Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 19563 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 19563 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/07/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 13941/2022 R.G., proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata da RAGIONE_SOCIALE quale procuratrice speciale, in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
–
ricorrente –
contro
COMUNE DI ALDENO , in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso ex lege dall’ Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato ex lege come da indirizzo pec indicato,
-controricorrente – per la cassazione della sentenza n. 32/2022 della CORTE d’APPELLO di Trento pubblicata il 4.3.2022;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 17.4.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Locazione uso diverso -Canone -Nullità -Divieto di imporre oneri a carico di operatori delle telecomunicazioni –
17.4.2025
con ricorso depositato in data 13.7.2018 RAGIONE_SOCIALE (in seguito indicata come RAGIONE_SOCIALE, rappresentata da RAGIONE_SOCIALE quale procuratrice speciale, opponeva il decreto ingiuntivo con cui le era stato ordinato il pagamento, in favore del Comune di Aldeno, della somma di euro 55.450,62 oltre interessi e spese, pretesa per canoni dovuti in forza di contratto stipulato in data 20.4. 2010 e relativo a un’area (porzione di mq 47 della p.ed. 755 C.C. Aldeno) locata per l’installazione di attrezzature di telefonia mobile;
l ‘opponente eccepiva in via preliminare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario per essere la causa devoluta alla cognizione del giudice amministrativo; nel merito, la nullità della clausola relativa al canone per violazione di norme imperative, e, segnatamente, dell’art. 93 , comma secondo, D.Lgs. 259/2003, disposizione che vieta di imporre alle imprese che realizzano impianti di telecomunicazione oneri diversi dalla tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche di cui al D.Lgs. 507/1993 o dal canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al D.Lgs. 446/1997; in subordine, la sua inefficacia per violazione del ‘Regolamento per l’applicazione del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche’ del Comune di Aldeno ovvero anche la sua nullità per violazione dell’art. 88 del suddetto decreto. L’opponente c hiedeva, inoltre, la condanna del Comune alla restituzione delle somme, nel frattempo, illegittimamente percepite per complessivi euro 104.500,00;
il Comune di Aldeno si costituiva e chiedeva il rigetto dell’opposizione, trattandosi di ordinario contratto di locazione avente ad oggetto un bene appartenente al patrimonio disponibile, e quindi estraneo al campo di applicazione dell’art. 93 D.Lgs. 259/2003;
con sentenza pubblicata il 18.12.2018 il Tribunale di Trento dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo e revocava il decreto ingiuntivo opposto, con l’aggravio delle spese a carico dell’opposto ;
l a Corte d’appello di Trento con sentenza n. 260/2019 riformava la decisione impugnata dal Comune di Aldeno e dichiarava la giurisdizione del giudice ordinario sul rilievo che l’area appartene va al patrimonio disponibile del Comune in assenza di un atto che la destinasse a un pubblico servizio, ravvisando un contratto di locazione concluso dal Comune iure privatorum ;
a ggiungeva la Corte d’appello che, a nche a voler ammettere che, come ritenuto dal Tribunale, la controversia riguardasse ‘un contratto che accede a atto di natura sostanzialmente concessoria’, essendo essa circoscritta a ‘indennità, canoni e altri corrispettivi’ andava comunque esclusa la giurisdizione del giudice amministrativo;
riassunto il giudizio da RAGIONE_SOCIALE, con sentenza del 4.5.2021 il Tribunale di Trento dichiarava la nullità ex art. 1418 cod. civ. della clausola del contratto relativa al canone per contrarietà alla norma imperativa d ell’art. 93 D.Lgs. 259/2003 con l’interpretazione autentica offerta dall’art. 12, terzo comma, D.Lgs. 33/2016; il Tribunale di Trento d ava atto dell’inserzione automatica nel contratto delle tariffe di cui al regolamento C.O.S.A.P. del Comune di Aldeno, relativo alle occupazioni realizzate per la prestazione di servizi pubblici, e, stante l’impossibilità di individuare il numero delle utenze servite dall’impianto, riteneva dovuto solo il canone minimo di euro 516,46, con rivalutazione annuale;
l a Corte d’Appello di Trento, con sentenza pubblicata il 4.3.2022, in accoglimento dell’appello proposto dal Comune di Aldeno , riformava la sentenza impugnata e rigettava l’oppos izione al decreto ingiuntivo del Tribunale di Trento n. 542/2018 del 4.6.2018, compensando le spese di entrambi i gradi;
n otava preliminarmente la Corte d’appello che l’art. 93 D.Lgs. 259/2003 non avrebbe potuto trovare applicazione relativamente a beni facenti parte del patrimonio disponibile dell’ente , posto che le espressioni in esso contenute, nonché quelle del D.Lgs. 33/2016, che all’art. 12, comma terzo, di interpretazione autentica ( ‘L’articolo 93, comma 2, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che
gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica possono essere soggetti soltanto alle prestazioni e alle tasse o canoni espressamente previsti dal comma 2 della medesima disposizione’ ; disposizione successivamente integrata dall’art. 8 -bis, comma 1, lett. c), D.L. 135/2018, convertito con modificazioni dalla L. 12/2019, che ha aggiunto ‘ restando quindi escluso ogni altro tipo di onere finanziario, reale o contributo, comunque denominato, di qualsiasi natura e per qualsivoglia ragione o titolo richiesto’) presuppongono una posizione di supremazia del tutto incompatibile con un contratto di diritto privato, in cui nessun contraente può ‘essere soggetto’ a condizioni diverse da quelle liberamente pattuite;
l ‘interpretazione che riconduce l’art. 93 a definire il perimetro del potere impositivo della pubblica amministrazione era confortata dal richiamo a T.O.SRAGIONE_SOCIALE o CRAGIONE_SOCIALE (ora sostituiti dal canone patrimoniale di cui all’art. 831bis della l. 160/2019), che riguardano demanio o patrimonio indisponibile, come unici tributi applicabili; l ‘art. 93 , pertanto, non può quindi incidere sul contenuto dei contratti che l’ente pubblico stipula con i privati ponendosi sullo stesso piano di questi, con esclusione di ogni potere di supremazia, a nulla rilevando il carattere pubblico dei fini per i quali tali negozi siano stati stipulati;
sosteneva ancora la Corte d’appello che la ratio della disposizione è quella di limitare il potere impositivo della PA e non di limitarne la capacità di diritto privato, in quanto ‘ l’art. 93 cit., è espressione di un principio fondamentale dell’ordinamento di settore delle telecomunicazioni, in quanto persegue la finalità di garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme e non discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di porre a carico degli stessi ulteriori oneri o canoni, posto che – ove ciò non fosse – ogni singola amministrazione dotata di potestà impositiva potrebbe liberamente prevedere obblighi pecuniari a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio di una ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti ‘ (Cass., sez, I, 10 gennaio 2017, n. 283);
l ‘art. 93 , aggiun geva la Corte d’appello, ‘ nasce per dare tutela alle imprese di telecomunicazioni, non con l’introduzione di una nullità ‘virtuale’ che colpisca, in funzione di calmiere, le loro libere pattuizioni; ma per porre fine alle pretese di quelle pubbliche amministrazioni che avevano chiesto il pagamento, oltre che di T.RAGIONE_SOCIALE o RAGIONE_SOCIALE, di altre tasse, oneri e canoni di chiara natura pubblicistica. Si era infatti generato un importante contenzioso, che proprio grazie a tale disposizione la Corte di Cassazione ha deciso in favore delle imprese … L’art. 93 non è quindi riferibile ai contratti di diritto comune stipulati dalle pubbliche amministrazioni ed aventi ad oggetto beni del patrimonio disponibile di esse’ ;
l a Corte d’appello richiamava la precedente sentenza n. 260/2019, resa nello stesso giudizio, nella quale, affermata la giurisdizione del giudice ordinario, era stata negata l’inclusione dell’area nel patrimonio indisponibile sul rilievo dell’ininfluenza che ‘ in altra parte della medesima p.ed. sia presente il depuratore comunale, giacché è solo quest’ultimo ad appartenervi, in quanto bene destinato a pubblico servizio. Si è anche negato che tale destinazione sia insorta per effetto della concessione dell’area in locazione per l’installazione dell’impianto, risultando esclusivamente l’intenzione dell’amministr azione di addivenire alla stipula del contratto, e non di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio ‘ ;
a l riguardo, la Corte d’appello aggiungeva che:
-non era stata data prova dell’esistenza di un atto amministrativo che avesse destinato il bene al conseguimento dei fini propri dell’ente, requisito indispensabile perché lo si potesse ritenere appartenente al patrimonio indisponibile dello stesso;
-il fatto che il Comune di Aldeno dal 2005 ne avesse disposto concedendolo in locazione senza procedere ad alcuna declassificazione era evidente dimostrazione sia del fatto che si trattava di bene appartenente al patrimonio disponibile, sia della natura privatistica del contratto per cui è causa;
-l a Corte d’appello, pertanto, disattendeva l’eccezione di nullità della clausola relativa al canone non rientrando l’area oggetto di locazione nel campo di a pplicazione dell’art. 93 del D.Lgs. 259/2003;
notava, da ultimo la corte, che le argomentazioni assorbite nella decisione impugnata e riproposte ex art. 346 cod. proc. civ. andavano del pari disattese:
-il regolamento C.O.S.A.P. del Comune di Aldeno riguarda esclusivamente beni del demanio o del patrimonio indisponibile, sicché non era possibile dedurre la sua violazione;
-del tutto estraneo al tema di causa era il richiamo all’art. 88, comma 12, che riguarda il dovere della pubblica amministrazione di consentire l’accesso alle ‘proprie infrastrutture civili disponibili’, e quindi agli impianti già esistenti;
-il fatto che i l ‘Regolamento per l’insediamento urbanistico e territoriale dei nuovi impianti fissi per la telecomunicazione’ stabilisca che gli impianti devono essere collocati ‘di norma nelle aree di proprietà pubblica’ non avrebbe potuto generare una nullità ex art. 1418 cod. civ. dei relativi contratti di locazione;
per la cassazione della sentenza della Corte ricorre RAGIONE_SOCIALE tramite la sua procuratrice speciale RAGIONE_SOCIALE, sulla base di quattro motivi;
resiste con controricorso il Comune di Aldeno;
la trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ.
il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
entrambe le parti hanno depositato memoria.
RITENUTO CHE:
con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. ‘violazione dell’art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 259/2003, come autenticamente interpretato dall’art. 12, comma 3, del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 33, integrato dall’art. 8 bis, comma 1, lettera c), del d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, coordinato con la legg e di conversione 11 febbraio 2019, n. 12’ ;
la ricorrente lamenta l’erronea interpretazione data dalla Corte d’appello all’art. 93 del D.Lgs. 259/2003 nel testo autenticamente interpretato dall’art. 12, comma 3, del D.Lgs. 33/2016, integrato dall’art. 8 -bis del D.L. 135/2018, convertito dalla L. 12/2019;
s ul piano letterale l’uso del verbo «imporre» non è decisivo in quanto non necessariamente coincidente con la «supremazia pubblicistica»; era stato fatto rilevare nel corso del giudizio che il ‘R egolamento per l’insediamento urbanistico e territoriale dei nuovi impianti fissi per la telecomunicazione’ prevede che tali impianti dovranno essere collocati ‘di norma nelle aree di proprietà pubblica’, sicché Vodafone, priva di alternative praticabili, si era trovata costretta a subire una vera e propria e illegittima imposizione da parte del Comune, alla quale non si era potuta sottrarre; in secondo luogo, l’e spressione imposizione/soggezione, che può riferirsi non solo alla fase genetica, ma anche quella del rapporto, è riscontrabile anche nel rapporto creditore/debitore;
l a Corte d’appello av rebbe ignorato l’art. 8 -bis del D.L. 135/2018, che integrando la norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 12, comma 3, del D.Lgs. 33/2016, non contiene il verbo «imporre» ma «richiedere» ed ha precisato ‘escluso ogni altro tipo di onere finanziario, reale o contributo, comunque denominato, di qualsiasi natura e a qualsivoglia titolo richiesto’ ;
l ‘interpretazione dell’art. 9 3, comma secondo, non aveva considerato la stretta connessione tra il primo ed il secondo periodo:
-il primo periodo prevede che l’ente proprietario può pretendere le spese per le opere di sistemazione ovvero il ripristino dell’area utilizzata; il che rappresenta una spiegazione dell’utilizzo (improprio) del sostantivo imposizione anche nel secondo periodo legato al primo, ma formulato in negativo (nessun altro onere … può essere imposto);
-il primo periodo non contempla alcuna distinzione quando menziona le aree, ma si riferisce indistintamente a tutte ‘le aree pubbliche specificatamente coinvolte dagli interventi di installazione’ ;
-il primo periodo quanto al titolare delle aree pubbliche contiene una nozione ampia di enti pubblici, comprensiva anche di enti che non sono titolari di beni demaniali né di beni del patrimonio indisponibile;
l a Corte d’appello, inoltre, ha effettuato una interpretazione della norma in contrasto con la sua finalità; la norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 12, comma 3, D.Lgs. 33/2016, poi integrata con il D.L. 135/2018, è stata espressamente adottata per l’ ‘a ttuazione della direttiva 2014/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, recante misure volte a ridurre i costi dell’installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità’ , sì che sarebbe contrario alla indicata ratio consentire ai Comuni di subordinare ‘la concessione in uso di beni appartenenti al loro patrimonio alla stipula di contratti che prevedano canoni diversi e/o ulteriori rispetto a quelli previsti dall’art. 93’ , che, come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza 25.11.2020, n. 246), e della Suprema Corte, rappresenta un principio fondamentale nel settore delle comunicazioni elettroniche;
in sintesi, l’art. 93 determina, a prescindere dalla natura dell’area , quanto il Comune può chiedere a titolo di corrispettivo mediante il rinvio ai criteri per la determinazione di COSAP e TOSAP , ‘imponendo un determinato contenuto negoziale’ ;
con il secondo motivo è denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., ‘violazione dell’art. 826 c.c. con particolare riferimento alla ricorrenza del c.d. requisito soggettivo ai fini della inclusione dell’area nel patrimonio indisponibile dell’ente’ ;
l a ricorrente si duole per aver ritenuto la Corte d’appello che l’area concessa in uso rientri nel patrimonio disponibile; infatti, pur avendo riconosciuto la sussistenza del requisito oggettivo dell’effettiva destinazione a servizio pubblico di telecomunicazione, aveva escluso il requisito soggettivo per l’assenza di un atto amministrativo di destinazione, ‘risultando esclusiv amente l’intenzione dell’amministrazione di addivenire alla stipula del contratto e non di destinare quel determinato bene ad un pu bblico servizio’ ;
la ricorrente ha evidenziato che la destinazione a servizio pubblico derivava dalla Determinazione del Segretario Comunale n. 55 del 20.4.2010, richiamata nelle premesse del contratto, di approvazione dello schema di contratto, dalla Deliberazione della Giunta Comunale n. 37 dell’8.3.2010 (anch’essa richiamata nelle premesse del contratto), nella quale era stato espresso il gradimento alla sublocazione a Wind dell’impianto in locazione a Vodafone, nonché dall ‘art. 6 del contratto, nel quale si prevedeva l’obbligo della conduttrice ad attiva sull’impianto il sistema di comunicazione UMTS ;
e rroneamente la Corte d’appello, che pur non aveva escluso l’esistenza di atti ‘che si siano determinati sull’utilizzo dell’area’, ha ritenuto assorbente l’assenza di atti di classificazione del bene come appartenente al patrimonio indisponibile, pur non es sendo tale requisito richiesto dall’art. 826, comma terzo, cod. civ. bastando la consapevolezza dell’ente circa la destinazione dell’area a pubblico servizio ; né tantomeno dirimente, come ritenuto dalla Corte d’appello, era il fatto che non fosse stata disposta la declassificazione del bene; l ‘unica conseguenza derivante dalla violazione delle norme codicistiche in tema di uso di beni indisponibili sarebbe stata la corretta qualificazione dell’atto come concessione e dichiarazione di nullità di quanto previsto in contrasto con l’art. 93 D.Lgs. 259/2003;
n é è determinante quanto detto dalla Corte d’appello nel richiamo della precedente sentenza del 2019, là dove era stata sostenuto che fosse irrilevante la presenza del depuratore comunale, posto che si trattava della stessa ‘particella edificiale’ e ‘ alla data della stipula del contratto di locazione, sull’area era anche impressa una destinazione a servizio pubblico di telecomunicazioni; il contratto del 2010 seguiva un precedente accordo del 2005 per effetto del quale era stata installata sull’area la staz ione radio base denominata 2TN4104 FD -Aldeno’ ;
in sintesi, l a ricorrente lamenta la violazione dell’art. 826, comma terzo, cod. civ., il quale, per come interpretato dalla Suprema Corte, ai fini della appartenenza dell’area al patrimonio indisponibile del Comune, richiede:
-un atto di volontà della pubblica amministrazione, con il quale l’area sia destinata al conseguimento di un determinato fine pubblico; requisito nella specie sussistente e integrato dalla Determinazione n. 55/2010 (oltre che dalla precedente atto di indirizzo della Giunta Comunale n. 37/2010) che aveva manifestato la volontà dell’Ente di destinare l’area allo svolgimento del ‘pubblico servizio di comunicazioni elettroniche’;
-l’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio, che nel caso di specie non era in discussione e che comunque pacificamente risaliva al 2005, oltre che dall’assegnazione di particella già ospitante il depuratore comunale;
con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (esistenza di atti amministrativi di destinazione a pubblico servizio) che ha formato oggetto di discussione tra le parti ‘;
q ualora l’espressione contenuta nella sentenza ‘non è stata data prova dell’esistenza di un atto amministrativo, che abbia destinato il bene al conseguimento dei fini propri dell’ente, requisito indispensabile perché lo si possa ritenere appartenente al pat rimonio indisponibile…’, dovesse essere intesa come mancato rinvenimento di alcun atto amministrativo, la Corte d’appello sarebbe incorsa nell’omesso esame della Determinazione del Segretario Comunale n. 55 del 20.4.2010 e della Deliberazione della Giunta Comunale n. 37 dell’8.3.2010 (‘non depositata dal Comune’). Tali atti, oggetto di ampia discussione tra le parti, sono decisivi ai fini del giudizio;
l a Corte d’appello, qualora avesse considerato la Determinazione n. 55/2010 del Segretario Comunale o la Deliberazione di Giunta Comunale n. 37 dell’8.3.2010, non avrebbe potuto negare l’esistenza di atto amministrativo di destinazione dell’area a servizio pubblico e, quindi, l’inclusione dell’area nel patrimonio indisponibile;
c on il quarto motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. ‘violazione degli artt. 826 c.c., 88 e 93 d.lgs. 259/2003 e s.m.i.’ ;
con riferimento alle ulteriori questioni rimaste assorbite nella decisione del Tribunale e riproposte ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ. relative all’inefficacia dell’art. 4 del contratto per violazione del regolamento comunale Cosap e la nullità dello stesso articolo per violazione dell’art. 88 D.Lgs. 259/2003, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello ha dato per scontata l’appartenenza del bene al patrimonio disponibile, cosa che non è ;
i n ogni caso, il richiamo dell’art. 93 D.Lgs. 259/2003 alla disciplina TOSAP/COSAP era riferito ai criteri di determinazione della tassa o del canone, mentre l’art. 93 non distingue in alcun modo tra beni indisponibili e disponibili, tanto che nella parte f inale della sentenza si dà atto che ‘il ‘Regolamento per l’insediamento urbanistico e territoriale dei nuovi impianti fissi per la telecomunicazione’ stabilisca che gli impianti devono essere collocati ‘di norma nelle aree di proprietà pubblica’ ;
d el tutto pertinente era il richiamo all’art. 88, comma 12, D.Lgs. 259/2003, il quale sancisce il principio secondo cui, anche quando la PA metta a disposizioni infrastrutture, il corrispettivo deve essere equo, non discriminatorio e trasparente;
reputa il Collegio che, avuto riguardo alla novità ed alla particolare rilevanza nomofilattica delle questioni di diritto poste con il ricorso, si rende opportuna la trattazione della causa in pubblica udienza (art. 375, comma secondo, cod. proc. civ.);
P.Q.M.
dispone trattarsi la causa in pubblica udienza e la rinvia a tal fine a nuovo ruolo. Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della