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Cessazione materia del contendere: effetti dell’accordo

La Corte di Cassazione dichiara la cessazione della materia del contendere in una controversia immobiliare-fallimentare a seguito di un accordo transattivo tra le parti. L’ordinanza stabilisce che tale accordo, intervenuto durante il giudizio di legittimità, comporta la perdita di efficacia della sentenza impugnata, evidenziando il potere delle parti di definire la lite in ogni fase del processo. La decisione chiarisce inoltre che in questi casi non si applica il raddoppio del contributo unificato.

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Cessazione materia del contendere: la parola fine spetta sempre alle parti

Quando le parti di una causa decidono di porre fine a una lite attraverso un accordo, cosa succede al processo in corso, specialmente se questo è giunto fino in Corte di Cassazione? L’ordinanza in esame offre una risposta chiara: un accordo transattivo determina la cessazione della materia del contendere, un esito che fa venir meno l’efficacia della sentenza impugnata e dimostra come la volontà delle parti possa prevalere fino all’ultimo grado di giudizio.

I fatti del caso: una complessa vicenda immobiliare e fallimentare

La vicenda nasce dall’acquisto di un immobile da parte di tre sorelle. L’immobile proveniva da un trust, il cui atto istitutivo era stato oggetto di un’azione revocatoria avviata da una banca creditrice. Tale azione era stata trascritta nei registri immobiliari prima che le sorelle acquistassero il bene.

Successivamente, la società che aveva istituito il trust è stata dichiarata fallita e il curatore fallimentare è subentrato nel giudizio revocatorio. Sebbene la banca avesse inizialmente acconsentito alla cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale, tale cancellazione è stata ritenuta inefficace dal tribunale, poiché avvenuta dopo l’intervento del curatore, divenuto l’unico legittimato a proseguire l’azione a nome di tutti i creditori.

Il giudizio di primo grado si è concluso con la dichiarazione di inefficacia dell’atto istitutivo del trust. Di conseguenza, l’immobile è stato considerato parte dell’attivo fallimentare e la domanda delle sorelle di riavere il bene è stata respinta. Contro questa decisione, le acquirenti hanno proposto ricorso per Cassazione.

L’accordo transattivo e la cessazione della materia del contendere

Il colpo di scena avviene durante il giudizio di legittimità. Le parti, ovvero le tre sorelle e la curatela fallimentare, raggiungono un accordo transattivo per chiudere definitivamente la controversia. Comunicano quindi alla Corte di Cassazione la loro volontà congiunta, chiedendo che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere.

Questo atto cambia completamente lo scenario processuale. La Corte non è più chiamata a decidere sulla correttezza o meno della sentenza del Tribunale, ma a prendere atto della sopravvenuta mancanza di interesse delle parti a una pronuncia sul merito della questione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, richiamando un consolidato principio affermato dalle Sezioni Unite (sent. n. 8980/2018), accoglie la richiesta delle parti. I giudici spiegano che, quando nel corso del giudizio di legittimità le parti definiscono la controversia con un accordo, la Corte deve dichiarare cessata la materia del contendere.

La conseguenza più importante di questa pronuncia è il venir meno dell’efficacia della sentenza impugnata. In altre parole, la decisione del Tribunale che aveva dato torto alle sorelle viene privata di ogni effetto giuridico, come se non fosse mai stata emessa. Questo esito non è assimilabile a una riforma o a un annullamento, ma è una diretta conseguenza dell’autonomia negoziale delle parti.

La Corte chiarisce anche due aspetti procedurali importanti:
1. La decisione viene assunta con ordinanza, come previsto dalla normativa per le pronunce di estinzione del giudizio.
2. Non ricorrono i presupposti per il pagamento del doppio del contributo unificato a carico del ricorrente. Questa sanzione si applica solo in caso di rigetto, inammissibilità o improcedibilità del ricorso, non quando il processo si chiude per un accordo tra le parti.

Conclusioni: l’impatto dell’accordo sulla sentenza impugnata

L’ordinanza in commento ribadisce un principio fondamentale del nostro ordinamento: la volontà delle parti è sovrana nel disporre dei propri diritti e può portare all’estinzione del processo in qualsiasi sua fase e grado, compreso quello di legittimità. La dichiarazione di cessazione della materia del contendere non è una mera presa d’atto, ma un provvedimento con effetti sostanziali dirompenti, in grado di neutralizzare una sentenza e chiudere definitivamente ogni disputa. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, questo rappresenta un importante promemoria sull’utilità degli strumenti di definizione alternativa delle controversie, che possono offrire una via d’uscita efficace ed efficiente anche nelle situazioni legali più complesse.

Cosa succede se le parti di un processo raggiungono un accordo mentre il caso è pendente in Corte di Cassazione?
La Corte dichiara la ‘cessazione della materia del contendere’, un provvedimento che pone fine al giudizio perché è venuto meno l’interesse delle parti a una decisione nel merito.

Qual è l’effetto della dichiarazione di cessazione della materia del contendere sulla sentenza impugnata?
La sentenza impugnata perde la sua efficacia. Questo significa che la decisione del giudice del grado precedente viene privata di ogni effetto giuridico, come diretta conseguenza dell’accordo raggiunto tra le parti.

In caso di cessazione della materia del contendere per accordo, il ricorrente deve pagare il doppio del contributo unificato?
No. La Corte ha chiarito che il meccanismo sanzionatorio del raddoppio del contributo unificato non si applica in questa ipotesi, poiché è previsto solo per i casi di integrale rigetto, inammissibilità o improcedibilità del ricorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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