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Benchmark, valutare l’operato del gestore

Nei contratti aventi a oggetto la gestione di portafogli di valori mobiliari gli obblighi comportamentali normativamente posti a carico dell’intermediario prevedono, tra l’altro, la preventiva indicazione del grado di rischio di ciascuna linea di gestione patrimoniale proprio col fine di indicare all’investitore un parametro oggettivo coerente dei rischi connessi (v. di recente Sez. Come è stato ritenuto dalla Suprema Corte, il benchmark, se anche non impone al gestore di acquistare titoli nelle proporzioni indicate, costituisce un modo per valutare la razionalità e l’adeguatezza dell’attività dell’intermediario, per cui, ove la gestione sia risultata in contrasto con il predetto parametro e, quindi, con i rischi contrattualmente assunti dagli investitori, l’intermediario risponde delle perdite che gli stessi abbiano, per l’effetto, subito (Cass.

Pubblicato il 08 November 2020 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile

Nei contratti aventi a oggetto la gestione di portafogli di valori mobiliari gli obblighi comportamentali normativamente posti a carico dell’intermediario prevedono, tra l’altro, la preventiva indicazione del grado di rischio di ciascuna linea di gestione patrimoniale proprio col fine di indicare all’investitore un parametro oggettivo coerente dei rischi connessi (v. di recente Sez. 1 n. 8089-16).

Col contratto di gestione di un portafoglio di investimento il cliente conferisce all’intermediario l’incarico di adottare strategie di investimento entro i margini di discrezionalità fissati nel contratto stesso, giacché i relativi risultati, positivi o negativi, ricadono direttamente sul patrimonio dell’investitore.

Per quanto il contenuto del contratto sia certamente caratterizzato da una certa discrezionalità dell’intermediario nella valutazione delle operazioni da compiere, vi è che tale discrezionalità va coniugata con le linee di gestione scelte e comunque indicate nel contratto.

In questo senso la gestione individuale si distingue dalla gestione collettiva (titolo 3 del T.u.f.) per il carattere appunto personalizzato, che consente all’investitore di predeterminare, nel contratto, le linee di gestione e di impartire istruzioni vincolanti ai sensi dell’articolo 24 del T.u.f..

Ne consegue che, per delineare le caratteristiche della gestione, assume un ruolo fondamentale proprio il benchmark, definito come “parametro oggettivo di riferimento coerente con i rischi a essa connessi al quale commisurare i risultati della gestione”.

In altre parole, il benchmark rappresenta il termine di paragone per poi valutare l’operato del gestore, sicché fornisce all’investitore l’elemento essenziale per la valutazione del servizio offerto.

Come è stato ritenuto dalla Suprema Corte, il benchmark, se anche non impone al gestore di acquistare titoli nelle proporzioni indicate, costituisce un modo per valutare la razionalità e l’adeguatezza dell’attività dell’intermediario, per cui, ove la gestione sia risultata in contrasto con il predetto parametro e, quindi, con i rischi contrattualmente assunti dagli investitori, l’intermediario risponde delle perdite che gli stessi abbiano, per l’effetto, subito (Cass. 3 gennaio 2017, n. 24; cfr. pure Cass. 21 aprile 2016, n. 8089).

La sentenza impugnata aveva rilevato uno scostamento rilevante rispetto al benchmark (scostamento indicato nella misura del 20%), pienamente in linea con il richiamato principio.

Corte di Cassazione, Sezione Prima, Ordinanza n. 23568 del 27 ottobre 2020

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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