Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 28910 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 28910 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 27428/2022 r.g. proposto da:
Comune RAGIONE_SOCIALE Fiano Romano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’AVV_NOTAIO, il quale dichiara di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento a ll’ indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa , giusta procura allegata al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta
elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata in Roma, presso il suo studio, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 4903/2022, depositata il 14/7/2022
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/9 /2025 dal AVV_NOTAIO
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE effettuava il servizio energetico, di interesse pubblico, attraverso «condotte lineari, estese su tutto il territorio nazionale, che intersecano strade, autostrade, infrastrutture lineari».
Il Comune RAGIONE_SOCIALE Fiano Romano approvava, con deliberazione del consiglio comunale n. 22 del 18/6/2015, il regolamento per l’applicazione del canone di concessione non ricognitorio, ai sensi dell’art. 27 del d.lgs. n. 285 del 1992, nonché le tariffe per l’anno 2015.
La somma dovuta a tale titolo per l’anno 2015 ammontava ad euro 56.000,00.
Ai sensi del regolamento il canone concessorio non ricognitorio doveva essere versato quale corrispettivo delle occupazioni permanenti del demanio e del patrimonio stradale del Comune, comprese le occupazioni realizzate al di fuori della sede stradale.
Tale canone si aggiungeva al COSAP.
In particolare, l’allegato I al regolamento prevedeva il pagamento del canone in relazione alle occupazioni realizzate per l’erogazione di servizi pubblici in regime di concessione amministrativa, per le «ondutture sotterranee per la distribuzione
di acqua potabile, gas, energia elettrica, linee telefoniche sotterranee, intercapedini, manufatti e simili».
Per la società il canone non era dovuto in quanto gli impianti non erano riconducibili alle fattispecie sopraindicate, trattandosi di attività di trasporto e dispacciamento, ma non di «distribuzione» del gas naturale.
Il Comune emetteva quindi gli avvisi di pagamento del 21/9/2015 e del 3/3/2016, con riferimento alle annualità 2015 e 2016, nonché l’avviso di pagamento del 21/3/2017, in relazione all’anno 2017.
La società proponeva due distinti atti di citazione, da cui scaturivano due distinti giudizi, poi riuniti.
In particolare, con il primo motivo, la società deduceva la violazione e falsa applicazione degli articoli 8 e 14 del d.lgs. n. 164 del 2000, trattandosi, nella specie, del mero attraversamento del demanio stradale tramite cavi e attrezzature volti ad assicurare «il trasporto e non già la distribuzione del gas».
Con il secondo motivo deduceva la violazione e falsa applicazione degli articoli 25, 27 e 28 del d.lgs. n. 285 del 1992, in quanto l’imposizione del canone non ricognitorio era legittima solo se conseguiva a una limitazione o modulazione della possibilità del tipico utilizzo pubblico della strada, mentre nella specie trattavasi di cavi e tubi interrati, che non ne precludevano ordinariamente la generale fruizione.
Con il terzo motivo di ricorso si deduceva la violazione e falsa applicazione dell’art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997, in quanto le imposizioni determinate dal Comune attraverso il regolamento violavano i principi generali sottesi al sistema impositivo proprio della TOSAP e del COSAP, attraverso l’applicazione di un’imposizione «basata sull’estensione della rete piuttosto che sul numero delle
utenze», con un aumento spropositato a carico degli operatori. Peraltro, la TOSAP o il COSAP dovevano considerarsi come «misura massima del prelievo effettuabile a tale titolo».
Con il quarto motivo di impugnazione si deduceva la violazione e falsa applicazione degli articoli 3, 25, 27 e 28 del d.lgs. n. 285 del 1992, riferendosi la pretesa di pagamento del canone a ulteriori immobili demaniali, con particolare riferimento alle fasce di rispetto e alle aree ancora più esterne.
Sulla base di tali premesse la società chiedeva «accertare e dichiarare l’illegittimità e/o la nullità del regolamento comunale per l’applicazione del canone concessorio non ricognitorio e, per l’effetto, disapplicarlo ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865, allegato E», aggiungendo che doveva essere «accertata e dichiarata l’illegittimità e/o l’inapplicabilità della citata disposizione regolamentare, annullare o dichiarare nulli e/o inefficaci gli avvisi di pagamento».
Il tribunale di Rieti accoglieva l’eccezione sollevata dal Comune, dichiarando il proprio difetto di giurisdizione con riferimento alle contestazioni svolte dalla società circa la legittimità della delibera con la quale era stato adottato il regolamento, e segnatamente i punti II, III e IV dell’atto di citazione.
Per il tribunale le contestazioni avevano ad oggetto la sussistenza di vizi di legittimità dell’atto amministrativo e non sussistevano, nella specie, i presupposti per la disapplicazione ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865, allegato E.
Quanto al merito, il tribunale rigettava la domanda della RAGIONE_SOCIALE, non essendo condivisibile la tesi della società per cui l’attraversamento dei beni demaniali era avvenuto per assicurare il trasporto di gas naturale, «non già la sua distribuzione».
Per il giudice di prime cure, infatti, le definizioni richiamate dalla società non potevano vincolare il significato da attribuire a termini analoghi contenuti in differenti testi normativo amministrativi.
La natura di corrispettivo per l’uso del suolo o del sottosuolo del canone non ricognitorio rendeva «evidente l’indifferenza per il fatto che tale uso avvenga per finalità di trasporto o di distribuzione, come definite dal d.lgs. 23 maggio 2000, n. 164».
Avverso tale sentenza proponeva appello la società deducendo, quale primo motivo di gravame, l’errore commesso dal tribunale nell’aver dichiarato il difetto di giurisdizione in relazione ai motivi di ricorso II, III e IV dell’atto di citazione.
4.1. In realtà, il ricorso aveva ad oggetto l’impugnazione di avvisi di pagamento, in relazione ai quali era pacifica la giurisdizione del giudice ordinario, mentre del regolamento era stata chiesta esclusivamente la disapplicazione, ex art. 5, della legge n. 2248 del 1865, allegato E. La RAGIONE_SOCIALE non aveva chiesto l’annullamento del regolamento.
4.2. Con il secondo motivo di impugnazione l’appellante deduceva in relazione al rigetto del motivo I, per violazione degli articoli 8 e 14 del d.lgs. n. 164 del 2000.
Per la società appellante, infatti, vi era stata «una arbitraria equiparazione delle distinte attività di distribuzione e di trasporto di gas».
L’allegato I del regolamento comunale assoggettava al canone esclusivamente l’attività di distribuzione del gas, ma non quella di trasporto.
L’attività di trasporto del gas, però, non era un’attività di servizio pubblico in concessione.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 4903/2022, depositata il 14/7/2022, accoglieva il motivo di impugnazione
relativo alla violazione degli articoli 8 e 14 del d.lgs. n. 164 del 2000, in quanto la società RAGIONE_SOCIALE, nel territorio del Comune di Fiano Romano, non si occupava della «distribuzione del gas agli utilizzatori finali», ma esclusivamente dell’attività di «semplice trasporto», in alcun modo riconducibile nell’ambito dei servizi pubblici e, dunque, nel perimetro del regolamento comunale.
Inoltre, la Corte di merito accoglieva le doglianze della società in relazione alla dichiarazione di difetto di giurisdizione pronunciata dal tribunale.
Si trattava, in realtà, non di richiesta di annullamento del regolamento comunale, ma esclusivamente di disapplicazione del regolamento, costituente «l’antecedente logico della pronuncia sul merito».
Inoltre, il giudice di secondo grado evidenziava che la società appellante non aveva in alcun modo chiarito, a fronte del dato incontroverso dell’occupazione di porzioni del sedime stradale, «se e in quale misura il canone fosse stato richiesto in relazione a ulteriori immobili demaniali, di diversa natura».
Rilevava, poi, che l’art. 63, comma 2, lettera f), del d.lgs. n. 446 del 1997, prevedeva che per le occupazioni del suolo comunale la liquidazione avveniva in via forfettaria, ovvero sulla base del numero delle utenze.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Fiano Romano.
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE, depositando anche memoria scritta.
La Procura AVV_NOTAIO, nella persona del AVV_NOTAIO, ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «nullità della sentenza ex art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
Si censura la sentenza per avere affermato in maniera illogica e contraddittoria che la RAGIONE_SOCIALE, in quanto svolgente un’attività di mero trasporto del gas naturale, non sarebbe rientrata nella casistica prevista dal regolamento comunale, istitutivo del canone concessorio non ricognitorio, benché avesse ritenuto, in parte motiva di ‘disapplicare’, tale atto amministrativo.
Con il secondo motivo di impugnazione si deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 5 legge 2248 del 1865 allegato E, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Si censura la sentenza d’appello per aver affermato l’applicabilità del principio della disapplicazione dell’atto amministrativo.
In realtà, l’art. 4 della legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo n. 2248 del 1865, prevede la disapplicazione in via principale del provvedimento amministrativo da parte del giudice ordinario, che non può dunque annullare un provvedimento amministrativo.
L’art. 5 della stessa legge stabilisce il potere di disapplicazione del provvedimento amministrativo da parte del giudice ordinario, in via meramente incidentale.
Tuttavia, tale potere risulta applicabile nelle controversie tra privati.
Al contrario, il potere di disapplicazione non potrebbe avere rilievo «come causa del diritto del privato».
La questione della legittimità del provvedimento amministrativo può prospettarsi solo come questione pregiudiziale «in senso tecnico e non come questione principale».
La Corte di merito avrebbe erroneamente interpretato la domanda proposta dalla società dinanzi al giudice di prime cure tesa all’accertamento della illegittimità e/o nullità del regolamento comunale.
Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente si duole della «violazione e falsa applicazione dell’art. 5 legge 2248 del 1865 allegato E, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 1, c.p.c.».
Si censura la sentenza per aver affermato la giurisdizione del giudice ordinario, nonostante la domanda di nullità dell’atto amministrativo articolata dall’appellante.
Con l’atto di citazione la società avrebbe chiesto l’annullamento del regolamento comunale, mentre con l’atto d’appello vi sarebbe stata una vera e propria modifica del petitum , abbandonando l’originaria istanza dichiarativa di nullità e/o annullamento dell’atto amministrativo.
Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione degli articoli 8 e 14 del d.lgs. n. 446 del 1997, con riferimento al d.lgs. 23/5/2000, n. 164 ed al regolamento comunale per l’applicazione del canone concessorio non ricognitorio, approvato con deliberazione del consiglio comunale di Fiano Romano n. 22 del 18 giugno 2015, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Si censura la sentenza per avere affermato che l’attività della RAGIONE_SOCIALE, non essendo quella di dispacciamento del gas naturale, ma unicamente quella di mero trasporto, non sarebbe riconducibile all’ambito dei servizi pubblici richiamato dal regolamento comunale ai fini della corresponsione del canone.
Il primo motivo è infondato.
Invero, non si ravvisa, nella motivazione della sentenza della Corte d’appello di Roma, una intrinseca contraddittorietà tra le singole statuizioni adottate.
Ed infatti, da un lato la Corte territoriale ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario, qualificando la richiesta della società appellante come domanda di disapplicazione del regolamento comunale (senza però disapplicare espressamente il regolamento), in base alla valutazione ed interpretazione del «contenuto sostanziale della pretesa attorea», mentre, dall’altro ha accolto anche la domanda della società per violazione degli articoli 8 e 14 del d.lgs. n. 164 del 2000, in quanto l’attività in concreto svolta dalla RAGIONE_SOCIALE non consisteva nel dispacciamento e nella distribuzione del gas – attività ricomprese nel regolamento comunale ai fini del pagamento del canone concessorio non ricognitorio – ma nel mero trasporto del gas, non riconducibile all’ambito dei servizi pubblici richiamato dal regolamento comunale, ai fini dell’assoggettamento al regime concessorio, e quindi alla corresponsione del relativo canone.
Non si ravvisa, in tali differenti affermazioni, alcuna contraddittorietà.
La motivazione, peraltro, è presente, non solo in senso grafico, ma anche nella indicazione delle ragioni logiche e giuridiche, sottese alla decisione adottata.
6. I motivi secondo e terzo, che vanno affrontati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
La questione di giurisdizione può essere affrontata anche da questo collegio, in quanto, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., sulla questione di giurisdizione proposta si sono già pronunciate le sezioni unite di questa Corte.
Si è ritenuto, infatti, che ai sensi dell’art. 133, comma 1, lettera c), del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, la giurisdizione del giudice ordinario, riguardante le indennità, i canoni e altri corrispettivi, nella fase esecutiva del contratto di concessione, abbia ampia latitudine, giacché si estende a tutte le questioni connesse all’adempimento e all’inadempimento delle obbligazioni derivanti dalla concessione, ivi comprese le conseguenze risarcitorie, vertendosi nell’ambito di un rapporto paritetico tra le parti, ferma restando la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nei casi in cui la pubblica amministrazione eserciti poteri autoritativi tipizzati dalla legge (Cass., Sez.U., 31/12/2024, n. 35321, proprio in ordine alla quantificazione del valore industriale di rimborso a carico del nuovo concessionario rispetto al gestore uscente ex art. 14, comma 8, del d.lgs. n. 164 2000; Cass., Sez.,U., 31/12/2024, n. 35330; Cass. Sez.U., 9 febbraio 2023, n 4012; Cass. Sez.U., 12/1/2021, n. 254; Cass. Sez.U., 17/12/2020, n. 28973; Cass. Sez.U., 19/11/2020, n. 26390; Cass. Sez.U., 26/10/2020, n. 23418; Cass., Sez.U., 18/6/2020, n 11867).
In ordine poi all’esercizio dei poteri autoritativi collocati nella fase esecutiva del rapporto, questa Corte, a sezioni unite, ha chiarito che le controversie relative alla fase esecutiva delle concessioni di servizi, successivamente all’aggiudicazione, sono devolute al giudice ordinario, al quale spetta di giudicare sugli adempimenti, con indagine diretta alla determinazione dei diritti e degli obblighi dell’amministrazione e del concessionario e di valutare, in via incidentale, la legittimità degli atti amministrativi incidenti sulla determinazione del corrispettivo; resta ferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nei casi in cui l’amministrazione, seppure successivamente all’aggiudicazione definitiva, intervenga con atti autoritativi incidenti direttamente sulla procedura di
affidamento, mediante esercizio del potere di annullamento d’ufficio o di eventuali altri poteri riconosciuti dalla legge, o comunque addotti atti autoritativi in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge n. 241 del 1990, oltre che nei casi tassativamente previsti (Cass., Sez.U., 31/12/2024, n. 35321; Cass. Sez.U 18/12/2018, n 32728; Cass., Sez.U., 30/7/2020, n. 16459).
Si è anche in precedenza chiarito che alla luce della declaratoria di parziale incostituzionalità dell’art. 33 del d.lgs. n. 80 del 1998, come modificato dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000, recata dalla sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale – per effetto della quale le controversie relative a concessioni di pubblici servizi sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva, ad eccezione di quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, secondo un criterio di riparto della giurisdizione già presente nell’art. 5 della legge n. 1034 del 1971, prima delle modifiche apportate con il suddetto art. 33 – la controversia tra un’impresa concessionaria dell’impianto di distribuzione del gas metano ed il Comune concedente, avente ad oggetto l’accertamento della legittimità dell’esercizio della facoltà di riscatto anticipato di detto servizio, ai sensi dell’art. 1, comma 69, della legge n. 239 del 2004 e dell’art. 23 del d.l. n. 273 del 2005, convertito, con modificazioni, nella legge n. 51 del 2006, dopo la disposta proroga del servizio medesimo, nonché il preteso risarcimento del danno, rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, imponendosi al giudice la cognizione delle vicende del rapporto concessorio e, segnatamente, l’esatto contenuto di esso al fine di valutare la legittimità dei poteri discrezionali previsti dalla legge ed esercitati dal Comune sia in relazione alla proroga della concessione, sia in relazione al successivo riscatto anticipato con il quale detta proroga è stata revocata (Cass., Sez.U., 18/11/2008, n. 27336).
La Corte d’appello ha interpretato la domanda giudiziale della RAGIONE_SOCIALE esaminando il petitum sostanziale introdotto, concernente la richiesta di una prestazione patrimoniale.
Con valutazione pienamente meritale la Corte territoriale ha interpretato la domanda giudiziale, affermando che la stessa era volta espressamente «ad escludere la debenza del canone e nella quale, in effetti, la nullità per contrarietà a norma di legge della delibera comunale è prospettata al solo scopo di dimostrare, sotto il profilo dell’insussistenza del suo titolo giustificativo, l’infondatezza della pretesa avversaria», sicché la relativa quaestio nullitatis aveva «natura pregiudiziale, sotto il profilo dell’antecedente logico della pronuncia sul merito» integrando «appieno gli estremi del sopra menzionato istituto della disapplicazione».
Può dunque confermarsi l’esistenza della giurisdizione del giudice ordinario nella controversia in esame.
Quanto alla prospettata violazione delle norme in tema disapplicazione, e segnatamente dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865, allegato E, effettivamente, trattandosi di controversia tra privato e pubblica amministrazione, il potere di disapplicazione può essere attuato solo nell’ipotesi di pregiudizialità tecnica.
Va chiarito, sul punto, che il potere del giudice ordinario di disapplicare gli atti amministrativi, ex art. 5 della l. n. 2248 del 1865, all. E, può essere esercitato anche nelle controversie in cui è parte la pubblica amministrazione e non soltanto nelle liti tra privati, a condizione che l’atto illegittimo venga in rilievo come mero antecedente logico e non già come fondamento del diritto dedotto in giudizio -e, cioè, che la questione della sua legittimità sia prospettata come pregiudiziale in senso tecnico e non come principale – e che il provvedimento sia affetto da vizi di legittimità, come tali lesivi di diritti, dovendosi invece escludere il sindacato del
giudice con riguardo alle valutazioni di merito attinenti all’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione (Cass. Sez.U., 25/5/2018, n. 13193; Cass., Sez.U., 6/8/1975, n. 2987; 10/9/2004, n. 18263; 9/1/2007, n. 116; 5/6/2014, n. 12644; di recente Cass., sez. 1, 14/3/2025, n. 6834; contra per l’esercizio del potere di disapplicazione del giudice ordinario solo nei giudizi tra le parti cfr. Cass., Sez.U., 2/11/2018, n. 28053).
Tuttavia, ai fini della disapplicazione è necessario che ricorrano due condizioni oggettive: a) il provvedimento amministrativo non può costituire l’oggetto diretto della controversia, cioè non può venire in rilievo come fondamento del diritto dedotto in giudizio, sicché la questione della sua legittimità si prospetti come pregiudiziale in senso tecnico e non come principale (Cass., n. 13193 del 2018; Cass., Sez.U., n. 2987 del 1975; n. 2244 del 2015; Cass., nn. 22/2/2002, n. 2588; 13/9/2006, n. 19659; 10/1/2017, n. 276; di recente in materia tributaria Cass., sez. 5, 2/10/2024, n. 25935 in ordine al potere del giudice tributario di disapplicare tutti gli atti amministrativi che costituiscono il presupposto dell’imposizione, quale espressione di un principio generale dell’ordinamento, fissato dall’art. 5 della legge n. 2248 del 1865, allegato E); b) il provvedimento deve essere affetto da vizi di legittimità, come tali lesivi di diritti, mentre il sindacato del giudice è escluso con riguardo alle valutazioni di merito attinenti all’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione (Cass., sez. U., n. 13193 del 2018; Cass., Sez.U., n. 18263 del 2004 e n. 116 del 2007).
Non è stato, invece, ritenuto esercitabile il potere di disapplicazione del giudice ordinario nelle controversie relative ai canoni dovuti alla PA per l’occupazione di spazi pubblici in ordine alle delibere comunali che fissano i criteri di determinazione di tali canoni (Cass., Sez.U., 10/12/2001, n. 15603; può invece operare la
disapplicazione per gli atti amministrativi strumentali rispetto all’accertamento di violazioni amministrative: Cass., 20/4/2018, n. 8796).
Il quarto motivo è fondato.
9.1. Deve muoversi dal contenuto del regolamento comunale, adottato con deliberazione n. 22 del 18/6/2015, e segnatamente con riferimento all’allegato I.
Si legge, infatti, nell’allegato I del regolamento che al pagamento del canone sono soggette le «ccupazioni realizzate per l’erogazione di servizi pubblici in regime di concessione amministrativa», tra le quali le «1.1. Condutture sotterranee per la distribuzione di acqua potabile, gas, energia elettrica, linee telefoniche sotterranee, intercapedini, manufatti e simili, contenitori sotterranei di cavi, condutture e linee elettriche e telefoniche. Linee elettriche, telefoniche e telegrafiche».
La tesi, sostenuta dalla società appellante, e fatta propria dalla Corte territoriale, è quella per cui il canone concessorio non ricognitorio deve essere pagato esclusivamente per l’occupazione realizzata per la «distribuzione del gas», ma non per il semplice trasporto del gas.
Nella specie, dunque, ad avviso della Corte d’appello, «preso anche atto della circostanza, rimasta incontroversa, che nel territorio de Comune di Fiano Romano la società appellante non partecipa alla distribuzione del gas agli utilizzatori finali, ne segue la conclusione che l’attività della RAGIONE_SOCIALE, così riconducibile a quella di semplice trasporto, non sia riconducibile all’ambito dei servizi pubblici richiamato dal Regolamento comunale, ai fini dell’assoggettamento al regime concessorio, e quindi alla corresponsione del relativo canone».
Tuttavia, per la soluzione della controversia questo Collegio ritiene assolutamente preliminare l’individuazione della ratio legis , sì da giungere ad una conclusione divergente da quella fatta propria dalla Procura AVV_NOTAIO.
10.1. L’art. 27 del d.lgs. n. 285 del 1982, quale norma istitutiva del canone concessorio non ricognitorio, stabilisce che «e domande dirette a conseguire le concessioni e le autorizzazioni di cui al presente titolo, se interessano strade o autostrade statali, sono presentate al competente ufficio dell’RAGIONE_SOCIALE e, in caso di strade in concessione, all’ente concessionario che provvede a trasmetterle con il proprio parere al competente ufficio dell’RAGIONE_SOCIALE, ove le convenzioni di concessione non consentono al concessionario di adottare il relativo provvedimento».
Al comma 7 dell’art. 27 si prevede che «a somma dovuta per l’uso o l’occupazione delle strade e delle loro pertinenze può essere stabilita dall’ente proprietario della strada in annualità ovvero in un’unica soluzione».
Si precisa al comma 8 dell’art. 27 che «el determinare la misura della somma si ha riguardo alle soggezioni che derivano alla strada o autostrada, quando la concessione costituisce l’oggetto principale dell’impresa, al valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e al vantaggio che l’utente ne ricava».
Il CCNR, in sostanza, pone a carico delle imprese che svolgono un servizio pubblico sulla base di concessioni o autorizzazioni il pagamento di una somma per l’attraversamento con i loro cavidotti interrati di strade o autostrade statali.
La somma da pagare è proporzionale al valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione, quando la concessione costituisce l’oggetto principale dell’impresa.
Pertanto, il canone concessorio non ricognitorio costituisce una sorta di corrispettivo per il passaggio di cavidotti al di sotto di strade e autostrade; sicché, al fine di prevedere il pagamento o meno da parte delle società concessionarie del servizio pubblico, deve farsi riferimento al dato oggettivo – comunque lo si voglia denominare e quali che siano i dati oggettivi (distribuzione o trasporto) -dell’attraversamento al di sotto delle strade delle condotte.
Una volta chiarita la ratio legis dell’art. 27 del d.lgs. n. 285 del 1992, è possibile esaminare la normativa speciale che disciplina le specifiche attività delle società concessionarie di servizi pubblici.
L’art. 1 del d.lgs. n. 164 del 2000, con riferimento alla liberalizzazione del mercato interno del gas naturale, stabilisce che «ei limiti delle disposizioni del presente decreto le attività di importazione, esportazione, trasporto e dispacciamento, distribuzione e vendita di gas naturale, in qualunque sua forma e comunque utilizzato, sono libere».
Le attività di trasporto, dispacciamento e distribuzione vengono dunque unificate ai fini della liberalizzazione del mercato interno.
12.1. L’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 164 del 2000 (avente rubrica «Attività di trasporto e dispacciamento»), chiarisce che «’attività di trasporto e dispacciamento del gas naturale è attività di interesse pubblico».
Al comma 2 si precisa che «e imprese che svolgono attività di trasporto e dispacciamento sono tenute ad allacciare alla propria rete gli utenti che ne facciano richiesta ove il sistema di cui esse dispongono abbia idonea capacità».
12.2. Peraltro, l’art. 2 comma 1, lettera j, qualifica come «dispacciamento» l’attività «diretta ad impartire disposizioni per l’utilizzazione e l’esercizio coordinato degli impianti di coltivazione,
di stoccaggio, della rete di trasporto e di distribuzione e dei servizi accessori».
12.3. L’art. 2, comma 1, lettera n), qualifica, poi, la «distribuzione», come «il trasporto di gas naturale attraverso reti di gasdotti locali per la consegna ai clienti».
12.4. L’art. 2, comma 1, lettera ii) qualifica il «trasporto» come «il trasporto di gas naturale finalizzato alla fornitura ai clienti, attraverso una rete che comprende soprattutto gasdotti ad alta pressione, diversa da una rete di gasdotti di coltivazione e diversa dalla parte dei gasdotti, anche ad alta pressione, utilizzati principalmente nell’ambito della distribuzione locale del gas naturale, ad esclusione della fornitura».
12.5. Si deve, dunque, distinguere l’attività di trasporto di gas naturale, esercitata soprattutto con gasdotti ad alta pressione, diversi dai gasdotti locali, da quella di distribuzione, che si avvale di gasdotti locali per la consegna ai clienti.
Tuttavia, sia l’attività di distribuzione che l’attività di trasporto del gas – con le loro innegabili differenze oggettive – da parte di società concessionarie di servizio pubblico usufruiscono dell’attraversamento sotterraneo della sede stradale e, per tale ragione, proprio in relazione alla ratio dell’art. 27 del d.lgs. n. 285 del 1992, le dette concessionarie devono versare il corrispettivo in considerazione dell’attività economica espletata in regime concessorio.
E’ alla luce di tale ratio che deve essere interpretata la disposizione recata dal regolamento comunale del 18/6/2015, che, ancorché faccia riferimento esclusivamente alla «distribuzione», deve intendersi comprensiva anche dell’attività di «trasporto».
Ci si discosta, dunque, dalle considerazioni della Procura AVV_NOTAIO – pur corrette nelle premesse interpretative – che, per
differenziare i concetti e le attività di distribuzione e di trasporto, ha fatto leva sul fatto che, in realtà, l’attività di trasporto precede quella di fornitura di gas ai clienti «e viene letteralmente escluso dalla nozione di fornitura», mentre la distribuzione, che concerne la fase finale di consegna al consumatore, sarebbe attuata «attraverso reti di gasdotti locali»; il trasporto, invece, avverrebbe «su gasdotti diversi da quelli utilizzati per la distribuzione locale».
Per la Procura AVV_NOTAIO, poi, ulteriori elementi interpretativi si dovrebbero dedurre dal fatto che l’attività di trasporto è disciplinata dall’art. 8 del d.lgs. n. 164 del 2000, mentre quella di distribuzione trova collocazione nell’art. 14 del medesimo decreto legislativo.
Con l’aggiunta che l’art. 14 suddetto dispone che «l’attività di distribuzione di gas naturale è attività di servizio pubblico» e che la netta separazione tra le due attività si riscontrerebbe nell’art. 21 del d.lgs. n. 164 del 2000, in materia di «separazione contabile e societaria per le imprese del gas naturale».
15. Se, però, come detto, si tiene conto della ratio legis dell’art. 27 del d.lgs. n. 285 del 1992, la soggezione al CCNR non può essere negata. Le disposizione di diverso segno, cui si è riportato il AVV_NOTAIO, in ragione della loro finalità si mostrano dunque recessive di fronte alla specialità della norma codicistica, in quanto è il mero attraversamento del sottosuolo di pertinenza comunale che genera il presupposto impositivo.
Il CCNR deve, allora, essere pagato sia nell’ipotesi di trasporto di gas che in quella di distribuzione, in entrambi i casi verificandosi il presupposto che è costituito dall’occupazione del sottosuolo da parte delle condutture di RAGIONE_SOCIALE, che svolge attività di impresa sulla base di concessioni pubbliche.
16. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che
dovrà applicare il seguente principio di diritto «Il canone concessorio non ricognitorio di cui all’art. 27 del d.lgs. n. 285 del 1992, anche ove il regolamento comunale ne preveda il pagamento per la sola attività di distribuzione del gas, è applicabile anche all’attività di trasporto dello stesso, in quanto la ratio della disposizione si rinviene nella previsione del pagamento, da parte delle società che svolgono un servizio pubblico sulla base di concessioni o autorizzazioni, di un corrispettivo per l’attraversamento con i propri cavidotti interrati di strade o autostrade all’ente proprietario, non rilevando in contrario le differenti definizioni di trasporto e distribuzione di cui al d.lgs. 23/5/2000, n. 164 che in ragione delle diverse finalità perseguite si mostrano recessive rispetto alla disposizione codicisitca» e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso; accoglie il quarto motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in ordine al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sezione civile il 18 settembre 2025
Il Presidente NOME COGNOME