Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 19323 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 19323 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1626/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 3990/2021 depositata il 28/10/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/06/2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME intimò a NOME COGNOME innanzi al Tribunale di Napoli lo sfratto per morosità, chiedendo l’ingiunzione di pagamento per i canoni scaduti, in relazione alla locazione ad uso diverso da quello abitativo dell’unità immobiliare sita i n INDIRIZZO alla INDIRIZZO. Disattesa l’istanza di ordinanza provvisoria di rilascio, a seguito dell’opposizione dell’intimato, e disposto il mutamento del rito, il conduttore propose domanda riconvenzionale di nullità degli articoli 14 e 15 del contratto con condanna alla restituzione degli importi indebitamente percepiti. Il Tribunale adito dispose la risoluzione del contratto per l’inadempimento del conduttore, condannando quest’ultimo al pagamento della somma di Euro 26.034,34 oltre accessori, e rigettò la domanda riconvenzionale. Avverso detta sentenza propose appello il conduttore. Con sentenza di data 28 ottobre 2021 la Corte d’appello di Napoli rigettò l’appello.
Osservò la corte territoriale che l’appello era inammissibile per carenza di specificità, essendo connotato dalla trascrizione pressoché integrale di due scritti defensionali di primo grado e dalla proposizione di argomentazioni che ripetevano quelle svolte in primo grado e ritenute infondate dal Tribunale. Aggiunse tuttavia che «ad ogni modo, volendo ritenere che COGNOME NOME abbia censurato la motivazione del primo giudice nella parte in cui questi ha ritenuto valida la determinazione del canone a scaglioni progressivi e dunque esistente la morosità, ancorché la differenza
di canone nel tempo non sia stata, nel contratto inter partes, ancorata ad alcuna “situazione obiettivamente valutabile”, la censura dell’appellante va respinta».
Osservò al riguardo, confermando il giudizio di legittimità da parte del Tribunale della clausola di determinazione del canone in misura crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, che il conduttore non aveva allegato, e tanto meno provato, che con la clausola in oggetto i contraenti avessero perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posi dall’art. 32 l. n. 392 del 1978, alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di tre motivi e resiste con controricorso la parte intimata.
Il consigliere delegato dal Presidente della Sezione ha formulato sintetica proposta di inammissibilità del ricorso per le seguenti ragioni: il primo ed il secondo motivo sono inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis n. 1 c.p.c. per essere la decisione conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità, ed in particolare alla luce della legittimità della predeterminazione differenziata e crescente del canone, con il solo limite del surrettizio perseguimento dello scopo di neutralizzazione degli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall’art. 32 l. n. 392 del 1978 (da ultimo, Cass. n. 33884 del 2021), ed alla luce dell’indipendenza del ‘canone a scaletta’ da qualsiasi ancoraggio degli aumenti ad elementi predeterminati idonei ad influire sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale, diversi dalle variazioni annue del potere di acquisto della moneta (Cass. n. 23986 del 2019); il terzo motivo è inammissibile perché prospettante questioni non poste ad oggetto del giudizio di appello, e non essendo comunque stata dedotta l’unilaterale predisposizione del contratto ai sensi dell’art. 1341 c.c..
E’ stata chiesta la decisione dalla parte ricorrente. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ.. E’ stata presentata memoria dal ricorrente.
Considerato che:
con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 ss. cod. civ., 79 e 32 l. n. 392 del 1978, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che se il giudice avesse rettamente interpretato le clausole negoziali, sulla base dei criteri legali, sarebbe emersa la nullità delle clausole medesime per non essere ancorati gli aumenti del canone ad elementi predeterminati obiettivamente valutabili e diversi dalla svalutazione monetaria e per essere quindi stati previsti unicamente a vantaggio del locatore. Aggiunge che l’applicazione delle clausole avrebbe comportato aumenti senza limite e che la rinuncia del locatore a pretendere gli ulteriori aumenti è indice della consapevolezza del carattere sproporzionato del canone.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 79 e 32 l. n. 392 del 1978, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che l’onere probatorio circa la validità del contr atto incombeva sul locatore.
I primi due motivi sono inammissibili. Nella sintetica proposta di inammissibilità sono indicate le ragioni di inammissibilità dei motivi in questione ai sensi dell’art. 360 bis n. 1 c.p.c., sopra richiamate, che il Collegio condivide pienamente.
Nel primo motivo si fa anche riferimento ad una generica violazione dei criteri ermeneutici, assumendo che l’effettivo intento del locatore sarebbe stato quello di eludere il divieto previsto dall’art. 32 l. 392/1978. La censura è formulata in modo irrituale perché non risulta specifica indicazione di come la violazione dei detti criteri si articoli al percorso ermeneutico svolto dalla decisione impugnata, restando quindi sul piano del mero risultato interpretativo, e per di più si collega
il rispetto dei criteri ermeneutici al risultato interpretativo dell’assenza di qualsivoglia vantaggio per il conduttore derivante dagli aumenti di canone, che è profilo irrilevante alla luce della legittimità della predeterminazione differenziata e crescente del canone, con il solo limite del surrettizio perseguimento dello scopo di neutralizzazione degli effetti della svalutazione monetaria.
Nella memoria le ragioni di censura sono pedissequamente riportate senza uno sforzo confutativo della valutazione di inammissibilità contenuta nella proposta.
Con il terzo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.. Osserva il ricorrente che le clausole 14 e 15 sono comunque nulle per il loro carattere vessatorio, senza che sia stato ri spettato l’art. 1341, comma 2, c.c., e che per la stessa ragione è nulla la clausola sugli interessi aventi natura usuraria.
Il motivo è inammissibile per la ragione indicata nella sintetica proposta di inammissibilità e sopra richiamata, che il Collegio recepisce pienamente. Nella memoria si afferma che, contrariamente a quanto affermato nella proposta, le questioni menzionate nel motivo sarebbero state sviluppate nell’atto di appello ma, a parte che, e trattasi del profilo assorbente (già rilevato nella proposta), era onere del ricorrente indicare specificatamente ai sensi dell’art. 366 comma 1 n. 6 c.p.c. la loro localizzazion e nell’atto di appello, tale onere non risulta assolto neanche nella memoria, dove il ricorrente si limita all’asserzione della presenza delle questioni in appello.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. La definizione del giudizio in modo conforme alla proposta comporta l’applicabilità dell’ultimo comma dell’art. 380 bis c.p.c., e dunque del terzo e quarto comma dell’art. 96 c.p.c.
Poiché il ricorso viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n.
228, che ha aggiunto il comma 1 – quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, nonché al pagamento della somma di Euro 1.000,00 ai sensi dell’art. 96, comma terzo, c.p.c.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di Euro 500,00.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza sezione civile, il giorno 18 giugno 2024
Il Presidente AVV_NOTAIO NOME COGNOME