Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 66 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 66 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 954/2020) proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale rilasciata su separato foglio materialmente allegato al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentata e difesa, giusta procura speciale rilasciata su separato foglio materialmente allegato al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME e con indicazione di domicilio digitale all’indirizzo PEC: EMAIL ;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo n. 1157/2019 (pubblicata il 5 giugno 2019);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
letta la memoria depositata dalla ricorrente.
R.G.N. 954/2020
C.C. 4/12/2024
PRELIMINARE
VENDITA – RECESSO
Con atto di citazione notificato nel luglio 2014, COGNOME Rosa conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Agrigento, la RAGIONE_SOCIALE esponendo che:
-aveva stipulato con quest’ultima, in data 28 maggio 2013, un contratto preliminare per l’acquisto di un lotto di terreno edificabile con annesso fabbricato semidiruto ed inagibile, sito in zona B3 del Comune di Canicattì (c.da. S. Anna COGNOME);
aveva corrisposto a tal proposito, a titolo di caparra ed in acconto prezzo, la somma di euro 37.000,00;
nonostante fosse scaduto il termine, prorogato consensualmente al 30 ottobre 2013, per la stipula dell’atto pubblico, non era stata conclusa la convenzione con l’Ente comunale per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione ed era rimasto senza riscontro l’avviso con il quale -in data 18 febbraio 2014 -era stato comunicato il recesso dal suddetto contratto preliminare, con diffida, ai sensi dell’art. 1385 c.c., al pagamento del doppio della caparra confirmatoria.
Tanto premesso, la COGNOME chiedeva che venisse dichiarata la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento della convenuta, con la condanna della stessa al pagamento del doppio della caparra confirmatoria.
La citata convenuta si costituiva contestando l’avversa domanda e, sul presupposto che l’inadempimento dovesse essere invece imputato all’attrice (che non si era presentata nel termine concordato per la stipula del contratto definitivo nella forma dell’atto pubblico), chiedeva -con domanda riconvenzionale -che le venisse riconosciuto il diritto alla ritenzione della caparra incassata.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 722/2016, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale formulata dalla convenuta, dichiarava la risoluzione del contratto preliminare dedotto in causa, condannando l’attrice al pagamento delle spese di lite.
Decidendo sull’appello avanzato dalla convenuta in riconvenzionale e nella costituzione dell’appellata, che a sua volta proponeva appello incidentale con riferimento al rigetto della sua domanda di risoluzione e all’ottenimento del pagamento del doppio
della caparra, la Corte di appello di Palermo, con sentenza n. 1157/2019, accoglieva il gravame principale, riconoscendo il diritto della RAGIONE_SOCIALE a ritenere la caparra ricevuta in sede di stipula del contratto preliminare, rigettava il gravame incidentale e condannava l’appellata alla rifusione delle spese del grado.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte palermitana rilevava che la pretesa azionata dall’appellante principale era preordinata, previ o accertamento del grave inadempimento della Polisano, alla ritenzione della caparra senza alcun intento risarcitorio al quale essa non aveva mai posto riferimento nel corso del giudizio, ragion per cui, una volta accertato l’ effettivo inadempimento (di non scarsa importanza) della controparte, il Tribunale avrebbe dovuto dar seguito al riconoscimento del diritto al trattenimento della caparra da parte della suddetta società.
Ad avviso della stessa Corte territoriale era, invece, da considerarsi infondato l’appello incidentale, non avendo la Polisano provato la sussistenza di alcuna delle sue pretese, ravvisando l’inadempimento della stessa, poiché, in presenza di immobili già ultimati al momento del perfezionamento del vincolo obbligatorio tra le parti, la stessa era tenuta a comparire dinanzi al notaio per la stipula del contratto definitivo nella forma dell’atto pubblico e non limitarsi ad eccepire la nullità del contratto preliminare, in violazione del principio di buona fede.
Avverso la citata sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, la COGNOME
Ha resistito con controricorso l’intimata RAGIONE_SOCIALE
La ricorrente ha anche depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo, la ricorrente denuncia -ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. -la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, comma 3, e 1385 c.c., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.
In proposito, la COGNOME rappresenta che -a fronte delle due contrapposte domande di risoluzione delle parti basate sul loro asserito reciproco inadempimento -la Corte di appello di Palermo, nel dichiarare il diritto dell’appellante principale a trattenere la caparra, aveva rigettato il suo appello incidentale, confermando la pronuncia di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto sussistente l’inadempimento (successivo) di essa ricorrente. Così provvedendo, però, la Corte territoriale aveva mancato di valutare il precedente inadempimento della RAGIONE_SOCIALE, ovvero la ‘non scarsa importanza’ dello stesso, sulla base del quale la stessa ricorrente aveva già in precedenza esercitato il diritto di recesso, introducendo poi la domanda di risoluzione anche al fine dell’ottenimento della condanna della controparte al pagamento del doppio della caparra, con conseguente applicabilità della preclusione prevista dal citato art. 1453, comma 3, c.c., ove fosse rimasto dimostrato l’inadempimento della controparte.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce -con riferimento all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, avuto riguardo alla valutazione, operata con la sentenza di appello, della mancata prova, in capo alla stessa ricorrente (quale appellante incidentale), della sussistenza delle sue pretese, dovendo, invece, considerarsi evincibili dal chiaro contenuto delle obbligazioni assunte da ognuna delle parti.
Con il terzo ed ultimo motivo, la ricorrente lamenta -con riguardo all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 1385 c.c. e 112 c.p.c., oltre all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per aver la Corte di appello, malgrado fosse stata proposta espressamente in primo grado dalla RAGIONE_SOCIALE una mera domanda di risoluzione contrattuale per grave inadempimento, riformato la pronuncia di primo grado, riqualificando detta domanda come domanda di recesso ai sensi dell’art. 1385 c.c., considerando dirimente in proposito la richiesta di autorizzazione a trattenere la caparra ricevuta.
In altri termini, secondo la COGNOME, nel caso di specie, in relazione alla domanda riconvenzionale formulata dalla citata società in primo grado, si dovrebbe ravvisare la violazione delle norme denunciate, per aver la Corte di appello ritenuto la sussistenza di una sola domanda in luogo delle due effettivamente formulate (di risoluzione e di recesso) e per non essersi pronunciata sulla domanda di risoluzione formulata in via prioritaria dalla suddetta società.
4. Il primo motivo non è fondato e deve, perciò, essere rigettato.
Come è stato evidenziato in narrativa, il giudice di primo grado aveva accolto la domanda riconvenzionale della RAGIONE_SOCIALE solo parzialmente ovvero dichiarando la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento della Polisano che non era comparsa davanti al notaio per la stipula del contratto definitivo ove era stata convocata per il giorno 26 giugno 2014, poco tempo dopo da quando la promittente venditrice aveva sottoscritto la convenzione con il Comune di Canicattì per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione (previa lottizzazione dell’area edificabile da parte dello stesso ente comunale), ma senza riconoscere altresì il diritto a trattenere la caparra già incamerata.
In esito all’appello principale proposto dalla società promittente venditrice, con formulazione di appello incidentale da parte della Polisano, la Corte di appello di Palermo, con la sentenza qui impugnata, ha accolto il gravame principale, ritenendo che, per effetto della risoluzione del contratto imputata (già dal Tribunale) all’inadempimento della Polisano, alla citata società RAGIONE_SOCIALE dovesse essere riconosciuto anche il diritto a ritenere la caparra versatagli al momento della stipula del preliminare.
La menzionata Corte di appello – nel valutare, con apprezzamento di merito, le reciproche condotte delle parti -ha ritenuto come era ininfluente che la convocazione davanti al notaio fosse stata fissata subito dopo la lettera di diffida, ‘e ciò in mancanza di prova di una condotta negligente della società appellante’, ovvero della promittente venditrice. Lo stesso giudice di appello ha aggiunto, inoltre, che la Polisano, in presenza di immobili già ultimati al
momento del perfezionamento del vincolo obbligatorio scaturente dalla conclusione del contratto preliminare, era tenuta a comparire in sede notarile per la stipula del contratto definitivo e non eccepire la nullità del contratto preliminare, in violazione del principio di buona fede.
Quindi, con valutazione di merito insindacabile nella presente sede di legittimità, la Corte di appello ha accertato che, al momento del recesso della Polisano, non vi era inadempimento della società promittente venditrice, come poi dimostrato dalla dichiarata risoluzione del contratto per colpa di essa promissaria acquirente intervenuta con la sentenza di primo grado.
Quindi, diversamente da quanto denunciato con il motivo in esame, la Corte palermitana ha adeguatamente rilevato che la società promittente venditrice non fosse inadempiente, così escludendo contrariamente a quanto prospettato dalla ricorrente – che era incorsa in un inadempimento di ‘non scarsa importanza’, tanto da far conseguire anche il riconoscimento in capo alla società RAGIONE_SOCIALE del diritto a ritenere la somma corrispostale a titolo di caparra, come dalla stessa invocato con la domanda riconvenzionale formulata nel giudizio di primo grado.
Il secondo motivo è, di conseguenza, anch’esso infondato.
Infatti, in virtù di quanto rilevato con riferimento alla prima censura, è evidente che non si è venuta a configurare nemmeno la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., né la Corte di appello è incorsa nell’omissione dell’esame del fatto, asserito come decisivo, riguardante la mancata pronuncia o valutazione sull’inadempimento della promittente venditrice, ritenuto invero dalla Corte di merito per quanto già rimarcato – insussistente.
Anche il terzo ed ultimo motivo è privo di fondamento e va respinto.
Infatti, il potere qualificatorio delle domande dedotte in giudizio spetta propriamente alla valutazione del giudice di merito e, nella fattispecie, la Corte di appello ha, a tal proposito, interpretato la
domanda riconvenzionale formulata dalla odierna controricorrente in primo grado -a prescindere dal ‘nomen iuris’ adoperato nell’introduzione dell’azione determinatrice della caducazione degli effetti del contratto dedotto in giudizio – come sola domanda di accertamento di recesso da ritenersi insita nella richiesta di ritenzione della somma ricevuta a titolo di caparra, che – essendo rimasto escluso l’inadempimento della stessa RAGIONE_SOCIALE come invece prospettato dall’attuale ricorrente a fondamento della sua domanda principale (il quale – se sussistente – avrebbe legittimato l’ottenimento della domanda della condanna della convenuta al pagamento del doppio della caparra confirmatoria, come richiesto) -è stata ritenuta fondata sul presupposto dell’accertamento, ai sensi dell’art. 1455 c.c., del grave inadempimento al contrario imputabile proprio alla Polisano (per quanto prima detto), quale fatto costitutivo del diritto riconosciuto dall’art. 1385, comma 2, c.c.
In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente soccombente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della stessa ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 4.300,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile