Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 28878 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 28878 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5083/2024 R.G. proposto
da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legarle rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona de Sindaco pro tempore ed elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende
Oggetto: Demanio -facoltà di godimento dei beni demaniali (concessioni) -Determinazione del canone demaniale ex art. 1, comma 251, l. n. 296 del 2006 – Criterio della destinazione delle pertinenze – Fattispecie.
R.G.N. 5083/2024
Ud. 18/09/2025 CC
-controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legarle rappresentante pro tempore e domiciliata ope legis in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA RAGIONE_SOCIALE DELLO STATO che la rappresenta e difende
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO ROMA n. 5110/2023 depositata il 13/07/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 18/09/2025 dal Consigliere AVV_NOTAIO. NOME AVV_NOTAIONOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 5110/2023, pubblicata in data 13 luglio 2023, la Corte d’appello di Roma, nella regolare costituzione degli appellati RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, ha accolto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Civitavecchia n. 471/ 2020 e per l’effetto ha integralmente respinto le domande proposte da RAGIONE_SOCIALE
La società RAGIONE_SOCIALE – titolare di una concessione demaniale marittima relativa ad un tratto di arenile ove esercita uno stabilimento balneare con annesso ristorante-bar-pizzeria – aveva convenuto in giudizio RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE, per sentir accertare l’illegittimità sia della nota prot. n. 34022 del 20/4/2010, con cui il RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE aveva richiesto il pagamento della complessiva somma di € 213.186,48 per i canoni concessori dovuti per gli anni 2007, 2008 e 2009, comprensiva dell’importo di € 43.672,70 costituente l’integrazione dei suddetti canoni in relazione alle medesime annualità, sia della successiva nota
prot. n. 62992 del 2/8/2010 a mezzo della quale il medesimo RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE aveva riscontrato negativamente la richiesta di riesame dei suddetti canoni avanzata dalla concessionaria.
La società attrice aveva contestato la richiesta di pagamento sotto vari profili, tra cui la presunta illegittimità dell’applicazione, ai fini del calcolo dei canoni demaniali dovuti per le pertinenze demaniali destinate ad attività di ristorante bar, dei valori OMI (Osservatorio mercato immobiliare) relativi alle attività commerciali anziché quelli afferenti al terziario.
Costituitasi RAGIONE_SOCIALE e rimasto contumace il RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE, il Tribunale di Civitavecchia, previo espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, aveva accolto parzialmente la domanda, dichiarando la erroneità del calcolo dei canoni di concessione di cui alla nota Prot. 34022 del 20.4.2010 e alla nota Prot. 62992 del 2.8.2010 del RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE con riferimento all’area considerata per le pertinenze destinate ad attività commerciali e per quelle destinate ad attività strumentali, nonché per aver utilizzato i valori OMI del settore commerciale anziché quelli del settore terziario e dichiarando che i canoni di cui alla concessione demaniale oggetto di causa per gli anni 2007, 2008 e 2009 dovevano essere determinati nella misura di € 27.733,65 per l’anno 2007, di € 27.908,52 per l’anno 2008 e di € 26.432,64 per l’anno 2009.
Proposto appello da parte della RAGIONE_SOCIALE e costituitisi sia RAGIONE_SOCIALE sia il RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE -quest’ultimo aderendo all’appello la Corte d’appello di Roma ha accolto il gravame.
In sintesi, la Corte capitolina, dopo aver escluso che la tardiva costituzione nel giudizio di prime cure di RAGIONE_SOCIALE precludesse alla stessa di impugnare la decisione contestandone la
giuridica fondatezza e sollevando mere eccezioni in senso lato, ha, in primo luogo, ritenuto che nella specie si vertesse in tema di pertinenze demaniali marittime, essendosi integrati i presupposti di cui all’art. 29 Cod. Nav. -con conseguente applicabilità dell’art. 1, co mma 251, lett. b, punto 2.1 della Legge n. 27/12/2006 n. 296 -essendo stati i manufatti già incamerati da parte dello Stato.
Operata tale premessa, la Corte d’appello, richiamando propri precedenti, ha ritenuto pertanto che una corretta applicazione del l’art 27 comma 1, lett. a), D. Lgs. n. 114/1998 comporta l’applicazione alle pertinenze destinate all’uso commerciale dei valori OMI per il settore commerciale e non per quello terziario.
La decisione impugnata, infatti, rilevato che l’art. 1, comma 251, della Legge n. 296/2006 aveva previsto la determinazione dei canoni demaniali marittimi sulla base di parametri oggettivi fissati ope legis , consistenti in valori tabellari per le aree scoperte e le opere stabili, e nei valori OMI per le attività commerciali svolte allo interno degli stabilimenti balneari, ha ritenuto che il Comune si fosse correttamente adeguato agli stessi, dovendo considerarsi come destinazione commerciale quella a bar-ristorante, e come destinazione a terziario quella ad uffici o a pertinenze demaniali che non costituiscano beni strumentali all’attività concessoria.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre RAGIONE_SOCIALE
Resistono con separati controricorsi RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, testualmente, ‘erroneità e nullità della pronuncia per erroneità, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c.’ .
Si censura la decisione della Corte d’appello di Roma nella parte in cui la stessa ha ritenuto che nella specie le opere realizzate dalla ricorrente costituissero pertinenze demaniali marittime, essendosi integrati i presupposti di cui all’art. 29 Cod. Nav. per effetto dell’avvenuto incameramento di tali manufatti da parte dello Stato.
La ricorrente si duole di un ‘errore di valutazione della documentazione di causa’ , in quanto la Corte avrebbe valorizzato un verbale del processo di incameramento di manufatti tra i beni dello Stato, laddove tale documento sarebbe privo dei requisiti per essere effettivamente ritenuto fonte di un incameramento delle strutture realizzate dal concessionario, essendo stato stilato in assenza del concessionario.
Vi sarebbe, pertanto, un errore di valutazione del CTU che sarebbe poi stato fatto proprio dalla decisione impugnata.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, testualmente, ‘violazione ed errata applicazione dell’art. 1, punto 2.1 e punto 1 lett. b) comma 251 della Legge n. 296/2006 e dell’art. 27 del D.lgs. 114/1998, omesso e comunque non corretto esame degli atti e documenti di causa, dai quali risultava la non sussistenza delle pertinenze demaniali, errata applicazione dei principi stabiliti dalla costante giurisprudenza amministrativa e della Suprema Corte sulle pertinenze demaniali, sull’incameramento delle opere realizzate dal concessionario ‘ .
Censurando il medesimo passaggio della decisione impugnata, la ricorrente contesta che i manufatti potessero ritenersi pertinenze demaniali, richiamando la giurisprudenza amministrativa sui
presupposti di applicazione dell’art. 49 Cod. Nav. e deducendo che, nello specifico caso, il titolo concessorio era stato fatto oggetto di rinnovo automatico.
Deduce, quindi, che le pertinenze in questione non dovevano essere ricomprese nel calcolo del canone demaniale, in quanto opere di proprietà del concessionario in regime di superficie.
Richiama ulteriormente l’art. 100, D.L. n. 104/2020, che prevederebbe una riduzione del canone demaniale con effetto retroattivo.
Conclude: ‘Da quanto sopra si evince l’illegittimità della sentenza impugnata, la quale è fondata su un errato presupposto di diritto, per il quale le opere realizzate dal concessionario sarebbero devolute allo Stato, sia per l’evidente errore di valutazione di cui a l primo motivo di impugnazione; sia anche, perché, come visto sopra, in ogni caso, secondo lo ius superveniens, ma anche secondo la costante giurisprudenza amministrativa, il momento devolutivo delle opere può intervenire solo con l’estromission e del concessionario dalla concessione, circostanza, questa, non verificatasi pacificamente nella fattispecie, nella quale l’odierna ricorrente è nel legittimo possesso di una concessione demaniale rinnovata nel tempo, senza soluzione di continuità. ‘
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, nn. 3, 4, 5, c.p.c., la nullità dell’impugnata sentenza ‘ per omessa e/ o errata pronuncia su un fatto decisivo del giudizio e, comunque, per omessa e/o carente motivazione’ .
Si censura la decisione impugnata in relazione alla individuazione dei valori OMI da applicare, deducendo che i valori OMI da applicare al calcolo delle pertinenze demaniali, sono quelli del Terziario e non quelli
del Commerciale, richiamando sul punto anche la posizione assunta dalla Corte di giustizia UE.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce -ancora una volta – in relazione all’art. 360, n n. 3, 4, 5, c.p.c., la nullità dell’impugnata sentenza ‘ per omessa e/ o errata pronuncia su un fatto decisivo del giudizio e, comunque, per omessa e/o carente motivazione’ .
La ricorrente impugna la decisione della Corte capitolina nella parte in cui quest’ultima ha ritenuto ammissibili le censure svolte da RAGIONE_SOCIALE in sede di appello anche alla CTU.
Argomenta, in particolare, il ricorso che l’odierna controricorrente non solo era decaduta dalla possibilità di muovere rilievi critici alla consulenza tecnica – non avendolo fatto in sede di prime cure – ma anche nel giudizio di appello aveva introdotto temi ed argomenti nuovi.
Il ricorso, nel complesso dei motivi in cui si articola, non merita accoglimento.
2.1. Il primo motivo è inammissibile, per un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo, infatti, lo stesso si viene a basare sul generico richiamo ad atti e documenti di causa, omettendo tuttavia -in irrimediabile violazione dell’art. 366 c.p.c. di procedere alla benché minima riproduzione o adeguata localizzazione di tali elementi.
In secondo luogo, il motivo si sostanzia -per di più con un ‘ anodina ma sintomatica deduzione di ‘erroneità e contraddittorietà della motivazione’ – in una inammissibile censura rivolta al giudizio di fatto -e cioè l’affermazione del giudice di merito in ordine alla precedente acquisizione dei beni al Demanio -ed alla correlata valutazione dei dati probatori assunti dalla Corte territoriale a fondamento della propria decisione, dovendosi qui ribadire il principio -costantemente enunciato da questa Corte – per cui, nel procedimento civile, sono riservate al
giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass. Sez. 5 Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 13918 del 03/05/2022; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 6774 del 01/03/2022; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Cass. Sez. 2 Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004).
2.2. L’inammissibilità del primo motivo si riverbera sul secondo nella forma dell’assorbimento, atteso che fulcro del motivo ora in esame è ancora una volta quella contestazione della natura demaniale dei beni che è stata impugnata nel primo motivo, dichiarato, come appena visto, inammissibile.
Conseguentemente assorbite risultano anche le deduzioni concernenti l’applicazione dello ius superveniens di cui all’art. 100, comma 3, D.L. n. 104/2020.
Q uestione, quest’ultima, che sarebbe comunque inammissibile, in quanto risulta del tutto nuova -non emergendo la sua deduzione innanzi al giudice di merito senza che la ricorrente abbia offerto alcun elemento in senso contrario (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 18018 del 01/07/2024; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 20694 del 09/08/2018; ed anche Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 2193 del 30/01/2020; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14477 del 06/06/2018; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013) e che, a tacer d’altro, comporterebbe anche un giudizio di fatto non ammesso in sede di legittimità.
2.3. Inammissibile, ancora, risulta il terzo motivo, sol che si consideri che lo stesso risulta formulato in relazione all’art. 360, n n. 3, 4, 5, c.p.c., ‘ per omessa e/ o errata pronuncia su un fatto decisivo del giudizio e, comunque, per omessa e/o carente motivazione’ .
Questa Corte ha reiteratamente affermato il principio per cui è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma – e del vizio di motivazione – che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione – o quale l’omessa motivazione – che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio – e l’insufficienza della motivazione – che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi -e la contraddittorietà della motivazione -che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro.
Ciò in quanto l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di
decidere successivamente su di esse (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26874 del 23/10/2018; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7009 del 17/03/2017; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011).
Tanto vale a rendere inammissibile un motivo che, ulteriormente, da un lato non vale ad evidenziare in alcun modo le ipotesi di estrema patologia della motivazione, nei cui limiti questa Corte, a seguito della modifica dell’art. 36 0, n. 5), c.p.c. – disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con Legge 7 agosto 2012, n. 134 -ritiene ancora operante il “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022), e, dall’altro lato, viene a confondere, nel proprio argomentare, profili da tenere distinti, quali sono quello dell’applicazione della Direttiva 2006/123/CE e quello della determinazione dei canoni di concessione demaniale con riferimento a specifiche tipologie di manufatti funzionali ma ausiliari rispetto allo svolgimento dell’attività in concessione.
2.4. Inammissibile, infine, è anche il quarto ed ultimo motivo, accomunato al terzo dal profilo dell’inammissibilità della contemporanea deduzione di profili reciprocamente incompatibili sul piano logico-giuridico ed ulteriormente inammissibile in quanto formulato in radicale trasgressione del canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., dolendosi la ricorrente della deduzione in appello da parte della controricorrente – di ‘temi ed argomenti nuovi’ , senza minimamente precisarne natura e contenuto e senza individuare gli atti in cui ciò sarebbe avvenuto.
Constatazione, quest’ultima, che vale a rendere finanche superfluo il richiamo all’orientamento espresso da questa Corte per cui le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d’ufficio,
ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive, sebbene di carattere non tecnico-giuridico, che possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale e anche in appello, purché non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove ma si riferiscano all’attendibilità e alla valutazione delle risultanze della c.t.u. e siano volte a sollecitare il potere valutativo del giudice in relazione a tale mezzo istruttorio (Cass. Sez. U – , Sentenza n. 5624 del 21/02/2022).
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di Cassazione, che liquida, quanto ad RAGIONE_SOCIALE in € 6.200,00, oltre spese prenotate a debito, e, quanto a RAGIONE_SOCIALE DI
COGNOME, in € 6.400,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il giorno 18 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME