Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31221 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 31221 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 23098/2020 R.G. proposto da:
COGNOME, c.f. CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma presso l’avv. NOME COGNOME nel suo studio in INDIRIZZO
ricorrente
contro
SCRIVANO NOMECOGNOME c.f. CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma presso di lui nel suo studio in INDIRIZZO
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 7387/2019 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 28-11-2019, udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1311-2024 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con ricorso ex art. 702-bis cod. proc. civ. NOME COGNOME ha convenuto avanti il Tribunale di Roma NOME COGNOME chiedendo
OGGETTO:
caparra
confirmatoria
RG. 23098/2020
C.C. 13-11-2024
di accertare la legittimità del suo recesso dal contratto preliminare di compravendita concluso il 19-2-2015 e dichiarare il suo diritto di trattenere la caparra confirmatoria ricevuta.
La ricorrente ha dichiarato che con il contratto preliminare si era impegnata a vendere al convenuto appartamento con locale cantina e autorimessa siti in Roma, INDIRIZZO per il prezzo di Euro 1.400.000,00, di cui Euro 400.000,00 erano stati versati a titolo di caparra confirmatoria; l’atto definitivo avrebbe dovuto essere stipulato entro il 30-11-2015 e il 30-11-2015 il promissario acquirente aveva versato ulteriori Euro 200.000,00 a titolo di caparra confirmatoria, ottenendo la proroga del termine del rogito al 9-3-2016; il 9-3-2016, previo versamento di ulteriori Euro 40.000,00 a titolo di caparra, il termine era stato ulteriormente prorogato al 18-11-2016; con lettere del 24-11-2016 e del 21-3-2017 il termine era stato prorogato al 282-2017 e al 12-5-2017; con l’ ultima proroga fissata per il 12-5-2017 la promittente venditrice aveva avvisato il promissario acquirente che, in caso di ulteriore mancata presentazione al rogito, avrebbe esercitato il recesso trattenendo la caparra.
Il convenuto NOME COGNOME ha dichiarato che i termini erano stati prorogati concordemente dalle parti e, in ogni caso, la mancata stipula era dovuta a provvedimento di custodia cautelare notificato il 3-4-2017 e seguito dal sequestro preventivo di tutti i suoi beni, con la conseguente impossibilità sopravvenuta di utilizzare il suo patrimonio per adempiere alla prestazione; ha sostenuto l’inadempimento della promittente venditrice e perciò ha chiesto in via riconvenzionale l’accertamento de l suo diritto di ottenere il doppio della caparra versata o comunque la restituzione delle somme versate a titolo di caparra per Euro 640.000,00 , nonché l’accertamento della nullità del contratto preliminare come modificato dalla scrittura 9-3-2016 per usura in concreto, in quanto con tale ultima scrittura era stato costretto ad
aderire alla richiesta della promittente venditrice del pagamento di interessi quantificati in Euro 60.000,00, con applicazione di tasso superiore a quello medio praticato per operazioni similari.
Il Tribunale di Roma ha parzialmente accolto la domanda attorea, dichiarando legittimo il recesso della promittente venditrice e il suo diritto di trattenere la caparra confirmatoria complessivamente ricevuta dal promissario acquirente, rigettando le domande riconvenzionali.
2. NOME COGNOME ha proposto appello, che la Corte d’appello di Roma ha integralmente rigettato con sentenza n. 7387/2019 pubblicata il 28-112019, condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado.
Per quanto interessa in relazione ai motivi di ricorso per cassazione proposti, la sentenza ha rigettato il secondo motivo di appello, con il quale l’appellante aveva censurato l’ordinanza impugnata per avere ritenuto l’inadempimento del promissario acquirente a fronte del fatto che le parti avevano di comune accordo più volte prorogato il termine. Ha dichiarato inammissibile il quinto motivo, con il quale l’appellante aveva sostenuto la nullità della previsione della caparra confirmatoria in ragione dello sbilanciamento degli interessi in favore della promittente venditrice.
3.Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 1 3-11-2024 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo il ricorrente deduce ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 111 Cost. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c. in relazione al secondo motivo di impugnazione proposto in appello. E, comunque, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.’. Lamenta che la motivazione sul rigetto del suo secondo motivo di impugnazione sia stata meramente apparente, in quanto non ha preso in considerazione quanto dedotto con l’appello né relativamente alla incontestata condivisa pattuizione di una proroga del termine per la sottoscrizione del contratto né relativamente all’insussistenza dell’inadempimento del promissario acquirente anche sotto il profilo della gravità. Evidenzia che aveva impugnato l’ordinanza del Tribunale per ché non aveva considerato che il termine per la stipula del contratto definitivo, che non era essenziale, era stato prorogato di comune accordo dalle parti e ciò escludeva l’inadempimento d i NOME COGNOME alla data del 30-11-2015 e comunque la gravità dell’inadempimento e sostiene che le ragioni della Corte d’appello non disvelino il percorso logico giuridico eseguito. Aggiunge che la sentenza ha omesso l’esame sul fatto decisivo relativo alla condivisa proroga del termine perché, se avesse considerato tale circostanza, non avrebbe potuto confermare l’ordinanza di primo grado che aveva giustificato il recesso della promittente venditrice in ragione dell’inadempimento significativo e assestato o ltre la soglia di ragionevole tolleranza imputabile a NOME COGNOME
2.Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 1321 e 1322 c.c. in relazione all’art. 360 co.I n. 3 c.p.c. in relazione al secondo motivo di impugnazione proposto in appello’. Sostiene che la sentenza, muovendo dalla condivisa proroga contrattuale, oltre che dalla corresponsione delle somme
trattenute dalla promittente venditrice a titolo di caparra confirmatoria, abbia ritenuto l’inadempimento del promissario acquirente in violazione dei precetti di cui agli artt. 1321 e 1322 cod. civ.; ciò, per il fatto che le proroghe erano state concordate e non comportavano inadempimento a carico del promissario acquirente, il quale si era visto costretto ad aderire alle richieste di ulteriori versamenti di cospicue somme di denaro per ottenere l’accoglimento delle sue richieste di proroga.
3.Con il terzo motivo il ricorrente deduce ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 2 Cost., 1375 c.c., 1385 e 1418 c.c., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. in relazione al secondo (rectius quinto) motivo di impugnazione proposto in appello’. Sostiene che la sentenza, nel pronunciare sul quinto motivo di appello con il quale aveva dedotto la nullità della previsione della caparra confirmatoria in ragione dello sbilanciamento degli interessi in favore del promittente venditore, non abbia tenuto conto dei margini di intervento riconoscibili al giudice a seguito della sentenza n. 77/2014 della Corte Costituzionale; evidenzia che, a fronte di un prezzo pattuito di Euro 1.400.000,00 e di una caparra versata di Euro 640.000,00 corrispondente al 45% del prezzo e non al 30% come erroneamente dichiarato dalla sentenza impugnata, la sentenza non ha considerato che il mutato assetto degli interessi era frutto di accordo tra le parti e di una condivisa pattuizione di proroga del termine.
4.Il primo motivo è infondato, in quanto non solo la sentenza non è affetta da nullità per apparenza della motivazione, ma neppure le si può imputare l’omesso esame di fatti decisivi.
La sentenza ha dichiarato (pag. 9 in fine) che il secondo motivo di appello era infondato in quanto il primo giudice aveva «dichiarato legittima la diffida inviata dalla promittente venditrice dopo aver acconsentito all’ultima proroga (e conseguentemente legittimo il
recesso alla scadenza di quest’ultimo termine)» Il ragionamento svolto, seppure sintetico, è pienamente comprensibile, logico e coerente: le proroghe erano state concordate, tanto che anche l’ultima proroga era stata acconsentita dalla promittente venditrice, ma nell’a cconsentire all’ultima proroga la promittente venditrice aveva diffidato il promissario acquirente all’adempimento alla data della nuova scadenza concordata. Quindi, diversamente rispetto a quanto ritenuto dalla sentenza di primo grado impugnata sul punto da NOME COGNOME per la sentenza di secondo grado al fine della valutazione dell’inadempimento del promissario acquirente non ha avuto rilievo il dato delle successive proroghe, in effetti concordate tra le parti, ma il dato della diffida ad adempiere es eguita in occasione dell’ultima proroga, rimasta senza esito. Nessuna deduzione del ricorrente è finalizzata a censurare questa statuizione in termini ammissibili nel giudizio di legittimità, e la statuizione è idonea a escludere l’esistenza dei vizi lamentati con il primo motivo di ricorso in quanto, si ripete, la motivazione sussiste e tiene in considerazione anche il dato delle successive proroghe concordate dalle parti.
5.Dalle ragioni esposte consegue l’infondatezza anche del secondo motivo di ricorso, perché non sussistono le violazioni degli artt. 1321 e 1322 cod. civ. lamentate. Ciò per il fatto già evidenziato che la sentenza impugnata ha considerato che vi erano state successive proroghe concordate tra le parti; non è sull’esistenza di tali proroghe che la sentenza ha fondato l’affermazione dell’ esistenza dell’inadempimento del promissario acquirente, ma sul fatto che lo stesso non abbia adempiuto alla diffida ad adempiere rivoltagli in occasione dell’ultima proroga.
6.Il terzo motivo è inammissibile, perché non censura la pronuncia impugnata, ma si limita a riproporre le deduzioni sull’illegittimità della caparra svolte con il quinto motivo di appello.
La sentenza impugnata (pag. 11) ha dichiarato inammissibile il quinto motivo di appello , dichiarando che l’appellante eludeva totalmente il contenuto della decisione, con la quale il giudice di primo grado aveva individuato nelle ritenute richieste di proroga, che avevano spostato il termine per la stipula del contratto definitivo di oltre diciotto mesi, le ragioni del mutato assetto di interessi delle parti e l’evidente necessità di aumentare la caparra, che era stata comun que contenuta in un terzo del prezzo di vendita. E’ vero quanto deduce il ricorrente, in ordine al fatto che la caparra di Euro 640.000,00 rispetto al prezzo concordato di Euro 1.400.000,00 era ben più del terzo del prezzo di vendita, ma l’ affermazione erronea sul punto della sentenza impugnata non ha contenuto decisorio, perché la decisione della Corte d’appello è stata nel senso dell a dichiarazione di inammissibilità del motivo di appello , per non avere l’appellante censurato in modo pertinente la pronuncia di primo grado laddove aveva indicato le ragioni che avevano giustificato l’entità della caparra. In mancanza di motivo di ricorso proposto nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 cod. proc. civ. al fine di fare emergere la violazione dell’art. 342 cod. civ. commessa dalla sentenza impugnata laddove ha dichiarato l’inammissibilità del motivo di appello, le ulteriori deduzioni non possono essere esaminate.
7.In conclusione il ricorso è interamente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente deve essere condannato alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art.
13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 12.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione