Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5850 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 5850 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 28422/2019 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente principale, controricorrente- contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, con domicilio telematico alla PEC del difensore, EMAIL
-controricorrenti, ricorrenti incidentali- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 1993/2018 depositata il 20/07/2018,
all’esito della Pubblica Udienza del 03/12/2024, svolta in presenza dell’avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME, dell’avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME e NOME COGNOME e del Sostituto Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott. NOME COGNOME udite la
relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME le difese dei difensori delle parti e le conclusioni del PG.
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME aveva adito il Tribunale di Parma convenendo in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME e chiedendo la pronuncia di sentenza ex art.2932 c.c., in esecuzione del contratto preliminare di compravendita immobiliare concluso tra le parti il 14.7.2004, previi riduzione dell’ammontare del prezzo pattuito per la presenza di vizi e difetti del bene e accertamento della legittimità della sospensione dei pagamenti concordati, con condanna delle controparti al risarcimento dei danni. L’attore aveva evidenziato che, decorso il termine entro il quale il locatario del bene promesso in vendita avrebbe potuto esercitare il diritto di prelazione, erano emersi problemi in ordine alle caratteristiche dell’immobile, in particolare per l’altezza (di m.2,45 in luogo degli originari m.2,20) del locale seminterrato, ottenuta con abbassamento del piano del pavimento dello stesso, e per il correlato rischio di evizione parziale ad iniziativa del Condominio, che lo avevano indotto a sospendere anche il versamento della caparra.
Le convenute si erano costituite chiedendo il rigetto delle domande proposte e instando, in via riconvenzionale, per la risoluzione del contratto e per la condanna dell’attore inadempiente al risarcimento dei danni.
Il Tribunale di Parma, all’esito della svolta istruttoria: aveva respinto sia la domanda ex art.2932 c.c. ritenendo, a fronte degli inadempimenti accertati a carico di entrambe le parti contraenti, prevalente l’inadempimento del promissario acquirente, sia la domanda di riduzione del prezzo, sia quella risarcitoria, formulate dall’attore; aveva disatteso pure la domanda di risoluzione e aveva invece accolto la domanda riconvenzionale risarcitoria proposta dalle promittenti venditrici, condannando NOME Mutti a versare loro € 28.516,37, con gli interessi dalla pubblicazione della sentenza al saldo, oltre una somma pari al rendimento medio dei BOT decennali sulla somma di € 661.000,00 dal 14.10.2004 alla data di pubblicazione della sentenza -con gli interessi da tale data al saldo anche sull’importo così determinato-.
Aveva proposto appello NOME COGNOME lamentando che non fosse stato valorizzato il grave inadempimento delle promittenti venditrici ai fini dell’applicazione del disposto degli art.1481 e 1460 c.c., con conseguente ingiustificato rigetto della domanda ex art.2932 c.c., e che fosse stato riconosciuto, e comunque liquidato in modo errato, il danno che le controparti avevano affermato di aver subito. Anche
NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano proposto appello incidentale in ordine alla erronea quantificazione delle spese di lite e in ordine alla mancata pronuncia di risoluzione del contratto preliminare.
La Corte d’Appello di Bologna aveva parzialmente accolto il solo appello principale, riducendo l’entità del danno riconosciuto a favore delle promittenti venditrici, in base alle seguenti considerazioni: -la sospensione del pagamento del prezzo prevista all’art.1481 c.c., che è applicazione della regola generale dell’art.1460 c.c., non opera automaticamente e, nel caso di specie, l’incidenza del problema relativo all’altezza dei locali seminterrati (essendo stata abbandonata già in primo grado la valorizzazione a tal fine degli allagamenti del seminterrato inizialmente lamentati), già noto alle promittenti venditrici prima della scadenza del termine per il versamento della caparra ma concretizzatosi in contenzioso giudiziario dopo, sarebbe stata di € 75.752,53 (comprensiva del peso economico delle problematiche relative alla destinazione d’uso dei locali), come da disposta CTU, a fronte di un prezzo complessivo pattuito di € 661.000,00; poiché la caparra era stata concordata in € 33.050,00 e poiché essa era volta a garantire la corretta esecuzione del contratto, il promissario acquirente avrebbe dovuto provvedere a versarla, potendosi poi rifiutare di corrispondere il prezzo di acquisto fino al rilascio di idonee garanzie che lo tutelassero dal pericolo di evizione; -‘ operata una valutazione comparativa dei reciproci inadempimenti delle parti, la sospensione totale del pagamento del prezzo, inclusa la corresponsione della caparra confirmatoria, a fronte del rischio di un’evizione soltanto parziale, ha costituito un’alterazione del sinallagma contrattuale ingiustificata e contraria a buona fede ‘; -si confermava quindi il rigetto della domanda ex art.2932 c.c.; -quanto alla liquidazione del danno, si confermava la liquidazione della somma di € 25.934,37, comprensiva degli interessi sul mutuo, delle spese del notaio e del geometra per la sua accensione, nonché del canone per la cassetta di sicurezza, perché adeguatamente documentata; -non era invece condivisibile la quantificazione del danno da lucro cessante, che doveva sì essere riconosciuto ma tenendo conto che se le promittenti venditrici non avevano potuto godere dei frutti del prezzo concordato, esse erano rimaste nella disponibilità dell’immobile, locato quantomeno fino al 30.6.2009, ed erano comunque inadempienti per aver taciuto l’esistenza del contenzioso; in assenza di una prova anche solo presuntiva sulla loro volontà di investimento, e tenuto conto del disposto dell’art.1227 c.c., il danno da lucro cessante si riconosceva nella misura degli
interessi legali sull’importo di € 661.000,00, rivalutato anno per anno dal 14.10.2004 fino alla pubblicazione della sentenza, ridotto della metà; -quanto all’appello incidentale, il primo motivo relativo alla liquidazione delle spese di lite era infondato perché correttamente il primo Giudice aveva tenuto conto dell’importo effettivamente liquidato, ed era comunque assorbito dal parziale accoglimento dell’appello principale, così come era infondato il secondo, non essendo stata la domanda di risoluzione contrattuale ritualmente e tempestivamente introdotta.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte d’Appello di Bologna, affidandolo a sei motivi, dopo aver premesso di non intendere impugnare il rigetto della domanda ex art.2932 c.c. dovendosi intendere le contestazioni svolte limitate a vanificare i presupposti giustificanti una valutazione favorevole della domanda risarcitoria a favore della controparte.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso e hanno proposto a loro volta ricorso incidentale, affidato a quattro motivi.
Le ricorrenti incidentali hanno altresì depositato memoria ex art.378 c.p.c., affermando e argomentando l’intervento del giudicato interno sui primi cinque motivi del ricorso principale, non essendo stato impugnato da NOME COGNOME il rigetto della domanda ex art.2932 c.c.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto sia del ricorso principale che del ricorso incidentale.
All’esito della pubblica udienza, nel cui ambito i difensori delle parti, presenti, e il Procuratore Generale hanno svolto le rispettive difese e reiterato le conclusioni già prese, la causa è stata trattenuta in decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi del ricorso principale articolati da NOME COGNOME si possono riassumere come segue.
7.1. Con il primo motivo di ricorso per cassazione NOME COGNOME lamenta ‘ violazione e falsa applicazione degli art.1481 e 1460 c.c., dell’art.1454 c.c. e dell’art.1375 c.c., in relazione all’art.360 n.3 c.p.c. ‘: secondo il ricorrente non potrebbe costituire inadempimento la sospensione del pagamento della caparra confirmatoria.
Con il motivo in esame NOME COGNOME chiede sia rivalutata la propria condotta di sospensione del versamento della caparra solo sotto il profilo della sua contestata idoneità a giustificare il risarcimento dei danni a favore delle promittenti venditrici.
In data 7.12.2004, dopo che era scaduto da due mesi il termine che, secondo la Corte di merito, sarebbe stato concordato per il versamento della caparra (scadenza del termine per l’esercizio del diritto di prelazione da parte del conduttore), le promittenti venditrici avevano inviato diffida a perfezionare il contratto definitivo nel termine di 20 giorni dalla ricezione, così manifestando l’intenzione di concludere il contratto definitivo senza dare importanza al mancato pagamento della caparra, la cui sospensione non avrebbe potuto perciò rilevare sotto il profilo dell’inadempimento perché l’attenzione delle parti si sarebbe spostata sul pagamento del prezzo; per il principio di buona fede contrattuale le promittenti venditrici non avrebbero potuto quindi pretendere di valorizzare il mancato pagamento della caparra; sotto il profilo del bilanciamento degli inadempimenti, se pure la caparra era inferiore al minor prezzo quantificato per la situazione di fatto del seminterrato, il prezzo concordato era invece superiore ad esso e il rischio di acquistare un immobile sovrastimato avrebbe giustificato la sospensione del versamento.
7.2. Con il secondo motivo di ricorso proposto il ricorrente si duole della ‘ violazione dell’art.1351 c.c., dell’art.1218 c.c, dell’art.1418 c.c. e dell’art.1421 c.c. in relazione all’art.360 n.3 c.p.c.’ : non sarebbe stato comunque previsto alcun termine per il versamento della caparra confirmatoria perché non vi sarebbe traccia del preteso accordo in deroga al contenuto del preliminare, che nulla direbbe sul punto, di differire il pagamento a data successiva allo scadere del termine per l’esercizio della prelazione; il patto modificativo avrebbe dovuto avere, ex art.1351 c.c., forma scritta e nulla risulterebbe in proposito; la Corte di merito avrebbe dovuto rilevare la nullità del patto di differimento e l’impossibilità che la sospensione del pagamento della caparra potesse costituire inadempimento.
7.3. Con il terzo motivo di ricorso si prospetta la ‘ violazione dell’art.1481 c.c., dell’art.1460 c.c., dell’art.1454 c.c., dell’art.1175 c.c., dell’art.1375 c.c., in relazione all’art.360 n.3 c.p.c .’:
la Corte non avrebbe considerato che i profili dell’inadempimento di controparte sarebbero due, l’uno relativo al rischio di evizione parziale, l’altro consistente nell’aver taciuto il contenzioso con il Condominio sul punto, sia in corso di trattative, sia dopo la stipula del contratto preliminare; nella valutazione di bilanciamento dei contrapposti inadempimenti la Corte, e prima il Tribunale, avrebbe dovuto tenere conto anche degli aspetti evidenziati.
7.4. Il quarto motivo di ricorso è rubricato come ‘ violazione dell’art.1481, dell’art.1460 c.c., dell’art.1455 c.c. in relazione all’art.360 n.3 c.p.c .’:
secondo il ricorrente principale sarebbe stata comunque mal valutata la portata del rischio di evizione parziale, incidente non solo sul valore economico dell’immobile ma sulla sua concreta possibilità di destinazione d’uso; la scelta di concludere il preliminare sarebbe stata frutto di una valutazione complessiva dell’immobile da adibire a negozio, comprensiva degli spazi al piano seminterrato
7.5. Con il quinto motivo, ‘ violazione dell’art.1481, dell’art.1460 c.c. e dell’art.1223 c.c., in relazione all’art.360 n.3 c.p.c. ‘, NOME COGNOME sottolinea come, alla luce della fondatezza delle censure articolate nei motivi precedenti, si dovrebbe considerare errata la valutazione di fondatezza della domanda risarcitoria relativa al danno emergente invece effettuata nella sentenza ricorsa.
7.6. Il sesto motivo, concernente la ‘ violazione dell’art.1223 c.c., in relazione all’art.360 n.3 c.p.c. ‘, sottopone a critica pure la quantificazione del danno riconosciuto. Secondo il ricorrente, anche a voler considerare effettivamente esistente un danno risarcibile, sarebbe stato liquidato a favore delle controparti un importo eccessivo: ove, infatti, la condotta inadempiente del promissario acquirente riguardasse solo la mancata dazione della caparra, il danno riconosciuto, correlato al prezzo della compravendita, sarebbe stato mal parametrato.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto a loro volta ricorso incidentale, affidato a quattro motivi.
8.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale le promittenti venditrici lamentano ‘ violazione e falsa applicazione dell’art.1223 c.c., in relazione all’art.360 n.3 c.p.c.’ , ritenendo che la statuizione della Corta d’Appello in ordine alla misura del risarcimento del danno da lucro cessante, ridotta rispetto a quanto disposto dal Tribunale, violerebbe il disposto dell’art.1223 c.c. perché non riconoscerebbe la rivalutazione monetaria, pur trattandosi di credito di valore.
8.2. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, proposto come ‘ violazione dell’art.112 c.p.c. in relazione all’art.360 n.4 c.p.c. ‘, le ricorrenti incidentali prospettano, in subordine, la questione sopra evidenziata, di mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria, come omessa pronuncia sulla domanda, che pure la ricomprendeva.
8.3. Con il terzo motivo articolato le signore COGNOME/COGNOME lamentano la ‘ nullità per motivazione apparente con conseguente violazione dell’art.132 c.p.c. in
relazione all’art.360 n.4 c.p.c. ‘: sarebbe stata omessa la motivazione in ordine al perché sia stata riconosciuta l’esistenza dei presupposti per la riconosciuta applicazione dell’art.1227 c.c.
8.4. Con l’ultimo motivo articolato le ricorrenti incidentali rilevano la ‘ violazione o falsa applicazione del DM n.55/2014 art.10 c.p.c. art.91 c.p.c. in relazione all’art.360 n.3 c.p.c. ‘, perché il valore della lite ai fini dell’individuazione dello scaglione di riferimento nei gradi di merito doveva tenere conto non solo dei limiti di accoglimento della domanda risarcitoria delle convenute appellate ma anche della domanda ex art.2932 c.c., proposta dalla controparte e respinta.
Prima di esaminare i motivi di ricorso deve essere valutata l’eccezione di giudicato interno prospettata da NOME COGNOME e NOME COGNOME affermata come da correlare alla mancata impugnazione della pronuncia di rigetto della domanda ex art.2932 c.c., eccezione che è destituita di fondamento.
NOME COGNOME contesta, ancora in questa sede, il diritto delle promittenti venditrici al risarcimento del danno riconosciuto loro in sede di merito, con la conseguenza che legittimamente egli rimette in discussione la sentenza d’appello in relazione ai presupposti sulla cui base detto diritto è stato positivamente accertato, senza che a tal fine possa avere rilevanza alcuna il fatto che il promissario acquirente abbia invece rinunciato a reiterare criticamente anche la domanda ex art.2932 c.c., respinta dai giudici di merito all’esito di una valutazione a lui sfavorevole anche di quelle circostanze di fatto valorizzate per accogliere invece la domanda risarcitoria.
Si richiama in proposito l’orientamento interpretativo di legittimità, consolidato, secondo il quale Il giudicato interno non si determina sul fatto ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia -cfr., tra le tante, Cass. n.24783/2018, Cass. n.10760/2019, Cass. n.30728/2022, Cass. n.27246/2024- ed è evidente che la formazione di giudicato sul rigetto della domanda proposta ex art.2932 c.c. dal promissario acquirente non implica in alcun modo anche l’impossibilità di rimettere in discussione l’autonoma domanda risarcitoria accolta a favore della parte promittente venditrice, domanda che, pur fondandosi su circostanze di fatto parzialmente coincidenti, ha diversi referenti normativi ed effetti autonomi.
10. Si esaminano quindi i motivi di ricorso proposti, a partire da quelli articolati nel ricorso principale.
10.1. Il primo motivo di ricorso principale è da respingere perché richiede, nella sostanza, la rivisitazione del materiale probatorio acquisito agli atti del giudizio per trarne conseguenze conformi alle tesi di NOME COGNOME in contrasto con le valutazioni effettuate dai Giudici di merito.
La Corte d’Appello di Bologna -e il Tribunale prima- non ha tenuto conto del mancato versamento della caparra come circostanza autonomamente rilevante a prescindere dal contesto negoziale di riferimento ma lo ha considerato nell’ambito della valutazione del comportamento tenuto dal promissario acquirente nell’adempimento delle obbligazioni a suo carico (cfr. a pag.6 della sentenza ove si sottolinea la sospensione totale del pagamento del prezzo e della caparra), nell’ottica dell’esecuzione dell’obbligo di stipula del contratto definitivo ancora richiesta nelle fasi di merito di questo giudizio (che avrebbe comportato l’imputazione dell’importo della caparra al prezzo concordato). La Corte ha, in particolare, rilevato che, anche alla luce del rilievo economico delle problematiche emerse in relazione alla situazione del seminterrato, l’entità dell’importo concordato per la caparra -destinata appunto a divenire acconto sul prezzo dovuto in sede di stipula del contratto definitivo- era inferiore al minor valore dell’immobile ed ampiamente contenuta nel corrispettivo comunque dovuto anche all’esito di una eventuale riduzione del prezzo (caparra di € 33.050,00 a fronte di un prezzo pattuito in € 661.000,00 e di un minor valore dell’immobile quantificato in sede di CTU in € 75.752,33 ‘ tenuto conto anche della variazione della destinazione d’uso e dei relativi costi conseguenti all’accoglimento della riduzione in pristino ‘).
Non si comprende, alla luce delle considerazioni che precedono, in che modo potrebbe violare i principi di buona fede contrattuale e giustificare l’eccezione di inadempimento da parte del promissario acquirente il comportamento delle promittenti venditrici che non richiesero il versamento della caparra ma diffidarono direttamente il promissario acquirente ad addivenire alla stipula del contratto definitivo -che non fu concluso-. Si ricorda, in proposito, che la Corte di merito non ha ritenuto adempienti le promittenti venditrici, tenendo conto dell’omessa informazione sul contenzioso con il Condominio in relazione all’abbassamento della quota del seminterrato, ma, nell’effettuazione della valutazione degli inadempimenti accertati a carico di entrambe le parti e della loro incidenza sul sinallagma contrattuale, ha valorizzato l’inadempimento di NOME COGNOME ritenendolo nella sostanza non giustificato, ex art.1460 e 1481 c.c., dall’inadempimento delle
contro
parti, ostativo alla richiesta pronuncia ex art.2932 c.c. e idoneo a fondare la domanda risarcitoria a suo carico -operando altresì un giudizio di prevalenza dell’inadempimento del promissario acquirente, pur di per sé non necessario nè ai fini del rigetto della domanda ex art.2932 c.c., nè ai fini della valutazione della domanda risarcitoria delle promittenti venditrici (la domanda di risoluzione contrattuale proposta dalle promittenti venditrici era stata ritenuta tardiva, senza impugnazione sul punto)-.
In conclusione, l’articolazione delle doglianze che costituiscono il motivo di ricorso in esame è volta a provocare un riesame del merito delle valutazioni operate dalla Corte d’Appello, precluso al Giudice di legittimità.
10.2. Anche il secondo motivo di ricorso per cassazione, che si incentra sulla pretesa considerazione da parte del primo Giudice di uno spostamento successivo del termine per il versamento della caparra, che non sarebbe stato pattuito nella necessaria forma scritta e che quindi sarebbe nullo, è infondato.
Il fatto che la caparra confirmatoria, pattuita in € 33.050,00, avrebbe dovuto essere corrisposta alla scadenza del termine per l’esercizio del diritto di prelazione da parte del conduttore era stato dedotto dallo stesso promissario acquirente -cfr. la sentenza di appello, a pag.2/3- e, comunque, l’eventuale assenza di un termine per la corresponsione dell’importo indicato non si vede che rilevanza abbia, tenuto conto che la valutazione dell’inadempimento del promissario acquirente operata dai Giudici di merito non si fonda sul mancato rispetto di un termine specifico ma è stata svolta nel più ampio contesto delineato nell’esame del primo motivo di ricorso.
Anche in questo caso il ricorrente principale vorrebbe ottenere una inammissibile rivalutazione nel merito, a sé favorevole, degli elementi acquisiti al processo, in contrasto che la ricostruzione probatoria operata dai Giudici del merito.
10.3. Pure il terzo motivo di ricorso principale riguarda profili meritali, perché vorrebbe ottenere, ancora una volta, una diversa valutazione delle emergenze istruttorie che il Giudice ha esaminato, affermando che si sarebbe dovuto dare rilievo a circostanze che si assume siano state erroneamente non valorizzate in modo adeguato.
La Corte d’Appello ha infatti considerato tutti i profili del comportamento inadempiente delle promittenti venditrici ma, nel confronto tra detto inadempimento e quello pure accertato a carico di NOME COGNOME ha considerato prevalente
quest’ultimo non ritenendo il comportamento del promissario acquirente giustificato, ex art.1460 e 1481 c.c., dal comportamento inadempiente delle controparti.
10.4. Con il quarto motivo di ricorso NOME COGNOME lamenta che non sarebbe stato considerato dalla Corte di merito l’impatto del rischio di ‘evizione parziale’ sul valore del bene e sulla destinazione d’uso, dato che la scelta di concludere il preliminare sarebbe stata frutto di una valutazione complessiva dell’immobile da adibire a negozio, comprensiva degli spazi al piano seminterrato.
Ancora una volta il motivo in esame riguarda il merito che non è suscettibile di rivalutazione in sede di legittimità, perché la Corte ha osservato -in risposta alla specifica doglianza di NOME COGNOME sul punto- che nella determinazione del minor valore dell’immobile era stato considerato -dal CTU e dal Tribunale che alla relazione peritale aveva fatto riferimento- non solo il dato economico ma anche il cambio di destinazione d’uso subito dal seminterrato, raggiungendo sul punto un convincimento motivato diverso rispetto a quello dell’appellante ricorrente.
10.5. Il quinto motivo di doglianza non è autonomo dai precedenti perché, semplicemente, trae quelle che sarebbero le conseguenze del loro accoglimento, consistenti nella prospettata assenza dei presupposti per il riconoscimento della pretesa risarcitoria della controparte: la sua valutazione rimane pertanto assorbita dalle considerazioni svolte in riferimento ai quattro motivi di ricorso precedenti.
10.6. Con il sesto motivo di ricorso NOME COGNOME lamenta l’intervenuta quantificazione eccessiva del danno riconosciuto a favore delle controparti, sul presupposto che il suo inadempimento sia stato accertato dalla Corte d’Appello di Bologna con riferimento al solo mancato versamento della caparra confirmatoria, al cui solo importo il danno avrebbe dovuto essere pertanto equiparato.
Per giustificare l’infondatezza del motivo di ricorso in esame si richiamano le considerazioni svolte nell’ambito della valutazione del primo motivo di ricorso principale.
Quanto al ricorso incidentale, i primi due motivi, che si esaminano congiuntamente perché sottendono entrambi il preteso mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria, sono infondati.
L’importo degli interessi è stato calcolato sul capitale, corrispondente al prezzo della compravendita, anno per anno rivalutato: questa rivalutazione costituisce l’adeguamento del credito di valore e sulla sua base sono calcolati gli interessi, da corrispondere in relazione al tempo intercorrente tra la data di debenza dell’importo
quantificato e l’effettivo pagamento e di per sé non suscettibili di rivalutazione alcuna.
11.1. Con il terzo motivo di ricorso incidentale le promittenti venditrici si dolgono del fatto che la Corte di merito avrebbe applicato il disposto dell’art.1227 c.c. senza offrire motivazione alcuna, in pretesa violazione dell’art.132 c.p.c. e con conseguente nullità della sentenza ex art.360 co 1 n.4 c.p.c.
Il motivo è destituito di fondamento.
La Corte d’Appello ha motivato richiamando il disposto dell’art.1227 c.c. e il concorso del fatto colposo del creditore -cfr. a pag.8 della sentenza ricorsa- ed ha quindi considerato -implicitamente e senza alcuna ‘inconciliabile contraddittorietà’gli inadempimenti effettivamente accertati -pur non giustificanti l’accoglimento della contrapposta domanda ex art.2932 c.c. a fronte dell’inadempimento del promissario acquirente- a carico delle promittenti venditrici, proprietarie dell’immobile e quindi destinatarie delle iniziative anche stragiudiziali del Condominio, idonei a fondare l’applicazione della norma riportata.
11.2. E’ fondato invece l’ultimo motivo del ricorso incidentale, che critica l’identificazione dello scaglione di valore utilizzato dai Giudici di merito per la quantificazione delle spese processuali: il valore della lite ai fini della sua individuazione doveva tenere conto non solo dei limiti di accoglimento della domanda risarcitoria delle convenute appellate ma anche della domanda ex art.2932 c.c., proposta da NOME COGNOME in entrambi i gradi e respinta.
La Corte d’Appello ha infatti espressamente dichiarato di fare riferimento al criterio del decisum , individuato sulla base di quanto effettivamente liquidato alle promittenti venditrici, secondo lo scaglione di valore da € 250.000,00 ad € 520.000,00, senza considerare che il valore della controversia era da individuare -anche ex art.10 c.p.c.sulla base della domanda proposta da NOME COGNOME ex art.2932 c.c., e che quindi lo scaglione di valore da prendere a riferimento, ex DM n.55/2014, era quello successivo all’indicato.
Poiché non vi sono questioni sulla compensazione parziale delle spese dei due gradi, pure disposta dalla Corte d’Appello nei limiti del 50%, e si deve procedere solo alla rideterminazione della loro misura tenendo conto della corretta identificazione dello scaglione di valore di riferimento, tra € 520.001,00 ed € 1.000.000,00, questa Corte provvede ai sensi dell’art.384 co 2 c.p.c., e liquida -tenuto conto della prossimità del valore della controversia alla parte bassa dello scaglione-: per le spese processuali di
primo grado € 3.000,00 per la fase di studio, € 1.600,00 per la fase introduttiva, € 7.000,00 per la fase di trattazione/istruttoria ed € 4.500,00 per la fase decisionale, per complessivi € 16.100,00 che, ridotti del 50%, diventano € 8.050,00, oltre rimborso forfetario, CPA e IVA come per legge; per le spese processuali di appello € 3.500,00 per la fase di studio, € 2.000,00 per la fase introduttiva ed € 6.500,00 per la fase decisionale, per complessivi € 12.000 che, ridotti del 50%, diventano € 6.000,00, oltre rimborso forfetario, CPA e IVA come per legge.
12. Le spese del presente giudizio di legittimità si compensano nella misura del 50%, tenuto conto del rigetto di tre motivi su quattro del formulato ricorso incidentale; per il rimanente 50%, valorizzato l’integrale rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del motivo di ricorso incidentale riguardante la misura delle spese processuali dei gradi di merito, le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, sostenute dalle signore COGNOME e COGNOME si pongono a carico del ricorrente.
14. Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento a carico di NOME COGNOME di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso principale e i primi tre motivi di ricorso incidentale; accoglie il quarto motivo di ricorso incidentale e, provvedendo nel merito: ridetermina l’entità delle spese processuali del giudizio di primo grado a favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME, poste a carico di NOME COGNOME nella misura del 50%, in € 8.050,00 -già ridotte del 50%-, oltre rimborso forfetario, CPA e IVA come per legge; ridetermina l’entità delle spese processuali del giudizio di appello a favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME, poste a carico di NOME COGNOME nella misura del 50%, in € 6.000,00 -già ridotte del 50%-, oltre rimborso forfetario, CPA e IVA come per legge;
condanna NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, nella misura del 50%, a favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME e le liquida in complessivi (al 100%) € 8.000,00 per compensi, che, ridotti del 50%, divengono € 4.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati;
compensa per il rimanente 50% le spese processuali del giudizio di cassazione tra le parti.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il rispettivo ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 3