Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8989 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8989 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 10804/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, c.f. P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma presso l’AVV_NOTAIO nel suo studio in INDIRIZZO
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE, c.f. CODICE_FISCALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma presso di loro nel loro studio in INDIRIZZO
contro
ricorrente avente a oggetto la sentenza n. 1456/2018 della Corte d’appello di Genova depositata il 28-9-2018
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27-32024 dal consigliere NOME COGNOME
OGGETTO:
compravendita di immobile – rilievo di nullità in appello – differenza tra caparra confirmatoria e cauzione
R.G. 10804/2019
C.C. 27-3-2024
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 513/2013 il Tribunale di La Spezia ha accolto la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e ha dichiarato la legittimità del recesso operato dalla società attrice dal contratto di compravendita immobiliare concluso in data 8-10-2010 relativo a complesso immobiliare sito a Sarzana denominato ‘ex Ospedale San Bartolomeo’ e soggetto a vincolo storico-artistico; ha dichiarato il diritto della venditrice RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di trattenere l’importo di Euro 500.000,00 versato dall’acquirente RAGIONE_SOCIALE a titolo di caparra confirmatoria.
Il Tribunale ha rigettato gli argomenti dell’acquirente RAGIONE_SOCIALE per sostenere la legittimità della propria condotta consistita nel non avere versato il saldo prezzo di Euro 4.500.000,00 per essere l’immobile soggetto a vincolo storico -artistico, in quanto il vincolo risultava dall’atto pubblico, tanto che la su a efficacia era sospensivamente condizionata al mancato esercizio della prelazione da parte del relativo Ministero.
2.RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello formulando quattro motivi, censurando la sentenza per avere erroneamente dichiarato la legittimità del recesso, per avere erroneamente qualificato come caparra confirmatoria la somma versata, per avere erroneamente rigettato le domande riconvenzionali di annullamento del contratto per dolo o errore, per non essersi il giudice pronunciato sull’eccezione di nullità del contratto per mancata conformità catastale dell’immobile.
Con sentenza n.1456/2018 depositata il 28-9-2018 la Corte d’appello di Genova ha rigettato integralmente l’appello, condanna ndo l’appellante alla rifusione delle spese del grado.
3.Avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE liquidazione ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, ha resistito con controricorso, nel quale ha proposto ricorso incidentale condizionato affidato a unico motivo.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 27-3-2024 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1337, 1338, 1385, 1489 c.c. in relazione all’art. 360 n.3 c.p.c.’ , la società ricorrente lamenta che sia stato rigettato il suo motivo di appello con il quale aveva dedotto che la condotta della promittente venditrice che aveva omesso di rendere edotta la parte acquirente dell’effettiva ampiezza ed estensione del vincolo storicoartistico sull’immobile era condotta contraria a buona fede e comunque rilevante ai sensi dell’art. 1489 cod. civ. Sostiene che il vincolo non era facilmente conoscibile nella sua effettiva portata, ma richiedeva approfondite indagini e conoscenze che solo la parte venditrice aveva e aveva sottaciuto; evidenzia che le trattative intercorse tra le parti avevano indotto la società all’acquisto di un bene rivelatosi poi sostanzialmente inservibile per i suoi scopi, in ragione della presenza del vincolo.
1.1.Il motivo è inammissibile, perché non è dedotto vizio ex art. 360 co.1 n.3 cod. proc. civ. con riguardo a nessuna delle disposizioni richiamate dal ricorrente.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione da parte della sentenza impugnata della fattispecie astratta recata da una disposizione di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile in sede di legittimità solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. Sez. 1 13 -10-2017 n. 24155 Rv. 645538-01, Cass. Sez. L 11-1-2016 n. 195 Rv. 63842501).
Nella fattispecie il motivo di ricorso rimane completamente al di fuori della deduzione di una erronea ricognizione della fattispecie astratta perché la censura, dietro lo schermo della violazione di legge, si concentra sulla motivazione della sentenza di appello al fine di sollecitare una ricostruzione dei fatti diversa da quella eseguita dalla Corte territoriale, sostenendo che il vincolo storico-artistico non fosse conoscibile dalla società promissaria al momento della stipulazione del contratto preliminare.
Al contrario l a Corte d’appello, svolgendo l’accertamento in fatto riservato al giudice di merito e non attinto in modo ammissibile dal motivo di ricorso, ha dichiarato che negli anni 2008-2009, quando tra le società erano intercorsi contatti per la costituzione di una nuova compagine sociale nella quale la società proprietaria avrebbe conferito il complesso immobiliare, l’immobile ‘ ex Ospedale San B artolomeo’ era indicato come non soggetto ad alcun vincolo storico-artistico. Ha dichiarato che il contratto successivamente concluso tra le parti in data 8-10-2010 superava le precedenti trattative, che si erano nel frattempo interrotte, ed era conseguito a un invito a offrire pubblicato dalla società proprietaria su quotidiano il 25-4-2010, nel quale la società
proprietaria dichiarava di volere attuare una procedura aperta e competitiva volta all’alienazione di una serie di cespiti immobiliari, tra i quali ‘porzione immobiliare dell’ex Ospedale San Bartolomeo, dismessa dalle originarie funzioni sanitarie, in parte soggetta a vincolo storico-artistico, superficie lorda complessiva pari a circa 5.000 mq., in por zione centrale da riconvertire’; ha considerato che RAGIONE_SOCIALE aveva manifestato un formale interesse e in data 19-5-2010 la società proprietaria aveva rimesso a RAGIONE_SOCIALE un ‘ cd ‘ contenente, per l’ex Ospedale San Bartolomeo, le planimetrie, i dati catastali, il decreto di vincolo della Sovrintendenza, le relazioni, l’urbanistica e l’atto di provenienza, aggiungendo che dalla nota di trascrizione del vincolo e dal decreto di vincolo del Ministero con allegata relazione storicoartistica si ricavava l’esistenza del vincolo. Ha altresì evidenziato che RAGIONE_SOCIALE aveva espressamente dichiarato, prima nell’offerta vincolante e poi nell’atto pubblico , di essere a conoscenza del vincolo e in particolare aveva dichiarato nell’art. 4 del contratto di avere compiuto propri autonomi accertamenti e verifiche sulla situazione di fatto e di diritto dell’immobile, di avere preso conoscenza e di accettare che il complesso era soggetto alle tutele vincolistiche. A fronti di questi dati, la sentenza impugnata ha concluso, svolgendo l’accertamento in fatto a essa spettante, con motivazione incensurabile in quanto immune da vizi, che sussisteva la prova che il bene era stato posto in vendita con l’espressa esistenza del vincolo storico -artistico e ha evidenziato che i principi di buona fede imponevano alla promittente venditrice di assumere le informazioni ritenute necessarie ai fini della realizzazione dell’utilità economica alla quale tendeva con l’operazione. Quindi, non si pone questione di violazione dell’art. 1489 cod. civ., configurabile nella diversa ipotesi in cui l’ onere non apparente non fosse stato dichiarato dal venditore (cfr. Cass. Sez. 2 4-6-2018 n. 14289 Rv. 648837-02); l ‘ulteriore affermazione della ricorrente,
secondo la quale il vincolo non era conoscibile nella sua effettiva portata e ampiezza, è ulteriormente inammissibile perché involge la valutazione del contenuto dei documenti messi a disposizione della promissaria venditrice, che non è denunciabile ex art. 360 co.1 n. 3 cod. proc. ma eventualmente solo ex art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ., nel ricorrere dei relativi presupposti. Ne consegue che non si pone neppure questione di violazione dei principi di buona fede, perché la ricorrente sostiene tale violazione in ragione di un obbligo della venditrice di dare all’acquirente informazioni che , al contrario, in base all’accertamento di fatto svolto dalla sentenza impugnata in termini che rimangono estranei al sindacato di legittimità, erano state esaustive al fine della conoscenza dell’esistenza del vincolo e del suo contenuto.
2.Con il secondo motivo, rubricato ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 1428, 1429, 1430, 1431 e 1439 c.c. ex art. 360 n. 3 c.p.c. -difetto di motivazione su un (punto) decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 n. 5 c.c.’, la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia rigettato il suo motivo di appello con il quale aveva dedotto l’annullabilità del contratto per errore o dolo. Sostiene sussista ipotesi di dolo omissivo in quanto la venditrice, pur non sottacendo l’es istenza del vincolo, aveva tenuto maliziosamente una condotta reticente e silente in ordine all’estensione del vincolo medesimo e quindi in ordine alla possibile utilità dell’acquisto . Sostiene sussista comunque ipotesi di errore, perché si è in presenza di falsa rappresentazione della realtà che ha indotto l’acquirente in errore sulla qualità del bene acquistato, non e ssendo l’edificio in sé oggetto dell’operazione economica ma il terreno e il relativo indice di edificabilità; evidenzia che ciò è stato dimostrato dal fatto che, allorché la promissaria acquirente ha scoperto dalla Sovraintendenza che era impossibile demolire l’edificio , ha perso qualsiasi interesse all’acquisizione del compendio. Quindi rileva che la
falsa rappresentazione della realtà è consistita nell’erronea convinzione che fosse vincolato solo una minima parte del bene e non la sua quasi totalità e sostiene che, se la Corte d’appello avesse esaminato la documentazione, si sarebbe resa conto della sua ambiguità e genericità.
2.1.Il motivo proposto ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ. è inammissibile ai sensi dell’art. 348 -ter co.5 cod. proc. civ. nella formulazione ratione temporis da applicare nella fattispecie, in quanto si verte in ipotesi di ‘doppia conforme’ e la ricorrente non indica le ragioni poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che fossero tra loro diverse (Cass. Sez. 3 28-2-2023 n. 5947 Rv. 667202-01, Cass. Sez. 1 22-12-2016 n. 26774 Rv. NUMERO_DOCUMENTO03, per tutte).
Il motivo proposto ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. è infondato anche nella parte in cui lamenta una ‘omessa motivazione’, a fronte del principio secondo il quale il sindacato di legittimità sulla motivazione è circoscritto al rispetto del minimo costituzionale (Cass. Sez. U. 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629830-01), per cui è denunciabile soltanto il vizio attinente all’esistenza della motivazione in sé, per mancanza assoluta della motivazione, motivazione apparente, contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile. Nella fattispecie la motivazione, con il contenuto di seguito esposto, non è né mancante né apparente né irrimediabilmente contraddittoria, perché esamina diffusamente e in modo coerente le questioni sia del dolo che dell’errore.
Il motivo proposto ex art. 360 co.1 n.3 cod. proc. civ. è a sua volta inammissibile, in quanto gli argomenti della ricorrente non individuano alcun errore nella ricognizione della fattispecie astratta, ma si limitano a proporre in modo inammissibile in questa sede una diversa
ricognizione della fattispecie concreta al fine di sostenere l’esistenza del dolo e dell’errore quali causa di annullamento del contratto , che sono stati esclusi dalla Corte territoriale. La sentenza impugnata ha escluso il dolo sulla base del rilievo che il vincolo era stato dichiarato e la tesi della ricorrente secondo la quale la venditrice aveva maliziosamente taciuto la reale estensione del vincolo si basa su ll’ accertamento di un fatto che il giudice di merito ha escluso ed è precluso accertare in termini diversi in questa sede. In ordine all’errore , la sentenza ha specificamente dichiarato che l’errore deve essere escluso nel caso in cui il tenore delle clausole contrattuali sia, per sua univocità, tale da impedire qualsiasi malinteso sull’effettivo contenuto dell’atto; ha rilevato che non ricorreva l’errore in quanto era stata rappresentata al promittente l’esistenza del vincolo con la produzione della relativa documentazione, comprensiva anche della lettera NUMERO_DOCUMENTO della Sovraintendenza. Quindi la sentenza ha considerato che era stata posta a disposizione della promittente venditrice anche quella lettera 12-2-2010 della Sovraintendenza che nel ricorso per cassazione (pag. 21) si indica quale elemento che aveva fatto emergere la condotta dolosa della venditrice; è perciò evidente che la sentenza non è incorsa in alcuna violazione delle disposizioni sull’errore, ma ha escluso l’esistenza di errore con giudizio in fatto insindacabile in questa sede.
3.Deve essere logicamente esaminato il quarto motivo, il quale è rubricato ‘ nullità del giudizio per violazione dell’art. 111 Cost., 112, 132, 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 29 della legge 52 del 1985 come modificato dalla L. 30 luglio 2010 n. 122 dell’art. 1418, 1421 c.c. ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. -omessa motivazione su un decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c.’. Con questo motivo la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia
dichiarato inammissibile il motivo di appello con il quale aveva censurato la sentenza di primo grado per avere omesso la pronuncia sulla nullità del contratto per mancanza di conformità del compendio immobiliare alle risultanze catastali. A fronte del dato che la sentenza impugnata ha fondato la dichiarazione di inammissibilità sul rilievo che in primo grado la domanda di nullità era stata introdotta solo in comparsa conclusionale, la ricorrente evidenzia come la nullità sia rilevabile anche d’ufficio in o gni stato e grado del procedimento. Rileva che la circostanza che le planimetrie catastali non corrispondessero esattamente allo stato di fatto dell’immobile era stata confermata dalla stessa venditrice con la mail di data 1-7-2010 e risultava dal testo de ll’atto di compravendita, aggiungendo che comunque le difformità legittimavano il rifiuto dell’acquirente a pagare il saldo.
3 .1.La controricorrente eccepisce l’inammissibilità del motivo per difetto di autosufficienza, per il fatto che la ricorrente non espone nel ricorso in modo analitico il contenuto del suo motivo di appello, così da consentire di verificare se avesse a oggetto la questione della nullità del contratto per la difformità catastale.
L’eccezione deve essere rigettata, in quanto la sentenza impugnata a pag. 4 riporta sinteticamente il contenuto del motivo, dichiarando che la società aveva censurato la sentenza di primo grado per avere omesso di pronunciare sull’eccezione di nullità del contratto per mancanza di conformità catastale dell’immobile . In questo modo è già acquisito il contenuto del motivo di appello e si esclude che la ricorrente avesse l’ ulteriore onere di riprodurre nel ricorso il testo del suo atto di appello, considerato che secondo l’indirizzo anche delle Sezioni Unite -Cass. Sez. U 18-3-2022 n. 8950 Rv. 664409-01- il principio autosufficienza del ricorso per cassazione, quale corollario del principio di specificità dei motivi, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021, non
deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico e tale da tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti, insussistente allorché nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure e sia segna lata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (requisiti entrambi soddisfatti nella fattispecie).
3.2.Il motivo è fondato.
Le indicazioni circa la c.d. conformità catastale oggettiva, ovvero l’identificazione catastale del bene, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto, la dichiarazione o attestazione di conformità dei dati catastali e delle planimetrie allo stato di fatto, previste dall’art. 29 co.1bis legge 52/1985 aggiunto dall’art. 19 co.14 d.l. 78/2010 conv. con mod. dalla legge 122/2010 sono previste a pena di nullità del contratto di trasferimento immobiliare (Cass. Sez. 2 15-9-2022 n. 27181 Rv. 665889-01, Cass. Sez. 2 29-9-2020 n. 20526 Rv. 65919901, Cass. Sez. 2 11-4-2014 n. 8611 Rv. 630678-01); il co.1bis dell’art. 29 è entrato in vigore il 31-7-2010 in forza del d.l. 31 maggio 2010 n.78 conv. con mod. dalla legge 30 luglio 2010 n. 122 e perciò era vigente al momento della stipulazione del contratto in questione, in data 8-10-2010. Deve farsi applicazione dei principi posti da Cass. Sez. U 12-12-2014 n. 26242 Rv. 633502-01, secondo i quali la rilevazione ex officio delle nullità negoziali è sempre obbligatoria, purché la pretesa azionata non venga rigettata in base alla ragione più liquida; quindi, la circostanza che la questione della nullità fosse stata proposta nella comparsa conclusionale di primo grado non consentiva al giudice di appello di dichiarare inammissibile il motivo di appello con il quale la parte si lamentava del fatto che il giudice di primo grado non l’avesse esaminata. Il giudice di appello avrebbe dovuto esaminare nel merito il motivo di appello e rilevare la nullità, se e in quanto il vizio sussistesse ed emergesse dagli atti ritualmente acquisiti al processo e
perciò la difformità dell’immobile rispetto alle risultanze catastali risultasse provato tempestivamente in causa (cfr. Cass. Sez. 3 11-122023 n. 34590 Rv. 66953401 per l’affermazione del principio secondo il quale il giudice di appello ha il potere-dovere di rilevare anche in via officiosa la nullità del contratto, sempre che il vizio sia desumibile dagli atti ritualmente acquisiti al processo).
Ne consegue che, in accoglimento del motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata, disponendo il rinvio per procedere alla disamina, nei termini sopra esposti, della questione della nullità del contratto di compravendita per mancanza di conformità catastale degli immobili.
4.Infine con il terzo motivo, rubricato ‘ violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 1382, 1385, 1386, 1453 c.c. ai sensi dell’art. 360 n.3 c.p.c. omessa motivazione su un (punto) decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c.’ , la ricorrente lamenta che sia stato rigettato anche il suo motivo di appello con il quale aveva censurato la sentenza di primo grado per avere ritenuto la somma di Euro 500.000,00 versata da RAGIONE_SOCIALE a titolo di caparra confirmatoria anziché a titolo di cauzione. Sostiene che la motivazione sul punto sia apparente se non inesistente, in quanto non spiega in alcun modo la qualificazione dell’importo di Euro 500.000,00 come caparra invece che come cauzione; evidenzia che sia stato illogico recepire la qualificazione di caparra eseguita nelle premesse del contratto rispetto a quella di cauzione infruttifera contenuta nelle condizioni di pagamento. Sostiene che nella fattispecie, come risulta dal contenuto dell’offerta vincolante, il deposito cauzionale aveva solo la funzione d i garantire la serietà dell’offerta e, a tutto concedere, l’eventuale risarcimento del danno in caso di inadempimento all’obbligo di contrarre, ma non era previsto l’automatico diritto d ella venditrice di trattenere la somma. Aggiunge
che la controparte non ha neppure allegato in cosa possa essere effettivamente consistito il danno patito in conseguenza del mancato trasferimento della proprietà dell’immobile e quindi sostiene non si possa ritenere legittima la pretesa di incamerare la cauzione, in quanto nessun incolpevole inadempimento era imputabile a RAGIONE_SOCIALE e la somma non era stata versata a titolo di caparra confirmatoria.
4.1.Il motivo -da esaminare in quanto avente a oggetto un capo della sentenza autonomo rispetto a quello cassato con l’accoglimento del quarto motivo di ricorso- è fondato.
La sentenza impugnata ha considerato che nell’atto pubblico al punto c) della premessa l’importo di Euro 500.000,00 era stato definito ‘caparra confirmatoria’, mentre nel successivo art. 5 era stato dichiarato che il medesimo importo era stato imputato a titolo di prezzo ‘per un corrispondente importo della cauzione sopra citata’. La sentenza testualmente ha dichiarato ‘ è evidente che le parti hanno inteso pattuire, indipendentemente dalla qualificazione data alla somma versata al momento dell’offerta, per il modo stesso della sua prestazione, una vera e propria caparra confirmatoria, e non già una semplice clausola penale o un pegno irregolare’ ; di seguito la sentenza ha svolto alcune affermazioni generali su pegno irregolare, caparra confirmatoria e cauzione. Con questo contenuto la motivazione si è risolta nel riferimento a una evidenza che non emerge in alcun modo, neppure per implicito, dalle affermazioni eseguite, senza dare alcuna spiegazione al dato che il contratto qualifica la medesima somma sia come caparra confirmatoria sia come cauzione.
In ordine alla differenza tra caparra confirmatoria e cauzione, è già stato posto il principio che la consegna di una somma di denaro effettuata dall’uno all’altro dei contraenti al momento della conclusione di un negozio ha natura di caparra confirmatoria quando risulti che le parti hanno inteso perseguire gli scopi di cui all’art. 1385 cod. civ.,
ovvero attribuirle la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento -secondo il meccanismo della ritenzione della caparra o della esazione del doppio di essa- qualora la parte non inadempiente abbia esercitato il diritto di recesso; invece la consegna di denaro ha natura di deposito cauzionale qualora essa sia stata conferita a garanzia di un eventuale obbligo di risarcimento del danno a carico del cauzionante; la funzione del deposito cauzionale è quella propria della garanzia, consentendo al creditore di soddisfarsi sulla somma ove il cauzionante abbia cagionato un danno e per l’ammontare del danno (Cass. Sez. 3 4-3-2004 n. 4411 Rv. 570784-01; Cass. Sez. 3 22-3-2007 n. 6966 Rv. 596763-01).
Come pure dichiarato dai precedenti richiamati, l ‘accertamento relativo alla natura del negozio giuridico connesso alla dazione di denaro è riservato al giudice di merito ed è sindacabile in cassazione sotto il profilo del vizio di motivazione; quindi, a seguito della riformulazione dell’art. 360 co.1 n.5 cod. proc. civ. d isposta dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012 n. 83 conv. in legge 7 agosto 2012 n. 134, il sindacato di legittimità è consentito allorché il vizio di motivazione si traduca in violazione del minimo costituzionale (Cass. Sez. U 8053/2014 già citata). Nella fattispecie il vizio sussiste, perché la motivazione è soltanto apparente in quanto la sentenza, dichiarando essere ‘evidente’ che l’importo di Euro 500.000,00 era caparra confirmatoria, non ha esplicitato in alcun modo da quali elementi abbia tratto tale evidenza, né ha dimostrato di avere presente la distinzione tra caparra confirmatoria e cauzione, con la conseguenza che le affermazioni risultano del tutto apodittiche e tali da non consentire di ripercorrere il percorso logico eseguito dal giudicante ; l’unico richiamo svolto dalla sentenza alle ‘modalità di prestazione’ per ritenere la natura di caparra confirmatoria della somma è incomprensibile e inutile, in quanto sia la caparra confirmatoria che la cauzione sono
consegnate al momento di stipulazione del negozio. Per questo è fondata la censura della ricorrente secondo la quale la motivazione, laddove lamenta che l’importo di Euro 500.000,00 era stato consegnato a titolo di caparra confirmatoria, sia meramente apparente; sul punto si impone la cassazione con rinvio della sentenza, in quanto affetta da violazione di legge costituzionalmente rilevante, essendo il vizio attinente all’esistenza della motivazione in sé e risultando dal testo della sentenza a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. Sez. U 8053/2014 già citata, Cass. Sez. 1 3-3-2022 n. 7090 Rv. 664120-01, per tutte).
5.Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato, rubricato ” nullità della sentenza e/o del processo (art. 360 n. 4 cod. proc. civ.) in relazione agli artt. 112, 324, 329, comma 2, 342 e 346 cod. proc. civ.’ RAGIONE_SOCIALE sostiene che RAGIONE_SOCIALE non aveva proposto motivi di appello volti a censurare il rigetto delle sue domande e deduzioni in punto di errore e dolo con riferimento alle disposizioni dell’art. 2700 cod. civ. relative alla pubblica fede fino a querela di falso delle dichiar azioni contenute nell’atto pubblico; evidenzia di avere sollevato eccezione di inammissibilità dell’appello sul punto , per cui sostiene che quella ratio decidendi non censurata avesse comportato la formazione del giudicato.
5.1.Il motivo, in quanto formulato in via condizionata con riferimento alle questioni relative all’errore e al dolo oggetto del secondo motivo di ricorso principale rigettato, non deve essere esaminato ed è dichiarato assorbito (cfr. Cass. Sez. 2 7-2-2017 n. 3223 Rv. 643033-01).
6.In conclusione la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al terzo e al quarto motivo che sono accolti, disponendo il rinvio alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione, la quale farà applicazione dei principi di diritto enunciati e si atterrà a quanto
esposto ai punti 3.2 e 4.1., statuendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso, rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso, assorbito il ricorso incidentale condizionato, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione