Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30773 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30773 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16757/2021 proposto da:
NOME COGNOME e NOME COGNOME, quale erede di NOME COGNOME, rappresentati e difesi disgiuntamente e/o congiuntamente dagli avv.ti NOME COGNOME EMAIL e NOME COGNOME EMAIL;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI BARI, in persona del Sindaco pro-tempore , rappresentato e difeso dall’avv.to NOME COGNOME EMAIL;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2136/2020 della CORTE D’APPELLO DI BARI, depositata l’11/12/2020;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio del 17/10/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
ritenuto che,
con sentenza resa in data 11/12/2020, la Corte d’appello di Bari, in accoglimento dell’appello proposto dal Comune di Bari e in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME per la condanna del Comune di Bari al risarcimento dei danni asseritamente subiti dagli attori in conseguenza della lesione dell’affidamento dagli riposto nei contenuti della certificazione di destinazione urbanistica del 19/1/1993 rilasciata dal Comune convenuto in ordine alle caratteristiche di un terreno sito in Ceglie del Campo di Bari del quale gli attori si erano resi acquirenti;
secondo la prospettazione degli attori, l’indicata certificazione rilasciata dal Comune di Bari li aveva indotti all’acquisto del ridetto terreno in considerazione delle relative potenzialità edificatorie, così come risultanti dalla certificazione comunale, e ad accettare conseguentemente l’impegno alla corresponsione, per tale acquisto, di un prezzo adeguato al valore di un terreno avente quelle caratteristiche;
ciò posto, una volta emersa l’inesattezza delle indicazioni contenute nella certificazione contestata (avuto riguardo alla significativa minore entità delle potenzialità edificatorie di detto terreno, così come emersa anche dai contenuti di un successivo certificato rilasciato dal Comune di Bari nell’aprile del 2002), gli attori avevano agito al fine di ottenere la condanna dell’amministrazione comunale al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’illecito così dedotto;
a fondamento della decisione assunta, la Corte territoriale ha viceversa evidenziato come i contenuti della certificazione del 19/1/1993 rilasciata dal Comune di Bari non alludessero in alcun modo ad eventuali inequivoche determinazioni delle porzioni del terreno dedotto in giudizio suscettibili di edificazione, con la conseguenza che, attraverso tale certificazione, doveva ritenersi obiettivamente esclusa la generazione di alcun legittimo o giustificato affidamento in ordine all’esatta potenzialità edificatoria del terreno (neppure specificamente indicata nella successiva certificazione dell’aprile del 2002), tanto più che neanche in sede di acquisto gli attori (e il relativo dante causa) avevano provveduto all’individuazione delle specifiche caratteristiche del terreno e delle relative potenzialità edificatorie, sì da escludere che il prezzo di acquisto concretamente convenuto potesse intendersi riferito, in termini oggettivi, a tale specifica caratteristica del terreno;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME e NOME COGNOME quale erede di NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;
il Comune di Bari resiste con controricorso;
i ricorrenti hanno depositato memoria;
considerato che,
con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 2043, 1362, 1363, 1325, 1538 c.c., nonché dell’art. 116 c.p.c., dell’art. 18 della L. 47/1985 e degli artt. 2700, 2697 c.c. (in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.), per avere la corte territoriale illegittimamente escluso che l’erroneità del certificato di destinazione urbanistica, rilasciato il 19.1.1993 dal Comune di Bari, avesse indotto i ricorrenti nella falsa rappresentazione della realtà conducendoli all’acquisto del terreno oggetto di lite;
con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., nonché dell’art. 97, co. 2 Cost., dell’art. 1, co. 1bis della L. 241/1990 e degli artt. 1173, 1175, 1176, 1337, 1538 c.c. e art. 18 L. 47/1985 (in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente negato il riconoscimento della tutela dell’affidamento del privato sulla conformità dell’attività amministrativa ai principi di buon andamento, collaborazione, correttezza, diligenza e buona fede;
entrambi i motivi -congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione -sono inammissibili;
osserva il Collegio come, attraverso la proposizione dei due motivi in esame, i ricorrenti -lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate -si siano limitati ad allegare un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo , della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione, neppure coinvolgendo, la prospettazione critica dei ricorrenti, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente gli stessi nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa rispetto a quanto operato dal giudice a quo , con particolare riguardo, nel caso di specie, ai contenuti effettivi della certificazione di destinazione urbanistica, al l’eventuale legittimità dell’affidamento riposto in tale certificazione da parte degli attori o al comportamento effettivamente colpevole dell’amministrazione pubblica;
nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ ubi consistam delle censure sollevate dagli odierni ricorrenti deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;
si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;
ciò posto, i motivi d’impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;
sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore del Comune controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 3.800,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione