ORDINANZA TRIBUNALE DI PESCARA – N. R.G. 00003685 2024 DEL 14 01 2025 PUBBLICATA IL 14 01 2025
N. 3685/ 2024 R.G.
TRIBUNALE ORDINARIO di PESCARA
SEZIONE CIVILE
IL GIUDICE
letto il ricorso depositato, ai sensi dell’art. 700 cpc, dalla in persona del legale rappresentante “pro tempore”, nei confronti di in persona del legale rappresentante “pro tempore”, e vista la memoria difensiva di quest’ultima; letti gli atti di causa;
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 10 gennaio 2025, osserva quanto segue:
la società ricorrente – premesso di essere titolare del conto corrente n. 1054231871 presso regolarmente utilizzato per la gestione della propria attività economica; che il 18 ottobre 2024 il suddetto rapporto risultava bloccato in assenza di qualsivoglia comunicazione preventiva e/o successiva, tale da giustificare detta decisione; che solo a seguito di formale diffida del 22 ottobre 2024, riscontrata il successivo 19 novembre, aveva dichiarato che il blocco era stato determinato da un’operazione definita “anomala”, relativamente alla quale erano in corso verifiche; che l’impossibilità di operare sul conto era causa di ingenti danni economici (derivanti dall’impossibilità di gestire i flussi cassa necessari all’attività aziendale) nonché reputazionali (per incapacità di onorare impegni commerciali e contrattuali) – tanto premesso, e ritenuta la sussistenza dei presupposti di legge, chiedeva ordinarsi alla controparte sia la immediata comunicazione di ogni dettaglio riguardante l’operazione ritenuta “anomala” e i criteri adottati per giustificare il blocco, sia di provvedere all’immediato sblocco del conto, onde consentire la piena operatività sullo stesso.
Costituitasi in giudizio, contestava l’assunto avversario, ritenendo l’insussistenza dei presupposti per l’adozione della invocata cautela.
In particolare, la resistente richiamava il D.Lgs n. 231/07 a mente del quale le banche, quali soggetti obbligati, sono tenute ad effettuare controlli costanti nei confronti della propria clientela, sia in relazione ai rapporti continuativi in corso che alle operazioni specifiche eventualmente disposte, segnalando le operazioni sospette alla Unità di Informazione Finanziaria (UIF) della Banca d’Italia; evidenziava, inoltre, che detto obbligo di segnalazione si imponeva in caso di accertate o sospette operazioni “anomale” per caratteristiche, entità, natura o qualsivoglia altra circostanza, tenuto conto altresì della capacità economica e dell’attività svolta dal soggetto cui era riferita.
La società resistente contestava anche la sussistenza del periculum, e concludeva per il rigetto del ricorso.
Ritiene il Tribunale, all’esito della cognizione sommaria che caratterizza la presente fase cautelare, che il ricorso si fondato e che, pertanto, debba essere accolto.
Ed invero, il D.Lgs. n. 231/07, invocato dalla resistente, costituisce “Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione”.
L’art. 3 chiarisce che tra i soggetti cui si applicano le disposizioni di cui al decreto medesimo vi sono anche le banche e
Ai sensi dell’art. 35, comma 1, “I soggetti obbligati, prima di compiere l’operazione, inviano senza ritardo alla UIF, una segnalazione di operazione sospetta quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa. Il sospetto è desunto dalle caratteristiche, dall’entità, dalla
natura delle operazioni, dal loro collegamento o frazionamento o da qualsivoglia altra circostanza conosciuta, in ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività svolta dal soggetto cui è riferita, in base agli elementi acquisiti ai sensi del presente decreto. Il ricorso frequente o ingiustificato ad operazioni in contante, anche se non eccedenti la soglia di cui all’articolo 49 e, in particolare, il prelievo o il versamento in contante di importi non coerenti con il profilo di rischio del cliente, costituisce elemento di sospetto”.
Ebbene, costituendosi in giudizio, si è limitata a richiamare la suddetta normativa e a fare generico riferimento ad “operazioni anomale”, senza tuttavia fornire alcuna ulteriore specificazione o chiarimento a riguardo; d’altro canto, anche nella pec del 19.11.2024 (allegata dall’istante), di riscontro alla diffida della controparte, la resistente a giustificazione del blocco ha fatto riferimento ad “un’operazione anomala, per la quale sono in corso opportune verifiche”, senza null’altro indicare né documentare nel prosieguo, anche in ordine all’esito delle verifiche stesse.
In sostanza, non risulta dimostrato (e, per la verità, nemmeno puntualmente dedotto) che su quel conto vi siano state operazioni “anomale” nei sensi di cui alla suddetta normativa, tali da giustificare il blocco del conto medesimo.
Sussiste pertanto il fumus boni iuris della domanda cautelare: sospendere l’operatività di un rapporto di conto corrente senza una valida ragione (non essendo stata provata la corretta applicazione della normativa antiriciclaggio), costituisce da parte di violazione degli obblighi di correttezza e buona fede contrattuale.
Parimenti, nella specie risulta integrato il presupposto del periculum; infatti, il blocco in uscita del conto corrente paralizza l’operatività commerciale della ricorrente, la quale si trova nell’impossibilità di disporre delle proprie sostanze economiche per onorare le obbligazioni contrattuali assunte, pagare fornitori e dipendenti, ecc…, situazione che ben può comportare conseguenze a lungo termine non determinabili e, dunque, neanche risarcibili per equivalente economico.
Così come non ristorabile con adeguato risarcimento deve ritenersi il prospettato danno alla reputazione, con rischio non solo di perdita di importanti relazioni commerciali ma anche di definitiva cessazione dell’attività economica.
In definitiva, in presenza di entrambi i presupposti di legge, il ricorso deve essere accolto, con conseguente ordine a di provvedere allo sblocco immediato del conto corrente n. 1054231871 intestato alla
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale, visti gli artt. 669 e segg. e 700 cpc, accoglie il ricorso e, per l’effetto, ordina a in persona del legale rappresentante “pro tempore”, di provvedere immediatamente allo sblocco del conto corrente n. 1054231871 intestato alla
per l’ulteriore effetto, condanna parte resistente al pagamento delle spese di lite, liquidate nella misura di euro 1.752,00 per compenso professionale ed euro 145,50 per spese, oltre accessori come per legge.
Si comunichi.
Pescara, il 14 gennaio 2025
IL GIUDICE
dott.ssa NOME COGNOME