Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7408 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7408 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/03/2024
LOCAZIONE AD USO DIVERSO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28878/2021 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO , con domicilio telematico all’indirizzo PEC del proprio difensore
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE
NOME COGNOME NOME
-intimati –
Avverso la sentenza n. 1274/2021 della CORTE DI APPELLO DI FIRENZE, depositata il 2 agosto 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
In relazione ad un contratto di locazione avente ad oggetto un immobile ubicato in Lido di Camaiore ed adibito ad uso pensione,
NOME COGNOME intimò sfratto per morosità alla conduttrice RAGIONE_SOCIALE, subentrata alla originaria parte contrattuale NOME per effetto di cessione di azienda.
Il medesimo locatore richiese ed ottenne decreto ingiuntivo di pagamento dei canoni insoluti nei riguardi di ambedue le conduttrici (primigenia e successiva), decreto oggetto di separate opposizioni da ciascuna delle parti ingiunte.
Riunite tutte le controversie, il Tribunale di Lucca, all’esito del giudizio di prime cure, dichiarò la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della società conduttrice e rigettò le opposizioni al provvedimento monitorio.
In accoglimento dell’appello interposto dalla società RAGIONE_SOCIALE, la decisione in epigrafe indicata ha dichiarato la risoluzione del contratto per inadempimento del locatore e revocato il decreto ingiuntivo emesso nei riguardi della società appellante; ha condannato NOME COGNOME al pagamento in favore dell’appellan te dell’importo di euro 6.478,32, a titolo di ristoro degli esborsi da quest’ultima sostenuti per l’apertura dell’attività alberghiera.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, articolando tre motivi; non svolgono difese nel presente giudizio di legittimità la società RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo, rubricato per « violazione e falsa applicazione degli artt. 1575 e 1578 cod. civ., con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. », reca due distinte censure.
Parte ricorrente lamenta l’inosservanza del principio secondo cui è onere del conduttore, subentrato nel contratto a seguito di cessione di azienda, verificare « le caratteristiche dei locali e la loro adeguatezza all’attività da svolgersi, la destinazione d’uso, nonché l’esistenza delle
specifiche licenze amministrative, tra queste, anche l’agibilità »: verifica non effettuata dalla società RAGIONE_SOCIALE
Deduce inoltre che « dalle pattuizioni contenute nel contratto di locazione non si evince affatto che il locatore si fosse espressamente impegnato a conseguire il certificato di agibilità dell’immobile e consegnarlo al conduttore ».
Ambedue le doglianze sono inammissibili.
1.1. La prima perché – senza nemmeno individuare il passaggio motivazionale che intende censurare – pone una questione nuova, implicante un accertamento di fatto (l’esistenza o meno di una verifica effettuata dalla conduttrice cessionaria sulle caratteristiche del bene), senza tuttavia allegare quando e come la stessa (di cui non vi è traccia nella sentenza gravata) sia stata introdotta nel thema decidendum del giudizio di merito.
Orbene, per consolidato indirizzo di nomofilachia, i motivi di ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni già comprese nel l’oggetto del contendere del giudizio di appello, non essendo consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto oppure di contestazioni che importino indagini di fatto non effettuati dal giudice di merito, neanche se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio.
Grava pertanto sul ricorrente, onde evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, l’onere non solo di specificare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (v. Cass. 17/11/2022, n. 33925; Cass. 30/01/2020, n. 2193; Cass. 13/08/2018, n. 20712; Cass. 31/07/2018, n. 20313; Cass. 06/06/2018, n. 14477).
1.2. La seconda perché non attinge criticamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata.
Invero, la Corte d’appello ha ritenuto che il rilascio del certificato di agibilità fosse a carico del locatore rientrando « tra gli obblighi sullo stesso gravanti, ex art. 1575 cod. civ., di mantenere il bene concesso in locazione in istato da servire all’uso convenuto »: ha argomentato cioè sulla base di un criterio legale di determinazione della prestazione incombente sulla parte locatrice (in piena conformità, peraltro, al costante orientamento di legittimità: Cass. 25/06/2019, n. 16918), non in forza del regolamento negoziale del rapporto.
A fronte della descritta trama argomentativa, inconferente risulta dunque la prospettazione del ricorrente, la quale invoca l’esegesi del contratto onde escludere che in forza di esso il locatore avesse assunto l’obbligo di consegna del certificato di agibilità dell’immobile.
A ciò si aggiunga, quale ulteriore ragione di inammissibilità, la estrema genericità della doglianza in punto di contestazione della interpretazione offerta dal giudice di merito alle pattuizioni contrattuali: il ricorrente si limita a rappresentare, puramente e semplicemente, una lettura della volontà negoziale dei contraenti differente da quella operata dalla gravata pronuncia, senza nemmeno allegare i canoni di ermeneutica pretesamente violati ( ex plurimis , Cass. 10/02/2023, n. 4272; Cass. 14/12/2022, n. 36516; Cass. 09/04/2021, n. 9461; Cass. 20/01/2021, n. 995; Cass. 26/05/2016, n. 10891; Cass. 09/04/2015, n. 7118; Cass. 10/02/2015, n. 2465).
Con il secondo mezzo, l’impugnante, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 cod. civ., con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., censura, sotto un duplice profilo, la sentenza gravata nella parte in cui ha ritenuto legittima la sospensione del pagamento del canone nel periodo da marzo 2016 ad agosto 2016.
2.1. Premesso che tale sospensione è consentita, in misura integrale, solo a fronte di inadempimento del locatore che impedisca la piena fruibilità dell’immobile, assume – innanzitutto e sub lett. a) – che
« nel caso di specie non si ravvisa un inadempimento da parte del locatore, semplicemente perché nel contratto di locazione non ha assunto nei confronti del conduttore l’obbligo di garantire la regolarità amministrativa, compresa l’agibilità » dell’immobile.
La doglianza è inammissibile.
Essa presuppone la (ed argomenta dalla) inesistenza di un obbligo ex contractu del locatore all’ottenimento dell’agibilità: ma, come chiarito in precedenza (§ 1.2.), detta circostanza non è stata considerata dalla gravata decisione la quale, invece, ha ravvisato la fonte di tale obbligo nella conformazione legale del rapporto locatizio.
2.2. Deduce poi l’impugnante che « come si apprende chiaramente dagli atti processuali nonché dalla stessa C.T.U. espletata » nella vicenda in parola non sono stati emessi « provvedimenti amministrativi di chiusura totale o parziale dell’immobile né sono stati imposti dall’autorità amministrativa divieti all’utilizzo dei locali », sicché non sussisteva « qualsivoglia limitazione, anche soltanto parziale, del godimento dell’immobile », conservato dal conduttore in modo « pieno, indisturbato ed incondizionato ».
2.2. Anche questo motivo è inammissibile, per plurime ragioni.
In primis, perché eccentrico rispetto al ragionamento esplicato dal giudice territoriale a suffragio del dictum reso.
L’impugnata pronuncia ha ritenuto che l’assenza di attestazioni di conformità relative alle dotazioni impiantistiche e le difformità edilizie riscontrate – imputate a responsabilità del locatore e ragione del mancato conseguimento dell’agibilità giustificassero la sospensione (totale) del versamento del canone perché «non poteva pretendersi che la società, subentrata nella gestione dell’azienda, si assumesse il rischio che le deficienze riscontrate, nella specie relative al rispetto della normativa antiinfortunistica (conformità dello stabile e degli
impianti) potessero pregiudicare la sicurezza di coloro che, per lavoro o in quanto clienti dell’albergo, avrebbero frequentato l’immobile» .
Si tratta di una valutazione che prescinde dalla esistenza o meno di provvedimenti amministrativi limitativi del godimento del cespite: e tanto evidenzia l’inconferenza dell’argomentare del ricorrente.
In secondo luogo, la prospettazione dell’impugnante si risolve nel sollecitare questa Corte ad una ricostruzione della quaestio facti in termini differenti da quella operata dal giudice di merito ed attraverso una nuova valutazione di risultanze istruttorie, in specie documentali (peraltro, senza una puntuale indicazione della loro collocazione nel fascicolo di ufficio e della loro acquisizione o produzione nel giudizio per cassazione, in spregio al requisito prescritto dall’art. 366, primo comma, num. 6, cod. proc. civ.): attività del tutto estranee alla natura ed alla funzione del giudizio di legittimità.
3. Con il terzo motivo, per violazione di norme di diritto rilevante ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., si sostiene l’inoperatività delle azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del canone previste dall’art. 1578 cod. civ . in caso di subentro ex art. 36 della legge 27 luglio 1978, n. 392 in un contratto di locazione ad uso non abitativo, sul presupposto che l’ipotesi di immobile privo dei titoli necessari o indispensabili per la sua utilizzazione concreti vizio della co sa locata a mente dell’art. 1578 cod. civ..
3.1. La censura è infondata.
Essa si contrappone – senza offrire alcun serio o idoneo spunto argomentativo per una rimeditazione – ad un consolidato indirizzo euristico del giudice della nomofilachia, seguito nella pronuncia gravata, cui si intende dare (ulteriore) convinta continuità.
Rappresenta infatti ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte, il principio per cui nella locazione di immobili per uso diverso da quello abitativo, il carattere abusivo dell ‘ immobile o la mancanza di
titoli autorizzativi necessari o indispensabili ai fini dell ‘ utilizzo della res (secondo la sua intrinseca destinazione economica o conformemente all ‘ uso convenuto) dipendenti dalla situazione edilizia del bene non attengono alla validità del negozio, né costituiscono vizi della cosa locata agli effetti dell ‘ art. 1578 cod. civ. (tali essendo soltanto quelli che investono la struttura materiale della cosa, alternandone l’integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento), ma possono configurare un inadempimento del locatore alle proprie obbligazioni, in astratto idoneo a incidere un interesse del conduttore ( ex plurimis, Cass. 28/12/2021, n. 41744, relativa proprio al mancato conseguimento di certificato di agibilità dell’immobile locato; Cass. 21/08/2020, n. 17557; Cass. 20/08/2018, n. 20796; Cass. 26/04/2016, n. 15377; più di recente, Cass. 07/07/2023, n. 19388; Cass. 28/06/2023, n. 18483; Cass. 12/04/2023, n. 9766).
Il ricorso è rigettato.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, non avendo ivi svolto difese le parti intimate.
Atteso il rigetto del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass., Sez. U, 20/02/2020, n. 4315) per il versamento da parte del ricorrente ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione