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Caparra confirmatoria: recesso e ritenzione della somma

Una promissaria acquirente recedeva da un contratto preliminare per presunto inadempimento della società venditrice, chiedendo il doppio della caparra confirmatoria. La Cassazione ha confermato la decisione di merito, stabilendo che l’inadempimento era della acquirente, la quale non si era presentata per la stipula del rogito. Di conseguenza, la società venditrice è stata ritenuta legittimata a trattenere la caparra confirmatoria ricevuta, poiché la richiesta di ritenzione qualifica la domanda come recesso contrattuale.

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Caparra Confirmatoria: Quando si Perde e Quando si Può Trattenere?

La caparra confirmatoria rappresenta uno degli strumenti più diffusi e importanti nelle compravendite immobiliari, fungendo da garanzia per entrambe le parti. Ma cosa succede se una delle due si rende inadempiente? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un caso emblematico, chiarendo i presupposti per il recesso e la ritenzione della somma versata.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine da un contratto preliminare per l’acquisto di un terreno edificabile. La promissaria acquirente versava una cospicua somma a titolo di caparra confirmatoria. Nonostante la proroga del termine per la stipula del rogito notarile, il contratto definitivo non veniva concluso. La promissaria acquirente, lamentando un ritardo della società venditrice nel finalizzare una convenzione urbanistica con il Comune, comunicava il proprio recesso dal contratto, chiedendo la restituzione del doppio della caparra.

La società venditrice si opponeva, sostenendo che l’inadempimento fosse da imputare esclusivamente all’acquirente, la quale non si era presentata dinanzi al notaio per la stipula, nonostante fosse stata convocata. La società chiedeva quindi, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto e il diritto a trattenere la caparra ricevuta.

La Decisione nei Gradi di Merito

Il Tribunale di primo grado accoglieva parzialmente la domanda della società venditrice: dichiarava la risoluzione del contratto per inadempimento dell’acquirente, ma non riconosceva il diritto a trattenere la caparra.

In appello, la Corte territoriale ribaltava parzialmente la decisione. Riconosceva il grave inadempimento della promissaria acquirente e, di conseguenza, affermava il diritto della società venditrice a trattenere la caparra confirmatoria. Secondo la Corte d’Appello, l’acquirente era tenuta a comparire per il rogito e non poteva eccepire la presunta nullità del preliminare, agendo in violazione del principio di buona fede.

Le Motivazioni della Cassazione sulla caparra confirmatoria

La promissaria acquirente ricorreva in Cassazione, lamentando che la Corte d’Appello non avesse valutato adeguatamente il precedente inadempimento della società venditrice e avesse erroneamente qualificato la domanda di quest’ultima come recesso, anziché come risoluzione.

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso. In primo luogo, ha ribadito che la valutazione del comportamento delle parti e la determinazione di quale inadempimento sia stato prevalente e più grave è un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato. La Corte d’Appello aveva compiutamente accertato che, al momento della convocazione davanti al notaio, non sussisteva alcun inadempimento rilevante da parte della società venditrice, rendendo ingiustificato il rifiuto dell’acquirente.

In secondo luogo, e questo è il punto giuridicamente più rilevante, la Cassazione ha chiarito che la domanda di una parte di essere autorizzata a trattenere la caparra confirmatoria qualifica implicitamente l’azione come una domanda di recesso ai sensi dell’art. 1385 del Codice Civile. Anche se la parte aveva inizialmente parlato di “risoluzione”, la richiesta sostanziale (trattenere la caparra) è intrinsecamente collegata all’istituto del recesso per inadempimento. Pertanto, il giudice di merito ha correttamente interpretato la volontà della parte, basandosi non sul “nomen iuris” (il nome giuridico dato all’azione), ma sulla sua concreta finalità.

Conclusioni

La decisione in commento offre due importanti lezioni pratiche. Primo, in un contratto preliminare, la mancata presentazione alla stipula del rogito senza un giustificato e grave motivo di inadempimento della controparte costituisce una violazione contrattuale che legittima il recesso dell’altra parte e la conseguente perdita della caparra confirmatoria. Secondo, la richiesta di trattenere la caparra è di per sé sufficiente a qualificare la domanda come esercizio del diritto di recesso, anche se la parte utilizza una terminologia differente. Ciò dimostra come, nel processo, la sostanza delle richieste prevalga sulla forma, e come il giudice abbia il potere di interpretare la domanda per darle il corretto inquadramento giuridico.

Chi perde la caparra confirmatoria in caso di inadempimento?
La parte che si rende inadempiente. Se a non adempiere è la parte che ha versato la caparra (il promissario acquirente nel caso di specie), l’altra parte può recedere dal contratto e trattenerla. Se inadempiente è chi l’ha ricevuta, l’altra parte può recedere ed esigere il doppio della somma.

La mancata presentazione al rogito notarile è un inadempimento grave?
Sì, secondo la sentenza, la mancata comparizione dinanzi al notaio per la stipula del contratto definitivo, in assenza di un provato e grave inadempimento della controparte, costituisce un inadempimento imputabile che legittima il recesso della parte adempiente.

Una domanda di risoluzione può essere considerata come domanda di recesso?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che quando la parte chiede di trattenere la caparra ricevuta, questa richiesta qualifica la sua azione come una domanda di recesso ai sensi dell’art. 1385 c.c., a prescindere dal fatto che abbia formalmente richiesto la “risoluzione” del contratto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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