Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26277 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26277 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31470/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TORINO n. 562/2021 depositata il 20/05/2021
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.- COGNOME NOME ha proposto appello avverso la sentenza con cui il Tribunale di Ivrea ha accolto l’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto ingiuntivo che era stato emesso su ricorso del COGNOME stesso per ottenere il pagamento della somma di euro 54.638,94 pari alla differenza tra quanto liquidatogli in sede di incasso di cinque buoni fruttiferi postali «serie O», emessi nell’anno 1983 e aventi scadenza il 31.12.2013 (euro 45.922,56) e quanto asseritamente a lui spettante in base alle condizioni di rimborso riportate a tergo dei buoni postali (euro 100.561,50).
1.1.A fronte delle ragioni di opposizione fondate sul sopravvenire del D.M. 13.6.1986 che aveva modificato i tassi di rendimento inizialmente prospettati, l’opposto qui ricorrente aveva dedotto (come si legge nel ricorso):
la natura privatistica del rapporto sostanziale e l’applicabilità della normativa civilistica alle risultanze testuali del cartaceo quali clausole contrattuali su cui si è formato il vincolo contrattuale;
l’assenza sul cartaceo dei buoni in suo possesso dell’avvertenza relativa alla variabilità dei tassi in corso di rapporto e la conseguente inapplicabilità dei tassi sopravvenuti ai buoni in suo possesso;
la necessità, agli effetti dell’integrazione del contratto con i precetti ministeriali sopravvenuti ex art. 1339 c.c., del compimento di atti applicativi idonei ad aggiornare il cartaceo alle circostanze sopravvenute, costituiti, nella specie, dalla messa a disposizione da parte dell’Ufficio postale delle tabelle integrative previste dall’art. 173 DPR 156/73;
l’inadempimento di controparte all’obbligo di rendere disponibili presso gli uffici postali le citate tabelle integrative, e la sua rilevanza ai sensi dell’art. 1173 c.c. quale violazione dell’obbligo di buona fede oggettiva, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c.;
Rileva evidenziare che nella prima memoria aveva aggiunto:
che la mancata messa a disposizione di tali tabelle aveva impedito al risparmiatore la valutazione circa la convenienza dell’investimento così modificato e, quindi, l’esercizio consapevole del diritto di recesso.
Aveva infine richiesto di sollevare incidente di legittimità costituzionale dell’art. 173 DPR 156/73.
2.- La sentenza con cui il Tribunale, con articolata motivazione, ha accolto l’opposizione di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e revocato il decreto ingiuntivo emesso a favore del COGNOME è stata confermata dalla Corte d’Appello di Torino, che ha respinto il gravame e confermato la sentenza di primo grado, per quanto qui di interesse statuendo:
(a) sulla questione della presunzione legale di conoscenza della modifica dei tassi e, quindi, dell’efficacia ed immediata applicabilità della stessa a seguito della pubblicazione del relativo D.M. sulla Gazzetta Ufficiale (ritenendo l’appellante, fosse stato necessario, per l’opponibilità della modifica al risparmiatore, l’ulteriore adempimento della messa a disposizione mediante pubblicazione negli uffici postali delle relative tabelle):
a.1- che la pronuncia della Corte di RAGIONE_SOCIALEzione a Sezioni Unite, n. 3963 dell’11.02.2019, al punto 19, ha stabilito che il riferimento contenuto nell’art. 173 comma 3 alla tabella concernente la revisione (in concreto operata con il DM 13.6.1986) dei tassi di interesse, non costituisce una parte della modalità di comunicazione all’interessato della intervenuta nuova prescrizione ministeriale, poiché la conoscenza di tale circostanza è affidata dal
legislatore alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, necessaria e da sola sufficiente all’effetto predetto; sicch é le modifiche intervenute sulla misura degli interessi maturati sui buoni acquistati dal COGNOME nei primi anni ’80 si devono affermare certamente a lui opponibili;
a.2- che la messa a disposizione delle tabelle informative opera solo sul diverso e limitato piano della quantificazione degli interessi effettivamente dovuti e del controllo su tale operazione al momento della riscossione; ne consegue che l’eventuale mancata messa a disposizione può avere, al più, un rilievo in ambito risarcitorio ove il risparmiatore dimostri di averne derivato un danno in nesso di causalità con l’omissione;
(b) sulla dedotta esistenza di un danno risarcibile per effetto dell’inadempimento a detto obbligo, che il sig. COGNOME non aveva neppure ipotizzato profili risarcitori correlati alla mancata messa a disposizione delle tabelle integrative presso l’ufficio postale, poiché le domande risarcitorie proposte erano attinenti ad aspetti completamente diversi, coinvolgenti i principi di correttezza e buona fede in fase precontrattuale e contrattuale, prevalentemente in rapporto agli obblighi informativi individuati a carico della controparte con richiamo, in particolare, alla normativa del TUB e/o del TUF e/o concernente la tutela del consumatore; onde le istanze di prova orale riproposte dall’appellante dovevano considerarsi irrilevanti in quanto volte ad accertare i profili relativi all’effettiva messa a disposizione delle tabelle integrative da parte degli uffici postali, dunque «totalmente inidonee, indipendentemente dal loro esito, a modificare i termini della decisione come sopra motivati»;
(c) Sulla questione dell’applicabilità dell’art. 1339 c.c. – che prevede l’inserimento automatico di clausole solo in base a norme imperative, mentre nella fattispecie in esame tale inserimento sarebbe avvenuto in base ad un intervento regolamentare di natura ammnistrativa dispositiva – che la citata sentenza di Cass. SS.UU.,
al punto 23, ha affermato l’applicabilità dell’integrazione del contenuto del contratto di sottoscrizione dei buoni ex art. 1339 c.c. osservando, altresì, che detta integrazione unilaterale e autoritativa – per effetto della delega contenuta nella legge – è bilanciata dalla facoltà per il risparmiatore -all’atto della variazione -di disinvestire, riscuotendo il titolo e percependo gli interessi corrispondenti alla originaria fissazione e, comunque, di percepire, al momento dell’esercizio del suo diritto a scadenza dei buoni, l’importo degli interessi corrispondenti al tasso indicato nel titolo, sino alla data della variazione;
(d) sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 173 per contrasto con gli artt. 3, 41, 43, 47, 97 Cost. o su quella della necessità di sospendere il presente giudizio ex art. 295 c.p.c. in vista della decisione della Corte Costituzionale, ha rilevato:
che la Corte Costituzionale (sentenza n. 26 del 20.02.2020) aveva dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 173 sollevata in riferimento agli artt. 43 e 97 Costituzione e non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento agli artt. 3 e 47 Cost.:
che gli ulteriori profili di illegittimità sollevati in comparsa conclusionale senza confrontarsi con la pronuncia della Corte Costituzionale stessa, erano da ritenersi manifestamente infondati alla luce dei principi affermati sia dalle Sezioni Unite della Corte di RAGIONE_SOCIALEzione, sia dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 26/2020;
(e) sulla richiesta, infine, di rinvio alla Corte di Giustizia UE ex art. 267 TFUE, ha osservato che la richiesta era inammissibile perché relativa ad un profilo non facente più parte dell’oggetto controverso, atteso che il Tribunale si era specificamente pronunciato su tali temi già posti dal creditore opposto in primo grado («vedi sentenza pag. 6 primi tre paragrafi») senza che fosse stato sul punto proposto tempestivo motivo di appello.
4.Avverso la sentenza ha proposto ricorso il COGNOME affidandosi a sei motivi di ricorso. Resiste RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
5.- Il Pubblico Ministero ha concluso per il rigetto del ricorso osservando che i primi quattro motivi sono inammissibili riproponendo questioni di merito già risolte dalla Corte d’Appello, mentre i restanti due motivi sono infondati
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 173 dpr 156/73, degli artt. 1173, 1175, 1366, 1371, 1374 e 1375 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per avere la Corte di merito omesso di indagare la rilevanza dell’inadempimento avversario per omessa disponibilità delle tabelle integrative quale circostanza integrante violazione degli obblighi di condotta gravanti sull’emittente al fine di rendere l’informazione sull’ammontare del credito per interessi ad esito della variazione, nonché quale specificazione, in materia di risparmio postale, dell’obbligo di buona fede oggettiva integrante le obbligazioni nascenti dal contratto, onde consentire la consapevole gestione del rapporto per il periodo successivo alla variazione.
2.- Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 99, 112, 132 co 1 n. 4) c.p.c. in relazione all’art. 360 co 1 n. 4) per avere la Corte omesso di pronunciare sullo specifico motivo di appello formulato con riguardo alla violazione degli obblighi di condotta e buona fede citati, non assorbito né assorbile nelle altre rationes decidendi su cui la pronuncia si fonda in quanto avente fondamento giuridico con esse incompatibile
3.- I primi due motivi sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente. Gli stessi sono inammissibili prima ancora che infondati.
Con il primo il ricorrente invoca la violazione di legge (segnatamente delle norme che regolano l’adempimento secondo buona fede delle obbligazioni), ma non articola la censura in detti termini deducendo, in effetti, un’omessa pronuncia sul punto
relativo alla denunciata condotta omissiva della resistente con riguardo alla mancata messa a disposizione delle tabelle integrative, e, quindi, sulle conseguenze di detta omissione sul piano dell’adempimento delle obbligazioni che nascevano dal contratto. Tant’è che con il secondo motivo esplicita proprio in tal senso la doglianza, richiamando la violazione dell’art. 112 c.p.c. («Corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato») ed invocando la nullità delle sentenza per omessa motivazione ex art. 132 n. 4 c.p.c., benché sia noto il consolidato orientamento per cui « è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé , e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione » (Cass. S.U. n.8053/2014).
3.1- In realtà la parte ricorrente: (a) sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge e di nullità per mancanza assoluta di motivazione, intende rimettere in discussione in modo inammissibile in questa sede di legittimità la motivazione -tutt’altro che omessa come si evince dalla sintesi della decisone di cui sopra con cui la Corte d’Appello di Torino ha respinto il detto motivo di gravame avverso la sentenza di primo grado, che lungi dall’omettere di pronunciarsi e senza ignorare la rilevanza dei qui invocati obblighi di protezione, ha anche confermato l’irrilevanza delle istanze di prova orale riproposte in appello (relative alla effettiva messa a disposizione di dette tabelle) in quanto inidonee, a prescindere dal loro esito, a modificare i termini della decisione in punto inadempimento del contratto e risarcimento del danno, ritenendo – come già il giudice di prime cure – che il ricorrente non
avesse, in effetti, neppure dedotto un danno collegato da uno specifico nesso causale alla pretesa omissione e il danno che da questa sarebbe derivato; (b) perciò non coglie neppure la ratio decidendi della sentenza gravata, che, considerando diffusamente la questione della rilevanza «in astratto» della messa a disposizione delle tabelle informative in ragione degli obblighi di protezione gravanti su emittente e collocatore del BFP, li ha, invero, ben contemplati, anche agli effetti di un possibile inadempimento di natura negoziale, esplicitamente osservando che «il rilievo della eventuale mancata messa a disposizione può avere, al più, una significanza in ambito risarcitorio, ove il risparmiatore dimostri di averne derivato un danno in nesso di causalità con l ‘ omissione »; ed ha, infine, considerato – come del resto già il Tribunale irrilevante nella specie indagare «in concreto» la pretesa omissione della messa a disposizione delle tabelle poiché i profili risarcitori dedotti tempestivamente dal COGNOME attenevano ad aspetti del tutto diversi dalla predetta condotta (ovvero alla violazione dei principi di correttezza e buona fede in rapporto agli obblighi informativi a carico della controparte relativi alla normativa del TUB e/o del TUF e/o concernente la tutela del consumatore). Del resto il motivo di appello che la parte ricorrente riporta per esteso a pag. 25 del ricorso in cassazione, non contiene alcuna indicazione del danno preteso e del nesso causale che lo collegherebbe all’omissione dedotta.
4.Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 1223 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per avere la Corte di merito identificato come risarcibile il solo danno emergente e non anche il lucro cessante derivato dall’impedito tempestivo recesso per violazione degli obblighi di condotta e buona fede citati.
5.Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 co 1 n. 3) c.p.c. «per avere la Corte di merito addebitato all’appellante la mancata allegazione del nesso causale
tra omissione e danno nonostante la tempestiva deduzione dell’inadempimento contrattuale assorbente al riguardo in tema di responsabilità contrattuale»; nonché violazione degli art. 115 e 132, co 1, n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 , co 1, nn. 3 e 4, c.p.c, per avere la Corte territoriale mancato di valorizzare ai fini decisori la pacifica, a suo dire, in quanto non contestata, esistenza di un danno patrimoniale come provato e quantificato in atti e per l’effetto, irragionevolmente ed immotivatamente disatteso il risultato probatorio raggiunto sul punto.
6.- Premesso che il quarto motivo si articola, in realtà, in due ragioni di gravame distinte, anche detti motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi.
6.1- Secondo la ricorrente, avendo la Corte di merito attribuito rilevanza alle tabelle integrative solo con riguardo alla funzione di verifica della regolarità della riscossione, avrebbe finito poi, in violazione dell’art. 1223 c.c., per circoscrivere la risarcibilità al solo danno emergente (qualificato in termini di errore di calcolo tra importo dovuto in applicazione del DM 1986 e importo corrisposto all’incasso) anziché estenderla anche al lucro cessante originato dall’impedito tempestivo recesso, quale conseguenza pregiudizievole derivata dall’inadempimento avversario. Inoltre avrebbe errato nel rilevare una mancata allegazione del danno e del nesso di causalità, poiché, «in tema di responsabilità contrattuale l’inadempimento corrisponde alla lesione dell’interesse tutelato dal contratto e, dunque, al danno-evento o causalità materiale, sicché allegare l’inadempimento significa allegare anche il nesso di causalità e il danno-evento»; quanto alla causalità giuridica, ossia alle conseguenze pregiudizievoli cagionate dall’evento lesivo (danno conseguenza), la Corte di merito, avrebbe dovuto rilevare che sin dalla comparsa di costituzione l’odierno ricorrente aveva dedotto l’esistenza del danno e chiesto la condanna avversaria al risarcimento dello stesso nella misura
indicata nell’ingiunzione opposta (ossia nella maggior differenza tra l’importo di rendimento a scadenza indicato sul retro dei buoni e quanto già rimborsato) sottolineando di aver «precisato» nella prima memoria che la mancata messa a disposizione delle tabelle aveva impedito al risparmiatore la valutazione circa la convenienza dell’investimento così modificato e, quindi, l’esercizio consapevole del diritto di recesso a tutela del proprio investimento.
La mancata contestazione della controparte avrebbe reso pacifica la quantificazione del danno prospetta nel ricorso monitorio.
6.2- I motivi sono entrambi inammissibili.
6.2.1- In violazione del principio di specificità di cui all’art. 366 , co. 1, n. 4, c.p.c., che richiede la puntuale esposizione degli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della pronunzia (tra le tante Cass. n.17224 del 18/08/2020), il ricorrente nel primo motivo offre un’esposizione non chiara che sovrappone il danno asseritamente richiesto nella comparsa di costituzione e commisurato alla maggior differenza tra l’importo di rendimento a scadenza indicato sul retro dei buoni e quanto già rimborsato, e quello, diverso, relativo all’impedito consapevole recesso, «precisato» nella prima memoria di trattazione («… è evidente che la mancata messa a disposizione di tali tabelle ha impedito al risparmiatore la valutazione circa la convenienza dell’investimento così modificato e, quindi, ha impedito l’esercizio consapevole del diritto di recesso a tutela del proprio investimento… » v.1° memoria pag 6-7), il quale danno – da quel che si può comprendere stante la non chiara narrazione – doveva, però, commisurarsi come prospettato nel ricorso monitorio – ovvero nella differenza predetta – in quanto detta quantificazione non era stata contestata (così ricorso per cassazione pag. 33 ultime righe): argomenti che rendono, comunque, per quel che è dato capire,
evidente l’infondatezza del vizio di violazione di legge prospettato poiché il ricorrente non solo pretende di aver dedotto il danno conseguenza precisando l’allegazione del (diverso) danno -evento consistito nella violazione del contratto, ma addirittura reputa che i due coincidano con riguardo alla differenza tra quanto rimborsato e quanto preteso perché la controparte non ha contestato la determinazione di detta differenza, quando è chiaro che ciò non ha niente a che vedere con la non contestazione del «fatto» asseritamente fonte di danno (impedito consapevole recesso), attenendo , semmai, all’aspetto della liquidazione di quello dedotto come inadempimento all’obbligo di rimborso del BPF sottoscritto.
6.2.2.- Ferma la predetta ragione di inammissibilità, comunque entrambi i mezzi di gravame sono inammissibili perché non si confrontano con la ratio decidendi della sentenza gravata che si fonda sull’assenza di una tempestiva e idonea allegazione sul danno da lucro cessante: la Corte d’appello – come già il Tribunale – non affatto ha ignorato il «lucro cessante» quale specifica categoria del danno qui risarcibile, bensì ha ritenuto che il ricorrente non lo avesse neppure dedotto; non ha, invero, in proposito fatto riferimento al «danno evento» (« la lesione dell’interesse tutelato dal contratto», come afferma la ricorrente, di per sé connesso all’inadempimento asseritamente incontestato), bensì proprio al «danno conseguenza» (la pregiudicata possibilità di disinvestimento onde optare per un investimento più redditizio) ed ha escluso che proprio tale specifico pregiudizio – collegato da un nesso di causalità alla pretesa omissione dell’Ufficio postale – fosse stato in atti tempestivamente allegato.
Di conseguenza ha ritenuto detta ragione della decisione assorbente rispetto ad ogni questione di gravame relativa alla prova del fatto dannoso.
6.2.3- Ne deriva che sono del tutto inconferenti rispetto alla pronuncia gravata le disquisizioni in ricorso sulla «causalità
materiale» e sul fatto che il «danno evento» sarebbe stato dedotto e provato per il solo fatto di averlo allegato in assenza di contestazioni, poiché non si confrontano con le puntuali ragioni della decisione di secondo grado, per la quale la lesione del «diritto di esercitare il recesso in modo consapevole», di cui discorre il ricorrente, è in sé irrilevante se non accompagnato dalla allegazione delle perdite subite (lucro cessante) per effetto del mancato investimento delle somme liquidate all’atto di recesso in più redditizie forme di investimento.
Allegazione questa che da nessun passo del ricorso risulta sia stata fatta, tantomeno negli atti a ciò deputati.
6.3 -In altre parole ed in sintesi il ricorrente non coglie che ciò che la Corte di merito ha reputato assente donde l’irrilevanza della questione della mancata messa a disposizione delle tabelle e il suo accertamento -è proprio l’indicazione del «danno conseguenza» risarcibile collegato da un nesso causale alla condotta omissiva dedotta, ovvero che il ricorrente – se avesse potuto prendere visione della tabella integrativa – avrebbe chiesto la riscossione anticipata dei buoni postali e avrebbe impiegato le somme riscosse in investimenti diversi e più remunerativi (c.d. lucro cessante, che la Corte di merito non ha affatto omesso di considerare, tanto da ritenere la sua mancata allegazione decisiva); e ciò in perfetta conformità con il principio di cui all’art. 2697 c.c. – che qui si assume violato con il quarto mezzo – che stabilisce proprio che è onere di chi afferma di aver subito un danno allegare il fatto pregiudizievole e offrire la prova dello stesso, nonché del nesso causale che lo collega alla condotta illecita; onere che in questo caso non poteva certo ritenersi assolto per effetto della prova del «danno evento» consistente nell’inadempimento del contratto.
7.Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 173 dpr 156/73 e degli artt. 1325, 1326 e 1333 c.c. in relazione all’art. 360 , co 1,
n. 3, c.p.c. per avere la Corte attribuito «implicitamente ma chiaramente» al silenzio mantenuto dal ricorrente a seguito delle variazioni operate dal D.M. 1986 il valore di consenso – in termini di mancato recesso – alla prosecuzione del contratto alle nuove condizioni, anziché ritenere necessario a tal fine «un silenzio circostanziato dalla disponibilità delle tabelle integrative».
In sintesi, sostiene il ricorrente che non
è possibile riconoscere in capo al risparmiatore «l’onere o dovere di parlare» a seguito del mero esercizio del diritto di variazione dei rendimenti, bensì solo a seguito della consultazione delle tabelle integrative illustranti in concreto l’effetto lesivo prodotto sui buoni in suo possesso; sicché l’assenza della loro disponibilità avrebbe dovuto essere valorizzata dalla Corte di merito onde ritenere che il mancato recesso non equivaleva all’accettazione delle nuove condizioni.
7.1il motivo è inammissibile perché il ricorrente non provvedendo ad indicare in modo puntuale le ragioni che, in relazione al motivo come illustrato, giustificano la cassazione della pronunzia gravata (tra le tante Cass. n.17224 del 18/08/2020), non permette di comprendere in che termini la censura in esame possa attenere alle ragioni della stessa, che non affronta in alcun modo questo aspetto agli effetti della decisione sul gravame proposto nei confronti della decisione di primo grado che ha accolto l’opposizione e revocato il decreto ingiuntivo; finisce, perciò, per proporre in questa sede una questione nuova rispetto al thema decidendum del giudizio di appello, ovvero una censura di legittimità su un aspetto della decisone che non risulta sottoposta all’esame del giudice di secondo grado (cfr. Cass. 32804 /2019 per cui « qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto -non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha
l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa» ).
8.- Il sesto motivo denuncia (a) violazione e falsa applicazione dell’art. 1339 c.c. in relazione al combinato disposto degli artt. 173 dpr 156/736 e 6 DM 13/6/1983 in relazione all’art. 360 , co. 1, n. 3, c.p.c. per avere la Corte territoriale applicato il meccanismo di sostituzione automatica in presenza di norme dispositive, quali i DM in tema di rendimento buoni postali; (b) violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e 18 dpr 1092/85 e del regolamento di attuazione DPR 217/1986 per avere la Corte ritenuto operativa la presunzione di conoscenza legale alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di atti amministrativi provvedimentali e del DM 1986 in particolare; (c) violazione e falsa applicazione dell’art. 12 preleggi c.c. nell’interpretazione dell’art. 173 dpr 156/73 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. per avere la Corte territoriale attribuito alla norma un significato diverso da quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione tra esse.
Il motivo, in realtà, si articola in tre ragioni distinte di gravame sotto il profilo della violazione di legge, e con esso il ricorrente esplicitamente sollecita una nuova riflessione della Suprema Corte onde mutare l’orientamento espresso dalla sentenza delle SS.UU. n. 3963/2019, in sintesi dolendosi del fatto che il testo dell’art. 173 cit., «lascerebbe scoperto» il modo e i termini in cui il potere di modifica unilaterale della pubblica amministrazione del tasso di rendimento dei BPF entra a far pare del contenuto contrattuale dell’investimento indicato sul modulo usato per il collocamento dei titoli su cui si è perfezionato il vincolo contrattuale. In proposito la ricorrente contesta l’indirizzo ermeneutico seguito della sentenza
impugnata in punto applicazione dell’art. 1339 c.c., osservando che:
la sentenza delle SS.UU. 13979/2007 (richiamata dalla successiva SS.UU. 3963/19 quale precedente dell’indirizzo ermeneutico affermato) ribadita la natura contrattualistica in cui si sostanzia la sottoscrizione dei buoni postali secondo lo schema proposta/accettazione, ammetterebbe l’integrazione, non già in forza della sostituzione legale automatica ex art. 1339 c.c., ma in forza di una sostituzione mediata dall’apposizione, sul cartaceo del buono, del timbro correttivo dei tassi di rendimento; in difetto rimanendo applicabili le risultanze testuali del titolo; perciò essa affermerebbe che le norme contenute nel DM in quanto recessive rispetto al difforme contenuto contrattuale e di natura dispositiva – non sarebbero integrative in via automatica ex art. 1339 c.c.;
in senso conforme sarebbe la pronuncia del Consiglio di Stato (sent. n.1011/2005) per la quale « l’obbligo della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale riguarda, oltre agli atti aventi forza di legge, i decreti ministeriali che “siano strettamente necessari per l’applicazione di atti aventi forza di legge” e “che abbiano contenuto normativo. Per detti atti, la pubblicazione produce una presunzione juris et de jure di conoscenza, stante l’onere gravante su tutti i cittadini (che non possono ignorare che qualsiasi norma di carattere legislativo sarà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale) di tenersi costantemente informati su tale pubblicazione »; mentre i D.M. in materia di tassi di rendimento dei buoni postali, essendo privi di valore normativo in quanto destinati ad i ntrodurre elementi contingenti o tecnici, non sarebbero soggetti a detto principio e la loro pubblicazione risponderebbe, invece, a «esigenze di carattere informativo diffuso»;
la Corte di Torino, dunque, avrebbe errato nel ritenere non applicabili i principi espressi dalla sentenza 13979/2007 al caso di buoni collocati in epoca antecedente la variazione, facendo applicazione, invece, di quanto affermato dalla successiva sentenza SS.UU. n. 3963/2019, la quale – benché pronunciata all’esito dell’ordinanza interlocutoria n. 21543/2018 -non avrebbe risposto in termini alla questione posta nell’ordinanza stessa, ovvero: 1) se le tabelle integrative costituiscano il modo in cui viene esercitato il potere di variazione delle condizioni economiche riservato al ministero; 2) se l’assenza sul cartaceo di avvertenze relative alla variabilità dei tassi in corso di rapporto sia circostanza rilevante ai fini della formazione del consenso contrattuale.
In tal senso la ricorrente sollecita una rimeditazione della questione.
8.1- Reputa il Collegio che il motivo sia inammissibile ex art. 360 bis, n. 1. c.p.c.
8.2- La ricorrente intende rimettere in discussione – senza offrire elementi idonei a mutare l’orientamento di questa Corte, come appresso si dirà – il principio interpretativo ormai consolidato dopo l’intervento nomofilattico di cui alla sentenza SS.UU. 3963/2019, sollecitata proprio per dirimere un ipotizzato contrasto con la pronuncia precedente SS.UU. 13979/2007, sulla scorta di ordinanza interlocutoria che aveva preceduto il presente contenzioso. Si tratta del principio ermeneutico che sorregge l’applicazione dell’art. 173 DPR n.156/1973 per il quale la modifica dei tassi di interesse relativi alle diverse serie dei BPF è efficace ed immediatamente applicabile a seguito degli adempimenti previsti dal primo comma dell’art. 173 ( 1. Le variazioni del saggio d’interesse dei buoni postali fruttiferi sono disposte con decreto del Ministro per il tesoro, di concerto con il Ministro per le poste e le telecomunicazioni, da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale; esse
hanno effetto per i buoni di nuova serie, emessi dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, e possono essere estese ad una o più delle precedenti serie»), ovvero dopo la pubblicazione del DM sulla Gazzetta Ufficiale, quale modalità necessaria e sufficiente; mentre la prescrizione della messa a disposizione della tabella integrativa di cui al terzo comma della norma predetta ha la diversa finalità – si legge nella sentenza delle SS.UU al punto 19 di consentire al risparmiatore di verificare presso l’ufficio postale l’ammontare del proprio credito per interessi all’esito dell’intervenuta variazione, anche ai fini del controllo della regolarità della riscossione (invero al secondo comma la norma in discorso specifica che « i buoni delle precedenti serie, alle quali sia stata estesa la variazione del saggio, si considerano come rimborsati e convertiti in titoli della nuova serie e il relativo computo degli interessi è effettuato sul montante maturato, in base alle norme di cui al primo comma del precedente art. 172, alla data di entrata in vigore del decreto previsto dal presente articolo»); quindi, affermano ancora le SS.UU, detta prescrizione « non è, invece, un obbligo informativo dalla cui osservanza dipende la vincolatività della variazione per il risparmiatore».
Perciò, nella misura in cui la sentenza gravata ha richiamato detto consolidato indirizzo ermeneutico, che anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 26/2021 ha suggellato (come ricorda il giudice di merito), il motivo di ricorso è inammissibile, non offrendo la ricorrente argomenti idonei a rimettere in discussione detto orientamento consolidato per il quale la variazione dei tassi di rendimento ha effetto sui buoni già collocati per effetto della pubblicità del D.M. in Gazzetta ufficiale, buoni che -come afferma l’art. 173 comma 2° DPR. 156/73 – si intendono rimborsati e convertiti in titoli della nuova serie, ed i cui «nuovi» interessi vengono corrisposti non, evidentemente, sulla base della tabella riportata a tergo dei buoni di nuova collocazione
(trattandosi di buoni emessi precedentemente), bensì sulla base della tabella destinata evidentemente a riportare le accennate modifiche, messa a disposizione presso gli uffici postali.
8.4- Invero – contrariamente a quanto ritiene il ricorrente – nello stesso senso si è pronunciata anche la sentenza precedente delle SS.UU. del 2007 (cfr. pag. 11), che non contiene alcuna affermazione in contrasto con tale indirizzo ermeneutico: essa, invero, non riguardava il caso di buoni appartenenti ad una sere precedente – come è il caso di specie – ma buoni emessi dopo il 1986 e collocati sulla base di modulistica appartenete ad una serie precedente; e perciò, dopo aver affermato che « alla stregua di questo quadro normativo deve certo convenirsi circa la possibilità che il contenuto dei diritti spettanti ai sottoscrittori dei buoni postali subisse, medio tempore, variazioni per effetto di eventuali sopravvenuti decreti ministeriali volti a modificare il tasso degli interessi originariamente previsto», essa osservava che «ciò non autorizza tuttavia a svalutare totalmente la rilevanza delle diciture riportate sui buoni stessi quando -come è accaduto nella fattispecie all’esame – in corso di rapporto non è intervenuto alcun nuovo decreto ministeriale concernente il tasso degli interessi e nessuna modificazione si è quindi prodotta rispetto alla situazione esistente al momento della sottoscrizione dei titoli», i quali – nel caso esaminato dalla Corte – erano stati collocati sulla base di moduli preesistenti senza che fosse stato apposto alcun timbro ed indicato in alcun modo, quindi, il diverso regime cui erano soggetti .
La sentenza in parola, dunque, non prevede affatto che le norme contenute nel D.M. di variazione siano recessive e quindi di natura dispositiva, né esclude la loro capacità di integrare in via automatica ex art. 1339 c.c. i titoli già emessi; ma salvaguarda, piuttosto, il principio consensualistico, ove afferma che se « il sottoscrittore era edotto della possibile successiva variabilità del
tasso di interesse per effetto di un’eventuale posteriore determinazione in tal senso o comunque doveva presumersi che di ciò fosse edotto…… non può in alcun modo ritenersi che dovesse essere edotto anche del fatto che già in quel momento le condizioni dell’emissione erano diverse da quelle che gli venivano prospettate mediante la consegna dei titoli così formulati »: ovvero ha escluso che l’accordo negoziale ( id est la sottoscrizione del modulo del buono) potesse avere un contenuto divergente da quello enunciato dal modulo medesimo.
Dunque la pronuncia è del tutto inconferente rispetto al caso odierno.
8.5- Tantomeno offre argomenti di ripensamento la sentenza del Consiglio di Stato citata dalla ricorrente che, anzi, conferma che la pubblicazione dei Decreti Ministeriali che « siano strettamente necessari per l’applicazione di atti aventi forza di legge» e « che abbiano contenuto normativo » – quali quelli di cui si discorre, che sono lo strumento attuativo dell’art. 173 DPR citato -«produce una presunzione juris et de jure di conoscenza» e sono vincolanti per i destinatari .
8.6- Altra questione è quella della misura dei nuovi tassi, che, per i buoni collocati dopo la variazione, deve risultare dai timbri correttivi se il collocamento è avvenuto con moduli della serie precedente alla variazione; mentre per i buoni collocati antecedentemente alle modifiche dei tassi, risulta dalla tabella che viene «pubblicata» negli uffici postali: la cui assenza -non incide sull’applicabilità dei nuovi tassi (frutto di una norma imperativa che opera in via sostitutiva ex art. 1339 c.c. attraverso delega per mezzo di specifici D.M. pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale), ma può produrre una responsabilità contrattuale in capo all’ente emittente ove la non tempestiva conoscibilità delle nuove condizioni di investimento abbia pregiudicato la possibilità di cogliere forme alternative e più redditizie di impiego del risparmio.
Esattamente come deciso nel caso di specie dalla sentenza gravata.
9.- La parte ricorrente, infine, ripropone incidente di legittimità costituzionale dell’art. 173 DPR 156/73 nella parte in cui non esclude l’applicabilità di tassi peggiorativi sopravvenuti ai buoni appartenenti a serie precedenti (ovvero quanto alla sua asserita retroattività impropria), e dell’art. 7 , comma 3, D. Lgs. 284/99 nella parte in cui esclude l’effetto abrogativo dell’art. 173 predetto con riguardo ai rapporti ancora pendenti, per violazione degli artt.3, 41, 43, 47, 73 e 97 Cost.
9.1- Reputa il Collegio che sotto entrambi i profili la questione di legittimità costituzionale proposta sia manifestamente infondata anche alla luce di quanto già affermato dalla Corte Costituzionale.
9.2- Quanto ai limiti costituzionali alle leggi di modificazione dei rapporti di durata e alla c.d. retroattività impropria, quale attributo delle disposizioni che introducono «per il futuro una modificazione peggiorativa del rapporto di durata» con riflessi negativi sulla posizione giuridica formatasi in pendenza di una diversa disciplina anteriore (nella specie si tratterebbe degli effetti peggiorativi che si producono in relazione a buoni collocati nel 1983 sugli interessi maturati dal 1987 all’incasso), si osserva che la Corte Costituzionale (a) da un lato, con la sentenza n. 26 del 2020 ha già rilevato l’erroneità del presupposto interpretativo da cui muove la censura, « poiché la norma in esame è, in realtà, priva dell’asserito suo carattere retroattivo. Testualmente essa, infatti, al suo secondo comma, dispone che i buoni delle precedenti serie, ai quali sia estesa la successiva variazione del saggio, «si considerano come rimborsati e convertiti in titoli della nuova serie e il relativo computo degli interessi è effettuato sul montante maturato» e, cioè, sul capitale e sui correlativi interessi come sino a quel momento calcolati in base al saggio previgente. Vale a dire che la variazione sfavorevole del tasso di interesse dei buoni postali di che
trattasi – consentita dal censurato art. 173 – non risale al momento della sottoscrizione del titolo, ma opera solo “per il futuro”, a decorrere dell’entrata in vigore del decreto che la disponga »; (b) dall’altro, in altre pronunce (V. Corte cost. n. 44952/2022; e n. 44799/2022) con riferimento ai rapporti di durata e alle modificazioni peggiorative che su di essi incidono secondo il meccanismo della c.d. retroattività impropria, ha affermato che « il legislatore dispone di ampia discrezionalità e può anche modificare in senso sfavorevole la disciplina di quei rapporti, ancorché l’oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti; ciò a condizione che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non trasmodi in un regolamento irrazionalmente lesivo del legittimo affidamento dei cittadini»; sicché anche ammesso che nella specie si possa parlare di retroattività «impropria» come afferma il ricorrente, non può ignorarsi che la stessa Corte cost. n. 26/2020 ha affermato che la norma in questione « per il fatto stesso di consentire espressamente – e rendere, quindi, prevedibili – successive modifiche, anche riduttive, del saggio di interessi, escludeva con ciò che potesse consolidarsi, e prospettarsi di conseguenza leso, un “affidamento” del risparmiatore sulla invariabilità del saggio vigente al momento della sottoscrizione del titolo »; ed ha, altresì, sottolineato che « l a possibilità di variazione, anche in senso sfavorevole, dei tassi di interesse sui buoni fruttiferi postali, consentita dalla disposizione in esame, riflette un ragionevole bilanciamento tra la tutela del risparmio e un’esigenza di contenimento della spesa pubblica; contenimento che, in caso di titoli emessi da enti a soggettività statuale, implicava appunto la previsione di strumenti di flessibilità atti ad adeguare la redditività di tali prodotti all’andamento dell’inflazione e dei mercati ».
9.2.1- Tutti gli altri i profili di illegittimità invocati per contrasto con gli artt. 3, 41, 43, 47 e 97 cost. (v. pag, 51 e 52 del ricorso)
risultano – come rilevato anche dal giudice di merito – già vagliati e respinti dalla Corte Costituzionale, che con sentenza n. 26 del 20.02.2020 ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 173 sollevata in riferimento agli artt. 43 e 97 Costituzione e non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento agli artt. 3 e 47 Cost.:
-quanto all’art.3 Cost., rilevando l’erroneità del presupposto interpretativo, atteso che l’art. 173 non ha effetto retroattivo ma dispone che la successiva variazione del saggio opera solo «per il futuro» a decorrere dall’entrata in vigore del decreto che la disponga, inoltre, proprio in quanto consente – dunque rende prevedibili – successive modifiche, anche riduttive, del saggio di interessi, non intacca o lede alcun «affidamento» del risparmiatore sulla invariabilità del saggio vigente al momento della sottoscrizione del titolo; e riportando – quanto alla pretesa disparità di trattamento tra utenti di servizi asseritamente analoghi – il ragionamento già sviluppato dalle Sezioni Unite della RAGIONE_SOCIALEzione;
-quanto all’art. 47 Cost., aggiungendo che la variazione, anche in senso sfavorevole, dei tassi di interesse sui buoni fruttiferi postali riflette un ragionevole bilanciamento tra la tutela del risparmio e un’esigenza di contenimento della spesa pubblica, tramite strumenti flessibili atti ad adeguare la redditività di tali prodotti all’andamento dell’inflazione e dei mercati.
Le altre censure poggiano su opzioni ermeneutiche ed argomenti che già sono qui stati respinti nel giudizio di merito con affermazioni che non hanno trovato motivo di replica e devono quindi considerarsi manifestamente infondate.
9.3Quanto all’illegittimità costituzionale dell’art. 7 , comma 3, D.Lgs 284/99 nella parte in cui esclude l’effetto abrogativo dell’art. 173 DPR 156/73 con riguardo ai rapporti ancora pendenti al momento dell’entrata in vigore dei DM che stabiliscono nuove
caratteristiche dei buoni postali, essa non è stata neppure illustrata in modo specifico ed è, perciò, del tutto inammissibile.
10.- Per quanto esposto, il ricorso va respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140.
Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna parte ricorrente a rifondere a RAGIONE_SOCIALE le spese di lite liquidate in euro 5.000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 11.9.2024