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Carenza di interesse: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1353/2024, ha chiarito che una rinuncia al ricorso, sebbene presentata in modo irrituale (senza le firme richieste), non causa l’estinzione del giudizio ma ne determina l’inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse. Di conseguenza, la parte che ha rinunciato, in questo caso un ente comunale, è stata condannata al pagamento delle spese legali, poiché il suo atto, pur non formalmente perfetto, ha manifestato in modo inequivocabile la volontà di non proseguire il contenzioso.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rinuncia irrituale e sopravvenuta carenza di interesse: le conseguenze

Quando una parte decide di rinunciare a un ricorso in Cassazione, deve seguire regole precise. Ma cosa succede se la rinuncia non è formalmente perfetta? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, chiarisce che una rinuncia irrituale non estingue il processo, ma porta a una declaratoria di inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse, con importanti conseguenze sulle spese legali. Analizziamo insieme questa decisione.

I fatti del caso

Un ente comunale aveva presentato ricorso per Cassazione avverso una sentenza della Corte d’Appello in una controversia di pubblico impiego. Successivamente, il difensore del Comune depositava una dichiarazione di rinuncia al giudizio. Tuttavia, tale atto presentava un vizio formale: non era sottoscritto dalla parte (il Sindaco pro tempore) e il difensore non era munito di un mandato speciale per compiere tale atto, come richiesto dal Codice di Procedura Civile.

La controparte, pur prendendo atto della volontà di abbandonare il giudizio, insisteva per la rifusione delle spese legali sostenute per difendersi.

La decisione della Corte di Cassazione sulla sopravvenuta carenza di interesse

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno stabilito che, sebbene la rinuncia non fosse conforme alle prescrizioni dell’art. 390 c.p.c. e quindi non potesse portare all’estinzione del processo, essa era comunque un atto significativo. Manifestava in modo inequivocabile il venir meno dell’interesse del ricorrente a ottenere una pronuncia sul merito della questione.

Questo fenomeno, noto come sopravvenuta carenza di interesse, ha come conseguenza processuale l’inammissibilità del ricorso. Di conseguenza, la Corte ha condannato l’ente comunale al pagamento delle spese processuali in favore della controparte.

Le motivazioni

Il ragionamento della Corte si fonda su principi consolidati. In primo luogo, la rinuncia al ricorso per cassazione richiede forme specifiche per produrre il suo effetto tipico, ovvero l’estinzione del giudizio. L’art. 390 c.p.c. prevede che l’atto debba essere sottoscritto dalla parte e dal suo avvocato, o dal solo avvocato se munito di mandato speciale. In assenza di tali requisiti, la rinuncia è “irrituale”.

Tuttavia, un atto processuale, anche se formalmente invalido per uno scopo, può essere valutato per un altro. La dichiarazione di rinuncia, seppure irrituale, è stata interpretata dalla Corte come una chiara manifestazione della volontà di non proseguire la lite. Questo comportamento fa venire meno l’interesse, requisito fondamentale per qualsiasi azione giudiziaria, determinando una sopravvenuta carenza di interesse che impedisce al giudice di decidere nel merito.

Per quanto riguarda le spese, la Corte ha applicato il principio della soccombenza virtuale: la parte che, con il suo comportamento (la rinuncia), ha di fatto posto fine al giudizio, deve farsi carico dei costi. Infine, è stato chiarito che la sanzione del raddoppio del contributo unificato non si applica in questi casi. Tale sanzione è pensata per le impugnazioni dilatorie o pretestuose sin dall’origine, non per i casi in cui l’interesse viene meno nel corso del processo.

Le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un importante principio procedurale: la forma degli atti è fondamentale, ma la sostanza del comportamento delle parti non può essere ignorata. Una rinuncia presentata senza rispettare le regole non fa “sparire” il processo, ma lo conduce a una chiusura per inammissibilità. La lezione pratica è chiara: chi intende abbandonare un ricorso deve farlo nel modo corretto per evitare una condanna alle spese. L’atto di rinuncia, anche se imperfetto, equivale a un’ammissione di non avere più interesse alla causa, con tutte le conseguenze economiche che ne derivano.

Cosa succede se una rinuncia al ricorso in Cassazione è presentata senza le firme richieste?
Il giudizio non viene dichiarato estinto, ma il ricorso viene dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, poiché l’atto, seppur formalmente imperfetto, dimostra la volontà della parte di non proseguire.

Chi paga le spese legali in caso di rinuncia irrituale?
La parte che ha presentato la rinuncia irrituale è condannata a pagare le spese legali alla controparte. Il suo comportamento, manifestando il disinteresse alla prosecuzione, la pone in una posizione di soccombenza virtuale.

Si applica la sanzione del raddoppio del contributo unificato se il ricorso è dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse?
No, la Corte di Cassazione ha specificato che tale sanzione non si applica in questi casi, perché è destinata a punire le impugnazioni inammissibili o infondate fin dall’inizio, e non quelle in cui l’interesse a decidere viene meno in un momento successivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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