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Canone a scaletta: quando è legittimo l’aumento?

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità della clausola di ‘canone a scaletta’ nei contratti di locazione commerciale. Un conduttore aveva impugnato tale clausola, sostenendone la nullità. La Corte ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile e ribadendo che l’aumento progressivo del canone è valido, a meno che non si provi che il suo unico scopo sia eludere i limiti di aggiornamento legati alla svalutazione monetaria. La Corte ha sottolineato che la censura del ricorrente era generica e non affrontava specificamente le ragioni della decisione d’appello.

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Canone a Scaletta: Legittimo l’Aumento se Non Serve a Eludere la Legge

L’inserimento di una clausola di canone a scaletta in un contratto di locazione commerciale è una pratica comune ma spesso fonte di contenzioso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi fondamentali per la sua validità, chiarendo quando un aumento progressivo del canone è legittimo e quando, invece, può essere considerato nullo. L’analisi della Corte si è concentrata sulla necessità di distinguere tra una legittima predeterminazione del canone e un tentativo surrettizio di aggirare i limiti imposti dalla legge sull’aggiornamento monetario.

I Fatti di Causa: una Locazione Commerciale Contesa

Il caso ha origine da un’azione di sfratto per morosità avviata dal locatore di un immobile commerciale nei confronti del conduttore. Il locatore chiedeva il pagamento dei canoni scaduti. Il conduttore si opponeva, sostenendo la nullità di due clausole del contratto che prevedevano un aumento progressivo del canone nel tempo (il cosiddetto canone a scaletta). In via riconvenzionale, il conduttore chiedeva la restituzione delle somme che riteneva di aver pagato indebitamente.

Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda del locatore, risolvendo il contratto per inadempimento del conduttore e condannandolo al pagamento di oltre 26.000 Euro. La Corte d’Appello, successivamente, confermava la decisione, rigettando l’appello del conduttore. I giudici di secondo grado lo ritenevano inammissibile per carenza di specificità, in quanto si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in primo grado. Nel merito, la Corte territoriale aggiungeva che la clausola sul canone a scaletta era valida, poiché il conduttore non aveva fornito alcuna prova che le parti avessero voluto, con tale meccanismo, neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi previsti dall’art. 32 della Legge n. 392/1978.

L’Analisi della Cassazione sul Canone a Scaletta

Contro la sentenza d’appello, il conduttore proponeva ricorso per cassazione, basato su tre motivi principali. Con i primi due, lamentava la violazione di norme sull’interpretazione del contratto e sull’onere della prova, sostenendo che gli aumenti non erano ancorati a elementi oggettivi e che l’onere di dimostrare la validità della clausola spettasse al locatore. Con il terzo motivo, denunciava l’omesso esame del carattere vessatorio delle clausole contrattuali.

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, confermando la linea interpretativa consolidata in materia.

La Legittimità del Canone Progressivo

La Corte ha ribadito un principio ormai pacifico nella giurisprudenza di legittimità: la clausola che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo è, in linea di principio, legittima. L’autonomia contrattuale delle parti consente loro di prevedere un canone che varia nel tempo, purché ciò non costituisca un espediente per aggirare la normativa imperativa che pone dei limiti all’aggiornamento del canone per compensare la svalutazione monetaria.

L’unico limite a tale libertà è, quindi, lo scopo surrettizio di neutralizzare gli effetti della perdita di potere d’acquisto della moneta, eludendo i limiti quantitativi posti dall’art. 32 della L. n. 392/1978. Spetta alla parte che contesta la validità della clausola, ovvero il conduttore, allegare e provare tale intento elusivo.

Le Carenze Processuali del Ricorso

Oltre alle questioni di merito, la Corte ha pesantemente sanzionato le modalità con cui è stato presentato il ricorso. I primi due motivi sono stati giudicati inammissibili ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c., in quanto la decisione impugnata era conforme alla giurisprudenza consolidata e i motivi del ricorso non offrivano elementi per un possibile mutamento di tale orientamento.

Il terzo motivo, relativo al presunto carattere vessatorio delle clausole, è stato dichiarato inammissibile perché sollevava questioni nuove, non proposte in appello. La Corte ha ricordato che è onere del ricorrente indicare specificamente in quale atto del giudizio precedente avesse sollevato tali questioni, onere che nel caso di specie non è stato assolto.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha ritenuto le censure del ricorrente generiche e non pertinenti. Il conduttore, infatti, non ha contestato il percorso logico-giuridico seguito dalla Corte d’Appello, ma si è limitato a criticare il risultato interpretativo, senza indicare specifiche violazioni dei criteri ermeneutici. La decisione si fonda sulla consolidata giurisprudenza secondo cui il canone a scaletta non necessita di essere ancorato a elementi esterni predeterminati, diversi dalle variazioni del potere d’acquisto della moneta, per essere valido. La volontà delle parti di predeterminare un canone crescente è sufficiente, purché non sia provato l’intento elusivo. Dato che il conduttore non ha fornito tale prova, le sue doglianze sono state respinte.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un importante principio in materia di locazioni commerciali: il canone a scaletta è uno strumento contrattuale valido e legittimo. La sua nullità può essere dichiarata solo in casi eccezionali, quando viene dimostrato che il suo unico scopo è quello di aggirare le norme imperative sulla svalutazione. La decisione sottolinea anche l’importanza del rigore processuale: i motivi di ricorso devono essere specifici, pertinenti e non possono introdurre questioni nuove non dibattute nei precedenti gradi di giudizio. Per gli operatori del settore, ciò significa che la redazione di clausole di aumento progressivo del canone deve essere chiara, ma non richiede giustificazioni esterne, mentre per chi intende contestarle, è fondamentale fornire prove concrete dell’intento elusivo.

È legittima una clausola che prevede un canone a scaletta in un contratto di locazione commerciale?
Sì, la giurisprudenza consolidata ritiene legittima la clausola che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente nel tempo. L’autonomia contrattuale delle parti consente questa pattuizione.

Qual è l’unico limite alla validità di una clausola di canone a scaletta?
L’unico limite è che la clausola non sia utilizzata come mezzo surrettizio per neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi imposti dall’art. 32 della Legge n. 392/1978. L’intento elusivo deve essere provato da chi contesta la clausola.

Perché il ricorso del conduttore è stato dichiarato inammissibile dalla Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per più ragioni: i primi due motivi erano contrari alla giurisprudenza consolidata e non offrivano argomenti per un ripensamento; il terzo motivo introduceva questioni nuove non discusse in appello, violando i requisiti formali del ricorso per cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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