Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12801 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12801 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO, ed elettivamente domiciliati presso lo RAGIONE_SOCIALE dell’AVV_NOTAIO in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso quest’ultimo dell’Area Legale Territoriale Centro di RAGIONE_SOCIALE, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso la sentenza del Tribunale di Trieste n.353/2021 pubblicata il 8.6.2021, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25.1.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Oggetto: Bonifico domiciliato Pagamento a soggetto non legittimato
1. –RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE avrebbe commesso la medesima inadempienza in relazione a un gruppo di bonifici domiciliati e le relative cause sono state decise dal Giudice territoriale con decisioni pressoché sovrapponibili. Alcuni relativi giudizi sono stati decisi da questa Corte con sentenze nn. 2113, 2112, 2110, 2002, 1962, 209 del 2024, nn. 36587, 36584, 36576, 36518, 36490, 36485, 36441, 36425, 31555, 31542, 31536, 31489, 30932, 30737, 30729, 30525, 30518, 30513, 29239, 29233, 29224, 292°5, 29118, 27573, 27572 del 2023. Tutti i giudizi sono stati decisi in modo conforme nell’udienza pubblica del 13.9.2023.
2. -Nel presente giudizio con atto di citazione del 7.6.2018, RAGIONE_SOCIALE conveniva innanzi al Giudice di Pace di Trieste RAGIONE_SOCIALE esponendo di aver intrattenuto con la società convenuta fin dal 1998 un rapporto di conto corrente e di aver successivamente sottoscritto un modulo di richiesta di apertura del Conto BancoPosta Impresa e Servizi accessori, con annessi servizio di collegamento telematico BancoPosta Impresa Online (BPIOL) e mandati elettronici di pagamento. In costanza dei suddetti rapporti, nel marzo 2014 RAGIONE_SOCIALE, tramite l’odierna appellante, disponeva un bonifico domiciliato di importo pari ad € 2.800 a favore di NOME COGNOME, cliente di tale RAGIONE_SOCIALE, sito in Marano di Napoli (NA), cui la stessa RAGIONE_SOCIALE dava notizia (con modalità non specificate) dell’avvenuto bonifico.
In seguito, il beneficiario sig. COGNOME, non avendo ricevuto il pagamento spettante, richiedeva spiegazioni a RAGIONE_SOCIALE, apprendendo così che il bonifico domiciliato era stato già incassato a suo nome – in data 15.04.2014 presso uno sportello di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; alla luce di tale circostanza, in data 27.05.2014, il sig. COGNOME presentava denuncia-querela a carico di ignoti per truffa e sostituzione di persona presso la Stazione dei CC di Marchirolo, in provincia di Varese, ove il suddetto beneficiario, identificatosi in querela mediante carta d’identità rila sciata dal Comune di Acerra
(NA), indicava di risiedere, mentre RAGIONE_SOCIALE, ottenuta copia della negoziazione del bonifico domiciliato, scopriva che il bonifico era stato portato all’incasso da un soggetto falsamente identificatos i come sig. NOME COGNOME a mezzo di carta di identità NUMERO_DOCUMENTO, rilasciata dal Comune di Napoli in data 2.4.2014.
– La RAGIONE_SOCIALE precisava di aver quindi dovuto ef fettuare un nuovo pagamento del medesimo importo di € 2.800 questa volta con bonifico bancario, regolarmente pervenuto al legittimo beneficiario.
4 . -Con sentenza n. 401/2019 depositata il 09.07.2019, il Giudice di Pace, respinta l’eccezione di incompetenza, considerava che l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE avesse adempiuto l’onere probatorio di dimostrare l’esistenza del contratto inter partes, il pagamento del bonifico domiciliato a soggetto diverso da quello legittimato, che aveva esibito un documento falso ‘così come anche chiaramente risultante dalla querela sporta dal beneficiario’ ; nella fattispecie trovava applicazione ‘ la normativa relativa all’assegno non trasferibile, con conseguente operatività dell’articolo 43 L. Assegni’ ;
–RAGIONE_SOCIALE proponeva gravame, dinanzi al Tribunale di Trieste che, con la sentenza qui impugnata, accoglieva l’appello e riformava la sentenza di I grado rigettando le domande di accertamento di inadempimento e condanna proposte da RAGIONE_SOCIALE
Per quanto qui di interesse Il Tribunale statuiva che:
a) Il c.d. bonifico domiciliato è un servizio, disciplinato dalle condizioni contrattuali del conto corrente Bancoposta Impresa, che ‘consente di impartire a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, attraverso BPIOL, disposizioni di pagamento, riscuotibili in contanti presso gli Uffici Posta li, a favore dei beneficiari indicati dal Correntista ordinante’ ;
La sentenza impugnata ha accolto la domanda, ritenendo da un lato che RAGIONE_SOCIALE avesse assolto all’onere di provare che il mandato elettronico fu pagato a soggetto diverso dal beneficiario, e dall’altro che RAGIONE_SOCIALE non avesse invece provato di avere operato con la dilige nza necessaria, omettendo l’adozione delle cautele del caso,
limitandosi ad allegare la regolarità del pagamento del mandato elettronico.;
c) il bonifico è assimilato a una delegazione di pagamento che si inserisce nel rapporto di mandato sotteso a quello di conto corrente, e consiste nell’incarico del terzo (ordinante) dato all’istituto depositario di accreditare al beneficiario (non necessariamente cliente, nel caso del bonifico domiciliato di RAGIONE_SOCIALE) la somma oggetto della provvista: si tratta di una delegatio solvendi. La sola differenza rispetto a quanto accade nelle delegazioni ordinarie, è che nel caso in esame il perfezionamento del negozio, e di conseguenza il sorgere dell’obbligo del delegato verso il delegante, prescinde da una formale accettazione, da parte del delegato, dell’ordine impartito dal correntista- delegante, in quanto questa efficacia vincolante dell’ordine di pagamento discende a sua volta dalla precedente convenzione tra le parti ed in forza della quale il depositario si è già obbligato ad eseguire gli incarichi che il cliente in futuro gli conferirà, e con i quali viene ulteriormente specificato il mandato conferito inizialmente;
d) la comunanza (parziale) di effetti tra tale operazione e l’assegno bancario non è idonea ad assimilare due fattispecie ontologicamente così diverse, quali una delegazione titolata ed un titolo di credito: ne deriva che alla fattispecie non possono essere estesi in via automatica – come ritenuto dal Giudice di prime cure – i principi contenuti nella disposizione dell’art. 43, secondo comma, del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, dettati per l’assegno circolare in forza del richiamo contenuto nel successivo art. 86.
e) in difetto di espressa previsione di legge o di contratto, o dell’emergere di specifiche circostanze tali da richiedere maggiori cautele ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di identificazione secondo gli standard propri del banchiere, la convenuta non era tenuta ad effettuare alcun accertamento ulteriore, una volta verificata la legittimazione del soggetto presentatosi per l’incasso del bonifico;
RAGIONE_SOCIALE non ha allegato, né tantomeno provato, di avere dato tali ulteriori istruzioni (quali, ad esempio, informazioni di carattere anagrafico) a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che avrebbero consentito una più completa identificazione del beneficiario. Va inoltre considerato che solamente il destinatario della comunicazione contenente la password del bonifico poteva ottenere il pagamento, dopo essersi presentato ed essere stato identificato come il beneficiario del pagamento;
l’obbligo di RAGIONE_SOCIALE di verificare l’identità del soggetto che si presenta per l’incasso esaminando più documenti di riconoscimento risulterebbe contrattualmente previsto, e ha invocato al riguardo l’art. 3.2 – Sezione C – parte II delle condizioni di contratto, laddove prevede che: ‘RAGIONE_SOCIALE è tenuta a identificare il beneficiario, riscontrando la concordanza dei dati anagrafici contenuti nella disposizione telematica con quelli riportati sui documenti di riconoscimento presentati dal beneficiario per la riscossione’ non sussiste, poichè l’utilizzo, nella disposizione convenzionale, del plurale (‘documenti’), non assume il significato, in difetto di specifica previsione in tal senso, di obbligo di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di richiedere l’esibizione di almeno due documenti di identità onde identificare il beneficiario, ma solo quello di non subordinare il pagamento del mandato all’esibizione di uno specifico ‘documento’ d’identità, consentendo al beneficiario di scegliere tra la pluralità di ‘documenti’ previsti dalla legge (v. art. 35, comma 2, D.P.R.. 445/2000) idonei ad accertare l’identità personale.
–RAGIONE_SOCIALE ha presentato ricorso per cassazione con tre motivi ed anche memoria.
RAGIONE_SOCIALE, ha presentato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce:
-Con il primo motivo: Violazione e falsa applicazione dell’art. 43, comma 2, r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736 (Legge Assegni) e dell’art.
12 Disp. sulla legge in generale, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 1. c.p.c. Il Tribunale ha escluso che al caso in esame si possa applicare, in via analogica, la disciplina prevista dall’art. 43 della Legge Assegni in materia di pagamento di assegno non trasferibile. Il servizio di bonifico domiciliato – che quanto alla sua struttura consiste in una delegazione di pagamento in favore di una persona specifica, effettuata dal correntista all’Istituto bancario a valere sul sottostante e collegato rapporto di conto corrente da cui va tratta la provvista necessaria -presenta evidenti tratti di somiglianza con la struttura dell’assegno bancario non trasferibile.
7.1. -Questa Corte si è già espressa negli altri giudizi tra le medesime parti con le medesime doglianze rispetto alle sentenze del Tribunale di Trieste. La censura è inammissibile in considerazione della reale ratio decidendi della sentenza impugnata, con la quale esso non sembra adeguatamente confrontarsi (v., già, in tal senso, con riguardo ad una fattispecie sovrapponibile alla presente, (Cass., n. 26866/2022).
Il giudice d’appello, infatti, pur affermando che alla fattispecie in esame non può estendersi la disciplina contenuta nel R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2, ha ritenuto soggetta la fattispecie medesima al regime della responsabilità contrattuale, correttamente sancendo, sul piano della ripartizione dell’onere probatorio, che gravava su RAGIONE_SOCIALE l’onere di dimostrare, alternativamente, o di avere esattamente adempiuto (pagando al reale beneficiario) o (nell’ipotesi in cui avesse pagato a persona diversa) di avere comunque eseguito la prestazione con la dovuta diligenza (che è quella nascente, ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c. dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve), con conseguente non imputabilità dell’inadempimento.
Tale regime di responsabilità (con la connessa regola di riparto dell’onere probatorio), a seguito dell’interpretazione evolutiva dell’art. 43, comma 2, l.a., offerta dalla giurisprudenza di legittimità,
non si differenzia dal regime che connota la responsabilità della banca negoziatrice verso il traente per l’ipotesi di pagamento dell’assegno bancario non trasferibile a persona diversa dal prenditore.
Infatti questa Corte, nel suo massimo consesso (con la sentenza n. 12477 del 2018 delle Sezioni Unite, richiamata anche dalla ricorrente) ha affermato – e il principio è stato successivamente più volte ribadito a sezione semplice (Cass., n. 12861/2023; Cass., n. 3649/2021) – che la responsabilità della banca negoziatrice ha carattere contrattuale da ‘contatto sociale’ e, pertanto, non ha natura di responsabilità oggettiva, la quale è ravvisabile solo laddove difetti un rapporto in senso lato “contrattuale” tra danneggiante e danneggiato, ed il primo sia chiamato a rispondere del fatto dannoso nei confronti del secondo, non per essere con questi entrato in contatto, ma in ragione della particolare posizione rivestita o della relazione che lo lega alla res causativa del danno.
Da tale principio è stata tratta l’implicazione che la norma del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2, non comporta alcuna deroga ai principi generali in tema di identificazione del presentatore del titolo, talché la responsabilità della banca non si configura “in ogni caso”, anche a prescindere dall’elemento della colpa nell’errore sulla identificazione del prenditore, essendo la debitrice ammessa, nell’ipotesi di tale errore, alla prova liberatoria di avere comunque usato la dovuta diligenza nel procedere all’identificazione medesima. Anche alla luce della ratio decidendi della sentenza impugnata, pertanto, l’applicazione o meno del citato art. 43, comma 2, l.a., non avrebbe mutato, nella sostanza, il regime di responsabilità concretamente applicabile nella fattispecie, desumibile, pur sempre, dalle regole generali contenute negli artt. 1176, comma 2, e 1218 c.c.
7.2. In ogni caso, ove pure fosse stato possibile delibarlo nel merito, il primo motivo di ricorso sarebbe stato infondato.
Correttamente il giudice di appello ha inquadrato il bonifico domiciliato nello schema della delegazione di pagamento, la quale, con riguardo al regime di responsabilità del delegato nei confronti del delegante per l’erronea individuazione del delegatario, è soggetta alla disciplina del mandato, che, a sua volta, ripete quella generale di cui all’art. 1218 c.c.
La fattispecie del bonifico domiciliato, pertanto, risulta debitamente disciplinata dalla legge, non ponendosi alcuna necessità di ricorrere, attraverso il procedimento analogico, a “disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe” (arg. ex art. 12 preleggi) e quindi, nella specie, alla regola che disciplina la responsabilità della banca negoziatrice verso il traente di un assegno non trasferibile, a prescindere dalla asserita “somiglianza” tra i due istituti.
8 . -Con il secondo motivo: Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1362, 1366, 1370, 1218, 1175, 1176, comma 2, e 2697 c.c.; 35, comma 2, D.P.R. n. 445/ 2000), ai sensi del l’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in tema di individuazione del contenuto del contratto concluso tra le parti e in tema di regime della prova liberatoria dell’inadempimento gravante sul debitore relativamente al grado di diligenza richiesto ed alla non imputabilità dell’impossibilità de lla prestazione. Tema della falsità materiale ictu oculi riconoscibile del documento di identità.
Ulteriore profilo di nullità assoluta della sentenza per violazione e falsa applicazione dei principi processuali in materia di prova -ex artt. 115 e 116 c.p.c. -ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., anche nella diversa prospettiva del radicale travisamento della prova ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.: utilizzo da parte del giudice di una prova (più correttamente di una informazione probatoria) inesistente e mai acquisita agli atti di causa.
Il motivo articola tre diversi profili di censura.
Con una prima doglianza espone che il Tribunale ha escluso la responsabilità della RAGIONE_SOCIALE (anche) in base all’assunto che
essa non disponeva di ‘ulteriori istruzioni che pure potevano esserle date’ violando l’art. 1176 c.c.
b) Sotto un secondo profilo si censura la dichiarata corretta condotta di RAGIONE_SOCIALE diretta ad identificare il presunto beneficiario del bonifico attraverso la verifica – oltre che del codice fiscale e della password posseduti – dell’unico documento di identità da lui esibito allo sportello, omettendo l’esame di due documenti di riconoscimento.
c)Sotto un terzo profilo, infine, la sentenza impugnata è censurata per avere ritenuto che RAGIONE_SOCIALE avesse provato, in alternativa all’esatto adempimento, il carattere non imputabile del proprio inadempimento, ai sensi dell’art. 1218 c.c., dimostrando di aver tenuto una condotta conforme al modello di diligenza qualificata (ex art. 1176, comma 2, c.c.) nell’identificazione del beneficiario del pagamento.
La società ricorrente evidenzia che non è stata prodotta in giudizio una copia dei documenti che la banca esecutrice avrebbe asseritamente esaminato ai fini dell’identificazione del percettore, sicché della concreta effettuazione di tale esame essa non avrebbe dato alcuna prova, pur essendovi onerata.
8.1 -Le tre censure in cui si articola il secondo motivo di ricorso sono in parte inammissibili e in parte infondate.
Sub a) in particolare:
E’, anzitutto, inammissibile la prima censura con cui si critica la sentenza impugnata per avere ritenuto – evidentemente sulla base di un accertamento di fatto – che il flusso della disposizione telematica effettuata da RAGIONE_SOCIALE conteneva l’indicazione del nominativo, dell’indirizzo e del codice fiscale del beneficiario, ma non anche gli elementi ulteriori della data di nascita e degli estremi del documento di riconoscimento, non indicati negli appositi “campi” informatici, che avrebbero potuto consentire all’operatore postale di riscontrare l’eventuale diversa identità del soggetto richiedente il pagamento.
Questa censura, oltre che tendente a suscitare dalla Corte di legittimità un apprezzamento dei fatti alternativo a quello svolto dal giudice del merito (in ordine alla asserita non corrispondenza al vero della circostanza relativa alla possibilità per l’ordinante, di inserire dati ulteriori nella piattaforma telematica), non si confronta con la reale ratio decidendi della statuizione impugnata.
Il giudice di appello, infatti, non ha diminuito o escluso la responsabilità contrattuale della debitrice RAGIONE_SOCIALE in ragione del rilievo di un fatto colposo esclusivo o concorrente della creditrice RAGIONE_SOCIALE, ma ha esclusola responsabilità della debitrice per avere questa dimostrato di aver tenuto una condotta diligente nella identificazione del preteso beneficiario del bonifico domiciliato, pagando – dopo avere compiuto le verifiche previste dalle condizioni generali di contratto – alla persona che aveva esibito un documento di identità con le generalità del reale creditore, e che inoltre era in possesso del codice fiscale e della password per l’incasso.
Rispetto a questa ratio decidendi resta evidentemente estraneo il rilievo relativo alla mancata comunicazione telematica di dati ulteriori relativi alla persona del beneficiario che ne avrebbero consentito una più completa individuazione; rilievo che deve reputarsi svolto ad abundantiam da parte del giudice del merito, con conseguente inammissibilità della censura ad esso rivolta».
Sub b) E’ inammissibile nella parte in cui critica l’interpretazione compiuta dal giudice di appello del contratto concluso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, sull’assunto che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, il detto regolamento contrattuale (art. 3) avrebbe obbligato espressamente RAGIONE_SOCIALE, in qualità di delegata al pagamento, a riscontrare la concordanza dei dati anagrafici contenuti nella disposizione telematica con quelli riportati sui “documenti di riconoscimento”, così imponendo testualmente la presentazione (e la conseguente verifica), non già di un solo documento, bensì di più documenti di identità corrispondenti ai tipi individuati nel D.P.R. n. 445 del 2000, art. 35, comma 2.
Secondo il pacifico e consolidato orientamento di questa Corte, l’interpretazione del contratto, traducendosi in un’operazione di ricerca ed individuazione della comune volontà dei contraenti, costituisce un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non per violazione delle regole ermeneutiche (ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.), oppure per inadeguatezza di motivazione (ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. nella formulazione antecedente alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, ove applicabile), oppure, ancora, nel vigore del novellato testo di detta norma, per omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti (Cass., n. 14355/2016; v. anche, tra le altre, Cass., n. 13399/2005).
La censura in concreto formulata non può risolversi in una critica del risultato esegetico raggiunto dal giudice del merito, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione, atteso che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data al contratto dal giudice del merito non deve essere l’unica possibile, né la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni (ex multis, Cass., n. 10131/2006; Cass., n. 24539/2009; Cass., n. 27136/2017; Cass., n. 28319/2017).
Nel caso di specie, il giudice d’appello ha espressamente considerato il testo delle condizioni generali di contratto che imponevano a RAGIONE_SOCIALE di riscontrare “la concordanza dei dati anagrafici contenuti nella disposizione telematica con quelli riportati sui documenti di riconoscimento presentati da lbeneficiario della riscossione” ed ha, all’evidenza, plausibilmente interpretato l’espressione “documenti di riconoscimento presentati” come riferita al documento di identità di volta in volta esibito allo sportello dal richiedente il pagamento. D’altra parte, la plausibilità di tale interpretazione trova conferma nella circostanza che la clausola contrattuale non prevedeva che il beneficiario dovesse presentare due documenti ma si limitava, genericamente, a fare riferimento ai “documenti di riconoscimento presentati dal beneficiario”, così
rendendo evidente che, ai fini dell’esatto adempimento dell’obbligazione contrattualmente assunta, era sufficiente che la verifica dei dati anagrafici contenuti nella disposizione telematica fosse condotta controllandone la corrispondenza con quelli presenti nel documento di identità di volta in volta esibito dai richiedenti.
La circostanza che il giudice del merito abbia fornito una interpretazione del contratto sicuramente plausibile (se non decisamente corretta) esclude la possibilità di dolersene in sede di legittimità sol perché la parte che propone la censura aveva interesse a che fosse privilegiata una diversa interpretazione rimasta disattesa.
La seconda censura appare sotto questo aspetto, inammissibile, in quanto si risolve nella mera critica del risultato interpretativo raggiunto dal Tribunale e nella non consentita contrapposizione, a quella fornita dal giudice di merito, di una diversa e più favorevole interpretazione del contratto.
La seconda censura è, invece, infondata nella parte in cui sull’assunto che il giudizio di osservanza o di violazione della regola di diligenza di cui all’art. 1176 c.c., formulato dal giudice del merito, sarebbe censurabile in Cassazione quando si ponga in contrasto con gli “standard valutativi esistenti nella realtà sociale” nell’ipotesi in cui «il caso concreto sia idoneo a fungere da modello generale di comportamento in una serie indeterminata di casi analoghi» sostiene che il necessario esame di due documenti di identità, ai fini dell’esatto adempimento dell’obbligo di identificazione del beneficiario del bonifico, sarebbe stato comunque imposto, a prescindere dalle previsioni contrattuali, dall’esigenza di conformarsi al modello di diligenza professionale di cui all’art. 1176 c.c., comma 2, in conformità alla raccomandazione contenuta nella circolare ABI del 7 maggio 2001.
Al riguardo va osservato che – sebbene sia condivisibile, in linea generale, l’assunto secondo il quale il giudizio di inadempimento (o di adempimento) e il conseguente giudizio di responsabilità (o
irresponsabilità) contrattuale, pur essendo riservati al giudice del merito, restano sindacabili in Cassazione quando si pongano in contrasto con i principi dell’ordinamento, come espressi dalla giurisprudenza di legittimità e con quegli standard valutativi esistenti nella realtà sociale che concorrono, con i menzionati principi, a comporre il diritto vivente (entrambi idonei a riempire di contenuto la nozione “elastica” di diligenza professionale richiesta dall’art. 1176, comma 2, c.c.: in tal senso, ad es., Cass., n. 8047/2019 e Cass., n. 34107/2019) – nella fattispecie non solo deve recisamente escludersi tale contrasto, ma deve riconoscersi che, al contrario, tanto i principi ordinamentali espressi dal diritto vivente quanto gli standard sociali integrativi dello stesso sarebbero stati violati proprio se fosse stata affermata la necessità della esibizione di due documenti di identità.
In tal modo, infatti, per un verso, sarebbero stati disattesi i principi affermati da questa Corte circa il carattere non precettivo della raccomandazione contenuta nella circolare ABI del 7 maggio 2001 (Cass. Cass., n. 34107/2019 e Cass., n. 26866/2022); per altro verso, sarebbe stata disapplicata la regola, desumibile dalle disposizioni di legge sull’efficacia certificativa dei singoli documenti d’identità – e comunque socialmente riconosciuta – secondo cui l’attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento di identità personale.
Sub c) La terza censura, infine, è infondata, sia nella parte in cui deduce la violazione delle regole di riparto dell’onere probatorio, sia nella parte in cui deduce la violazione dell’art. 1176, comma 2, c.c. riscontrare la concordanza dei dati anagrafici contenuti
Il giudice d’appello ha ritenuto che RAGIONE_SOCIALE avesse fornito la prova di avere adoperato la dovuta diligenza professionale nell’identificazione della persona presentatasi all’incasso, da un lato procedendo, nel rispetto delle condizioni generali di contratto, a nella disposizione telematica effettuata da RAGIONE_SOCIALE con quelli riportati sul documento di riconoscimento presentato allo sportello
dal preteso beneficiario per la riscossione; e, dall’altro lato, ricevendo, da parte di quest’ultimo, la comunicazione del proprio codice fiscale e della parola chiave fornitagli dall’ordinante, onde controllarne la coincidenza con quelli presenti nel flusso del mandato elettronico.
Muovendo da tale accertamento di fatto, il giudice di appello ha dunque inferito che del documento, i cui estremi erano stati annotati sulla quietanza di pagamento insieme al codice fiscale, non fosse “dato conoscere (e cioè, in sostanza, non fosse apprezzabile) l’eventuale falsità”; ha evidenziato che nella predetta quietanza era stata riportata anche la data di nascita corrispondente a quella, mai comunicata, del beneficiario, come successivamente indicato negli atti di causa; ha rilevato che ‘in base agl i standard valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili all’interno del l’ordinamento positivo è poi noto che l’attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d’identità personale’ e ha co ncluso che la condotta, dettagliatamente indicata, tenuta nella specie dall’attuale controricorrente fosse ‘sufficientemente diligente’.
Viene, dunque, in considerazione un motivato accertamento di merito (come tale, incensurabile in sede di legittimità), all’esito del quale il giudice d’appello, lungi dall’attribuire l’onere probatorio ad una parte diversa da quella cui sarebbe spettato secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla distinzione tra fatti costitutivi ed eccezioni (nel che soltanto sarebbe ravvisabile la violazione dell’art. 2697 c.c.: cfr., ex multis, Cass., n. 13395/2018 e Cass., n. 26769/2018), ha invece ritenuto che RAGIONE_SOCIALE avesse debitamente assolto quello impostole dalla norma generale di cui all’art. 1218 c.c., pur traendo questa dimostrazione, anziché dal mezzo di prova precostituita rappresentato dalla copia del documento (che non è stata prodotta agli atti), dal ragionamento inferenziale fondato su una presunzione che, movendo dal fatto accertato dell’espletamento della procedura stabilita e
dell’annotazione degli estremi del documento nella quietanza, ha consentito di risalire al fatto ignoto della verifica della sua – almeno prima facie – apparente autenticità.
Da un lato, dunque, la mancata produzione in giudizio della copia del documento rileva, non come fatto sostanziale indice della “ontologica non prefigurabilità in astratto della dimostrazione dell’adempimento dell’obbligo di identificazione”, bensì come mera omissione processuale e probatoria, ovverosia come mancata allegazione di un mezzo probatorio precostituito del fatto oggetto della prova liberatoria della debitrice, che il giudice del merito, nel pieno esercizio delle proprie prerogative, ha tuttavia reputato irrilevante, ritenendo di poter desumere la predetta prova liberatoria da un diverso mezzo istruttorio, costituito dal ragionamento presuntivo; al riguardo, va ricordato il consolidato principio secondo il quale tanto l’accertamento dei fatti, quanto l’apprezzamento – ad esso funzionale – delle risultanze istruttorie è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass., n. 16499/2009; Cass., n. 13485; Cass., n. 16467; Cass., n. 11511). Dall’altro lato, l’accertata posizione in essere, da parte di RAGIONE_SOCIALE, di una attività di identificazione della persona presentatasi allo sportello, fondata sulla previa verifica -oltre che della corrispondenza della password e del codice fiscale a quelli indicati nel flusso telematico -anche dell’apparente autenticità del documento di identità da essa esibito, non può essere considerata in contrasto né con i principi ordinamentali né con gli standard valutativi sociali della diligenza professionale, dal momento che essa attività, al contrario, appare perfettamente conforme alla regola, socialmente riconosciuta, secondo cui l’identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro del documento di identità di volta in volta esibito (Cass., n. 34107/2019); né, in mancanza di specifica prescrizione normativa, può reputarsi
esistente una best practice che impone al delegato di pagamento l’estrazione di copia e la conseguente conservazione del documento esaminato in funzione dell’identificazione del delegatario, anche in ragione della necessità di bilanciare le esigenze dell’attività di identificazione con quelle di tutela della riservatezza della persona identificata, che consentono la conservazione della copia riprodotta solo in casi stabiliti selettivamente dalla legge e non oltre il tempo necessario in rapporto alle finalità perseguite (cfr. la Delib. del Garante per la Protezione dei Dati Personali 27 ottobre 2005)».
9. -Con il terzo motivo: Ulteriore valenza del tema della mancata produzione, da parte della Banca, dell’elemento probatorio (fotocopia dei documenti di identità) a dimostrazione dell’adempimento dell’obbligo di pagare al legittimato. Omesso esame, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 , c.p.c., circa un fatto decisivo per il giudizio (la mancata produzione, da parte della Banca negoziatrice, di una copia del documento di identità presentato dal falso prenditore al momento della riscossione) che è stato oggetto di discussione tra le parti. Nullità della sentenza per omessa pronuncia sull’eccezione dedotta dalla parte, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.
9.1 -Anche questo motivo è infondato, come già ritenuto da questa Corte in identica fattispecie, coinvolgente le medesime parti del presente giudizio (Cass., n. 27572/2023; Cass., n.30513/2023).
«In primo luogo, infatti, il vizio di omesso esame si può configurare solo in ipotesi di omessa considerazione di un fatto ‘storico’ decisivo e controverso, non anche in ipotesi di omessa valutazione di un elemento istruttorio (ex multis, a partire da Cass., Sez. Un., n. 8053/2014, Cass., n. 17761/2016; Cass., n. 27415/2018; Cass., n. 28887/2019).
Nella fattispecie, con riguardo alla circostanza della mancata produzione in giudizio della copia del documento di identità, si è già sopra evidenziato che essa circostanza rileva, non come fatto sostanziale indice della ‘ontologica non prefigurabilità in astratto
della dimostrazione dell’adempimento dell’obbligo di identificazione’, bensì come mera omissione processuale e probatoria, ovverosia come mancata allegazione di un mezzo probatorio precostituito del fatto storico oggetto della prova liberatoria della debitrice; fatto storico (la concreta verifica del documento di identità, con esito che non ne escludeva -prima facie -la presumibile autenticità) che, invece, è stato debitamente preso in considerazione dal giudice del merito, il quale ne ha tratto la dimostrazione da un diverso mezzo di prova. In secondo luogo, il vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., si può configurare solo rispetto ad una domanda o ad una eccezione (la quale consiste nell’allegazione di un fatto impeditivo, modificativo od estintivo del diritto azionato), non anche rispetto ad un argomento difensivo, sia pure ripetutamente ribadito negli atti processuali di parte».
10. -Per quanto esposto, il ricorso va rigettato con compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità in ragione del rilievo sistematico della questione sottoposta all’esame della Corte.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso con compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione