SENTENZA TRIBUNALE DI ROMA N. 11594 2025 – N. R.G. 00023078 2025 DEPOSITO MINUTA 14 11 2025 PUBBLICAZIONE 14 11 2025
TRIBUNALE DI ROMA SEZIONE IV LAVORO REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il giudice, AVV_NOTAIO, lette le note di discussione scritta depositate dalle parti ai sensi dell’articolo 127 ter c.p.c., ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 23078/2025 R.G. controversie lavoro promossa
da
, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO per procura allegata al ricorso,
– ricorrente –
contro
in persona del legale rappresentante pro-tempore , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO giusta procura generale alle liti in notaio di Fiumicino,
– resistente –
OGGETTO: ripetizione di indebito.
CONCLUSIONI: come negli atti difensivi e nelle note scritte di udienza.
FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con ricorso depositato in data 25 giugno 2025 la ricorrente in epigrafe ha convenuto in giudizio l’ in persona del legale rappresentante protempore , chiedendo a questo Tribunale di ‘ accertare e dichiarare l’inesistenza/irripetibilità/inesigibilità dell’indebito di euro 9.045,60 preteso dall’ nei confronti della Ricorrente, riducendolo ad euro 4111,25, ovvero nella diversa somma, maggiore o minore, di giustizia, per le motivazioni tutte espresse in narrativa ‘.
Ritualmente instaurato il contraddittorio, si è costituito in giudizio l’ rappresentando che i competenti uffici hanno proceduto a effettuare un ricalcolo d’ufficio, all’esito del quale è stata disposta la riduzione dell’indebito a € 3.666,63, sicché chiedendo in via principale di dichiarare cessata la materia
del contendere; in subordine, dato atto della riduzione dell’indebito a € 3.666,63, importo inferiore a quello indicato da parte ricorrente in ricorso come effettivamente dovuto, l’ ha chiesto il rigetto delle pretese attoree.
Disposta la sostituzione dell’udienza di discussione con lo scambio di note scritte, ai sensi dell’articolo 127 ter c.p.c., nelle note di discussione ritualmente depositate parte ricorrente ha dato atto del sopravvenuto annullamento dell’asserito indebito in misura superiore a quanto richiesto nelle conclusioni del ricorso, sicché ha concluso per la declaratoria di cessazione della materia del contendere, con il favore, tuttavia, delle spese di lite.
Indi, su queste conclusioni, la controversia è stata decisa.
Così ricostruito l’ iter processuale, conformemente alla richiesta delle parti va dichiarata cessata la materia del contendere.
Com’è noto, la cessazione della materia del contendere, pur essendo una formula ormai entrata nel linguaggio comune e ripetutamente adoperata dalla giurisprudenza -tanto che in dottrina si è parlato di enucleazione di un vero e proprio istituto processuale di cui la giurisprudenza della Cassazione ha forgiato i contorni -, non è in alcun modo prevista dal codice di procedura civile, essendo il suddetto istituto contemplato unicamente nel processo amministrativo dall’art. 23, ultimo comma, della legge n. 10 34/1971 istitutiva dei T.A.R., a norma del quale se entro il termine previsto per la fissazione dell’udienza l’amministrazione annulla o riforma l’atto impugnato in modo conforme all’istanza del ricorrente, il T.A.R. deve dare atto della cessata materia del contendere e provvedere sulle spese.
Al fine di individuare i presupposti per la corretta ammissibilità dell’istituto anche nel processo civile, la Suprema Corte ha condivisibilmente ritenuto che ‘ la cessazione della materia del contendere, che costituisce il riflesso processuale del venire meno della ragion d’essere sostanziale della lite, per la sopravvenienza di un fatto suscettibile di privare le parti di ogni interesse a proseguire il giudizio, in tanto può essere dichiarata, in quanto i contendenti si diano reciprocamente atto dell’intervenuto mutamento della situazione revocata in controversia e sottopongano al giudice conclusioni conformi, intese a sollecitare l’adozione di una declaratoria d ella cessazione cennata ‘ (cfr., in termini, Cass. 15 marzo 2005, n. 5607).
Invero, l’interesse ad agire, sancito dall’art. 100 c.p.c., consiste nell’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, la verifica della cui esistenza si risolve nel quesito se l’ist ante possa conseguire attraverso il processo il risultato che si è ripromesso, a prescindere dall’esame del merito della controversia e della stessa ammissibilità della domanda sotto altri e diversi profili (cfr. Cass. 20 gennaio 1998, n. 486).
Tale interesse deve sussistere al momento in cui il giudice pronuncia la decisione ed il suo difetto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del
procedimento, in quanto esso costituisce, quale condizione o presupposto processuale dell’azione, un requisito per l’esame del merito della domanda (cfr . Cass. 7 giugno 1999, n. 5593).
Gli eventi idonei a determinare la cessazione della materia del contendere possono essere di natura variegata, tanto di tipo fattuale, quanto discendenti da atti posti in essere dalla volontà di una o di entrambe le parti.
In particolare, in materia di contenzioso ordinario, la cessazione della materia del contendere è stata riscontrata, di volta in volta, nell’integrale adempimento o, più in generale, nel completo soddisfacimento della pretesa dell’attore; nel riconoscimento dell’avversa pretesa; nella successione di leggi; nello scioglimento consensuale del contratto di cui è stata chiesta la risoluzione per inadempimento; nella morte di uno dei coniugi nel processo di separazione personale; nella transazione stipulata tra le parti dopo l’inizio del processo.
A ben guardare, le varie ipotesi enucleate nella prassi applicativa presentano un minimo comune denominatore, consistente nella circostanza che sia venuto meno l’interesse delle parti medesime ad una decisione sulla domanda giudiziale, come proposta o come venuta ad evolversi nel corso del giudizio, sulla base di attività dalle parti stesse poste in essere nelle varie fasi processuali per le più diverse ragioni, o di eventi incidenti sulle parti in conseguenza della natura personalissima ed intrasmissibile della posizione soggettiva dedotta, in ordine ai quali -anche se enunciati o risultanti dagli atti -non viene chiesto al giudice alcun accertamento, diverso da quello del venir meno dell’interesse alla pronuncia (cfr., ex plurimis , Cass.. S.U. 18 maggio 2000, n. 368, Cass., S.U., 28 settembre 2000, n. 1048, Cass. 25 luglio 2002, n. 10977).
È questo, esattamente, il caso verificatosi nel presente giudizio, nel quale l’ ha riconosciuto la fondatezza delle doglianze attoree e ha provveduto annullare la richiesta di ripetizione per un importo addirittura superiore a quello richiesto in ricorso, sicché non è dubbio che in tal modo sia stata interamente soddisfatta la pretesa azionata nel presente giudizio e che sia venuto meno l’interesse sostanziale alla decisione, come conformemente riconosciuto dalle parti.
L’esito complessivo del giudizio giustifica la condanna dell’ alla refusione a parte ricorrente delle spese di lite, liquidate sulla base dei parametri indicati nelle tabelle allegate al d.m. n. 147/2022, con riguardo allo scaglione di valore della causa e con distrazione in favore dei procuratori antistatari.
Secondo l’insegnamento anche recentemente ribadito della Corte di legittimità, dal quale non sussistono ragioni per discostarsi, ‘ ai fini del regolamento delle spese del processo civile, la ‘soccombenza’ costituisce un’applicazione del principio di causalità, che vuole non esente da onere delle spese la parte che, col suo comportamento antigiuridico (per la trasgressione delle norme di diritto sostanziale) abbia provocato la necessità del processo ‘
(cfr., Cass. 26 giugno 2009, n. 15199, Cass. n. 9080 e 9081 del 16 aprile 2009).
Nel caso di specie, invero, come correttamente sottolineato nelle note di udienza, parte ricorrente ha agito contestando una richiesta di ripetizione di indebito comunicata dall’ per la quale non è prescritto alcun ricorso da esperire in via amministrativa.
Sicché, avendo l’ preteso infondatamente dal titolare del trattamento pensionistico la restituzione di ratei a lui, invece, correttamente erogati, la domanda attorea risulta pienamente fondata, con conseguente condanna alla refusione delle spese a carico di chi ha determinato, con la sua condotta antigiuridica, la proposizione di un ricorso giurisdizionale.
Del tutto legittimamente, invero, la parte ricorrente ha azionato il presente giudizio, onde ottenere la tutela dei propri diritti.
Quanto alla misura delle spese, peraltro, occorre tenere conto dell’assenza di attività istruttoria.
Secondo l’insegnamento del Supremo Collegio, in particolare, in tema di liquidazione delle spese processuali in base al d.m. n. 55 del 2014, l’effettuazione di singoli atti istruttori e, segnatamente, la produzione di documenti, in altre fasi processuali (come quella introduttiva e/o quella decisionale) non equivale allo svolgimento della fase istruttoria e/o di trattazione, sicché non va liquidata la fase istruttoria o di trattazione quando non si svolga un’attività di tipo istruttorio diversa dalla mera v alutazione dei documenti prodotti (cfr., da ultimo, Cass., sez. lav., n. 11343 del 30 aprile 2025, la quale richiama in senso adesivo Cass., sez. 3, n. 10206 del 16 aprile 2021).
P.Q.M.
Lette le note di discussione scritta ex art. 127 ter c.p.c., definitivamente pronunciando, dichiara cessata la materia del contendere.
Condanna l’ alla refusione delle spese di lite, che liquida in complessivi € 886, oltre rimborso forfettario spese generali, iva e c.p.a., come per legge, da distrarsi in favore dei procuratori antistatari.
Roma, 13 novembre 2025.
Il giudice NOME COGNOME