Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8898 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8898 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20292/2020 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOMENOMECOGNOME in qualità di erede di COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché
RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE
– intimata –
avverso la sentenza n. 200 /2020 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 02/04/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. L’impresa RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Matera, Sezione Distaccata di Pisticci, l’impresa COGNOME Antonio, con la quale aveva costituito un’Associazione Temporanea di Imprese per l’aggiudicazione e l’esecuzione dei lavori di somma urgenza per l’irrigazione dei pianori alti in agro di Rotondella, appaltati dal Consorzio di Bonifica di Bradano e Metaponto di Matera, esponendo che il committente, rilevate talune inadeguatezze dell’impianto realizzato, aveva richiesto ad essa attrice, quale capogruppo e mandataria dell’RAGIONE_SOCIALE, di eseguire dei lavori di adeguamento e completamento dell’opera. Deduceva inoltre che, sebbene i vizi riscontrati dal Consorzio di bonifica riguardassero lavorazioni di esclusiva competenza dell’impresa COGNOME, e da questa parzialmente sub-appaltate all’impresa COGNOME Paolo, in mancanza di adempimento da parte dell’associata e della sub-appaltatrice, la capogruppo aveva dovuto affidare gli interventi di adeguamento alla RAGIONE_SOCIALE sostenendo un esborso di lire 80.000.000. Sulla scorta delle superiori premesse, l’attrice chiedeva la condanna della convenuta al rimborso dell’importo suddetto.
L’impresa COGNOME resisteva alla domanda e, nel confermare di aver sub-appaltato all’impresa Venezia, con
Ric. 2020 n. 20292 sez. S2 – ud. 14/03/2025
l’autorizzazione del Consorzio committente e della capogruppo, parte delle opere di propria spettanza, esponeva che la subappaltatrice aveva ottenuto in suo danno il decreto ingiuntivo n. 342/97 emesso del Pretore di Matera, di lire 30.647.090, a titolo di pagamento del corrispettivo delle opere subappaltate; deduceva che nel giudizio di opposizione che ne era conseguito, né l’opposta, né la mandataria RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, chiamata in causa, avevano dato atto dei vizi denunciati dal Consorzio committente con lettere del 1991 indirizzate direttamente alla capogruppo e all’impresa Venezia, il che aveva impedito all’opponente, la quale invece era all’oscuro di simili rimostranze, di sollevare in quel giudizio le opportune eccezioni. Premesso di aver dovuto pagare all’impresa Venezia, che nel frattempo aveva posto in esecuzione il decreto ingiuntivo, l’importo di lire 37.000.000, comprensivo di spese ed accessori, la convenuta spiegava domanda riconvenzionale tesa ad ottenere dall’attrice il pagamento del residuo corrispettivo dovutole per le opere eseguite; chiamava, altresì, a manleva l’impresa Venezia e concludeva per la condanna di entrambe le controparti, in solido tra loro, al risarcimento del danno.
L’impresa Venezia, costituitasi in giudizio, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, deducendo di aver eseguito a regola d’arte, nel 1991, le opere subappaltate, senza aver ricevuto alcuna contestazione, tanto che nei primi mesi l’impianto aveva regolarmente funzionato.
Il Tribunale di Matera, Sezione distaccata di Pisticci, con sentenza n. 32/2012, respinta ogni altra pretesa, accoglieva parzialmente sia la domanda dell’attrice, nei limiti del minor importo di euro 29.522,35, sia la domanda di manleva dell’impresa
COGNOME, condannando l’impresa Venezia al pagamento in suo favore della somma di euro 22.141,76.
Sul gravame principale interposto dall’originaria convenuta, cui faceva seguito l’impugnazione incidentale dell’impresa Venezia, la Corte d’Appello di Potenza, con sentenza n. 200/2020, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale, che per il resto confermava, accoglieva la domanda riconvenzionale di pagamento del corrispettivo proposta dall’impresa COGNOME nei confronti dell’impresa RAGIONE_SOCIALE, procedendo a diversa regolazione delle spese del primo grado.
Per quel che è ancora di interesse, la Corte distrettuale osservava che: a) l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dall’impresa Venezia era infondata, considerato che le opere di cui era stata rilevata l’incompletezza e l’inadeguatezza rientravano in gran parte tra quelle oggetto di sub-appalto, mentre l’affermazione secondo cui le medesime erano state eseguite a regola d’arte aveva trovato smentita nelle lettere di denuncia dei vizi datate 21.03.1991 e 11.06.1991, indirizzate dal Consorzio di bonifica direttamente alla capogruppo RAGIONE_SOCIALE e alla subappaltatrice; b) nessun rilievo poteva essere attribuito alla clausola del contratto di sub-appalto secondo cui l’impresa Venezia avrebbe dovuto garantire le opere sino al 31.12.1990, sia perché non vi era prova che i lavori fossero stati consegnati nei termini previsti dal contratto, sia perché, nella fattispecie, il collaudo era stato eseguito solamente nel 2002, mentre era pacifico che già nel 1991 il Consorzio aveva denunciato i vizi riscontrati; c) parimenti priva di rilievo era la circostanza che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo la ditta COGNOME non avesse sollevato contestazioni
circa l’opera eseguita, essendo pacifico che essa, all’epoca, non aveva conoscenza della denuncia dei vizi, che il Consorzio aveva comunicato solamente alla capogruppo dell’A.RAGIONE_SOCIALE e alla medesima sub-appaltatrice opposta; d) poiché, d’altro canto, la questione della regolarità dei lavori sub-appaltati non era stata oggetto di accertamento nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la stessa poteva essere sollevata nel presente giudizio tramite la chiamata in garanzia della sub-appaltatrice; e) la sentenza n. 320/2017 della Corte d’Appello di Potenza, definitiva del giudizio di opposizione a d.i., non era dunque idonea a spiegare efficacia di giudicato nella presente causa, tenuto conto, altresì, che la Corte distrettuale aveva in essa accertato l’inesigibilità del credito vantato dall’impresa Venezia, oggetto di decreto ingiuntivo.
Contro tale sentenza NOME NOME COGNOME ha proposto ricorso, sulla base di due motivi, cui COGNOME NOME, in qualità di erede di COGNOME NOME, ha resistito con controricorso. L’impresa RAGIONE_SOCIALE è rimasta invece intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: ‘ Art. 360, c. 1°, n. 3) c.p.c.: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 324 c.p.c. ‘. La ricorrente deduce che la sentenza n. 320/2017 della Corte d’Appello di Potenza, non impugnata e passata in giudicato, avrebbe precluso al giudice di seconde cure di accertare nella presente sede processuale l’inesatto adempimento dell’impresa Venezia . Sostiene che solo formalmente la pronuncia in questione, oramai definitiva, si risolverebbe in una declaratoria di cessazione della materia del contendere, avendo essa accertato, nella perdurante contrapposizione delle parti, la piena fondatezza
dell’azione della sub-appaltatrice volta ad ottenere il corrispettivo per l’opera prestata, cosicché, in virtù del noto principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile, alcuna azione di garanzia per i vizi dell’opera medesima avrebbe potuto essere proposta in questa sede dalla sub-committente, anche considerato che, al momento della decisione divenuta irretrattabile, l’impresa d’Alessandro aveva conoscenza della denuncia dei difetti dell’impianto sollevata dal Consorzio di bonifica.
1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.
Come risulta dall’esame della sentenza n. 320/2017 della Corte d’Appello di Potenza, cui questa Corte ha accesso in ragione dell’eccezione di giudicato esterno sollevata dalla ricorrente (cfr. Cass. Sez. U. Sentenza n. 10977 del 09/08/2001, Rv. 548914), il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo n. 342/97 del Pretore di Matera risulta definito con declaratoria di cessazione della materia del contendere e revoca del provvedimento monitorio opposto. L’impresa Venezia sostiene che detta statuizione, a prescindere dalla locuzione utilizzata, non avrebbe dato atto della cessata materia del contendere, ma avrebbe nella sostanza inteso dirimere la controversia tra le parti, che non era venuta meno a seguito del pagamento, nel corso del giudizio, dell’importo ingiunto , tanto che l’opponente aveva insistito per la revoca del decreto ingiuntivo. Alla fattispecie, pertanto, stando a quanto dedotto dalla ricorrente, sarebbe applicabile l’insegnamento di questa Corte secondo cui la cessazione della materia del contendere non è configurabile laddove il fatto sopravvenuto in corso di causa non sia idoneo ad eliminare ogni posizione di contrasto tra le parti, permanendo l’interesse delle medesime alla delibazione delle
rispettive domande (cfr. Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 22446 del 04/11/2016, Rv. 641680, citata dalla ricorrente).
Orbene, in disparte il fatto che l’insussistenza dei presupposti per adottare la declaratoria di cessazione della materia del contendere avrebbe dovuto essere fatta valere mediante l’impugnazione della sentenza n. 320/2017, si osserva che innanzi al giudic e di seconde cure l’allora opponente impresa COGNOME aveva concluso chiedendo: ‘ la revoca del decreto opposto, dichiarare cessata la materia del contendere e condannare l’impresa Venezia al pagamento in proprio favore delle spese del procedimento monitorio, degli interessi pagati e non dovuti; delle spese dell’atto di precetto e di esecuzione, il tutto per un totale di £ 6.352.980 oggi € 3281,05, quale differenza tra la somma effettivamente vantata ovvero £ 30.647.020 e quella pagata ovvero £ 37.000.000 oltre interessi legali dalla data della sua corresponsione (22/4/99) al dì al soddisfo; condannare l’impresa Venezia al pagamento delle spese e competenze del giudizio di opposizione ‘ (cfr. pagg. 2 -3 della sentenza n. 320/2017).
Dunque, tra le parti non permaneva alcuna ragione di contrasto in ordine alla pretesa della sub-appaltatrice di vedersi corrispondere l’importo di lire 30.647.020 a titolo di corrispettivo del sub-appalto, pretesa rispetto alla quale era stata la stessa opponente a richiedere expressis verbis la cessazione della materia del contendere. Il contrasto permaneva, invece, su questioni del tutto irrilevanti ai fini della formazione della preclusione da giudicato esterno fatta valere in questa sede, relative alle spese della fase monitoria e di esecuzione, agli interessi, oltre che alle spese del giudizio di opposizione, in ragione del fatto che il decreto
ingiuntivo, come peraltro accertato dalla stessa Corte d’Appello, era stato richiesto ed ottenuto dall’impresa Venezia quando il credito fatto valere era ancora inesigibile, poiché all’epoca del deposito del ricorso monitorio, e anche della notifica dell’a tto di precetto, ancora non si era verificato il presupposto contrattuale in forza del quale la sub-committente avrebbe dovuto corrispondere il compenso alla subappaltatrice, e cioè l’avvenuto pagamento da parte del committente principale di quanto dovuto alle imprese dell’A.T.I.: ‘ il COGNOME non poteva ritenersi inadempiente sino a quando l’Ente non avesse corrisposto il dovuto all’A.T.I. (pago quando sarò pagato). Pertanto, al momento della emissione del decreto n. 342/97 e anche quando è stata concessa la provvisoria esecuzione del decreto (4.11.98) l’opposta non aveva ancora maturato il credito. Il credito è maturato in corso di causa allorquando, come risulta da documentazione agli atti, il Consorzio in data 2.12.98 ha pagato all’A.T.I. il 5° SAL ‘ (cfr. pag. 7 della sentenza n. 320/2017). Risultanze, queste ultime, che la Corte d’Appello ha preso in considerazione al fine di regolare le spese secondo il principio della soccombenza virtuale.
Se così è, non si può ritenere che la sentenza della Corte d’Appello di Potenza n. 320/2017, con la quale è stata dichiarata la cessazione della materia del contendere in ordine alla pretesa dell’impresa Venezia di vedersi corrisposto il corrispettivo per le opere oggetto di sub-appalto, possa spiegare efficacia di giudicato nel presente giudizio.
Infatti, secondo consolidato insegnamento di questa Corte, cui si intende assicurare continuità, ‘ La pronuncia di “cessazione della materia del contendere” costituisce, in seno al rito
contenzioso ordinario (privo, al riguardo, di qualsivoglia, espressa previsione normativa, a differenza del rito amministrativo e di quello tributario), una fattispecie di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale, contenuta in una sentenza dichiarativa della impossibilità di procedere alla definizione del giudizio per il venir meno dell’interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio stesso tutte le volte in cui non risulti possibile una declaratoria di rinuncia agli atti o di rinuncia alla pretesa sostanziale. Alla emanazione di una sentenza di cessazione della materia del contendere, pertanto, consegue, da un canto, la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passate in cosa giudicata, dall’altro, la sua assoluta inidoneità ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, limitandosi tale efficacia di giudicato al solo aspetto del venir meno dell’interesse alla prosecuzione del giudizio (con l’ulteriore conseguenza che il giudicato può dirsi formato solo su tale circostanza, ove la relativa pronuncia non sia impugnata con i mezzi propri del grado in cui risulta emessa) ‘ (cfr., ex plurimis , Cass. Sez. U, Sentenza n. 1048 del 28/09/2000, Rv. 541106; in senso conforme cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 64 del 04/01/2001, Rv. 542943; Cass. Sez. L, Sentenza n. 147 del 08/01/2001, Rv. 542976; Sez. L, Sentenza n. 9332 del 10/07/2001, Rv. 548047; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11429 del 01/08/2002, Rv. 556496; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4714 del 03/03/2006, Rv. 590244; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12887 del 04/06/2009, Rv. 608554; Cass. Sez. L, Sentenza n. 7185 del 25/03/2010, Rv. 612583; Cass. Sez. 6 5, Ordinanza n. 4167 del 19/02/2020, Rv. 657307).
Alla luce dei superiori principi di diritto, si deve pertanto concludere che nel presente giudizio non era precluso alla impresa COGNOME di far valere la garanzia per i vizi dell’opera oggetto di sub-appalto, dovendosi peraltro osservare, ad abundantiam , che la questione, come rilevato dal giudice di seconde cure, non era stata oggetto di cognizione nel precedente giudizio, né avrebbe potuto esservi dedotta sotto forma di motivo di opposizione a decreto ingiuntivo, dato che all’epoca dell’introduzione della causa l’opponente era pacificamente all’oscuro dei difetti dell’impianto lamentati dal Consorzio di bonifica, ben noti, invece, all’opposta.
2. Il secondo motivo è così rubricato: ‘ art. 360, c. 1°, n. 3), c.p.c.: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1669 e 1670 c.c. in relazione all’art. 2966 c.c. Violazione ed omessa applicazione artt. 132, n. 4), c.p.c. e 118 disp. Att. c.p.c. in relazione all’art. 111 Cost.: motivazione apparente e/o difetto assoluto di motivazione ‘. La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto tempestiva, oltre che fondata, la domanda volta a far valere la garanzia per i vizi delle opere subappaltate. La Corte territoriale, secondo la prospettazione dell’odierna ricorrente, avrebbe ritenuto la comunicazione recapitata al sub-appaltatore direttamente dal Consorzio di bonifica idonea al superamento della rilevata tardività della denunzia dei difetti, così violando l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la legittimazione a denunziare i vizi dell’opera compete al solo sub-committente, pena la decadenza dalla garanzia ex art. 1670 c.c., essendo viceversa irrilevanti altre comunicazioni provenienti da terzi, estranei al rapporto contrattuale di sub-appalto. Deduce, inoltre, che il provvedimento impugnato sarebbe del tutto carente di
motivazione, o sarebbe comunque affidato ad una motivazione di pura apparenza, sia nella determinazione del quantum debeatur , ragguagliato sic et simpliciter a quanto corrisposto dalla Ferrara s.n.c. alla RAGIONE_SOCIALE, cui i lavori erano stati affidati dalla capogruppo ‘ obliterando ‘ la facoltà della subappaltatrice di sanare i difetti a propria cura e spese, sia nella parte in cui non sarebbe stata ‘ spesa una parola una ‘ sulla condotta colposa ascritta all’impresa Venezia (cfr. pag. 31 del ricorso).
2.1 Il secondo motivo di ricorso è in parte inammissibile, in parte infondato.
Quanto alla dedotta decadenza della sub-committente dalla garanzia per i vizi ai sensi dell’art. 1670 c.c., la doglianza è inammissibile in quanto dalla lettura del ricorso e della sentenza impugnata non risulta che l’impresa Venezia abbia sollevato una simile eccezione nelle fasi di merito.
La ricorrente ha dato atto, in particolare, di aver eccepito, costituendosi in giudizio, il proprio difetto di legittimazione passiva e, in ogni caso, ‘ la manifesta infondatezza sia della domanda di manleva proposta nei suoi confronti, sia -per quanto di ragione -di quella dell’attrice ‘, deducendo che i lavori erano stati eseguiti a perfetta regola d’arte, ritualmente consegnati e collaudati sin dal 1991 (cfr., in particolare, pag. 5 del ricorso). In nessun punto del ricorso si dà invece atto della tempestiva proposizione di un’eccezione di decadenza dalla garanzia dei vizi perché tardivamente sollevata rispetto al termine di cui all’art. 1670 c.c. Del pari, tale circostanza non trova alcun riscontro nella sentenza impugnata.
Orbene, è principio di diritto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui ‘ Qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa ‘ (cfr. Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 32804 del 13/12/2019, Rv. 656036; in senso conforme, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 28480 del 22/12/2005, Rv. 585743) . D’altra parte, in tema di appalto, la decadenza del committente dall’azione di garanzia per i vizi e le difformità dell’opera non è rilevabile d’ufficio, dovendo la relativa eccezione essere proposta dal convenuto all’atto della tempestiva costituzione in giudizio (cfr. ex plurimis Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 14569 del 24/05/2024, Rv. 671401).
Inoltre, la censura in esame non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha valorizzato le comunicazioni del 1991, con le quali il Consorzio di bonifica aveva denunciato i difetti dell’impianto di irrigazione, non al fine di escludere la decadenza dell’impresa COGNOME dalla denuncia dei vizi (decadenza che del resto, per quanto sopra dedotto, non era stata nemmeno eccepita), ma al diverso fine di evidenziare che l’impresa Venezia era a piena conoscenza dei vizi dell’opera lamentati dal committente principale nel momento in cui aveva agito in INDIRIZZO
monitoria in danno della sub-committente per ottenere il pagamento del corrispettivo del contratto di sub-appalto, difetti che viceversa erano ignoti all’ingiunta, alla quale la circostanza era stata taciuta dall’opposta; circostanza, questa, di cui il giu dice di merito ha dato atto allo scopo di rilevare che la ditta DRAGIONE_SOCIALE, non avendo potuto far valere nel giudizio di opposizione a d.i. la garanzia per i vizi, ben poteva agire in manleva nei confronti della impresa Venezia nel presente giudizio, ove era stata evocata in causa dalla Ferrara s.n.c. per il rimborso dei lavori di adeguamento dell’opera in gran parte sub -appaltata all’odierna ricorrente.
La censura è poi manifestamente infondata nella parte in cui lamenta il vizio di motivazione nella determinazione del quantum debeatur , che, secondo la prospettazione della ricorrente, il giudice di merito avrebbe commisurato puramente e semplicemente all’importo pagato dalla capogruppo alla RAGIONE_SOCIALE senza tenere conto che i lavori di adeguamento sarebbero stati arbitrariamente aff idati ad un terzo soggetto, ‘ obliterando – al contempo – la facoltà della sub-appaltatrice di sanare i difetti de quibus a propria cura e spese ‘ (cfr. pag. 31 del ricorso).
Invero, come risulta dall’esposizione dei fatti di causa contenuta nella sentenza impugnata, il presupposto dell’affidamento ad un terzo soggetto dei lavori di adeguamento dell’impianto è stato proprio il perdurante inadempimento dell’impresa Venezia, e i n seguito anche della ditta COGNOME ai solleciti della capogruppo e dell’Ente committente di rimediare ai difetti riscontrati, solleciti cui peraltro aveva fatto seguito, nel 1999, la diffida della Regione Basilicata a procedere al collaudo dell’oper a (cfr. pagg. 4-5 della sentenza impugnata).
Orbene, alla luce di tali circostanze di fatto, rispetto alla cui ricostruzione non risulta sollevata alcuna specifica censura da parte dell’odierna ricorrente, non può dirsi priva di motivazione la commisurazione del quantum debeatur , da parte del giudice di merito, all’esborso sostenuto dalla capogruppo nel 1999 per l’affidamento a terzi dei lavori di adeguamento, cui la sub -appaltatrice non aveva provveduto pur essendo a conoscenza della denunzia dei vizi dell’opera sin dal 1991.
Quanto alla dedotta omessa motivazione in ordine al profilo ‘ imprescindibile ‘ della condotta colposa ascritta all’impresa Venezia, la ricorrente non tiene conto che, in presenza di vizi e difetti dell’opera appaltata, la colpa dell’appaltatore è presunta fino a prova contraria (prova che, nella specie, non risulta resa), vertendosi in tema di responsabilità contrattuale (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21269 del 05/10/2009, Rv. 609774).
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 4100, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione