Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14759 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14759 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/05/2024
ORDINANZA
Sul ricorso R.G.N. 31456/2021
promosso da
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO e dell’AVV_NOTAIO, che la rappresentano e difendono in virtù di procura speciale in atti;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del Sindaco pro tempore , elettivamente domiciliata in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO (Avvocatura capitolina), presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3848/2021 della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, pubblicata in data 25/05/2021 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta all’udienza in camera di consiglio del 17/01/2024 dal Cons. NOME COGNOME;
letti gli atti del procedimento in epigrafe.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 10445/2017 il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE ha accolto parzialmente l’impugnazione proposta da RAGIONE_SOCIALE, ora RAGIONE_SOCIALE (di seguito, RAGIONE_SOCIALE) contro gli avvisi di pagamento, emessi da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE il 03/02/2006, notificati il 07/03/2006), per complessivi € 30.097,80, a titolo di credito residuo relativo ai canoni di locazione degli impianti pubblicitari di proprietà comunale denominati ‘RAGIONE_SOCIALE‘, riferiti all’anno 2001.
In particolare, il Tribunale ha respinto l’eccezione di prescrizione del credito, ma ha ritenuto spettante la riduzione nella misura del 30%, dell’originario importo, ritenendo legittima l’applicazione dell’IVA sulla somma dovuta.
Con sentenza n. 3848/2021 la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE ha respinto l’appello principale di RAGIONE_SOCIALE e ha accolto l’appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, dichiarando interamente dovute le somme portate dai menzionati avvisi di pagamento.
Avverso quest’ultima decisione, RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso, e ha depositato anche memoria difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 9, comma 7, d.lgs. n. 507 del 1993, così come novellato dall’art. 145, comma 55, l. n. 388 del 2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’appello fornito un’interpretazione della norma contraria al testo letterale della norma e all’interpretazione della stessa fornita dal Consiglio di Stato e, in via indiretta, da questa Corte di legittimità.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 112 e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., per avere la Corte d’appello adottato una motivazione perplessa e incomprensibile, nella parte in cui ha rigettato il motivo di appello riferito all’eccepita prescrizione, attribuendo rilevanza alla proroga -dal 31/01/2001 al 31/05/2001 – del termine di pagamento dei canoni pubblicitari RAGIONE_SOCIALE (previsto dal Regolamento allora vigente -rectius Deliberazione C.C. n. 289/94) per l’anno 2001, avvenuta in base alla ‘nota protocollo’ comunale n. 664 del 13/01/2001.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta l’illegittimità della decisione per omesso esame circa un fatto allegato, oggetto di discussione tra le parti, decisivo per il giudizio e non contestato, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per non avere la Corte di appello tenuto conto del fatto storico e principale risultante dagli atti di cui al doc. 6 del fascicolo del giudizio riassunto, nonché dai documenti nn. 32 e 33 del Fascicolo del giudizio riassunto, prodotti dalla ricorrente in primo grado, comprovanti l’esatto inserimento nella ‘Procedura di riordino’ degli impianti pubblicitari fatti oggetto degli avvisi opposti, in ottemperanza ai regolamenti comunali allora vigenti, nonché per non avere considerato il fatto che la medesima procedura -per tali impianti – si fosse conclusa con esito positivo, da intendersi come circostanza pacifica, in assenza di contestazioni sul punto, risultanti dalla pronuncia di primo grado.
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345, comma 2, c.p.c., con conseguente violazione e/o falsa applicazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., laddove la Corte d’appello anziché dichiarare d’ufficio l’inammissibilità della nuova eccezione illegittimamente introdotta per la prima volta con l’appello incidentale da RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE, l’ha ritenuta fondata e condivisibile, con conseguente accoglimento dell’appello incidentale medesimo.
Con il quinto motivo di ricorso è dedotta la violazione degli artt. 3, comma 1, n. 1, e 4, commi 4 e 5, lett. i, d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 10, comma 1, n. 8, d.P.R. n. 633 del 1972, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto assoggettabile ad IVA il canone di locazione/affitto degli impianti pubblicitari pubblici oggetto di controversia.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
2.1. Parte ricorrente ha dedotto che la Corte d’appello ha operato un’interpretazione dell’art. 9, comma 7, d.lgs. n. 507 del 1993, nel testo modificato dall’art. 145, comma 55, d.lgs. n. 388 del 2000, vigente ratione temporis (poi abrogato dalla l. n. 160 del 2019), contrario al significato letterale e dall’interpretazione offerta dal Consiglio di Stato e, indirettamente, da questa Corte di legittimità.
2.2. Occorre precisare che il d.lgs. n. 507 del 1993 reca disposizioni volte alla revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle provincie nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n 421, concernente il riordino della finanza territoriale.
Gli articoli 137 d.lgs. cit. disciplinano l’imposta comunale sulla pubblicità e i diritti sulle pubbliche affissioni.
In particolare, l’art. 9 d.lgs. cit. reca disposizioni che attengono al pagamento dell’imposta sulla pubblicità e, nel testo vigente ratione temporis (poi modificato dall’art. 1 l. n. 296 del 2006 n. 296 e abrogato dall’art. 1, comma 847, l. n. 160 del 2019), reca
disposizioni che attengono al pagamento dell’imposta sulla pubblicità.
Il comma 7 dell’articolo appena richiamato, nel testo modificato dall’art. 145, comma 55, d.lgs. n. 388 del 2000, vigente prima dell’abrogazione operata dalla l. n. 160 del 2019, precisa che: «7. Qualora la pubblicità sia effettuata su impianti installati su beni appartenenti o dati in godimento al comune, l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità non esclude quella della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, nonché il pagamento di canoni di locazione o di concessione commisurati, questi ultimi, alla effettiva occupazione del suolo pubblico del mezzo pubblicitario» .
2.3. L’interpretazione della norma operata dalla Corte d’appello è corretta, sia sotto il profilo letterale, che sotto il profilo logico. Sul piano letterale, infatti, la locuzione «commisurati, questi ultimi» non può che riferirsi ai soli canoni di concessione, che la norma nomina per ultimi, dopo i canoni di locazione ( «canoni di locazione o di concessione commisurati, questi ultimi» ), altrimenti la locuzione suindicata non avrebbe alcun senso, poiché sarebbe stato sufficiente dire che il pagamento di canoni di locazione o di concessione erano commisurati (entrambi) alla effettiva occupazione del suolo pubblico del mezzo pubblicitario. Si è voluto, invece, distinguere, da parte del legislatore, i canoni di locazione, che si riferiscono all’uso di impianti pubblici, ossia dell’ente comunale, dai canoni di concessione, che riguardano gli impianti privati, per i quali occorre una concessione di suolo pubblico. Sul piano dell’interpretazione logica, è – per vero – evidente che, proprio perché necessariamente oggetto di una concessione, il canone relativo agli impianti privati non può che essere commisurato «alla effettiva occupazione del suolo pubblico del mezzo pubblicitario» . Per contro, il canone di locazione di impianti comunali, da adibire a pubblicità, è stato correttamente computato
nella specie – trattandosi di impianti comunali – sulla base della superficie espositiva utilizzato dal mezzo pubblicitario.
Sono pertanto irrilevanti ai fini della statuizione i precedenti invocati, che attengono, appunto, a fattispecie diverse da quelle in esame. In particolare, la richiamata pronuncia del Consiglio di Stato (Cons., Stato, Sez. V, Sentenza n. 2942 del 22/05/2012) ha dichiarato l’illegittimità parziale di un regolamento comunale relativo alla COSAP, affermando che il canone COSAP deve essere calcolato dal RAGIONE_SOCIALE con riferimento alla effettiva occupazione di suolo pubblico (e non con riguardo alla dimensione del cartello e del messaggio esposto). Anche la sentenza di questa Corte, richiamata da parte ricorrente (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 85 del 04/01/2013), attiene alla determinazione del canone di concessione relativo a suolo pubblico su cui vengono installati impianti pubblicitari privati (v. inoltre Cass., Sez. 1, Sentenza n. 6887 del 20/03/2013, sempre in tema di occupazione di suolo pubblico con impianti pubblicitari privati).
La fattispecie nella specie esaminata è, si ribadisce, del tutto diversa, perché attiene alla locazione di impianti pubblicitari comunali, concessi in godimento a privati per svolgere attività pubblicitaria.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
3.1. Com’è noto, in virtù della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. (introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. b, d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. in l. n. 134 del 2012) non è più consentita l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. «per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio» , ma soltanto «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» .
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la richiamata modifica normativa ha avuto l’effetto di limitare il vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In particolare, la riformulazione appena richiamata deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 prel., come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è divenuta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In altre parole, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. ancora Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 13248 del 30/06/2020).
A tali principi si è uniformata negli anni successivi la giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte precisato che la violazione di legge, come sopra indicata, ove riconducibile alla violazione degli artt. 111 Cost. e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., determina la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1,
n. 4, c.p.c. (così Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; conf. Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass., Sez. L, Sentenza n. 27112 del 25/10/2018; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).
Questa Corte ha, in particolare, affermato che il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 3819 del 14/02/2020).
Ricorre, dunque, il vizio di motivazione apparente della sentenza, quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 13248 del 30/06/2020).
Ovviamente, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante – costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della Corte di cassazione, con la conseguenza che non è denunciabile col ricorso per cassazione, come vizio della decisione, restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di
legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali.
3.2. Nel caso di specie, la Corte di appello ha ritenuto, con riferimento all’eccezione di prescrizione, quanto segue: «Come ritenuto dal Tribunale, il pagamento del corrispettivo dovuto a titolo di canone, a norma della Deliberazione 1016/94, era consentito in rate trimestrali e per l’anno 2001 l’Amministrazione Capitolina aveva prorogato al 31 maggio 2001 il termine per il versamento del canone (Nota prot. 664 del 13 gennaio 2001; Doc. 1 -fascicolo di primo grado RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE). Pertanto, gli avvisi di pagamento contestati, notificati in data 7 marzo 2006, risultano pienamente tempestivi in relazione alla prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c. Non è condivisibile ritenere che ai fini del diverso decorso della prescrizione l’Amministrazione avesse l’obbligo di comunicare alla RAGIONE_SOCIALE affittuaria degli impianti RAGIONE_SOCIALE la proroga del termine. Si consideri infatti che quest’ultima era conseguita alle proroghe del termine per l’approvazione del bilancio comunale e che di detta proroga era stata fatta del resto espressa menzione negli avvisi di pagamento opposti.» (p. 8-9 della sentenza impugnata).
3.3. Secondo parte ricorrente, così argomentando, il giudice dell’appello ha posto alla base del proprio convincimento una circostanza desunta esclusivamente da un mero documento interno dell’amministrazione comunale (ovvero la succitata ‘nota protocollo’ amministrativa n. NUMERO_DOCUMENTO del 13/01/2001), dando rilievo a una prova non concreta e priva di valore ai fini derogatori di una previsione regolamentare. Inoltre, sempre secondo parte ricorrente, anche a voler prescindere dal fatto che una eventuale proroga avrebbe dovuto esser emanata solo con apposita deliberazione comunale, contrariamente a quanto apoditticamente aggiunto dalla Corte d’Appello, nessun cenno alla menzionata nota era contenuto negli impugnati avvisi.
3.4. È tuttavia evidente che la censura non attiene alla impossibilità di comprendere la ratio decidendi che, in effetti, risulta comprensibile e ben compresa dalla stessa ricorrente, che, però, non l’ha condivisa, per ragioni attinenti a valutazioni di merito, di certo non deducibili in questa sede.
Com’è noto, il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 12652 del 25/06/2020). Resta impregiudicata, peraltro, la possibilità di dedurre eventuali violazioni di legge in cui possa – in ipotesi essere incorsa la sentenza impugnata, violazioni peraltro non dedotte dalla odierna ricorrente (Cass. 3050/2023, relativa ad una vicenda del tutto simile alla presente).
Nel caso di specie, tale argomentazione difensiva, relativa alla decorrenza della prescrizione, era stata sviluppata, in particolare in comparsa conclusionale. Ebbene, la Corte -con valutazione di merito -ha ritenuto decisivo, ai fini della statuizione sulla prescrizione, che il termine per la riscossione fosse stato differito, evidenziando che l’Amministrazione non aveva l’obbligo di comunicare alla ricorrente tale differimento, che detto differimento era conseguito alle proroghe del termine per l’approvazione del bilancio comunale e che di detta proroga (e non la relativa nota) era stata menzionata negli avvisi di pagamento opposti.
La motivazione è, dunque esistente e chiara, e non è neppure contestata nella parte in cui si fonda sull’affermazione che la
proroga del termine era «conseguita alle proroghe del termine per l’approvazione del bilancio comunale» .
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
4.1. Come già evidenziato, la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. consente l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» e non più «per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio» .
La norma si riferisce al mancato esame di un fatto decisivo, che è stato offerto al contraddittorio delle parti, da intendersi come un vero e proprio fatto storico, come un accadimento naturalistico.
Costituisce, pertanto, un fatto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una questione o un punto controverso, ma un vero e proprio evento, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018; v. anche Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 13024 del 26/04/2022).
Può trattarsi di un fatto principale ex art. 2697 c.c. (un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche di un fatto secondario (un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché sia controverso e decisivo (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016), nel senso che il mancato esame, evincibile dal tenore della motivazione, vizia la decisione perché influenza l’esito del giudizio.
Non integrano, dunque, fatti il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. le mere argomentazioni o le deduzioni difensive (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 14802 del 14/06/2017), né
i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, e neppure le singole risultanze istruttorie, qualora il fatto storico rilevante sia, comunque, stato preso in considerazione (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018).
Per gli stessi motivi, non costituisce omesso esame, nei termini appena indicati, la mancata valutazione di domande o eccezioni, ovvero dei motivi di appello (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 29952 del 13/10/2022).
Come appena evidenziato, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 28887 del 08/11/2019; Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018).
Ovviamente, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante – costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della Corte di cassazione, con la conseguenza che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione, restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 37382 del 21/12/2022).
Diverso è il discorso nel caso in cui la mancata considerazione di una o più prove, che in sé non è riconducibile nel vizio previsto
dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., si risolve nell’omesso esame del fatto veicolato da tale prova, quando tale fatto è decisivo.
Come più volte affermato da questa Corte, proprio con riferimento alla prova documentale (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 18859 del 03/07/2021; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 16812 del 26/06/2018; Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 19150 del 28/09/2016; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25756 del 05/12/2014), il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione, quando il documento non esaminato offre la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito.
In altre parole, il mancato esame di un documento costituisce un vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., qualora il documento non esaminato offra la prova di fatti, primari o secondari, che siano stati oggetto della controversia, su cui si è pronunciato il giudice, e che si rivelino decisivi, essendo il loro esame è in grado di determinare un diverso esito della vertenza.
È per questo che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa.
In applicazione del disposto dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., d’altronde, la parte che propone ricorso per cassazione facendo valere l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, è, dunque, tenuta ad allegare in modo non generico il ‘fatto storico’ non valutato, il ‘dato’ testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il ‘come’ e il ‘quando’ tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua ‘decisività’ per la definizione della vertenza (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 7472
del 23/03/2017; v. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 13578 del 02/07/2020).
4.2. Nel caso di specie, la Corte d’appello, dopo aver ricostruito il quadro regolamentare che disciplinava l’agevolazione in questione, riconducibile alle delibere comunali n. 260 del 1997 e n. 86 dei 1999, ha ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE non avesse fornito la dimostrazione del possesso dei requisiti per poter fruire della riduzione tariffaria, aggiungendo che la stessa esistenza di inadempimenti, anche solo parziali, al pagamento del canone era tale da dimostrare l’oggettiva insussistenza di tali requisiti (tra i quali vi era la sanatoria degli omessi o parziali pagamenti).
La Corte di merito ha aggiunto che RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva sin dalla costituzione in giudizio in primo grado espressamente negato l’esistenza dei presupposti in diritto affinché la RAGIONE_SOCIALE potesse beneficiare della più volte citata decurtazione e, pertanto, il Tribunale, in totale assenza di riscontri probatori, non poteva fare applicazione del principio di non contestazione (p. 12-13 della sentenza impugnata).
4.3. Secondo la ricorrente, invece, la Corte di merito non ha tenuto conto della documentazione offerta dalla RAGIONE_SOCIALE, dalla quale si evinceva l’esatto inserimento nella ‘procedura di riordino’ degli impianti pubblicitari in questione, in ottemperanza ai regolamenti comunali allora vigenti, ed anche la conclusione con esito positivo di tale procedura.
In particolare, la ricorrente ha dedotto di avere documentato che, proprio in relazione a tali ‘schede di riordino’, l’allora RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE con nota prot. 34072 del 10.10.2003 e prot. 23747 del 12.8.2004 (documenti nn. 32 e 33 del fascicolo del giudizio riassunto) le aveva comunicato la positiva ultimazione delle verifiche amministrative e l’esistenza delle condizioni per l’inserimento degli impianti pubblicitari oggetto di causa tra quelli
suscettibili di rinnovo concessorio, aggiungendo che tale circostanza fattuale, ampiamente documentata e decisiva per il giudizio, era stata ritenuta pacifica dal giudice di primo grado.
4.4. Parte ricorrente non ha tuttavia riportato il tenore dei documenti che ha ritenuto decisivi e non ha spiegato perché dovevano ritenersi tali, tenuto conto che, comunque, la rinnovabilità del rapporto non necessariamente forniva la prova del diritto alla riduzione tariffaria.
In particolare, la censura difetta di autosufficienza, poiché non riproduce né il contenuto essenziale delle menzionate schede di riordino, né le note del RAGIONE_SOCIALE che conterrebbero l’esito positivo del riscontro circa la regolarità degli impianti, ai fini dell’applicazione della riduzione del 30% del canone locativo (procedura di riordino), né la comparsa di risposta di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di primo grado, dalla quale si desumerebbe la non contestazione dell’esito positivo, per la ricorrente della procedura di riordino.
Inoltre, la partecipazione o meno della ricorrente alla procedura di riordino, con specifico riferimento agli impianti di proprietà comunale concessi in locazione, in assenza di specifica deduzione che illustri tale aspetto, non dimostra l’automatica spettanza del diritto alla riduzione tariffaria, che è stata senza dubbio contestata dall’Amministrazione, come pure risultante dallo svolgimento del processo descritto dal giudice di appello.
Il quarto motivo, con il quale è dedotta la violazione dell’art. 345 c.p.c., per avere il RAGIONE_SOCIALE dedotto solo in appello la questione della procedura di riordino, è infondato.
Come sopra evidenziato, infatti, la stessa sentenza di appello ha riportato tra le difese di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, svolte già in primo grado, le deduzioni in ordine alla non operatività della riduzione del
30% per gli aderenti alla procedura di riordino non fosse applicabile alla ricorrente (p. 12-13 della sentenza impugnata).
Il quinto motivo di ricorso è infondato.
6.1. Questa Corte ha già, più volte, affermato che, in tema di IVA, gli enti pubblici non sono soggetti passivi di imposta, ai sensi dell’art. 13, paragrafo 1, della Direttiva CE del 28 novembre 2006, n. 112, per le attività od operazioni poste in essere in veste di “pubblica autorità”, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni, salvo che, in tali evenienze, il loro mancato assoggettamento all’imposta sia idoneo a provocare distorsioni della concorrenza, attuali o potenziali, di una certa importanza.
Vanno, invece, considerati soggetti passivi ai fini IVA qualora essi agiscano in forza dello stesso regime cui sono sottoposti gli operatori economici privati (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 41519 del 27/12/2021; v. anche Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 30508 del 03/11/2023; Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 17795 del 06/07/2018).
6.2. Nella specie, come si evince dalla stessa prospettazione di parte ricorrente, si tratta della locazione di impianto pubblicitario (cartellone) su strada, che è attività svolta dal RAGIONE_SOCIALE con fine di lucro, e non di attività esercitata dallo stesso quale pubblica autorità, vertendosi, dunque, in ipotesi di attribuzione dell’utilizzo di bene comunale a terzi a fronte del pagamento di canoni, quale atto meramente finalizzato all’impiego produttivo del bene stesso, di cui l’ente ha la disponibilità e la gestione, che non riguarda un servizio necessario per la comunità (così Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 41519 del 27/12/2021, ed anche Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 30508 del 03/11/2023).
Non si verte, in sintesi, di concessione in uso esclusivo di bene demaniale, bensì, come è del tutto pacifico, e come più volte affermato dallo stesso ricorrente in più punti del ricorso, di canone
di locazione di impianti comunali, sicché l’IVA deve essere corrisposta.
Il ricorso deve, in conclusione, essere respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza.
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla controricorrente, che liquida in € 6.000,00 per compenso, oltre € 200,00 per esborsi e accessori di legge;
dà atto, in applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE, nella camera di consiglio della Prima Sezione