si rendano funzionali all’esercizio dell’impresa bancaria da parte della cessionaria. E’ palese, perciò, che il riferimento a debiti che ” derivano da rapporti inerenti e funzionali all’esercizio dell’impresa bancaria” non può che essere interpretato nella prospettiva dell’istituto di credito cessionario, privilegiando, cioè, non già un concetto astratto di inerenza e funzionalità del rapporto all’attività bancaria, bensì, una funzionalità all’effettivo e concreto svolgimento dell’attività bancaria da parte del cessionario medesimo. Il che porta, come ovvia conseguenza, ad affermare che la cessione non può ricomprendere le liti inerenti a rapporti estinti, non essendo essi, per definizione che ne evidenzia la mancanza di attualità, “inerenti e funzionali all’esercizio dell’impresa bancaria”.
2.7. Letteralmente, dunque, l’interpretazione a cui presta adesione il decidente è pienamente giustificata sul piano della coerenza testuale, dato che già la mera lettura del testo negoziale dimostra che il criterio della pendenza della lite non è l’unico individuato dai contraenti per considerare la relativa passività come inclusa nel perimetro del negozio traslativo.
Questo assunto si rafforza anche alla stregua del comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto. E ciò perché secondo l’Accordo ricognitivo del 17.1. 2018, l’esclusione dalla cessione dei contenziosi relativi a rapporti estinti (sancita al punto 4 dell’Allegato 1.1) è stata ribadita dai commissari liquidatori delle due Banche Venete in l.c.a. e da Intesa Sanpaolo s.p.a. con efficacia, appunto, meramente ricognitiva (e, proprio per tale ragione, munita della medesima efficacia verso i terzi attribuita dall’art. 3 del d.l. n. 99 del 2017 al contratto di cessione) degli accordi già sanciti e desumibili dall’interpretazione del contratto di cessione qui considerata conforme a legge.
2.8. Va allora conclusivamente ribadita la convinzione, già enunciata dal precedente citato, che, applicando correttamente i principi di ermeneutica contrattuale, « l’unica lettura possibile del contratto di cessione de quo è quella per cui la pendenza della lite non può ritenersi un criterio sufficiente, da solo, per reputare un rapporto incluso nel perimetro della cessione ad Intesa Sanpaolo s.p.a., in quanto una passività, benché oggetto di un contenzioso pendente al 26 giugno 2017, ben potrebbe non integrare il requisito della inerenza e funzionalità all’impresa bancaria della odierna controricorrente».
2.9 La Corte di appello si è uniformata a questo ragionamento e perciò neanche nel merito la sentenza da essa pronunciata si renderebbe suscettibile di emenda.
3.1. Il secondo motivo di ricorso -con cui si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo perché la Corte territoriale era pervenuta a dichiarare il difetto di legittimazione passiva di Intesa San Paolo senza tuttavia esaminare importanti evidenze oggettive in senso contrario e consistenti nelle missive da essa spedite ai soci della società ricorrente, aventi ad oggetto richieste di pagamento e di escussione della fideiussione prestata in relazione al contratto di
mutuo ipotecario, documenti che ove fossero stati debitamente presi in considerazione avrebbero indotto il decidente a ben diverso responso, dimostrando che la banca convenuta aveva preso in carico il rapporto nel suo complesso -è anch’esso, al netto di ogni altra preliminare preclusione, affetto da palese inammissibilità per estraneità al parametro cassatorio evocato.
3.2. A tal proposito, reiterando qui considerazioni più volte declinate da questa Corte, va infatti rammentato che l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54, comma 1, lett. b), d.l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed il cui esame, ove fosse avvenuto, si sarebbe rivelato decisivo in quanto idoneo ad influenzare l’esito della lite (Cass. Sez. II, 29/10/2018, n. 27415). La nozione di “fatto” in tal guisa rilevante è da riferirsi propriamente agli accadimenti o alle circostanze in senso storico-naturalistico (Cass., Sez. VI-I, 6/09/2019 n. 22397) che siano idonei ad assicurare, in veste di fatto principale o di fatto secondario, fondamento costitutivo alla domanda o all’eccezione che ad essa si oppone (Cass., Sez. I, 8/09/2016, n. 17761). Esulano, di conseguenza, dal parametro normativo di che trattasi non solo le argomentazioni, le deduzioni e le contestazioni sollevate dalle parti nel corso del giudizio (Cass., Sez. II, 14/06/2017, n. 14802), che ricadono nel perimetro del contradditorio processuale e sono espressione della fisiologica dialettica tra le parti che ha luogo nel processo, ma segnatamente l’omesso esame di elementi istruttori che non integra, di per sé, il vizio denunciato qualora, come qui, il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato
conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U, 7/04/2014, n. 8053).
3.3. Né, più in generale si rende inopportuno avvertire che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti» (Cass. Sez. U,. 29/03/2013, n. 7931). Per vero, il controllo che la Corte di Cassazione è chiamata ad esercitare in funzione della legalità della decisione «non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa» ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 6/03/2019, n. 6519), così come a sua volta il controllo di logicità «non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo -come appunto qui -alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito» ( ex plurimis , Cass., Sez. II, 19/07/2021, n. 20553). E questo perché, come si chiosa abitualmente, il controllo affidato alla Corte «non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in un nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità» ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 5/08/2016 n. 16526). E dunque inammissibile il ricorso che, sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto, «sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non
consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello -non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità» (così in motivazione, da ultimo, ex plurimis , Cass., Sez. V, 5/07/2024, n. 19379).
3.4. Il motivo in disamina, contravvenendo ai precetti ricordati, consacra, in breve, una mera istanza di renovatio iudicii chiedendo che la Corte riesamini il merito della causa, rivaluti le risultanze istruttorie asseritamente ignorate dal decidente e pronunci infine una decisione che si sostituisca a quella impugnata, nell’auspicio che essa possa essere di maggior soddisfazione per l’impugnante.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico della ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di ciascuna parte resistente in euro 7200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da
parte della ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il 30 maggio 2025.
Il Presidente Dott. NOME COGNOME