Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2887 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3   Num. 2887  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/01/2024
AFFITTO AGRARIO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10632/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO , con domicilio telematico all’indirizzo PEC del proprio difensore -ricorrente –
contro
ISTITUTO VENDITE GIUDIZIARIE E ALL’RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale  rappresentante pro  tempore, rappresentato e difeso dal l’AVV_NOTAIO e d all’AVV_NOTAIO, con domicilio telematico all’indirizzo PEC dei propri difensori
-resistente con memoria illustrativa -Nonché contro
COGNOME NOME
-intimato –
Avverso la sentenza n. 135/2021 della CORTE DI APPELLO DI BRESCIA, depositata il 3 marzo 2021.
Udita  la  relazione  svolta  nella  camera  di  consiglio  del  20  novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
 Con  contratto  di  durata  quarantennale  stipulato  e  trascritto nell’anno  2014,  NOME  COGNOME  concesse  in  affitto  alla  società RAGIONE_SOCIALE (in appresso, per brevità: RAGIONE_SOCIALE) un fondo agricolo, costituito da vari terreni ed annessi fabbricati, ubicati nei Comuni di Carmisano e di Crema.
Successivamente  alla  trascrizione  del  contratto,  il  compendio immobiliare venne sottoposto a vari pignoramenti eseguiti in danno di NOME COGNOME ed affidato in custodia giudiziaria all’RAGIONE_SOCIALE e all’RAGIONE_SOCIALE (in appresso, per brevità ed in sigla: IVGA), con il compito -tra l’altro di riscuotere i canoni di affitto maturati a far data dall’anno 2017.
 Sull’assunto  della  morosità  dell’affittuario  nel  pagamento  del canone e  sul  presupposto  che  quest’ultimo  ammontasse  ad 80.000 euro annui , l’IVGA domandò giudizialmente la risoluzione del contratto di  locazione  per  inadempimento  del  conduttore,  con  condanna  al rilascio dei beni ed al pagamento di ogni somma dovuta.
All’esito del giudizio di prime cure, l’adito Tribunale di Cremona, accertata  l’entità  del  canone  in misura  annua  pari  ad  euro  80.000, dichiarò  risolto  il  contratto  per  inadempimento  della  RAGIONE_SOCIALE  nel versamento del pretium locationis e condannò quest’ultima al rilascio dei beni ed al pagamento della somma di euro 307.333,33 per canoni scaduti, oltre ad euro 6.666,66 mensili quali indennità di occupazione a partire del mese di novembre 2020 sino all’effettivo rilascio.
4 . La decisione in epigrafe indicata ha rigettato l’appello interposto dalla RAGIONE_SOCIALE.
 La  RAGIONE_SOCIALE  ricorre  per  cassazione,  articolando  sette  motivi, illustrati da memoria.
r.g. n. 10632/2021 Cons. est. NOME COGNOME
L’IVGA deposita dapprima procura speciale per la costituzione e, di poi, memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
 Preliminarmente,  è  inammissibile  la  costituzione  nel  presente giudizio  dell’IVGA,  siccome  avvenuta  in  forme  irrituali,  diverse  dalle modalità ad hoc previste dal codice, e comunque tardivamente.
Per consolidato indirizzo di questa Corte, « la parte contro la quale il ricorso è diretto, se intende contraddirvi, deve farlo mediante controricorso contenente, ai sensi dell ‘ art. 366, primo comma, num. 4, cod. proc. civ. (richiamato dall ‘ art. 370, comma secondo, stesso codice), l’ esposizione delle ragioni atte a dimostrare l’ infondatezza delle censure mosse alla sentenza impugnata dal ricorrente » ( ex multis, da ultimo, Cass. 09/02/2023, n. 4049; Cass. 17/11/2021, n. 34791; Cass. 16/06/2021, n. 17030).
Sicché « nel giudizio di cassazione è inammissibile una ‘memoria di costituzione’ depositata dalla parte intimata dopo la scadenza del termine di cui all’art. 370 cod. proc. civ. e non notificata al ricorrente (così da non potersi qualificare come controricorso, seppur tardivo), atteso che non è sufficiente il mero deposito perché l’atto possa svolgere la sua funzione di strumento di attivazione del contraddittorio rispetto alla parte ricorrente » (Cass., Sez. U, 10/04/2019, n. 10019; Cass. 26/07/2019, n. 20322; Cass. 22/07/2021, n. 20096).
Nel caso, in luogo della notifica a parte ricorrente di controricorso (e del successivo deposito dello stesso nel fascicolo), l’ intimata, quando era  abbondantemente  decorso  il  termine  per  il  compimento  delle descritte attività  di  cui  all’art.  370  cod.  proc.  civ., ha  depositato (precisamente, in data 10 ottobre 2023) un atto intestato « procura speciale  notarile  per  la  costituzione  tardiva »,  seguito,  a  distanza  di poco (8 novembre 2023), dal deposito di una memoria illustrativa.
La  difformità  dalle  prescrizioni,  anche  temporali,  previste  per  la costituzione  nel  giudizio  di  legittimità  della  parte  in  esso  evocata  poste a presidio della corretta instaurazione del contraddittorio, della esplicazione  delle  facoltà  difensive  del  ricorrente  e  dei  poteri  di valutazione della Corte -giustifica l’inammissibilità della così esplicata costituzione  dell’IVGA nonché,  per  l’effetto, preclude  alla  Corte  la disamina degli atti dalla stessa depositati.
Per completezza argomentativa, è appena il caso di rilevare che, ai sensi dell’art. 370, primo comma, cod. proc. civ., nella formulazione previgente alla novella operata dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, la costituzione  così  compiuta  avrebbe  legittimato  IVGA  unicamente  a partecipare alla discussione orale in un’ipotetica pubblica udienza.
Il primo motivo di ricorso eccepisce nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, secondo comma, num. 4, cod. proc. civ..
Si denuncia irriducibile contraddittorietà e illogicità manifesta della sentenza gravata, nella parte in cui stabilisce che gli artt. 7 e 8 del contratto non contengono « alcun dato testuale che colleghi il canone complessivo di euro 80.000 all’intera durata quarantennale del contratto laddove per contro nell’art. 7 e 8 del medesimo contatto, come riconosciuto in altri passaggi argomentativi e motivazionali della stessa sentenza, si evince e si riconosce espressi (così testualmente) verbis che il canone equo dell’intero contratto per l’intera sua durata quarantennale, ammonta quale ‘canone complessivo’ ad euro 80.000, come ad esempio a pagina 13 della medesima sentenza ».
2.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
Inammissibile perché la censura svolta, negli esatti termini sopra riportati,  si  appalesa  irrimediabilmente  generica:  essa,  invero,  non illustra né specifica il tenore ( in thesi assolutamente inconciliabile) delle diverse parti argomentative della sentenza, cioè a dire non individua quali siano (e che cosa affermino) gli « altri passaggi argomentativi e
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motivazionali »  (così  indefinitamente  indicati  in  ricorso)  nei  quali  si anniderebbe la manifesta contraddizione lamentata.
Esso è altresì infondato.
Con argomentazione di esemplare linearità, la Corte d’appello ha colto nella formulazione testuale degli artt. 7 e 8 del contratto di affitto l’estrinsecazione della volontà delle parti di fissare la misura del canone annuale in euro 80.000. In nessuna parte della pronuncia vi è contraria o divergente affermazione, cioè a dire l’individuazione di una diversa entità del canone: l’esistenza di « due ipotesi alternative » di canone (euro 2.000 o euro 80.000 annui), riferita a pag. 13 della sentenza (cui sembra far richiamo il ricorrente), descrive soltanto il contenuto della lettera raccomandata inviata (ai sensi dell’art. 5, comma terzo, della legge 3 maggio 1982, n. 203) dall’IVGA all’affittuario, ma non e sprime certo un convincimento del giudice emittente il dictum .
 Il  secondo  motivo  prospetta  « violazione  di  legge  e  falsa applicazione di legge nella determinazione del canone ‘equo’ dopo gli interventi  della  Consulta  con  sentenza  n.  318  del  05.07.2022  in relazione al dettato normativo degli artt. 9 e 62 della legge n. 203 del 1982 e al cosiddetto nuovo sistema di determinazione dell’equo canone di affitto di fondo rustico ».
Si adduce, breviter, che in conseguenza della pronuncia della Corte costituzionale innanzi menzionata, « nell’attuale ordinamento agrario, una  volta  espunti  i  criteri  per  la  determinazione  legale  del  canone d’affitto, la concreta determinazione del corrispettivo dovuto al locatore non può che essere rimessa alla libera volontà negoziale delle parti ».
Ciò posto -si prosegue – la volontà negoziale delle parti contraenti originarie  « deve  ritenersi  preponderante  e  precipua  proprio  nella determinazione dell’equo canone di euro 2.000 anni », mentre « a nulla può valere il richiamo operato  nella sentenza alla relazione di stima
del tecnico incaricato nell’àmbito della procedura esecutiva immobiliare in odio del sig. COGNOME NOME ».
Il motivo è inammissibile, sotto tutti gli aspetti dedotti.
3.1.  La  lunga  dissertazione  (di  carattere  generale  ed  astratto, ovvero del tutto disancorato dalla vicenda concreta) circa i canoni di determinazione dell’equo canone degli affitti di fondi rustici:
per un verso, adduce per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove, estranee al thema decidendum dei precedenti gradi e non esaminate nella pronuncia gravata, quindi inammissibili, non avendo parte ricorrente specificato l’avvenuta deduzione davanti al giudice di merito della questione ed indicato in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito ( ex multis, Cass. 17/11/2022, n. 33925; Cass. 30/01/2020, n. 2193; Cass. 13/08/2018, n. 20712; Cass. 06/06/2018, n. 14477);
-d’altro  canto, non è pertinente alla ratio  decidendi fondante la gravata decisione, non avendo questa fatto applicazione di criteri legali di  quantificazione  ma  individuato  l’effettiva  entità  del  canone  sulla scorta di un ‘ indagine ermeneutica sul contenuto del negozio di affitto.
3.2. Meramente assertiva (e frontalmente contrapposta al diverso accertamento compiuto dal giudice territoriale) è la deduzione della determinazione del canone nella misura di euro 2.000 annui: ed è noto come sia inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che si fondi su una situazione di fatto diversa da quella accertata nel giudizio di merito (tra le tante, Cass. 11/11/2015, n. 23045), essendo in ogni caso escluso un nuovo apprezzamento dei fatti da parte della Corte di legittimità (Cass. 01/06/2021, n. NUMERO_DOCUMENTO).
3.3.  Le  contestazioni  afferenti  alla  relazione  di  stima,  infine,  si rivolgono contro un’argomentazione priva di decisività, suscettibile di
essere  espunta  dal  percorso  motivazionale  della  sentenza  senza minarne la compiutezza e concludenza della statuizione dispositiva.
Ed invero, la Corte d’appello ha fondato l’accertamento della misura del canone sulla interpretazione di alcune clausole contrattuali (la n. 7 e  la  n.  8),  ritenendo  la  formulazione  testuale  delle  stesse,  lette  in maniera combinata e correlata, univoca ed esaustiva (tale da escludere la necessità di far ricorso ad elementi esegetici extratestuali).
In una trama argomentativa siffatta, il rilievo operato sulle perizie estimative in sede di espropriazione forzata risulta, in tutta evidenza, affermazione ad abundantiam , come altresì reso palese dalla locuzione adoperata  (« la  riprova  risiede  nelle  perizie »):  difetta  di  interesse, dunque, l’impugnazione di legittimità che solleciti un sindacato circa argomentazioni svolte ad abundantiam (Cass. 19/12/2017, n. 30393; Cass. 16/06/2020, n. 11675; Cass., Sez. U, 01/02/2021, n. 2155).
4. Il terzo mezzo lamenta « violazione di legge o falsa applicazione di norme di diritto e della legge n. 203 del 1982, art. 45, quanto alla determinazione di un canone derogativo tenuto conto delle clausole derogative negoziali afferenti la rinuncia all’indennizzo ed al controvalore per le migliorie fondiarie e per le spese straordinarie comprese quelle relative alla manutenzione degli impianti di irrogazione -violazione di legge e falsa applicazione di legge anche in relazione alle norme sostanziali degli artt. 1362 -1363 -1368, primo e secondo comma -1369 -1371 cod. civ. quanto alla interpretazione corretta della volontà negoziale dei contraenti come emerge dal contratto di data 19.08.2014 e nella determinazione del canone da ritenersi equo e pattuito effettivamente tra le parti contraenti ».
Si sostiene che il giudice territoriale non ha valutato « la testuale volontà negoziale delle parti contraenti nella determinazione dell’equo canone per l’affittanza » e cioè, più precisamente, non considerato che « le parti contraenti hanno liberamente concordato e pattuito un canone
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di  euro  80.000  complessivi  per  l’intera  durata  del  rapporto  agrario quarantennale, pagabili annualmente nella misura frazionata annuale di euro 2.000 », con una « maggior vantaggiosità e utilità economica per la  parte  affittuaria  bilanciata  dalla  rinuncia  a  qualsiasi  indennizzo  e corrispettivo  economico  e  pecuniario  per  le  indubbie  e  comprovate migliorie fondiarie apportate ».
Per converso, l’impugnante rimarca la necessità « di prediligere una corretta interpretazione del contratto, proprio a partire dal dato testuale e letterale delle sue norme degli artt. 7-8 e 4 » e deduce che il riferimento al « canone complessivo di euro 80.000 » è da ascrivere « all’intero ammontare del corrispettivo totale dell’affittanza per l’intera sua durata di 40 anni » e la « scadenza del 10.11 di ciascun anno, vale a dire il termine di ciascuna annata agraria, per il pagamento del canone di cui alla norma dell’art. 8, non può che essere coordinata e letta nel contesto negoziale e deve riferirsi al frazionamento del canone complessivo intero ».
4.1. Il motivo è inammissibile.
Secondo il consolidato orientamento del giudice della nomofilachia, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice al contratto da interpretare non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni: la valutazione del giudice di legittimità non può infatti investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’àmbito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica dettati dagli artt. 1362 e seguenti del codice civile e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nel rappresentare una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati ( ex plurimis , Cass. 10/02/2023,
n.  4272;  Cass.  14/12/2022,  n.  36516;  Cass.  09/04/2021,  n.  9461; Cass.  20/01/2021,  n.  995;  Cass.  26/05/2016,  n.  10891;  Cass. 09/04/2015, n. 7118; Cass. 10/02/2015, n. 2465).
Nel caso in esame, la doglianza articolata da parte ricorrente si compendia (e, al contempo, si esaurisce) nel sollecitare questa Corte ad una diversa lettura del contratto di affitto sulla scorta degli elementi già considerati dal giudice territoriale: una mera contrapposizione di una propria esegesi rispetto a quella accolta nella sentenza impugnata, dunque, non accompagnata da una puntuale e compiuta allegazione delle ragioni della (soltanto postulata) inosservanza dei plurimi canoni di ermeneutica negoziale indicati nella rubrica del motivo.
 Il  quarto  motivo  è  rubricato  « violazione  e  falsa  applicazione dell’art.  116  cod.  proc.  civ.,  degli  artt.  1362,  1363,  1368,  primo  e secondo comma, 1369 e 1371 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. ».
Secondo il ricorrente, la Corte d’appello ha mancato di « valutare adeguatamente le risultanze istruttorie e gli apporti documentali e dichiarativi probatori delle parti processuali » e, in particolare, « la valenza probatoria documentale ed esegetica della reale volontà negoziale delle parti costituita dalla scrittura di cessione del credito » e « la conferma endoprocedimentale autorevole e sintomatica di tale dato da parte dello stesso proprietario concedente COGNOME NOME negli atti di causa ».
5.1. La doglianza va esaminata, per ragioni di stretta connessione, unitamente al sesto motivo di ricorso, con il quale si rileva, sub specie di  omesso  esame  di  un  fatto  storico  decisivo  risultante  dagli  atti  di causa rilevante ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., la « pretermissione di dati storici ed acquisiti agli atti del giudizio, quali quello costituito dalla scrittura privata di cessione del credito e
dagli atti di costituzione nel primo grado e dalle dichiarazioni rese » da NOME COGNOME.
5.2. Ambedue i motivi sono inammissibili.
Per costante orientamento di questa Corte, l’inosservanza dell’art. 116 cod. proc. civ. giustifica la proposizione dell’impugnazione di legittimità soltanto qualora si deduca che il giudice di merito abbia disatteso il principio del libero apprezzamento delle prove in assenza di una deroga normativamente prevista ovvero, all’opposto, abbia valutato secondo prudente apprezzamento una prova o una risultanza probatoria soggetta a diverso regime (Cass., Sez. U, 30/09/2020, n. 20867, cui adde Cass. 31/08/2020, n. 18092; Cass. 18/03/2019, n. 7618; Cass. 10/06/2016, n. 11892).
Nella vicenda in parola, d ietro l’apparente veste della denuncia violazione dei princìpi sulla valutazione delle prove e delle norme di ermeneutica negoziale, parte ricorrente lamenta, a ben vedere, un erroneo apprezzamento del compendio istruttorio ad opera del giudice di merito: ma, in tal guisa, finisce con l’attingere valutazioni a questi tipicamente riservate, non passibili di controllo in sede di legittimità, se non nei circoscritti limiti delle anomalie motivazionali definite dall’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ. (nella vicenda, nemmeno adombrate dall’impugnante) .
È infatti rimessa al discrezionale apprezzamento del giudice di merito la valutazione delle prove, attività che include la individuazione delle fonti del convincimento, il giudizio di attendibilità e concludenza delle prove, la scelta, tra le complessive risultanze del processo, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti (sul tema, tra le tantissime, Cass., 23/11/2022 n. 34414; Cass. 04/03/2022, n. 7187; Cass. 19/07/2021, n. 20553; Cass. 29/12/2020, n. 29730; Cass. 17/01/2019, n. 1229).
L’ omessa considerazione di risultanze istruttorie, poi, non integra, di per sé sola, la fattispecie di impugnazione per legittimità disciplinata dall’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ.: il fatto decisivo per il giudizio considerato da quest’ultima norma è da intendersi in senso storico-naturalisitico, considerato nella sua oggettiva esistenza di concreto accadimento di vita, con esclusione (tra l’altro) di questioni o argomentazioni difensive, elementi istruttori o risultanze probatorie (Cass. 26/04/2022, n. 13024; Cass. 31/03/2022, n. 10525; Cass. 08/11/2019, n. 28887; Cass. 29/10/2018, n. 27415).
E tanto, in particolare, giustifica l’inammissibilità del sesto motivo , essendo  i  « fatti »  asseritamente  non  esaminati  costituiti  da  prove documentali o atti processuali.
6. Il quinto motivo deduce « violazione di legge o falsa applicazione di norme di diritto e della legge n. 203 del 1982, art. 5, quanto al presunto grave inadempimento dell’affittuaria nell’obbligazione di pagamento del canone di affitto -violazione e falsa applicazione di principi di diritto e di legge in relazione alla richiesta di concessione eventuale del termine di grazia per sanare la morosità anche in relazione ad un ‘diverso canone’ stabilito in corso di causa dall’A.G. ».
Sotto questa – articolata e complessa – rubrica, l’impugnante assume che: (a) l’IVGA non aveva ritualmente contestato all’affittuaria l’inadempimento contrattuale; (b) a fronte dell’unica contestazione di omesso pagamento del canone, l’affittuaria aveva provveduto al versamento dell’importo di euro 4.000, pari ai canoni per le annate 2017 e 2018; (c) detta contestazione stragiudiziale richiedeva il pagamento del canone annuo sia nella misura di euro 2.000 annui sia dell’importo complessivo di euro 80.000, c osì avallando « la dicotomia ermeneutica della possibile esistenza di due alternativi canoni »; (d) in violazione del combinato disposto degli artt. 5 della legge n. 203 del 1982 e dell’art. 11, ottavo comma, del d.lgs. 1° settembre 2011, n.
150, non era stata accolta la richiesta di termine per sanare la morosità formulata « anche in relazione all’eventuale diverso canone (diverso da quello pattuito di euro 2.000 annui) che fosse stato accertato in corso di giudizio del Tribunale ».
6.1. Il motivo è inammissibile, per tutti i punti ora sintetizzati.
Lungi dall’integrare l’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa (cioè a dire, una violazione o falsa applicazione di legge in senso proprio intesa), la doglianza si concreta nell’addurre circostanze fattuali già valutate nell’impugnata sentenza e di cui richiede a questa Corte un riesame finalizzato ad una ricostruzione della vicenda fattuale in termini differenti da quella operata dal giudice di merito: attività, però, del tutto estranea alla natura ed alla funzione connotanti il giudizio di legittimità.
Eccentrica poi rispetto alla ratio decidendi del provvedimento gravato è la contestazione relativa alla mancata concessione del termine di grazia. La Corte d’appello ha giustificato il diniego sul rilievo che l’istanza, per come formulata (e, precisamente, poiché riferita ad un canone inferiore -precisamente, quello di euro 2.000 annuali – a quello giudizialmente accertato), era inidonea a porre fine alla lite (da ultimo, Cass. 14/10/2019, n. 25759): a questa argomentazione non si correla, mancando di attingerla criticamente, il motivo del ricorrente, per conseguenza inammissibile (principio di diritto fermissimo: ex multis, Cass. 11/01/2005, n. 359; Cass. 28/08/2007, n. 18210; Cass. 31/08/2015, n. 17330; Cass., Sez. U, 20/03/2017, n. 7074).
7. Con il settimo motivo, per violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3,  cod.  proc.  civ.,  si  contesta l’omessa  valutazione  degli  « apporti probatori  offerti » dall’affittuaria,  « in  relazione  a  prove  documentali » (quali i documenti fiscali e contabili prodotti) e a « prove dichiarative » (quali « l’interpello formale » reso da NOME COGNOME).
7.1. La censura è inammissibile.
Ribadito qui quanto sopra ( sub § 5.2.) osservato in ordine ai modi e ai limiti di deducibilità in cassazione dell’inosservanza dell’art. 116 cod. proc. civ., si rileva altresì che, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell ‘ art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell ‘ ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l ‘ onere della prova ad una parte diversa da quella sui quali esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (cfr. Cass. 23/10/2018, n. 26769).
Chiara allora si appalesa, rispetto alle descritte modalità di corretta adizione  di  questa  Corte,  la  disomogeneità  della  censura  in  vaglio, ancora una volta tesa a richiedere una (non consentita in questa sede) diversa  lettura  ovvero  una  rivalutazione  delle  emergenze  istruttorie acquisite nel corso del giudizio di merito.
Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, attesa l’inammissibilità della costituzione dell’intimata.
L’oggetto  della  controversia  (concernente  un  affitto  agrario) esclude  l’applicabilità  dell’art.  13,  comma  1 -quater ,  del  d.P.R.  30 maggio 2002, n. 115, per cui si dà atto che non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione (Cass. 11/10/2017, n. 23912).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Dichiara non luogo a provvedere sulle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione