Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30636 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30636 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21695/2023 proposto da: NOME COGNOME, in proprio nonché in qualità di amministratore della RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO (EMAIL);
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dalle AVV_NOTAIOsse NOME COGNOME (EMAIL) e NOME COGNOME (EMAIL);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2641/2023 della CORTE D’APPELLO DI MILANO, depositata il 12/9/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/10/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa in data 12/9/2023, la Corte d’appello di Milano, tra le restanti statuizioni, per quel che ancora rileva in questa sede, ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato le domande proposte da NOME COGNOME, in proprio nonché in qualità di amministratore della RAGIONE_SOCIALE, per la condanna: 1) di COGNOME NOME al risarcimento dei danni asseritamente subiti dagli attori in conseguenza del relativo inadempimento al contratto preliminare di cessione di ramo di azienda del 14 ottobre 2016; 2) di COGNOME NOME al risarcimento dei danni asseritamente subiti dagli attori in conseguenza del relativo inadempimento al contratto preliminare di cessione di ramo di azienda del 13 febbraio 2017; 3) di COGNOME NOME (unitamente a COGNOME NOME e COGNOME, in solido tra di loro) al risarcimento dei danni asseritamente subiti dagli attori in conseguenza dell’illecito impossessamento, da parte del convenuto, dell’attività della RAGIONE_SOCIALE sRAGIONE_SOCIALE;
con la stessa decisione, la corte territoriale ha confermato la decisione del primo giudice nella parte in cui ha condannato l’attore al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c.;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha sottolineato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui ha ritenuto non adeguatamente comprovata, dall’attore, l’effettiva conclusione del contratto preliminare del 14 ottobre 2016 (avente ad oggetto l’attività di tabaccheria gestita dalla società attrice) in ragione della carenza della forma scritta ad probationem dell’accettazione del COGNOME (quale cedente); dimostrazione nella
specie non surrogabile dalle inammissibili prove testimoniali proposte da quest’ultimo, di per sé astrattamente inidonee a fornire la prova della titolarità, in capo a NOME COGNOME, della licenza di tabaccheria e dei locali ad uso caffetteria e bar, quali requisiti necessari per il perfezionamento dell’invocato contratto preliminare;
sotto altro profilo, la corte territoriale ha evidenziato come l’infondatezza della domanda del COGNOME discendesse dalla rilevata indeterminatezza dell’oggetto della proposta irrevocabile di acquisto del ramo di azienda, come tale inidonea a dar luogo, in ogni caso, a una valida ed efficace conclusione del contratto preliminare deAVV_NOTAIOo;
quanto alla domanda proposta nei confronti di COGNOME, la corte territoriale ha evidenziato l’inammissibilità della domanda di accertamento dell’inadempimento della convenuta e della conseguente pretesa risarcitoria degli attori, essendo risultato che la società cedente fosse receduta dal contratto, trattenendo la caparra ricevuta quale preventiva liquidazione del danno subito; e tanto, al di là della mancata dimostrazione, da parte degli attori, dell’effettivo inadempimento di COGNOME;
quanto alla domanda proposta nei confronti di COGNOME NOME -ferma l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., del corrispondente motivo di appello degli attori (in quanto privo di alcuna autonoma valutazione critica della motivazione del giudice di primo grado) -il giudice d’appello ha escluso il carattere abusivo dell’occupazione dell’azienda da parte del convenuto, avendo quest’ultimo documentato l’acquisto dell’attività di rivendita di generi di privativa e di monopolio e del subentro nel contratto di locazione;
parimenti corretta, infine, a parere della corte territoriale, doveva ritenersi la condanna dell’attore al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96 c.p.c., avendo il COGNOME violato il canone della correttezza
processuale, sottraendosi alla dovuta presenza in udienza senza documentarne i motivi di impedimento, ed avendo altresì instaurato un’iniziativa giudiziaria in modo gravemente imprudente;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME, in proprio nonché in qualità di amministratore della RAGIONE_SOCIALE, propone ricorso per cassazione sulla base di otto motivi d’impugnazione;
NOME NOME, COGNOME e COGNOME NOME resistono con controricorso;
considerato che,
con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2724, 2725, 2556 c.c. e 157 c.p.c. (in relazione all’art. 360 co. 1, n. 3 c.p.c.), per aver corte territoriale erroneamente interpretato i contenuti della prova testimoniale proposta dall’attore, nonché la formulazione dell’eccezione di inammissibilità della medesima prova avanzata dalle controparti, ritenendo illegittimamente, tanto che la prova testimoniale si caratterizzasse per irriducibile genericità, quanto che la corrispondente eccezione di inammissibilità della controparte si riferisse anche alla contestazione dell’inidoneità di detta prova testimoniale a comprovare l’avvenuta conclusione per iscritto del contratto preliminare del 14 ottobre 2016;
con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 co. 1, nn. 3 e 5 c.p.c.), per aver la corte territoriale valutato in modo scorretto i documenti proAVV_NOTAIOi in relazione al punto concernente la legittimità della RAGIONE_SOCIALE ad addivenire alla stipula di un contratto preliminare (segnatamente in relazione al punto concernente la prova della titolarità, in capo a NOME COGNOME, della
licenza di tabaccheria e dei locali ad uso caffetteria e bar), in contrasto con quanto reso palese dalla documentazione proAVV_NOTAIOa dagli attori ed analiticamente richiamata in ricorso;
entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili per irrilevanza;
osserva al riguardo il Collegio come la corte territoriale abbia inequivocabilmente evidenziato che l’infondatezza della domanda del COGNOME discendesse, in ogni caso, dalla rilevata indeterminatezza dell’oggetto della proposta irrevocabile di acquisto del ramo di azienda, come tale inidonea a dar comunque luogo a una valida ed efficace conclusione del contratto preliminare deAVV_NOTAIOo;
tale ratio decidendi (affrontata e risolta nel senso dell’inammissibilità del terzo motivo di ricorso: cfr. infra ) deve ritenersi assorbente di ogni altra questione processuale relativa all’idoneità degli elementi di prova testimoniale documentale richiamati dall’odierno ricorrente a dar conto dell’avvenuta conclusione di tale contratto e dell’idoneità della formulazione della corrispondente eccezione della controparte;
con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 co. 1, nn. 3 e 5 c.p.c.), per aver la corte territoriale valutato in modo scorretto gli atti del giudizio trascurando di esaminarli nel loro complesso, con particolare riguardo al punto concernente la pretesa indeterminatezza dell’oggetto della proposta del 14 ottobre 2016;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, attraverso la proposizione della censura in esame, l’odierno ricorrente intenda dolersi del modo attraverso il quale la corte territoriale avrebbe valutato gli atti del giudizio, con
particolare riguardo alla ritenuta indeterminatezza dell’oggetto della proposta contrattuale del 14 ottobre 2016;
ciò premesso, varrà evidenziare come la valutazione relativa all’oggetto della proposta del 14 ottobre 2016 rappresenti l’esito del l’esercizio , da parte del giudice di merito, del proprio potere discrezionale di apprezzamento delle fonti di prova, con particolare riguardo, nella specie, all’apprezzamento dei contenuti e del significato di un atto unilaterale d’indole negoziale (tale essendo la proposta contrattuale);
ciò posto varrà sottolineare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione degli atti negoziali deve ritenersi indefettibilmente riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità unicamente nei limiti consentiti dal testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c., ovvero nei casi di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c.;
in tale ultimo caso, peraltro, la violazione denunciata chiede d’essere necessariamente deAVV_NOTAIOa con la specifica indicazione, nel ricorso per cassazione, del modo in cui il ragionamento del giudice di merito si sia discostato dai suddetti canoni, traducendosi altrimenti, la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti, in una mera proposta reinterpretativa in dissenso rispetto all’interpretazione censurata; operazione, come tale, inammissibile in sede di legittimità (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 17427 del 18/11/2003, Rv. 568253);
nel caso di specie, l’odiern o ricorrente si è limitato ad affermare, in modo inammissibilmente apodittico, l’erroneità dell’interpretazione fornita dal giudice di merito in ordine al contenuto della proposta contrattuale (con particolare riguardo alla ritenuta indeterminatezza del relativo oggetto), orientando l’argomentazione critica rivolta nei
confronti dell’interpretazione della corte territoriale, non già attraverso la prospettazione della violazione dei tradizionali canoni legali di interpretazione negoziale (cfr. artt. 1362 e segg. c.c.), bensì attraverso l’indicazione degli aspetti della ritenuta non condivisibilità della lettura interpretativa criticata, rispetto a quella ritenuta preferibile, in tal modo travalicando i limiti propri del vizio della violazione di legge ( ex art. 360, n. 3, c.p.c.) attraverso la sollecitazione della corte di legittimità alla rinnovazione di una non consentita valutazione di merito;
con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione falsa applicazione dell’art. 1385 c.c. (in relazione all’art. 360 co. 1, nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente affermato (con riguardo al rapporto contrattuale con Cao NOME) che, una volta esercitato in via stragiudiziale il diritto di recesso, non possa chiedersi in sede giudiziale la risoluzione del contratto;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità (da ritenersi qui integralmente condiviso e riproposto al fine di garantirne continuità), in caso di pattuizione di caparra confirmatoria, ai sensi dell’art. 1385, cod. civ., la parte adempiente, per il risarcimento dei danni derivati dall’ inadempimento della controparte, può scegliere tra due rimedi, alternativi e non cumulabili tra loro : o recedere dal contratto e trattenere la caparra ricevuta (o esigere il doppio di essa), avvalendosi della funzione tipica dell’istituto, che è quella di liquidare i danni preventivamente e convenzionalmente, così determinando l ‘ estinzione ope legis di tutti gli effetti giuridici del contratto e dell ‘ inadempimento ad esso; ovvero chiedere, con pronuncia costitutiva, la risoluzione giudiziale del contratto, ai sensi degli artt. 1453, 1455 cod. civ. ed il risarcimento dei
conseguenti danni, da provare a norma dell’art. 1223 cod. civ. (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 18850 del 20/09/2004, Rv. 577186 -01);
varrà, in ogni caso, rimarcare il carattere assorbente della considerazione in forza della quale, avendo la corte territoriale ritenuto che gli attori non avessero in alcun modo dimostrato il ricorso di alcun inadempimento di Cao NOME, l’eventuale ammissione di una domanda di risoluzione del contratto successiva al recesso (ove mai proponibile, in contrasto con il principio di diritto in precedenza richiamato) si sarebbe necessariamente traAVV_NOTAIOa nel relativo inevitabile rigetto, in ragione della già ritenuta mancata dimostrazione dell’inadempimento eventualmente giustificativo dell’invocata risoluzione;
con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 co. 1, n. 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale omesso di procedere all’esame del contratto del febbraio 2017 e della circostanza decisiva costituita dalla mancata dimostrazione degli avvenuti pagamenti in esso previsti da parte della convenuta, con il conseguente effettivo rilievo dell’inadempimento della controparte indipendentemente da ogni altra condizione prevista in contratto;
il motivo è inammissibile per irrilevanza;
osserva il Collegio come la corte territoriale abbia attribuito valenza assorbente, ai fini della decisione, alla circostanza di fatto costituita dall’avvenuto recesso degli originari attori dal contratto concluso con la convenuta (con l’incameramento della caparra penitenziale), con la conseguente irrilevanza di ogni ulteriore contestazione circa inadempimento della controparte;
varrà, peraltro, rimarcare l’inammissibilità della doglianza in esame nella misura in cui, lungi dal prospettare l’omesso esame di fatti
effettivamente decisivi e controversi, si limita a prospettare una rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove (con particolare riguardo all’interpretazione complessiva dei rapporti tra le parti ai fini dell’accertamento dell’inadempimento della convenuta) sulla base di un’impostazione critica non consentita in questa sede di legittimità;
con il sesto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 342 c.p.c. e 2697 c.c., nonché per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 co. 1, nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto inammissibile il quarto motivo d’appello proposto dal COGNOME nei confronti di COGNOME NOME (in ragione dell’assenza di alcuna autonoma valutazione critica della motivazione aAVV_NOTAIOata dal giudice di primo grado), in contrasto con quanto contenuto nell’atto d’appello in cui veniva chiaramente rappresentata la violazione, da parte del giudice di primo grado, dell’art. 2697 c.c. e dell’avvenuto assolvimento, da parte degli attori, degli oneri probatori loro imposti;
con il settimo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonché per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 co. 1, nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di tener conto dell’intera vicenda e della documentazione proAVV_NOTAIOa nel corso del giudizio di primo grado, con specifico riguardo al punto concernente la ritenuta infondatezza della deAVV_NOTAIOa occupazione abusiva dell’attività aziendale da parte di NOME COGNOME NOME;
il sesto motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c. e suscettibile di assorbire la rilevanza del settimo motivo;
osserva al riguardo il Collegio come, al fine di superare la rilevata inammissibilità per genericità del motivo di appello, l’odierno ricorrente avrebbe dovuto necessariamente allegare o riprodurre nella sua
interezza l’atto d’appello , apparendo del tutto insufficiente la parziale riproduzione di tale atto contenuta nel l’odierno ricorso;
solo tale integrale riproduzione (o allegazione) avrebbe, infatti, consentito a questa Corte di legittimità l’esercizio effettivo della verifica funditus dell’eventuale specificità (o non genericità) dell’impugnazione proposta in secondo grado;
la mancata (allegazione o) produzione dell’atto d’appello (peraltro, neppure localizzato tra gli atti del processo, nel rispetto dei criteri al riguardo imposti dalla giurisprudenza di questa Corte: cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 28184 del 10/12/2020,Rv. 660090 – 01) comporta l’inevitabile inammissibilità nel sesto motivo, suscettibile di assorbire la rilevanza del successivo settimo; motivo quest’ultimo, peraltro, di per sé inammissibile, siccome sostanzialmente limitato alla proposizione di una rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove (con particolare riguardo all’esame complessivo dei rapporti tra le parti ai fini della valutazione dell’effettiva occupazione abusiva dell’attività aziendale da parte di COGNOME NOME) sulla base di un’impostazione critica non consentita in questa sede;
con l’ottavo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c. (in relazione all’art. 360 co. 1, n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente pronunciato la condanna dell’attore al risarcimento del danno ex art. 96, co. 2, c.p.c. in assenza di relativi presupposti di legge;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come l’accertamento dell’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave involge un’indagine di fatto i cui risultati sono sottratti al sindacato di legittimità, se non inficiati da errori di diritto o vizi logici (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 1808 del
06/10/1970, Rv. 347787 – 01; più di recente, Sez. 2, Ordinanza n. 1624 del 23/01/2018; Sez. 2, Sentenza n. 27528 del 30/12/2016);
nel caso di specie, la corte territoriale ha giustificato la pronunciata condanna dell’attore ai sensi dell’ art. 96 c.p.c. rilevando come il relativo comportamento processuale, unitamente alla valutazione del contenuto palesemente infondato delle domande dallo stesso proposte, fossero valse a configurare un’ipotesi di abuso del processo, come tale sanzionabile ai sensi dell’art. 96 c.p.c.; e tanto, sulla base di un discorso motivazionale sufficientemente congruo sul piano logico e corretto in termini giuridici;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 7.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione