Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24219 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24219 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18747/2020 R.G. proposto da : COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE, domiciliato agli indirizzi PEC dei difensori iscritti nel REGINDE; -ricorrente- contro
NOME
COGNOME;
-intimato-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ANCONA n. 460/2019 depositata il 04/04/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che :
1. NOME COGNOME ricorre per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Ancona n.460 del 2019, confermativa della sentenza del Tribunale di Ancona n.483 del 2014, con la quale, per quanto interessa, la ricorrente era stata condannata a pagare a NOME COGNOME euro 125.060,70 come conguaglio del trasferimento, da parte di quest’ultimo, della metà della proprietà di un appartamento in precedenza oggetto di comunione tra le parti.
L’appartamento fu costruito da una cooperativa edilizia su area di proprietà del Comune di Ancona concessa alla cooperativa in forza dell’art. 35 della l.865 del 1970, fu assegnato alla COGNOME, socia della cooperativa, con atto notarile del 1989 ed entrò in comunione legale tra la Bonamano e l’Orena, allora suo marito, e divenne poi, a seguito della sentenza di divorzio, oggetto di comunione ordinaria. La sentenza impugnata recepisce la quantificazione del prezzo del bene effettuata dal CTU in dichiarata applicazione della clausola 11 della convenzione tra il Comune di Ancona e la cooperativa – che la Corte di Appello ha accertato essere ancora efficace – in base al valore per mq di superficie complessiva indicato dal Comune di Ancona – Area urbanistica, servizio gestione edilizia – aggiornato al 16 maggio 2012. Questa clausola prevedeva che ‘Il prezzo di cessione ai soci prenotatari o assegnatari degli alloggi compresi negli erigendi fabbricati sarà pari al costo di costruzione più le relative spese. Il prezzo di una successiva cessione dovrà essere contenuto entro i limiti stabiliti dal Ministero LL.PP. in base all’art. 3 lettera n) della legge n. 457/1978 vigente al momento della cessione o, in mancanza di questi, sulla base del prezzo medio degli appalti per le costruzioni di edilizia residenziale pubblica relativi all’anno precedente a quello della cessione stessa, diminuito di una percentuale di deprezzamento così determinata in base all’età dell’edificio: da 0 -5 anni 0%, da 5-10 anni 5%, da 1020 anni 10%, da 2030 ani 20%, oltre 30 anni 30%’. La Corte di
Appello ha dato conto del fatto che il CTU aveva quantificato la superficie complessiva in mq 182,65 pari alla somma della superficie abitabile, di mq 93,32, e della quota del 60% della superficie non residenziale (costituita da balcone, mansarda, terrazze, cantina e garage), pari, in totale, a mq 148,88. La Corte di Appello ha affermato che, da un lato, le modalità di calcolo erano state fatte proprie dalla COGNOME, con la conseguenza che il primo motivo di appello con cui la stessa aveva inteso rimettere tali modalità in discussione, era inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c. perché introduceva un nuovo tema di indagine e che, dall’altro lato, le contestazioni sulla estensione della superficie abitabile e non abitabile e sul relativo valore dovevano essere rigettate, essendo da ritenersi corrette sull’uno e sull’altro versante le stime del CTU;
NOME COGNOME è rimasto intimato;
la ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che :
con il primo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 342 e 345 c.p.c.
In sostanza la ricorrente deduce che la Corte di Appello ha errato nel ritenere che le modalità di calcolo della determinazione del conguaglio che essa ricorrente avrebbe dovuto pagare al condividente, fossero state condivise in primo grado cosicché non avrebbero potuto essere rimesse in discussione in appello.
La ricorrente ricorda di avere condiviso il riferimento del CTU ai limiti imposti dalla legge n. 457 del 1978 e dai d.m. attuativi del Ministero dei Lavori Pubblici così come espressamente previsto dall’art. 11 della convenzione tra la cooperativa costruttrice e il Comune di Ancona e di avere anche condiviso l’accertamento del CTU per cui il Comune di Ancona, area urbanistica, servizio gestione edilizia, aveva indicato che il prezzo massimo del bene in questione, aggiornato al maggio del 2012, non poteva essere
superiore a 1.555,20 euro per mq di superficie complessiva, ma di aver sollevato la questione per cui la sentenza impugnata aveva recepito l’errore commesso dal CTU nell’applicare il d.m. Lavori Pubblici, avendo il CTU calcolato la superficie complessiva in mq 182,65, pari alla somma della superficie utile – di mq 93,32 – e del 60% della intera superficie non residenziale – pari, per intero, a mq 148,88 – laddove invece, in base alla legge n. 457 del 1978 e ai decreti ministeriali attuativi, ai fini del calcolo della superficie complessiva, la superficie non residenziale ‘dovrà essere contenuta nel 40% della superficie utile, oltre il garage comunque non superiore a 18 mq’. Sostiene la ricorrente che l’appello non conteneva una eccezione nuova suscettiva di valutazione ai sensi e per gli effetti dell’art. 345 c.p.c. ma veicolava una denuncia di violazione di legge;
2. con il secondo motivo la ricorrente lamenta ‘violazione o falsa applicazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. ovvero omesso esame del fatto decisivo in relazione alla generica condivisione della CTU sottoposta a critiche specifiche’.
La ricorrente deduce che la Corte di Appello ha errato nell’affermare che i risultati cui era pervenuto il CTU erano da recepirsi senza necessità di alcuna motivazione. La ricorrente, ricordato quanto specificamente eccepito contro la sentenza di primo grado recettiva della CTU, lamenta che la Corte di Appello ha errato nell’omettere apoditticamente la rivalutazione di come la sentenza di primo grado avesse applicato la legge n. 457 del 1978 ed i relativi decreti attuativi in punto di determinazione della superficie complessiva;
3. con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta ‘violazione dell’art. 35 della l. n. 865 del 1971, dell’art. 3 della l. n. 457 del 1978 e del d.m. 23 maggio 1984 e successivi, integrativi della convenzione del 18 novembre 199, e degli articoli 1339 e 1372 c.c. in relazione alla determinazione del valore dell’immobile edificato
con edilizia agevolata’. In sostanza la ricorrente ripropone, sotto il profilo della violazione delle norme evocate in epigrafe, le censure veicolate con i due motivi precedenti;
i motivi possono essere esaminati in modo congiunto.
La sentenza impugnata ha dato conto del fatto che il prezzo complessivo del bene è stato quantificato in applicazione della clausola 11) della convenzione adottata ai sensi dell’art. 35 della l. n. 865 del 1971 tra il Comune di Ancona e la cooperativa edilizia costruttrice – convenzione che la Corte di Appello ha dichiarato essere ancora di vincolo per la determinazione del prezzo massimo di cessione (v., in tema di permanenza del vincolo di prezzo per le cessioni di immobili di cui alle convenzioni previste dall’art. 35 della l. n. 865 del 1971 – c.d. convenzioni P.E.E.P. – fino a quando lo stesso non venga eliminato con la procedura di affrancazione di cui all’art. 31, comma 49-bis, della l. n. 448 del 1998, Cass. Sez. Un., sentenza n. 21348 del 06/07/2022). La clausola (il cui testo è riprodotto a pagina 37 del ricorso), prevedeva che il prezzo doveva essere determinato con riferimento ai parametri ‘stabiliti dal Ministero dei Lavori Pubblici in base all’art. 3, lett. n.) della l. n. 457 del 1978 vigenti al momento della cessione’. A pagina 14 della sentenza impugnata, la Corte di Appello ha dato conto del fatto che il CTU di primo grado – il cui operato la Corte di Appello ha avallato -aveva quantificato in mq 182,65 la superficie complessiva dell’immobile, rispetto alla quale aveva poi determinato il prezzo, sommando alla superficie utile pari a mq 93,32, ‘il 60%’ della superficie non residenziale pari a mq 89,33 – 60% del totale di mq 148,88.
La ricorrente evidenzia che in questo modo la Corte di Appello non ha correttamente applicato i decreti del Ministero dei Lavori Pubblici, ai quali rinvia l’art. 3 della l. n. 457/1978, a cominciare da quello del 23.05.1984, secondo cui ‘Ai fini della determinazione del limite massimo di costo della nuova edificazione valgono le
seguenti definizioni: … d) superficie utile abitabile (Su): si intende la superficie dal pavimento degli alloggi misurata al tetto dei muri perimetrali e di quelli interni delle soglie di passaggio da un vano all’altro, degli sguinci di porte e finestre; e) superficie netta non residenziale (Snr): si intende la superficie risultante dalla somma delle superfici non residenziali di pertinenza dell’alloggio quali logge, balconi, cantine, o soffitte e di quelle di pertinenza dell’organismo abitativo quali androni di ingresso, porticati liberi, volumi tecnici, centrali termiche. Tale superficie dovrà essere contenuta entro il 40 % della superficie utile abitabile (Su) oltre ad un massimo di mq 18 per autorimessa o posto macchina al coperto per abitazione. Tale limite del 40% si intende non per singolo alloggio ma riferita alla complessiva (Su) dell’organismo abitativo; f) superficie complessiva (Sc): si intende la superficie utile abitabile aumentata del 60 % delle superfici nette non residenziali: Sc = Su + 60 % Snr)’.
La doglianza è fondata nel suo complesso: la Corte di Appello ha dato conto del fatto che la superficie non residenziale era di mq 148,88, ha errato nel recepire il calcolo del CTU che ha sommato alla superficie utile il 60% della intera superficie non residenziale, posto che il decreto consente di tener conto della superficie non residenziale entro il limite massimo del 40% della superficie utile pari nella specie a mq 93,32 – oltre ad un massimo di mq 18 per autorimessa o posto auto coperto.
Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa deve essere rinviata alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione, per un riesame della vicenda alla luce di quanto sopra esposto;
il giudice del rinvio dovrà provvedere anche sulle spese del processo di legittimità.
P . Q . M .
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di legittimità, alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda