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Cessione azienda bancaria: chi paga i debiti?

La Corte di Cassazione chiarisce che in una cessione azienda bancaria regolata da leggi speciali, l’istituto acquirente non risponde dei debiti verso gli azionisti della banca in crisi se questi sono esplicitamente esclusi dal perimetro della cessione. La decisione sottolinea come la finalità di stabilità finanziaria giustifichi questa deroga, allocando il rischio d’impresa sugli azionisti e confermando la legittimità della normativa di settore.

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Cessione Azienda Bancaria e Tutela degli Azionisti: La Cassazione Fa Chiarezza

In un contesto di crisi finanziaria, la cessione azienda bancaria rappresenta uno strumento cruciale per garantire la stabilità del sistema. Tuttavia, questa operazione solleva complesse questioni sulla sorte dei debiti della banca cedente, in particolare quelli verso i propri azionisti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti decisivi, confermando che l’istituto acquirente non è responsabile per le passività legate alla commercializzazione di azioni se la legge speciale che disciplina l’operazione le esclude esplicitamente.

I Fatti del Caso: L’Investimento e la Crisi Bancaria

La vicenda trae origine dall’azione legale avviata da alcuni risparmiatori contro un noto istituto di credito. Gli investitori chiedevano l’annullamento di operazioni di acquisto di azioni della banca stessa, effettuate tra il 2008 e il 2011 per un valore complessivo di quasi un milione di euro, e la conseguente restituzione delle somme.

Successivamente, la banca veniva posta in liquidazione coatta amministrativa. Nel quadro di un’operazione di salvataggio disciplinata da un decreto-legge ad hoc (D.L. n. 99/2017), le attività e una parte delle passività della banca in crisi venivano cedute a un altro grande gruppo bancario. I risparmiatori, quindi, proseguivano la loro causa contro la banca cessionaria, sostenendo che quest’ultima dovesse rispondere dei debiti dell’istituto originario.

La Cessione Azienda Bancaria e l’Esclusione dei Debiti

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello respingevano le richieste degli investitori. I giudici di merito stabilivano che la banca acquirente non aveva legittimazione passiva, poiché il decreto-legge che regolava la cessione azienda bancaria escludeva chiaramente dal perimetro del trasferimento i debiti derivanti dalla ‘commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate’.

I ricorrenti si rivolgevano quindi alla Corte di Cassazione, sollevando tre motivi di ricorso. Essi contestavano l’interpretazione della normativa, sostenevano l’incostituzionalità del decreto-legge per disparità di trattamento e la sua contrarietà ai principi del diritto dell’Unione Europea, in particolare alla direttiva sulla risoluzione delle crisi bancarie.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando le decisioni dei gradi precedenti. Le motivazioni si fondano su alcuni pilastri giuridici fondamentali.

In primo luogo, la Corte ha ribadito il principio lex specialis derogat generali. Il D.L. n. 99/2017, in quanto normativa speciale emanata per gestire una specifica crisi, prevale sulle norme generali del codice civile in materia di cessione d’azienda (come l’art. 2560 c.c.). Tale decreto prevedeva espressamente che ‘restano in ogni caso esclusi dalla cessione’ i debiti delle banche nei confronti dei propri azionisti derivanti dalla vendita di azioni proprie.

In secondo luogo, la scelta del legislatore non è stata ritenuta né irragionevole né discriminatoria. L’obiettivo del decreto era quello di agevolare il trasferimento degli attivi ‘sani’ per salvaguardare la stabilità del sistema finanziario e la continuità dei servizi bancari per la clientela. Questo scopo, di interesse generale, ha giustificato l’esclusione di passività considerate ad alto rischio, come quelle legate al cosiddetto ‘rischio di impresa’ che, per definizione, grava sugli azionisti.

Infine, la Corte ha evidenziato la piena conformità di tale approccio con i principi del diritto europeo, in particolare con il meccanismo del ‘burden sharing’. Questa regola impone che, in caso di crisi, le perdite debbano essere assorbite in primo luogo dagli azionisti e dai creditori subordinati, prima di ricorrere a fondi pubblici. La normativa italiana, quindi, si è mossa nel solco tracciato dall’Unione Europea per la gestione delle crisi bancarie.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione consolida un importante principio in materia di crisi bancarie. La tutela della stabilità sistemica può giustificare l’adozione di normative speciali che derogano alle regole ordinarie sulla responsabilità nella cessione azienda bancaria. Per gli investitori, la decisione ribadisce una dura realtà: l’investimento in azioni comporta un rischio intrinseco, e in situazioni di crisi, la legge può legittimamente porre tale rischio a loro carico per proteggere interessi collettivi superiori. La responsabilità per le perdite subite rimane in capo all’entità originaria in liquidazione, separata dal perimetro dell’istituto acquirente che prosegue l’attività.

In una cessione azienda bancaria in crisi, la banca acquirente è sempre responsabile dei debiti della banca cedente?
No. Se l’operazione è regolata da una legge speciale, come nel caso esaminato (D.L. 99/2017), la banca acquirente risponde solo dei debiti che rientrano nel perimetro di cessione definito dalla legge e dal contratto. Le passività esplicitamente escluse, come quelle verso gli azionisti per la vendita di azioni della banca cedente, non si trasferiscono.

Perché i debiti verso gli azionisti sono stati esclusi dalla cessione?
Sono stati esclusi per tutelare la stabilità del sistema finanziario e agevolare il salvataggio. Il legislatore ha ritenuto che queste passività rappresentassero il ‘rischio d’impresa’, che per sua natura deve gravare sugli azionisti e non essere trasferito all’acquirente, per evitare di appesantirlo con passività problematiche che avrebbero potuto compromettere l’operazione di salvataggio.

La normativa speciale che esclude certi debiti è in contrasto con la Costituzione o il diritto europeo?
No. La Corte di Cassazione, richiamando anche una precedente sentenza della Corte Costituzionale (n. 225/2022), ha stabilito che la normativa non è incostituzionale, in quanto persegue un fine di interesse generale. Inoltre, è in linea con il diritto europeo, in particolare con il principio del ‘burden sharing’, che prevede che azionisti e creditori subordinati siano i primi a sostenere le perdite in caso di crisi bancaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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