Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27049 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27049 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23558-2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso, unitamente all’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente –
GUARIENTI DI COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrenti –
nonché contro
GUARIENTI DI COGNOME
-intimata – avverso la sentenza n. 1788/2020 della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA, depositata il 10/07/2020;
lette le memorie delle parti;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con citazione del 5/12/2007, RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Agostino e RAGIONE_SOCIALE di Brenzone COGNOME convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Verona la sorella NOME, deducendo che in data 4/9/2006 era deceduto il padre NOME COGNOME di Brenzone, che con testamento olografo del 3/2/2000 aveva disposto di ogni sua proprietà immobiliare in favore della convenuta, adducendo, in alcune lettere allegate al testamento, che tale sua scelta era dettata dalla esigenza di rispristinare una situazione di eguaglianza tra i figli, posto che gli attori avevano già ricevuto in vita delle donazioni, provvedendo sempre nel testamento a revocare la dispensa da collazione che invece connotava le donazioni.
Dopo avere riepilogato il contenuto del testamento, caratterizzato anche dalla presenza di legati e dalla regolamentazione dei debiti successori, da ripartire tra i tre figli in quote eguali, gli attori ricordavano che il de cuius aveva compiuto in favore degli stessi una prima donazione del 4/5/1989 avente ad oggetto gli immobili di località INDIRIZZO, costituiti dalla locanda e connessi fabbricati, una seconda donazione del 30/3/1994 avente ad oggetto la villa con relativi accessori in SINDIRIZZO, ma che aveva predisposto una scrittura privata in data 30/3/1994, definita contratto dissimulato, e che vedeva parte oltre che gli attori anche la RAGIONE_SOCIALE, atto accompagnato anche da una diversa scrittura, definita accordo simulatorio, e da una coeva scrittura, definita controdichiarazione, dalle quali si evinceva che la donazione era solo parzialmente tale, in quanto in realtà i donatari avevano corrisposto al genitore cospicue somme di denaro.
Ancora, si ricordava che con un contratto preliminare di vendita il padre si era obbligato a trasferire alla RAGIONE_SOCIALE la proprietà di alcuni immobili, e per un corrispettivo in parte già versato.
Secondo la tesi degli attori, il trasferimento immobiliare non era del tutto riconducibile ad una donazione, ma aveva natura mista, presentando anche profili di carattere oneroso. Inoltre, il padre aveva concluso con i figli un contratto di locazione, modificato in data 30/3/1994, dal quale poi era scaturita la sublocazione di pari data, in ragione del quale la RAGIONE_SOCIALE aveva ceduto al padre il credito derivante dal rapporto di sublocazione.
Per l’effetto, tenuto conto della reale natura dei rapporti intercorsi con il padre, le disposizioni testamentarie in favore della sorella erano lesive della loro quota di riserva e dovevano quindi essere
ridotte, previo accertamento della simulazione relativa dei contratti di donazione.
Si costituiva la convenuta che, previa richiesta di chiamata in causa della RAGIONE_SOCIALE, instava per il rigetto della domanda ed in via riconvenzionale chiedeva accertarsi l’invalidità e/o la nullità dei contratti di locazione richiamati dagli attori, accertandosi che gli stessi ponevano in essere delle ulteriori donazioni indirette in favore dei fratelli, anche per effetto del conferimento nella società RAGIONE_SOCIALE, facente capo agli attori, dell’azienda appartenuta al padre.
Quindi concludeva affinché fossero ridotte e sottoposte a collazione le donazioni effettuate in favore dei fratelli, posto che la dispensa inizialmente contenuta negli atti di donazione era stata successivamente revocata nel testamento.
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE che aderiva alla richiesta degli attori di disporre in suo favore ex art. 2932 c.c. il trasferimento dell’immobile appartenente al de cuius, in virtù del contratto preliminare del 7 aprile 1996.
Interveniva altresì la RAGIONE_SOCIALE, quale detentrice del complesso immobiliare in INDIRIZZO, giusta contratto di sublocazione, e chiedeva accertarsi la nullità o l’inefficacia del contratto di locazione, con l’emissione di una sentenza ex art. 2932 c.c. di trasferimento della proprietà in proprio favore.
Nelle more del giudizio di primo grado la convenuta con atto del 12/2/2009 ha alienato la propria quota ereditaria alla RAGIONE_SOCIALE
Il Tribunale di Verona, con la sentenza n. 202 del 2/2/2013, ha rigettato la domanda di simulazione degli atti di donazione in
favore degli attori nonché quella di accertamento dell’invalidità della revoca della dispensa da collazione contenuta nel testamento; ha rigettato la domanda riconvenzionale di nullità o simulazione del contratto di locazione del 10/9/90 intercorso tra il de cuius e la RAGIONE_SOCIALE nonché della successiva integrazione del 30/3/1994; ha rigettato la domanda della convenuta di accertamento che il conferimento nella società RAGIONE_SOCIALE dell’azienda alberghiera paterna fosse una donazione indiretta; ha rigettato la domanda di rendimento del conto avanzata dalla convenuta nei confronti della RAGIONE_SOCIALE; ha rigettato la domanda della RAGIONE_SOCIALE per il trasferimento ex art. 2932 c.c. relativamente agli immobili oggetto del contratto recante la data del 7/4/1996, in quanto prescritta; ha dichiarato il difetto di interesse della RAGIONE_SOCIALE a vedere accertata la simulazione parziale dei contratti di donazione tra il de cuius e gli attori, nonché all’accertamento della nullità degli stessi contratti; ha rigettato la domanda sempre della RAGIONE_SOCIALE di accertamento della nullità o della simulazione assoluta del contratto di locazione del 10/9/1990 e successiva integrazione, con la conseguente invalidità del contratto di sublocazione e di emissione di sentenza di trasferimento della proprietà in proprio favore ex art. 2932 c.c.; ha dichiarato aperta la successione testamentaria sui beni del de cuius, essendo erede la convenuta, chiarendo altresì la composizione della massa, con la specifica individuazione del donatum e del relictum e dei debiti ereditari, rimettendo la causa in istruttoria per il prosieguo.
Avverso tale sentenza non definitiva proponevano appello immediato principale gli attori, cui resistevano le altre parti proponendo a loro volta separati appelli incidentali.
Rimessa la causa in istruttoria per la prosecuzione del giudizio, dopo la stima dei beni facenti parte dell’asse ereditario effettuata da parte dei consulenti tecnici d’ufficio, Il Tribunale adito pronunciava la sentenza definitiva n. 898 del 10 aprile 2017 con la quale venivano rigettate le domande di riduzione delle disposizioni testamentarie formulate dagli attori e la domanda riconvenzionale di riduzione delle donazioni disposte in vita dal de cuius proposta dalla convenuta.
Avverso tale sentenza definitiva proponeva appello NOME COGNOME di Brenzone, unitamente alla società RAGIONE_SOCIALE in qualità di acquirente di tutti i beni ereditari e le controparti formulavano impugnazioni incidentali.
L’appello principale veniva notificato anche alle società RAGIONE_SOCIALE pur dandosi atto che nei loro confronti il giudizio era stato definito con la sentenza non definitiva n. 202/2013.
La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza definitiva n. 1788 del 10 luglio 2020, nel rigettare le impugnazioni proposte, confermava integralmente la sentenza del giudice di primo grado. Quanto all’appello principale che investiva il rigetto della domanda di riduzione avanzata dalla erede testamentaria, la sentenza riteneva di condividere la valutazione del giudice di primo grado, che, avendo escluso la possibilità di tenere conto della pretesa esistenza di una donazione solo parziale effettuata dal padre ai figli maschi, aveva provveduto alla stima dei beni
relitti e di quelli donati, pervenendo alla conclusione che non vi era lesione né in danno della sorella né dei due fratelli.
Era perciò ritenuta del tutto condivisibile la stima effettuata dai consulenti tecnici d’ufficio nel corso del giudizio di primo grado, non potendo trovare accoglimento le critiche mosse con l’appello, posto che si era tenuto conto di tutte le caratteristiche intrinseche dei beni donati, anche alla luce del fatto che la stima doveva avvenire secondo le condizioni e lo stato dei beni alla data di apertura della successione.
In relazione all’appello incidentale, il giudice di secondo grado, nel ritenere infondata la censura sull’erroneo rigetto dell’istanza di sospensione ex art. 295 c.p.c., evidenziava, innanzitutto, che nel rapporto fra il giudizio di impugnazione di una sentenza parziale e quello che sia proseguito davanti al giudice che ha pronunciato detta sentenza, l’unica possibilità di sospensione di quest’ultimo giudizio è quella che presuppone la richiesta concorde delle parti ai sensi dell’art. 279, co. 4, c.p.c. richiesta che nel caso di specie non era stata proposta -in quanto il giudizio è unico e pertanto la sentenza resa in via definitiva è sempre soggetta agli effetti di una successiva decisione di riforma della sentenza non definitiva che ne costituisce il presupposto.
La Corte territoriale affermava, inoltre, che correttamente il giudice di primo grado avesse ritenuto insussistenti i presupposti di una comunione ereditaria da sciogliere, avendo gli attori proposto domanda di divisione nell’atto di citazione solo in via strettamente connessa all’accoglimento dell’azione di riduzione e alla domanda di reintegra della quota di riserva della legittima, entrambe rigettate.
Pertanto, una volta esclusa la fondatezza sia della domanda di riduzione della sorella che dei due fratelli, era da ritenersi che i beni restassero assegnati alle parti in conformità delle volontà espresse dal genitore, per i figli, con gli atti di donazione, e per la figlia con il testamento.
In merito poi alla doglianza sulla mancata ricomprensione nel debitum delle somme versate dagli appellanti in via incidentale a RAGIONE_SOCIALE e al de cuius , il giudice di secondo grado ne dichiarava l’inammissibilità in ragione del fatto che la consistenza dell’asse ereditario era stata accertata dal Tribunale di Verona con la sentenza non definitiva n. 202/2013, che sul punto non risultava impugnata.
Per la cassazione di tale sentenza RAGIONE_SOCIALE Brenzone ha proposto ricorso basato su quattro motivi.
NOME COGNOME di Brenzone si costituisce in giudizio con controricorso in adesione al ricorso principale.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
NOME COGNOME NOME non ha svolto difese in questa fase.
Tutte le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 337, co. 2, 295, 132 e 395 c.p.c. in relazione all’errata motivazione inerente alla sospensione del processo in attesa dell’esito dell’impugnazione della sentenza non definitiva n. 202/2013 del Tribunale di Verona.
In particolare, la Corte territoriale avrebbe errato nel limitarsi a confermare, senza un’adeguata motivazione, la decisione di primo grado in merito alla richiesta di sospensione ex art. 295 c.p.c., e non avrebbe, al contrario, preso posizione in merito all’istanza di sospensione ex art. 337 c.p.c.
Secondo il ricorrente, essendo la decisione di sospendere o meno del processo una scelta discrezionale del giudice, la Corte avrebbe dovuto motivare in ordine alle ragioni che l’hanno condotta a rigettare l’istanza di sospensione, e quindi ad effettuare una prognosi sull’esito dell’impugnazione circa la plausibile non controvertibilità della decisione contenuta nella citata sentenza non definitiva.
Il secondo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2934 c.c. in combinato disposto con l’art. 556 c.c. e artt. 115 e 116, e dell’art. 132 c.p.c. in relazione alla dichiarazione di prescrizione dell’azione di accertamento della simulazione e conseguente errata determinazione della porzione disponibile.
In particolare, la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere inammissibile la censura circa la mancata inclusione tra i debiti ereditari delle somme erogate dai figli al padre, in quanto la sentenza non definitiva del Tribunale avrebbe già definito con efficacia di giudicato la composizione dell’asse ereditario, ritenendo prescritta l’azione di accertamento della simulazione, avente ad oggetto i negozi che si sostiene siano stati conclusi a titolo parzialmente oneroso dal de cuius in favore dei figli. Secondo il ricorrente, la Corte avrebbe dovuto ritenere non prescritta l’azione di simulazione esperita al solo fine di
accertare uno stato di fatto e non un diritto nascente dal negozio dissimulato -in quanto meramente dichiarativa e come tale dotata del requisito della imprescrittibilità e, conseguentemente, accertare la consistenza delle somme erogate dai figli al padre e ricomprenderle all’interno del debito ereditario.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 720 c.c. e 115, 116 e 132 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. in relazione alla dichiarazione di assenza di una comunione ereditaria, illogicità e contraddittorietà della decisione della Corte d’Appello in punto di ‘comoda divisibilità’ dei beni facenti parte dell’asse ereditario.
In primo luogo, secondo il ricorrente, il giudice di secondo grado avrebbe errato nel ritenere insussistente la comunione ereditaria e quindi inapplicabile l’art. 720 c.c. in sede di divisione, ritenendo il compendio già diviso dal testatore in quanto dalla consulenza tecnica d’ufficio emergerebbe l’esistenza di dieci beni immobili di comproprietà delle parti in causa.
La Corte territoriale avrebbe, inoltre, dovuto considerare, in ragione di quanto affermato dai CTU nel loro elaborato, che il compendio immobiliare di Punta San Vigilio è non comodamente divisibile, in quanto il suo frazionamento in unità distinte comporterebbe la vanificazione del valore globale dello stesso, tenuto conto anche dei vincoli che gravano sullo stesso, e conseguentemente assegnare ad NOME e NOME COGNOME di Brenzone tale compendio a fronte della corresponsione in denaro alla sorella NOME del valore della quota.
Il quarto motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99,
100, 115, 116 e 132 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 1872 c.c. in merito all’errata qualificazione giuridica e interpretazione dei contratti stipulati in data 4 maggio 1989 e 30 marzo 1994.
Secondo il ricorrente, la Corte territoriale si sarebbe erroneamente limitata a valutare inammissibili le domande proposte con appello incidentale, ritenendo che la consistenza dell’asse ereditario fosse stata già accertata dal Tribunale di Verona, senza fornire alcuna motivazione sulla condivisione della qualificazione giuridica dei negozi dispositivi intercorsi tra i figli maschi e il padre. Il giudice di secondo grado avrebbe dovuto interpretare tali negozi come un unico contratto di rendita vitalizia secondo la volontà reale delle parti e, conseguentemente, trattandosi di atti a titolo oneroso, ricomprendere le somme erogate dai figli al padre nel debitum facente parte dell’asse ereditario.
I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono però inammissibili, avuto riguardo agli sviluppi che ha avuto il procedimento, in relazione alla sorte dell’impugnazione della sentenza non definitiva del Tribunale di Verona, che, come emerge evidentemente dalla lettura anche della sentenza qui impugnata, ha costituito il presupposto su cui si fonda la decisione assunta nella successiva sentenza definitiva, poi confermata in appello.
Giova al riguardo ricordare che la sentenza non definitiva n. 202/2013 è stata oggetto di appello e la Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 1419 del 21/6/2016, in parziale accoglimento dell’appello principale e dell’appello incidentale della
RAGIONE_SOCIALE, ha disatteso l’eccezione di prescrizione della domanda di simulazione degli attori, rigettandola però nel merito; ha rigettato l’eccezione di prescrizione della domanda di simulazione proposta dal RAGIONE_SOCIALE quanto al contratto di locazione del 1990, come integrato nel 1994, rigettandola però nel merito.
Quanto al primo motivo dell’appello principale degli attori, con il quale si contestava la tesi del Tribunale secondo cui era da ritenersi prescritta la domanda di simulazione parziale delle donazioni ricevute dal genitore, la Corte d’Appello rilevava che di norma l’azione di simulazione è imprescrittibile, essendo invece sottoposti a prescrizione i diritti che presuppongono l’esistenza del contratto dissimulato.
Nella specie, l’azione di simulazione era volta a fare emergere la circostanza che le donazioni erano solo parziali, trattandosi infatti di negotia mixta cum donatione .
Poiché l’azione di simulazione era stata nella specie proposta da soggetti che rivestono la qualità di legittimari, il termine di prescrizione non può che decorrere dalla data di apertura della successione, e non già da quella di compimento dell’atto.
Infatti, la simulazione era finalizzata a dimostrare che i beni di cui erano stati beneficiati gli attori erano di valore inferiore alla quota di riserva che necessitava quindi di essere reintegrata in danno della convenuta.
Tuttavia, ancorché non prescritta, la domanda era da reputarsi infondata.
Infatti, gli attori erano stati parte dei negozi impugnati e volevano far valere la simulazione nei confronti di un terzo quale doveva reputarsi essere la convenuta.
Trovava quindi applicazione l’art. 1415 co. 1 c.c. che prevede che la simulazione non possa essere opposta al terzo di buona fede che abbia acquistato diritti dal titolare apparente. A seguito dell’apertura della successione la convenuta ha acquisito il diritto a portare in collazione le donazioni ricevute dai fratelli, diritto che verrebbe meno ove si accertasse la simulazione.
Quanto al secondo motivo di appello principale, con il quale si contestava la correttezza della soluzione circa la possibilità di revoca con testamento della dispensa da collazione disposta con una precedente donazione, la Corte distrettuale, dopo aver dato atto dell’orientamento del giudice di legittimità favorevole alla tesi degli appellanti, ha però ritenuto che lo stesso fosse da rimeditare e che fosse da condividere la soluzione del Tribunale, alla luce della qualificazione della dispensa de qua come atto unilaterale e mortis causa, che non rappresenta elemento facente parte della donazione, ma clausola solo occasionalmente suscettibile di inserimento in una donazione, e che non perde la possibilità di essere revocata dal donante anche con un successivo testamento.
In relazione al terzo motivo dell’appello principale che si doleva del mancato riconoscimento in favore degli attori dei miglioramenti ed interventi di manutenzione straordinaria eseguiti sui beni donati, la sentenza ne riteneva l’ infondatezza, e ciò sia perché non vi era prova che i costi degli interventi fossero stati sostenuti dagli appellanti, e non invece dalla società
conduttrice (senza indicare se ed in quali termini a tale ultima società fosse stato riconosciuto il rimborso di tali spese), sia perché si trattava di spese che concernevano voci che non avevano nulla a che fare con interventi di manutenzione straordinaria, riguardando opere per l’ordinaria gestione della struttura alberghiera.
Era disatteso il quarto motivo di appello principale, e ciò sul presupposto che gli attori non avevano ragione di dolersi del rigetto della domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre proposta da un soggetto terzo (la RAGIONE_SOCIALE, come del pari era respinto il quinto motivo che investiva la qualificazione come eredi testamentari anche degli attori.
Infatti, gli stessi attori avevano dedotto la loro qualità di legittimari pretermessi (avendo invece rivendicato la qualità di eredi testamentari solo nel corso del diverso giudizio di retratto avente ad oggetto l’alienazione della quota ereditaria compiuta dalla convenuta).
Il Tribunale aveva però correttamente ritenuto che gli attori non potessero vantare la qualità di eredi testamentari, in quanto la lettura complessiva delle volontà testamentarie deponeva per la nomina della sola figlia quale erede universale, senza che potesse incidere su tale soluzione la diversa sorte dei debiti, ripartiti tra tutti e tre i figli, essendo questa una previsione compatibile anche con la qualità di legatari, invece sicuramente assegnata agli attori.
La Corte d’appello reputava tale conclusione insindacabile, aggiungendo che a nulla rilevava il fatto che il testamento non avesse fatto menzione di tutti i beni appartenenti al de cuius,
dovendosi invece ritenere che la qualifica di erede universale di NOME le permettesse di apprendere in qualità di erede anche i beni non riportati nell’atto di ultima volontà.
Passando ad esaminare l’appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE di Brenzone NOME, la sentenza, pur dando atto del fatto che la convenuta, avendo agito quale legittimaria, potesse offrire la prova della simulazione anche per presunzioni, riteneva che però non fossero stati offerti elementi tali per affermare che la locazione del 10/9/1990 conclusa dal de cuius con la RAGIONE_SOCIALE fosse simulata.
Infatti, le successive dichiarazioni rese dal de cuius nel testamento non potevano valere come controdichiarazioni, in quanto non avevano carattere sfavorevole al dichiarante.
Le lettere allegate dal de cuius al testamento miravano essenzialmente a regolare la propria successione e non avevano il carattere fondamentale per attribuire loro il valore di controdichiarazione.
Inoltre, il contratto del 30/3/1994, con relativa controdichiarazione, non deponeva per la simulazione della locazione, posto che confermava la sua effettiva conclusione, con l’indicazione anche dell’aumento del canone.
Invece, quanto al preliminare di compravendita stipulato con il RAGIONE_SOCIALE in data 5 marzo 1993, la dichiarazione del de cuius, in merito all’assenza di precedenti locazioni, lungi dall’essere sfavorevole al dichiarante, mirava invece a far apparire nei confronti della promissaria acquirente l’alienazione di un bene privo di oneri.
In relazione invece al profilo del pagamento del canone ed alla sua misura, si trattava di elementi che non provavano la simulazione assoluta, ma al più una donazione indiretta, e in ogni caso il Tribunale aveva accertato che il canone si era triplicato in pochi anni, mentre il suo mancato pagamento avrebbe potuto al più rilevare come causa di inadempimento.
In relazione all’appello incidentale della RAGIONE_SOCIALE la Corte d’appello ha ritenuto condivisibile la soluzione del Tribunale quanto alla prescrizione del diritto ad agire ex art. 2932 c.c.
Infatti, il preliminare prevedeva come data per la stipula del definitivo quella del 30/7/1996, sicché al momento della proposizione della domanda della terza chiamata, il decennio era abbondantemente maturato.
Né poteva indurre a diversa conclusione il fatto che si facesse riferimento alla possibilità di concludere il contratto allorché la Sovrintendenza avesse rilasciato idonea certificazione per il trasferimento di immobili vincolati, in quanto tale previsione mirava solo ad anticipare la possibilità della conclusione rispetto al termine comunque ultimativo previsto in contratto, dovendosi escludere che quindi si trattasse di una condizione sospensiva.
Inoltre, anche l’ultimo pagamento degli acconti risaliva ad oltre dieci anni prima dell’introduzione della domanda, senza che potesse annettersi efficacia interruttiva alla dichiarazione contenuta nel testamento ad opera del promittente venditore.
In merito all’appello incidentale della RAGIONE_SOCIALE, la sentenza di appello, pur ritenendo erronea l’ affermazione circa la prescrizione dell’azione, attesa l’imprescrittibilità dell’azione di simulazione, riteneva che la domanda fosse però infondata alla
luce degli stessi argomenti spesi per disattendere l’omologo motivo di appello della convenuta.
5.1 La sentenza della Corte d’Appello sulla sentenza non definitiva del Tribunale è stata poi oggetto di ricorso per cassazione, e questa Corte con la sentenza n. 41132 del 21 dicembre 2021 ha accolto il primo motivo del ricorso principale dei germani Guariente di Brenzone nei limiti di cui in motivazione, ed ha dichiarato inammissibili gli altri motivi del ricorso principale e rigettato i ricorsi incidentali; per l’effetto ha cassato la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione, la quale ha poi definito il giudizio di rinvio con la successiva sentenza n. 774/2024, che è oggetto di altro ricorso proposto dinanzi a questa Corte, iscritto al n. 16729/2024, e trattato alla medesima adunanza del ricorso qui in esame.
Per quanto rileva in questa sede, e quindi in ordine alle conclusioni cui era pervenuta la sentenza non definitiva del Tribunale di Verona, che aveva ritenuto che si dovesse prendere in esame, ai fini della riunione fittizia – operazione prodromica al calcolo della quota di legittima ed alla verifica della sua lesione -il valore integrale dei beni oggetto di donazione da parte del de cuius in favore dei figli maschi con gli atti del 4 maggio 1989 e del 30 marzo 1994, questa Corte è pervenuta ad una soluzione difforme.
5.2 Il motivo accolto denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 1415 c.c. nell’avere la Corte d’Appello ritenuto inopponibile alla convenuta la simulazione delle donazioni effettuate dal de cuius agli attori, e ciò per avere il giudice di
appello erroneamente affermato che nella fattispecie dovesse trovare applicazione il disposto dell’art. 1415 c.c., e che alla convenuta dovesse essere assegnata la qualità di terza acquirente di buona fede, come tale insuscettibile di essere pregiudicata dall’accertamento della natura (parzialmente) simulata delle donazioni ricevute dai ricorrenti.
Questa Corte ha ritenuto il motivo fondato, rilevando che la successione del de cuius era regolata dal testamento olografo pubblicato il 29/8/2007, il cui contenuto era stato interpretato, in maniera non più controversa, nel senso che l’unica erede testamentaria era la convenuta, potendo gli attori vantare unicamente la qualità di legatari.
Era perciò coperto dal giudicato il fatto che non ricorre una situazione di comunione ereditaria tra i germani Guariente di Brenzone, il che precludeva la stessa possibilità di invocare l’istituto della collazione, che nemmeno poteva essere rimesso in gioco per effetto dei diversi esiti che potrebbero avere le domande di riduzione reciprocamente proposte.
I fratelli COGNOME di Brenzone avevano agito in riduzione quali legittimari, pretermessi nel testamento, al fine di ottenere la riduzione delle attribuzioni testamentarie, sul presupposto che le donazioni ricevute non erano in grado di assicurare il soddisfacimento della quota riservata.
D’altro canto, la convenuta aveva inteso far valere sia la propria qualità di erede universale (al fine di invocare la collazione delle donazioni ricevute dai fratelli) che quella di legittimaria (onde attaccare le donazioni stesse nei limiti in cui risultava lesa la propria quota di riserva, non appieno soddisfatta dalle
attribuzioni testamentarie), così che la qualità di terzo doveva esserle riconosciuta solo in relazione alla tutela specifica della posizione di legittimaria.
Poiché la domanda degli attori mirava a fa accertare la simulazione (relativa ed oggettiva) di donazioni che avevano trasferito la titolarità del diritto in capo ai ricorrenti, sul presupposto che il beneficio ricevuto sarebbe inferiore rispetto a quello apparente, la convenuta rispetto a tale domanda non poteva essere qualificata come terzo che abbia acquistato diritti dal titolare apparente, poiché resisteva all’avversa domanda di simulazione, non già quale legittimaria, ma quale erede universale, e quindi come successore di una delle parti del negozio asseritamente simulato.
Per l’effetto la sentenza ivi impugnata è stata cassata dovendo il giudice del rinvio esaminare la domanda di simulazione, verificando altresì se agli attori, in relazione alla domanda de qua, competano le agevolazioni probatorie correlate alla qualità di terzi ex art. 1417 c.c.
In conseguenza di tali considerazioni sono stati altresì rigettati i motivi di ricorso incidentale condizionati proposti dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE, e finalizzati a far affermare la prescrizione dell’azione di simulazione promossa dagli attori.
Alla luce di tale excursus , risulta perciò che la prima sentenza non definitiva del Tribunale di Verona n. 202/2013, nella sostanza confermata dalla successiva sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 1419/2016 risulta ormai travolta dalla sentenza di questa Corte n. 41132/2021.
La sentenza definitiva del Tribunale di Verona n. 898/2017, integralmente confermata dalla sentenza della Corte d’Appello n. 1788/2020, oggetto del presente ricorso, si fonda sul presupposto che avessero carattere vincolante le affermazioni rese nella prima decisione del Tribunale secondo cui non potesse avere alcun seguito la richiesta degli attori di considerare parzialmente simulate le donazioni dai medesimi ricevute, e ciò sul presupposto del loro carattere parzialmente oneroso, che avrebbe ridotto la misura del beneficio tratto dalla liberalità paterna, il che si sarebbe riflesso anche sulla individuazione sia del donatum , e di riflesso della determinazione della loro quota di riserva e della lamentata lesione, dovendosi imputare a tale quota un importo inferiore rispetto a quello apparentemente ritraibile dal carattere apparente degli atti de quibus.
A tal fine rilevano i passaggi della motivazione della sentenza definitiva del Tribunale alla pag. 10, che rileva come, in ragione del valore delle donazioni ricevute, non ricorreva alcuna lesione della quota di riserva degli attori, né sussisteva una lesione della quota dell’erede testamentaria, atteso che le attribuzioni ivi contenute erano idonee a tacitare la sua quota di riserva. Da tale premessa è stata poi tratta l’ulteriore conseguenza per cui i beni dovevano restare attribuiti alle parti in conformità, rispettivamente, degli atti di donazione e dei legati, ai figli maschi, e dell’istituzione di erede universale, alla convenuta, risultando quindi in tal modo impedita la stessa possibilità di insorgenza di una comunione (che avrebbe invece presupposto l’accoglimento delle azioni di riduzione).
Siffatta conclusione è alla base anche della successiva sentenza della Corte d’Appello qui gravata, che a pag. 15, pur ricordando come la sentenza non definitiva del Tribunale fosse stata in parte riformata dalla sentenza della Corte d’Appello n. 1419/2016, ha però ritenuto che tale riforma non incidesse sulla sostanza delle regole in base alle quali operare in vista della decisione delle azioni di riduzione, restando quindi confermato che nel donatum andava incluso l’intero valore delle donazioni ricevute dagli attori. La sentenza non definitiva e quella della Corte d’Appello a decisione del gravame avverso la stessa proposto, risultano però ormai travolte dalla decisione di questa Corte del 2021, il che impone di dover dichiarare inammissibile il ricorso proposto avverso la sentenza impugnata che è stata emessa nei confronti della successiva sentenza definitiva del Tribunale.
Questa Corte ha più volte affermato il principio per cui la cassazione della sentenza non definitiva, intervenuta nelle more del giudizio di legittimità instaurato avverso la sentenza definitiva, comporta, ove la prima di tali pronunce risulti logicamente pregiudiziale rispetto alla seconda, l’automatica caducazione di quest’ultima, ai sensi dell’art. 336, comma 2, c.p.c., con la conseguenza che il ricorso per cassazione contro la medesima, svuotatosi di contenuto e di interesse per il venire meno del provvedimento che ne era oggetto, deve essere dichiarato inammissibile (Cass. n. 17213/2015; Cass. n. 34/2011).
La regola è stata sovente affermata nelle ipotesi in cui sia intervenuta la cassazione, anche se con rinvio, della sentenza non definitiva, che abbia pronunciato positivamente sull'”an
debeatur”, atteso che ciò comporta la caducazione della sentenza sul “quantum”, dipendendo quest’ultima totalmente dalla prima, che della sentenza definitiva costituisce il fondamento logicogiuridico, non sostituibile, “ex post”, dalla nuova pronuncia in sede di rinvio, neppure se contenente statuizioni analoghe a quella della sentenza cassata (cfr. ex multis, Cass. n. 21456/2019).
Analoga regola è stata dettata anche nel caso, per molti versi assimilabile a quello in esame, in cui (Cass. n. 1293/1986) sia intervenuta la cassazione della sentenza non definitiva, nelle more del giudizio di legittimità instaurato avverso la sentenza definitiva, essendosi perciò dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione contro la sentenza definitiva, che aveva approvato il progetto di divisione predisposto a norma dell’art. 789 cod. proc. civ., in conseguenza della cassazione della sentenza non definitiva con cui era stata ritenuta la divisibilità dei beni comuni. Allo stesso modo deve quindi ritenersi che, ove sia cassata la sentenza non definitiva che abbia dettato le regole per le operazioni di riunione fittizia, individuando quali beni debbano comporre il donatum , ed escludendo che ai fini del relativo calcolo possa tenersi conto della asserita natura parzialmente simulata delle donazioni, la successiva sentenza definitiva che abbia dato attuazione ai criteri posti con la pronuncia non definitiva, sia automaticamente travolta, e si determini l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto nelle more avverso la sentenza di appello confermativa di quella definitiva del giudice di primo grado.
Va però ricordato che ove la cassazione sia stata parziale, in quanto concernente soltanto alcune statuizioni della sentenza non definitiva, la caducazione della pronuncia definitiva riguarderà unicamente le parti dipendenti dalla sentenza cassata, competendo alla stessa Corte di cassazione, investita del ricorso contro la sentenza definitiva, e non al giudice di rinvio, l’accertamento diretto del nesso di dipendenza, totale o parziale, della sentenza definitiva impugnata rispetto alla sentenza non definitiva cassata, trattandosi di accertamento relativo ad un ” error in procedendo “, in ordine al quale la cognizione della corte è estesa anche al fatto (Cass. n. 22623/2022).
Posta tale premessa, nella specie, ritiene la Corte che debba ritenersi che tutti i motivi siano coinvolti nella declaratoria di inammissibilità, in quanto tutti nel loro complesso finalizzati ad attingere proprio le regole che erano state dettate dalla sentenza non definitiva, ed alle quali la sentenza definitiva aveva inteso adeguarsi, regole che sono state reputate erronee con la sentenza che ne ha disposto la cassazione.
Il primo motivo è evidentemente interessato dalla caducazione della sentenza impugnata, atteso che la pretesa di ottenere la sospensione del presente giudizio, in attesa della definizione di quello separatamente pendente per l’impugnazione della sentenza definitiva resta superato in ragione della cassazione ricordata, e del fatto che in quella sede è stato accolto parzialmente il primo motivo di ricorso che mirava a conseguire una diversa valutazione dei beni donati ai fini della riunione fittizia e dell’imputazione ex se ai sensi dell’art. 564 c.c.
Così come del pari è evidente la dipendenza dell’interesse alla decisione degli altri tre motivi alla sorte dell’impugnazione avverso la sentenza non definitiva, in quanto gli stessi motivi mirano nel loro insieme a porre in discussione la conclusione circa l’assenza della lesione della quota di legittima degli attori, sul presupposto che sia erronea la valutazione dei beni donati, senza tenere conto della loro asserita natura parzialmente onerosa.
Il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile per effetto della caducazione della sentenza impugnata, restando escluso che la detta sentenza definitiva debba essere cassata per non passare in cosa giudicata formale, trattandosi di un effetto automatico previsto dalla legge.
Tuttavia, trattandosi di inammissibilità sopravvenuta alla proposizione del ricorso, quale conseguenza della successiva cassazione della sentenza non definitiva, si ritiene che ricorrano i presupposti per disporre la integrale compensazione delle spese del presente giudizio (essendo invece le statuizioni sulle spese contenute nella sentenza impugnata travolte ai sensi dell’art. 336 c.p.c.).
Nulla a disporre quanto alla parte rimasta intimata.
Poiché il ricorso è interessato da una inammissibilità sopravvenuta, non sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione (cfr. Cass., Sez. Un., n. 19976/2024).
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 24 giugno 2025.
La Presidente
NOME COGNOME