LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Cessazione materia del contendere: chi paga le spese?

Un cittadino contesta una richiesta di restituzione di somme da parte di un ente. Durante la causa, l’ente annulla il debito, soddisfacendo la richiesta del cittadino. Il Tribunale dichiara la cessazione della materia del contendere ma condanna l’ente a pagare le spese legali, applicando il principio di causalità: chi ha dato origine alla lite con una pretesa infondata deve sostenerne i costi.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 18 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Cessazione materia del contendere: chi paga le spese se la controparte si pente?

Quando si avvia una causa, l’obiettivo è ottenere una sentenza che risolva una controversia. Ma cosa succede se, durante il processo, la controparte fa un passo indietro e soddisfa completamente le nostre richieste? In questi casi, si parla di cessazione della materia del contendere, un istituto processuale che estingue il giudizio perché non c’è più nulla su cui decidere. Resta però una domanda cruciale: chi paga le spese legali? Una recente sentenza del Tribunale di Roma offre una risposta chiara, basata sul principio di causalità.

I fatti di causa: la richiesta di restituzione e l’azione legale

Il caso nasce dalla richiesta, da parte di un ente, di restituzione di una somma di oltre 9.000 euro a un cittadino, ritenuta indebitamente percepita. Il cittadino, convinto della non debenza di tale importo, o almeno non in quella misura, decide di agire in giudizio per far accertare l’inesistenza del debito o, in subordine, la sua riduzione a una cifra inferiore.

Avviato il processo, l’ente convenuto si costituisce in giudizio e, in un primo momento, comunica di aver già provveduto a un ricalcolo d’ufficio, riducendo l’importo richiesto a circa 3.666 euro. Successivamente, nel corso del procedimento, l’ente compie un passo ulteriore e decisivo: annulla completamente la richiesta di pagamento, riconoscendo di fatto la fondatezza delle lamentele del cittadino, addirittura per un importo superiore a quello che lui stesso aveva chiesto in giudizio. A questo punto, entrambe le parti chiedono al giudice di dichiarare la cessata materia del contendere.

La decisione sulla cessazione materia del contendere e la questione delle spese

Il Tribunale, preso atto che la pretesa del ricorrente è stata integralmente soddisfatta, dichiara la cessazione della materia del contendere. Questa declaratoria, come spiegato nella sentenza, deriva dal venir meno dell’interesse delle parti a proseguire il giudizio. L’obiettivo per cui era stata avviata l’azione legale è stato raggiunto, rendendo superflua una pronuncia del giudice sul merito della questione.

La parte più interessante della decisione riguarda, tuttavia, la regolamentazione delle spese processuali. Nonostante la chiusura “pacifica” del contenzioso, il ricorrente aveva comunque sostenuto dei costi per difendersi da una pretesa iniziale che si è rivelata infondata. A chi spetta pagare l’avvocato?

Le motivazioni

Il giudice ha condannato l’ente convenuto alla refusione totale delle spese di lite in favore del cittadino. La motivazione si fonda su un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: la soccombenza virtuale, che è un’applicazione diretta del principio di causalità. In parole semplici, il giudice valuta chi avrebbe avuto torto se il processo fosse andato avanti fino alla fine. Nel caso di specie, è evidente che l’ente, avendo preteso infondatamente la restituzione di somme non dovute, ha costretto il cittadino a rivolgersi a un legale e ad avviare un’azione giudiziaria per tutelare i propri diritti. L’ente ha quindi dato causa al processo con un comportamento che, a posteriori, si è rivelato antigiuridico. Di conseguenza, anche se ha corretto il proprio errore in corso di causa, è giusto che sia esso a farsi carico dei costi che ha generato.

La sentenza ribadisce un orientamento consolidato della Corte di Cassazione, secondo cui “la ‘soccombenza’ costituisce un’applicazione del principio di causalità, che vuole non esente da onere delle spese la parte che, col suo comportamento antigiuridico […] abbia provocato la necessità del processo”.

Le conclusioni

Le implicazioni pratiche di questa decisione sono molto importanti per i cittadini. Essa stabilisce che ritirare una richiesta o adempiere a un obbligo dopo l’inizio di una causa non è sufficiente per evitare la condanna alle spese legali. Se la pretesa iniziale era illegittima e ha costretto una persona a ricorrere alla giustizia, chi ha dato il via alla controversia dovrà pagare i costi del procedimento. Si tratta di un principio di equità che garantisce una tutela effettiva, evitando che un soggetto possa avanzare richieste avventate per poi ritirarle senza conseguenze, lasciando però la controparte con il peso delle spese legali sostenute.

Cosa significa ‘cessazione della materia del contendere’?
Significa che il motivo per cui è iniziata la causa è venuto meno durante il processo, perché una delle parti ha soddisfatto completamente la richiesta dell’altra, rendendo inutile una decisione del giudice sul merito della questione.

Se una causa si chiude per cessazione della materia del contendere, chi paga le spese legali?
Le spese legali vengono pagate dalla parte che ha dato origine alla causa con un comportamento illegittimo. Il giudice valuta chi avrebbe perso se il processo fosse continuato (cosiddetta ‘soccombenza virtuale’) e condanna quella parte al pagamento delle spese.

Perché l’ente è stato condannato a pagare le spese pur avendo annullato la sua richiesta?
L’ente è stato condannato perché la sua iniziale richiesta di pagamento, poi rivelatasi infondata, ha costretto il cittadino ad avviare un’azione legale per difendere i propri diritti. L’ente, con il suo comportamento, è stato la causa del processo e, per il principio di causalità, deve sostenerne i costi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati