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Canone unico patrimoniale: stop ai canoni elevati

Una società di telecomunicazioni ha contestato avvisi di accertamento di un Comune per canoni di occupazione di suolo pubblico. Il Tribunale ha accolto l’opposizione, annullando gli atti. La decisione si fonda sull’applicazione del canone unico patrimoniale, che fissa un tetto massimo di 800 euro annui per ogni impianto. La sentenza chiarisce che tale limite legale si sostituisce automaticamente alle clausole contrattuali più onerose, anche per i contratti stipulati prima della sua entrata in vigore, a partire dalla sua efficacia.

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Canone Unico Patrimoniale: stop ai canoni elevati per le antenne. Il Tribunale si pronuncia

Una recente sentenza del Tribunale di Torino ha affrontato una questione di grande rilevanza per gli operatori di telecomunicazioni e gli Enti Locali: la corretta determinazione dei canoni per l’occupazione di suolo pubblico con infrastrutture di rete. Il caso verte sull’applicazione del canone unico patrimoniale, introdotto per uniformare e limitare i costi a carico degli operatori, favorendo lo sviluppo digitale del Paese. La decisione chiarisce come questa nuova normativa impatti sui contratti già in essere, stabilendo un principio fondamentale a favore della prevedibilità e della stabilità del mercato.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore delle infrastrutture per le telecomunicazioni ha impugnato due avvisi di accertamento esecutivo emessi da un Comune. Con tali atti, l’Ente locale richiedeva il pagamento di decine di migliaia di euro a titolo di indennità di occupazione e canoni per l’installazione di antenne su immobili di proprietà comunale. I contratti originari, alcuni dei quali stipulati anni prima, prevedevano canoni di mercato significativamente più alti del limite poi introdotto dalla legge.

La società opponente ha sostenuto l’illegittimità delle pretese del Comune, invocando la normativa sopravvenuta che ha introdotto un tetto massimo di 800 euro annui per ogni impianto. Secondo l’operatore, questa norma imperativa avrebbe dovuto sostituire automaticamente le clausole contrattuali più onerose.

Il Comune, dal canto suo, ha difeso la legittimità degli accertamenti, sostenendo che i rapporti in questione fossero semplici locazioni di diritto privato relative a beni del patrimonio disponibile e che la nuova normativa non potesse applicarsi retroattivamente a contratti già conclusi.

La Decisione del Tribunale e il Canone Unico Patrimoniale

Il Tribunale ha accolto l’opposizione della società, annullando gli avvisi di accertamento. Il Giudice ha ritenuto che la legislazione sul canone unico patrimoniale e, in particolare, le norme che limitano gli oneri per gli operatori di telecomunicazioni (art. 8-bis del D.L. 135/2018 e art. 1, comma 831-bis della L. 160/2019), si applichino anche ai rapporti contrattuali in corso al momento della loro entrata in vigore.

La sentenza ha quindi dichiarato l’inefficacia sopravvenuta delle clausole contrattuali che fissavano un canone superiore al limite legale di 800 euro annui, disponendone la sostituzione automatica ai sensi dell’art. 1339 del Codice Civile. Di conseguenza, le pretese economiche del Comune, basate sulle clausole originarie, sono state ritenute infondate.

Altre statuizioni del Tribunale

Il Tribunale, tuttavia, ha rigettato altre due domande avanzate dalla società: quella volta a ottenere una dichiarazione di diritto al rinnovo automatico delle concessioni e quella di compensazione per le somme eventualmente pagate in eccesso in passato. La prima è stata respinta perché i contratti escludevano espressamente il tacito rinnovo, mentre la seconda per la sua genericità, non avendo l’operatore specificato gli importi esatti da compensare.

Le motivazioni

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione della normativa volta a promuovere lo sviluppo delle reti di comunicazione elettronica. Il legislatore, con una serie di interventi, ha voluto creare un quadro normativo uniforme e non discriminatorio, vietando agli enti locali di imporre oneri o canoni non stabiliti per legge.

Il Tribunale ha chiarito che l’introduzione del limite di 800 euro (art. 1, comma 831-bis, L. 160/2019) costituisce una norma imperativa che interviene sull’autonomia contrattuale delle parti. In base al principio dello ius superveniens (diritto sopravvenuto), una nuova legge imperativa si applica anche ai rapporti di durata, come le concessioni pluriennali, per gli effetti che questi producono dopo la sua entrata in vigore.

Un punto cruciale della motivazione è l’irrilevanza della distinzione tra patrimonio pubblico disponibile e indisponibile ai fini dell’applicazione di tale limite. Il Giudice ha stabilito che la norma, introducendo un limite al potere dell’Amministrazione anche in contesti contrattuali, si applica a prescindere dalla classificazione del bene. L’obiettivo del legislatore è quello di calmierare i costi per l’installazione delle reti su qualsiasi bene pubblico, per favorire un interesse nazionale primario.

La sentenza ha quindi concluso che le clausole che prevedevano canoni superiori al tetto legale sono diventate inefficaci e sono state sostituite di diritto dalla norma imperativa, con decorrenza dall’entrata in vigore di quest’ultima.

Le conclusioni

Questa pronuncia consolida un orientamento giurisprudenziale favorevole alla stabilità e alla prevedibilità dei costi per gli operatori del settore delle telecomunicazioni. Le implicazioni pratiche sono significative:

1. Limite inderogabile: i Comuni non possono esigere canoni superiori al limite di 800 euro annui per l’occupazione di suolo pubblico con infrastrutture di rete, indipendentemente da quanto previsto in contratti precedenti.
2. Applicabilità estesa: il principio si applica a tutti i beni di proprietà pubblica, siano essi del patrimonio disponibile o indisponibile.
3. Tutela per gli operatori: gli operatori possono legittimamente opporsi a richieste di pagamento basate su vecchie clausole contrattuali più onerose, ottenendone l’annullamento.

La decisione rappresenta un importante punto di equilibrio tra l’autonomia finanziaria degli Enti Locali e l’esigenza di politica industriale di garantire lo sviluppo di infrastrutture digitali strategiche per il Paese a costi omogenei e sostenibili.

Un Comune può richiedere a una società di telecomunicazioni il pagamento di un canone per le antenne superiore al limite di legge, basandosi su un contratto firmato prima della nuova normativa?
No. La sentenza stabilisce che la nuova normativa sul canone unico patrimoniale si applica anche ai contratti in corso. Le clausole che prevedono un importo superiore diventano inefficaci dal momento dell’entrata in vigore della legge e vengono automaticamente sostituite dal limite legale.

Il limite al canone per le infrastrutture di telecomunicazione si applica solo ai beni pubblici ‘indisponibili’ o anche a quelli ‘disponibili’?
La sentenza chiarisce che il limite si applica a prescindere dalla natura del bene pubblico (disponibile o indisponibile). L’introduzione del limite legale, essendo finalizzata a limitare il potere dell’Amministrazione in un settore strategico, vale sia per le concessioni di beni del patrimonio indisponibile sia per i contratti di locazione di beni disponibili.

Se un contratto di concessione scade, l’operatore di telecomunicazioni ha un diritto automatico al rinnovo?
No. La sentenza ha rigettato la domanda di dichiarare il diritto al rinnovo automatico delle concessioni. Se il contratto esclude espressamente il tacito rinnovo e non esiste una norma che lo imponga, l’operatore deve seguire la procedura amministrativa prevista per richiedere una nuova concessione o installazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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