Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 34250 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 34250 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 2363/2022 proposto da
COGNOME rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrente –
-contro-
COMUNE DI COGNOME, in persona del legale rappres. p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura speciale in atti;
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato ;
-controricorrenti-
avverso la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Genova , n. 697/2021, depositata il 18.06.2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
21/11/2024 dal Cons. rel., dott. COGNOME.
RILEVATO CHE
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., in data 7.3.2018, NOME COGNOME chiedeva al Tribunale di Imperia di condannare il Comune di Bordighera alla restituzione delle maggiori somme versate dalla stessa, a titolo di canone concessorio demaniale marittimo nel periodo 2009-2016, esponendo che: il canone corrisposto in tale arco temporale era stato determinato in violazione della legge tanto che lo stesso Comune aveva provveduto, nel 20 17, a ricondurlo all’originario importo; era titolare di una concessione demaniale marittima, assentita a suo tempo con c.d.m. n. 68/2003 del 6.8.20 03, per il periodo dall’1.1. 2003 al 31.12.2008, oggetto di rinnovo sino fino al 31.12.2014 e quindi di proroga fino al 31.12.2020; tale concessione aveva ad oggetto due mappali, ubicati sul lungomare di Bordighera, su cui insistevano dei fabbricati adibiti a ristorante realizzati dalla stessa ricorrente; il canone, inizialmente pari a euro 21681,70 dal 2003 al 2008, era stato oggetto di abnorme incremento a euro 66.714,60 e oltre, a seguito della riclassificazione avvenuta nel 2009 di una porzione degli immobili adibiti a ristorante, con applicazione dei criteri OMI; il Comune non aveva deciso sulla sua istanza di rideterminazione del canone, avendo poi adito il Tar che, con sentenza del 2017, aveva dichiarato illegittimo il silenzio-dissenso impugnato ordinando al Comune di provvedere al riguardo; il Comune aveva ottemperato alla suddetta sentenza, riavviando il procedimento e ricalcolando il canone nella somma di euro 8125,17 all’anno, riconducendolo all’importo originario; tuttavia, il Comune non le aveva restituito le somme corrisposte in eccedenza alla
somma dovuta a seguito del predetto ricalcolo; con ordinanza del 16.8.2019, il Tribunale, ritenuta la giurisdizione del giudice ordinario, rigettava la domanda della ricorrente, osservando che l’istanza restitutoria non poteva essere accolta, non risultando agli atti alcun provvedimento amministrativo di rettifica e rideterminazione del canone concessorio con effetti ex tunc, evidenziando che, pur avendo l’ente pubblico disposto la rettifica del canone, con applicazione dei più bassi valori tabellari, la rideterminazione del canone decisa aveva regolato il rapporto concessorio solo ex nunc, senza effetti retroattivi. Avverso tale ordinanza, la ricorrente proponeva appello, che la Corte territoriale rigettava, con sentenza del 18.6.2021, osservando che: anzitutto con la sentenza del Tar Liguria del 21.6.2017 era stata accolta la sola domanda dell’appellante volta ad ottenere l’ordine al Comune di adottare un provvedimento espresso e motivato sulla sua richiesta in data 8.11.2016 di rideterminazione del canone concessorio- di cui alla concessione in proroga del 16.12.2015- essendo fino ad allora emersa l’inerzia dell’E nte locale; il Tar aveva, invece, dichiarato inammissibile la domanda della ricorrente intesa all’accertamento dell’illegittimità del canone in quanto determinato anche con riferimento ad un’area non appartenente al demanio marittimo, sia perché non erano state evocate in giudizio anche le altre amministrazioni interessate, sia perché nei giudizi sul silenzio del Comune il giudice non aveva il potere di accertare la fondatezza della richiesta, fatta eccezione per quei casi in cui si trattasse di attività vincolata o non residuassero ulteriori margini di esercizio della discrezionalità amministrativa, o non fossero necessari adempimenti istruttori dell’amministrazione; il Tar aveva infatti evidenziato che non sussistevano i suddetti presupposti, in considerazione dei profili di discrezionalità riguardanti la materia dell’autotutela e della complessità della situazione di fatto , che
implicava l’accertamento d’attività istruttorie per definire l’assetto dominicale dell’area in contestazione; il Comune aveva emesso un solo provvedimento di rettifica del canone demaniale per l’anno 2017 e a far data dall’1.1. 2017, per cui, in mancanza di altro provvedimento che rideterminasse il canone per il periodo 2009-2016 (oggetto della domanda), non si poteva ritenere ravvisabile l’indebito lamentato poiché i pagamenti ritenuti in eccedenza dalla ricorrente non erano riferibili al suddetto periodo; attesi i profili di discrezionalità in materia di autotutela, e data la contestazione da parte delle due amministrazioni appellate (Comune di Bordighera e Agenzia del demanio) circa l’assunta non demanialità dei due suddetti immobili, non era possibile desumere dall’unico provvedimento e messo da parte del Comune, relativo al 2017, che anche per il pregresso periodo 2009/2016 il canone avrebbe dovuto essere rideterminato secondo i criteri indicati dalla ricorrente; tra l’altro, la misura del canone rideterminato non corrispondeva esattamente a quella sostenuta dalla ricorrente, perché il provvedimento emesso riguardava comunque una cifra diversa (euro 815,17); pertanto, neppure il dato quantitativo della rideterminazione del canone per l’anno 2 017 poteva far ritenere che il Comune avesse, anche implicitamente, accettato e fatto propria la tesi dell’appellante circa l’asserita non demanialità dei suddetti due immobili, non essendo nel provvedimento di cui alla nota 19429 (che aveva rettificato il canone) menzionata una simile motivazione; l’appellante non aveva impugnato i provvedimenti amministrativi in cui era stata affrontata la questione della demanialità dei suddetti beni. NOME COGNOME ricorre in cassazione con quattro motivi. L’Agenzia del Demanio e il Comune di Bordighera resistono con controricorso.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione degli artt. 1, 2, l. n. 241/90, 97 Cost., 1325, n.4, 1175, 1375, cc, per aver la Corte d’appello ritenuto, in conformità del provvedimento impugnato, che il provvedimento di rideterminazione del canone non avesse efficacia per il passato, ma solo a decorrere dall’1.1. 2017, soggiungendo al riguardo che né da quest’ultimo atto, né dagli altri atti del procedimento si evinceva il riconoscimento, da parte del Comune, della natura non demaniale degli immobili.
In particolare, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe in tal modo violato i principi di diritto in materia di individuazione del cd. provvedimento amministrativo implicito, che sarebbe stato ravvisabile dall’esito del procedimento promosso dalla richiesta della ste ssa ricorrente all’Agenzia del Demanio in ordine a i criteri di rideterminazione dei canoni.
Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 1362, 1363, 1366, c.c., 3 l. n. 241/90 , per aver la Corte d’appello male interpretato il provvedimento di rideterminazione dei canoni, adottando il solo criterio letterale, senza indagare la condotta complessiva del Comune, che l’avrebbe indotta a ravvisare nel provvedimento del 2017 una rettifica dei canoni conseguente (cioè che implicitamente presupponeva) all’accertamento dello status dominicale degli immobili. A tale riguardo, la ricorrente- premesso che argomentare in conformità della sentenza impugnata avrebbe reso il provvedimento di rideterminazione dei canoni privo di fondamento logico-giuridica – lamenta che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare: il contenuto dell’istanza dell’8.11. 2016 che aveva avviato tale procedimento, nella quale la richiesta di revisione del canone presupponeva la verifica dell’effettiva classificazione giuridica degli immobili: la sentenza del Tar Liguria n.
550/201, adito dalla ricorrente, che aveva rinviato al Comune l’esperimento di attività istruttorie per definire l’assetto dominicale dell’area in contestazione (sul punto, la ricorrente si duole specificamente che il giudice di secondo grado non avesse tenuto conto della suddetta sentenza affermando che dal provvedimento di rettifica sarebbe stato desumibile che i beni immobili per cui è causa non sarebbero stati acquisiti al demanio marittimo); la nota del 4.8.2017 del Comune, con cui era stato richiesto un parere all’Agenzia del Demanio sull’istanza della ricorrente, nel quale era fatto riferimento alla sentenza del Coniglio di Stato n. 626/13 (che enunciava un principio di diritto conforme a quello invocato dalla medesima ricorrente).
La ricorrente conclude la doglianza affermando che lo scostamento dell’importo del canone dovuto per il 2017 da quello definitivamente rideterminato dal Comune non fosse significativo, perché afferente a somma irrisoria (euro 2,67).
Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 1, l. n. 241/90, 7, 29 CPA, 100 c.p.c., con riferimento al principio di acquiescenza ai provvedimenti amministrativi, per aver la Corte territoriale interpretato il provvedimento di rettifica nel senso che esso non presupporrebbe il riconoscimento, neanche implicito, della non demanialità degli immobili, ponendo a fondamento dell’argomentazione l’assunto secondo il quale l’appellante non aveva impugna to i provvedimenti amministrativi nei quali era affermata tale demanialità, così prestando acquiescenza agli stessi.
Il quarto motivo denunzia violazione degli artt. 1339, 1419,2033, c.c., 11, l. n. 2141, 3 d.l. n. 400/93, per aver la Corte d’appello affermato che il provvedimento di rettifica avesse efficacia ex nunc , poiché, trattandosi di violazione di norme imperative, i criteri applicati
dovrebbero essere sostituiti automaticamente da quelli legali, ex artt. 1419 e 1339, c.c.
Il primo motivo appare inammissibile in quanto attiene ad una questione nuova, con riferimento alla sussistenza del provvedimento implicito rispetto a quello di rettifica dei canoni concessori, avente ad oggetto l’accertamento della non demanialità degli immobili oggetto della stessa concessione.
Il motivo è comunque per altro verso del tutto infondato, in assenza di idonei elementi argomentativi tali da indurre a ravvisare tale provvedimento implicito alla stregua dei requisiti elaborati dalla giurisprudenza amministrativa per configurarne la sussistenza (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, n. 2456/2018 cit.).
E’ infatti al proposito necessario: ‘a) che debba pregiudizialmente esistere, a monte, una manifestazione espressa di volontà (affidata ad un atto amministrativo formale o anche ad un comportamento a sua volta concludente), da cui possa desumersi l’atto implicito: e ciò in quanto la rilevanza relazionale dei comportamenti amministrativi deve essere apprezzata, in termini necessariamente contestualizzati, nel complessivo quadro dell’azione amministrativa; b) che, per un verso , la manifestazione di volontà a monte provenga da un organo amministrativo competente e nell’esercizio delle sue attribuzioni e, per altro verso, nella stessa sfera di competenza rientri l’atto implicito a valle (non palesandosi, in difetto, lecita la valorizzazione del nesso di presupposizione); c) che non sia normativamente imposto il rispetto di una forma solenne, dovendo operare il generale principio di libertà delle forme (ex art. 21 septies cit.); d) che dal comportamento deve desumersi in modo non equivoco la volontà provvedimentale, dovendo esistere un collegamento esclusivo e bilaterale tra atto implicito e atto presupponente , nel senso che l’atto implicito deve essere l’unica
conseguenza possibile di quello espresso (non potendo attivarsi, in difetto, il meccanismo inferenziale di necessaria implicazione); e) che, in ogni caso, emergano ex factis (avuto riguardo al concreto andamento dell’iter procedimentale e alle effettive acquisizioni istruttorie: cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 1034/2018) gli elementi necessari alla ricostruzione del potere esercitato.
Nella specie, rilevato che l’accertamento relativo alla demanialità o meno avrebbe presupposto l’adozione della forma scritta da parte del Comune, trattandosi di immobili, dalla condotta del Comune non emerge, in maniera univoca, una volontà provvedimentale volta all’accertamento dello status degli immobili.
In ogni caso, va conclusivamente rilevato che la ricostruzione della volon tà dell’Ente comunale è stata fondata, nella sentenza impugnata, su un accertamento di fatto, come tale non sindacabile innanzi a questa Corte.
Il secondo motivo è inammissibile perché diretto a contrapporre alla qualificazione giuridica della Corte d’appello un’altra fondata su di una diversa ricostruzione dei fatti, senza dolersi in modo puntuale e specifico di violazione dei canoni ermeneutici.
Il terzo motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi , fondata sul mancato previo accertamento della non demanialità degli immobili, considerando che la mancata acquiescenza avrebbe presupposto l’impugnativa degli atti in questione.
Il quarto motivo è parimenti inammissibile. Invero, la ricorrente censura l’argomentazione della Corte d’appello sull’efficacia ex nunc del provvedimento di rettifica dell’importo del canone, con la conseguente esclusione del denunciato indebito relativo alla pretesa eccedenza nel pagamento del canone nel periodo 2009/2016.
In particolare, la ricorrente assume che il diritto alla restituzione dei canoni versati in eccedenza si fonda sulla natura non demaniale dell’area in concessione, in quanto i canoni erano stati calcolati illegittimamente secondo il criterio ex art. 3, c.1, lett. b), n 2.1. DL n. 400/93, considerando appunto tale area come pertinenza demaniale marittima.
Tuttavia, la ricorrente contesta che la porzione dell’area in concessione, ove insistevano fabbricati, sia mai stata acquisita al demanio marittimo, a norma dell’art. 49 cod. nav., in presenza di plurimi rinnovi del rapporto concessorio sicché, a suo dire, non sussisterebbe il presupposto per la determinazione dei canoni della cui restituzione si controverte.
L’art. 49 cod. nav. dispone che: ‘I. Salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato . II. In quest’ultimo caso, l’amministrazione, ove il concessionario non esegua l’ordine di demolizione, può provvedervi di ufficio a termini dell’articolo 54 ‘.
L’assunto da cui muove la ricorrente è però erroneo, in quanto nella specie l’iniziale concessione era scaduta e successivamente rinnovata nel 2011 (retroattivamente dall’11.1.2009) a seguito dell’istanza di rinnovo del 2008.
Al riguardo, giova richiamare la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia Ue e dei giudici amministrativi.
Invero, l’art. 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che: esso non osta ad una norma nazionale secondo la quale, alla scadenza di una concessione per l’occupazione del demanio pubblico e salva una diversa
pattuizione nell’atto di concessione, il concessionario è tenuto a cedere, immediatamente, gratuitamente e senza indennizzo, le opere non amovibili da esso realizzate nell’area concessa, anche in caso di rinnovo della concessione (Corte giustizia UE, sez. III, 11/07/2024, n. 598: controversia promossa da un’impresa balneare che aveva impugnato le decisioni mediante le quali il Comune aveva constatato che, alla scadenza di una concessione di occupazione del demanio pubblico marittimo, le opere costruite su tali aree erano state acquisite, a titolo gratuito, dallo Stato italiano, ed aveva di conseguenza imposto il pagamento di canoni demaniali maggiorati).
A differenza della proroga della concessione che determina il prolungamento -senza soluzione di continuità -della durata della concessione in essere, il rinnovo della concessione integra gli estremi di una nuova concessione che si sostituisce alla precedente oramai scaduta. A corollario discende che nel solo caso del rinnovo, decorso il termine di durata iniziale, scaduta l’originaria concessione demaniale marittima, si verifica ipso iure , ai sensi dell’art. 49 del cod. nav.- che richiama l’istituto dell’accessione, di cui all’art. 934 c.c.- la devoluzione a favore dello Stato delle opere non agevolmente rimuovibili realizzate dal concessionario nel periodo d’efficacia della concessione scaduta, fatta poi oggetto di rinnovo; il tutto con effetto legale automatico al demanio statale. Sicché, il rinnovo della concessione non posticipa affatto l’effetto traslativo della proprietà già prodottosi alla scadenza del termine di durata della concessione (Consiglio di Stato, sez. VII, 15/09/2022, n. 8010; Consiglio di Stato, sez. VI, 03/12/2018, n. 6852).
Il principio dell’accessione sancito dall’art. 49 cod. nav. -peraltro fortemente penalizzante per il diritto dei superficiari e per gli investimenti dagli stessi effettuati -è una disposizione di stretta
interpretazione che va riferita all’effettiva e definitiva cessazione, e non alla mera scadenza, del rapporto concessorio, per la comprensibile esigenza di assicurare, in tal caso, che le opere ‘non amovibili’ realizzate dal concessionario tornino nella pi ena disponibilità dell’ente proprietario del suolo, che ne deciderà la sorte. Detta esigenza non può tuttavia ravvisarsi quando il titolo concessorio preveda forme di rinnovo automatico o preordinato in antecedenza, rispetto alla data di naturale scadenza della concessione, tanto da configurare il rinnovo stesso, al di là del ‘nomen iuris’, come una vera e propria proroga, protraendosi il medesimo rapporto senza soluzione di continuità sostanziale (Consiglio di Stato, sez. IV, 13/02/2020, n. 1146; Consiglio di Stato, sez. VI, 02/09/2019, n. 6043).
Orbene, nella specie, come detto, in vista della scadenza della concessione demaniale in data 31.12.2008, la ricorrente aveva chiesto il rinnovo della stessa e, successivamente, il Comune aveva rilasciato nuova concessione demaniale in data 21.9.2011 (successivamente prorogata con provvedimento del 16.12.2015). Ne discende che non può ritenersi che la concessione in questione sia stata oggetto di proroga, emergendo un rinnovo del rapporto concessorio che aveva ormai riguardato opere già acquisite al Demanio, a norma del citato art. 49 cod. nav., che rendeva legittimo il calcolo del canone nel periodo 2009/2016 secondo i criteri citati afferenti alle aree demaniali marittime.
Né è corretto sostenere da parte della ricorrente (pag. 20 del ricorso) che il provvedimento di rettifica del canone emesso nel 2017 fosse una conseguenza dell’accertamento della mancata acquisizione al Demanio dell’area in questione, in quanto tale provvedimento non contiene nessun riferimento, seppur tacito, alla demanialità.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Comune di Bordighera, delle spese del giudizio, che liquida nella somma di euro 5.200,00 di cui 200,00 per esborsi- oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge- e al pagamento, in favore dell’Agenzia del Demanio, della somma di euro 5.000,00 oltre alle spese prenotate a debito come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della prima sezione civile del 21