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Canone di locazione: differenze e oneri accessori

Una società conduttrice di un negozio in una stazione ferroviaria ha contestato l’importo della locazione, sostenendo che il canone speciale per la vendita di tabacchi dovesse limitare l’intero importo. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, chiarendo la distinzione tra il canone di locazione per l’immobile e il canone concessorio per la vendita di generi di monopolio, che sono due obbligazioni distinte. Inoltre, ha confermato la legittimità di una clausola contrattuale che prevedeva un onere una tantum a carico del conduttore per la riqualificazione della stazione, riconoscendone l’interesse comune e la natura sinallagmatica.

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Canone di locazione in stazioni: la Cassazione fa chiarezza tra affitto e concessione

La recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un’interessante questione riguardante il canone di locazione per attività commerciali situate all’interno di stazioni ferroviarie che vendono anche generi di monopolio. La decisione chiarisce in modo netto la differenza tra il corrispettivo per l’affitto dei locali e il canone dovuto per la concessione statale, oltre a pronunciarsi sulla validità degli oneri accessori per la riqualificazione degli spazi comuni.

I fatti di causa: una locazione commerciale in stazione

Una società locatrice, gestore degli spazi commerciali di una grande stazione ferroviaria, intimava lo sfratto per morosità a una società conduttrice, titolare di un’attività di rivendita tabacchi e altri articoli. L’inadempimento contestato ammontava a oltre 90.000 euro.

La società conduttrice si opponeva, adducendo principalmente due motivi. In primo luogo, sosteneva che la crisi pandemica e le conseguenti misure restrittive avessero ridotto drasticamente l’attività, giustificando una riduzione del canone. In secondo luogo, contestava la legittimità di alcune clausole contrattuali, in particolare quelle relative alla determinazione del canone e a un contributo economico per opere di ristrutturazione della stazione.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello davano sostanzialmente ragione alla società locatrice, pur riconoscendo una parziale riduzione del canone per il periodo emergenziale. La controversia giungeva così dinanzi alla Corte di Cassazione.

I motivi del ricorso in Cassazione

Il ricorso della società conduttrice si basava su due argomenti principali.

Primo motivo: La corretta interpretazione del canone di locazione

Il ricorrente invocava l’applicazione di una legge speciale (L. 25/1986) che fissa un tetto massimo per il canone dovuto per le rivendite di tabacchi nelle stazioni. Secondo la sua tesi, questo limite avrebbe dovuto applicarsi all’intero importo del contratto di locazione, e non solo alla parte relativa alla vendita dei generi di monopolio.

Secondo motivo: La legittimità degli oneri accessori per ristrutturazione

Si contestava una clausola contrattuale che imponeva al conduttore il pagamento di un importo una tantum di 60.000 euro come contributo per le opere di ristrutturazione e riqualificazione dell’intero complesso della stazione. Tale onere veniva ritenuto una spesa illegittima e un indebito vantaggio per il locatore, in violazione della legge sull’equo canone (L. 392/1978).

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato entrambi i motivi del ricorso, fornendo importanti chiarimenti su ciascun punto.

Analisi del canone di locazione per rivendite speciali

La Corte ha stabilito che bisogna distinguere nettamente due rapporti giuridici diversi. Il primo è il rapporto tra il rivenditore e lo Stato (o il suo concessionario) per la vendita di generi di monopolio. Il “canone” previsto dalla legge speciale del 1986 si riferisce a questo rapporto concessorio e non al canone di locazione dell’immobile. Il suo scopo è garantire la sostenibilità di questi esercizi commerciali, che generano introiti per l’Erario.

Il secondo rapporto è quello puramente privatistico tra locatore e conduttore per l’affitto dei locali. Le parti sono libere di determinare il canone per il godimento dell’immobile e per lo svolgimento di tutte le attività commerciali non soggette a monopolio (vendita di giornali, souvenir, biglietti, etc.). La legge speciale non limita questa libertà contrattuale. Pertanto, è corretto prevedere un canone complessivo che includa sia la quota da riversare all’Erario per la concessione, sia il corrispettivo di mercato per l’uso dei locali.

Validità della clausola sugli oneri di riqualificazione

Anche il secondo motivo è stato ritenuto infondato. La Corte ha qualificato il contributo di 60.000 euro non come un onere accessorio occulto, ma come una prestazione sinallagmatica, parte integrante dell’accordo contrattuale. Si tratta di un esborso predeterminato e una tantum, direttamente collegato a una specifica controprestazione del locatore: la realizzazione di opere di ristrutturazione dell’intera stazione.

Queste opere, secondo la Corte, generano un interesse comune e un vantaggio per entrambe le parti. Per il locatore, aumentano il valore del patrimonio immobiliare. Per il conduttore, incrementano l’appetibilità commerciale del locale, situato in un ambiente più moderno e accogliente, capace di attrarre un maggior flusso di clienti. Questa corrispettività esclude che si tratti di un vantaggio indebito per il locatore e rende la clausola pienamente legittima.

Le conclusioni

L’ordinanza della Cassazione offre due principi di grande rilevanza pratica. Primo, nelle locazioni commerciali che includono la vendita di generi di monopolio, il canone di locazione è liberamente negoziabile tra le parti per tutto ciò che non riguarda strettamente la concessione statale. Secondo, è legittimo prevedere oneri a carico del conduttore, anche ingenti e una tantum, se questi sono chiaramente determinati e legati a una controprestazione del locatore che genera un vantaggio reciproco, come la riqualificazione dell’immobile o del complesso in cui esso è inserito.

Il canone previsto per le rivendite di tabacchi in stazione limita l’intero canone di locazione del locale?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il canone massimo previsto dalla L. 25/1986 si riferisce unicamente al corrispettivo per la concessione della vendita di generi di monopolio e non limita la libertà delle parti di pattuire un canone di locazione di mercato per l’uso dei locali e per la vendita di altri prodotti.

È legittimo imporre al conduttore un contributo una tantum per le opere di ristrutturazione del complesso in cui si trova l’immobile?
Sì, è legittimo se tale contributo è predeterminato nel contratto e corrisponde a una specifica prestazione del locatore (le opere di ristrutturazione) che genera un interesse comune e un vantaggio per entrambe le parti, come l’aumento dell’attrattiva commerciale del locale.

Come si distingue il canone di locazione dal canone concessorio in una rivendita di generi di monopolio?
Il canone concessorio è il corrispettivo dovuto allo Stato (o a chi per esso) per l’autorizzazione a vendere prodotti di monopolio (es. tabacchi) ed è regolato da norme speciali. Il canone di locazione è il corrispettivo dovuto al proprietario per il godimento dell’immobile, la cui determinazione, per la parte non relativa ai monopoli, è lasciata alla libera contrattazione tra le parti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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