SENTENZA CORTE DI APPELLO DI ROMA N. 4765 2025 – N. R.G. 00005123 2020 DEPOSITO MINUTA 01 08 2025 PUBBLICAZIONE 01 08 2025
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D’APPELLO DI ROMA
SECONDA SEZIONE CIVILE -SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA
Così composta:
NOME COGNOME Presidente
NOME COGNOME Consigliere Relatore
NOME COGNOME Consigliere
riunita in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 5123 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2020 vertente
TRA
( C.F.
)
elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.to NOME COGNOME che lo rappresenta e difende per mandato in atti
APPELLANTE
E
(C.F.
) P.
elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv.to NOME COGNOME che la rappresenta e difende per mandato in atti
( C.F.
)
Elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv.to NOME COGNOME che la rappresenta e difende per mandato in atti
in proprio e quale erede di
APPELLATI
Oggetto: appello avverso sentenza del Tribunale di Roma sezione specializzata imprese n. 11521/2020 resa nel procedimento r.g. 64276/2016.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato e iscritto a ruolo conveniva dinanzi al Tribunale di Roma, sezione specializzata imprese, ( di cui l’attore era accomandatario e già amministratore ) e gli accomandanti , e ed esponeva quanto segue.
Le quote erano ripartite in misura uguale tra tutti soci.
L’attore era stato anche amministratore fino alla revoca intervenuta con provvedimento giudiziale a seguito di domanda dei fratelli e .
Era seguito in via giudiziale lo scioglimento della RAGIONE_SOCIALE e la nomina di un liquidatore.
L’attore impugnava il rendiconto del 2015 segnalando di aver proposto analoga domanda in altro giudizio e chiedendo la riunione.
Riferiva che la RAGIONE_SOCIALE era proprietaria di due appartamenti, uno utilizzato dalla famiglia e un altro da un ex socio,
Erano stati registrati all’uopo contratti di locazione senza che gli occupanti avessero mai versato i canoni.
Il trentuno ottobre 2000, quando non era ancora amministratore, l’attore aveva sollevato la questione relativa anche alla contabilizzazione come ricavo di un canone congruo, riproposta ai soci il ventisette dicembre 2000 allorquando, divenuto amministratore, aveva comunicato che avrebbe iscritto in bilancio il canone e le spese.
La situazione aveva comportato un conflitto con gli altri soci tanto da essere convenuto in un’azione di responsabilità nonché in un’altra causa volta a ottenere lo scioglimento della RAGIONE_SOCIALE cui era seguita la nomina giudiziale di un liquidatore.
Quest’ultimo dal 2013 non aveva più iscritto a ricavi il canone e secondo l’attore ciò aveva comportato un’evasione fiscale.
Affermava poi che con sentenza 16589/2015 del Tribunale di Roma, in un giudizio reso tra le stesse parti, era stato stabilito con efficacia di giudicato che, in base all’art. 85 occorreva contabilizzare in bilancio come ricavo il valore venale dell’ap partamento e non quello locatizio.
Anche in questo caso il liquidatore non aveva adeguato il rendiconto del 2015, trasmesso ai soci il dieci giugno 2016 per cui i ricavi, riguardo all’appartamento in uso al padre dell’attore, , erano stati indicati in soli € 72.980,52, mentre, trattandosi di appartamento in uso a socio senza pagamento di canone, il valore da indicare sarebbe stato quello venale ossia € 2.520.000,00.
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE tramite il liquidatore ed contestando l’efficacia di giudicato della sentenza 16859/2016 nella parte sopra indicata nonché opponendosi alla riunione e affermando l’infondatezza della domanda. In particolare riferiva no che l’appartamento era stato correttamente inserito tra le immobilizzazioni materiali dell’attivo dello stato patrimoniale e nel conto economico erano stati indicati i costi e comunque il liquidatore aveva intrapreso azione di rilascio.
e erano dichiarati contumaci.
Il Tribunale con sentenza 11521/2020 così statuiva :
‘ Rigetta le domande proposte da contro la ; condanna altresì la parte attrice a rimborsare ai convenuti costituiti le spese di lite, che si liquidano, quanto all , in € 6.500,00 per compenso professionale, oltre i.v.a., c.p.a. e 15 % per spese generali e quanto ad in € 6.500,00 per compenso professionale, oltre i.v.a., c.p.a. e 15 % per spese generali’
documentava il decesso del padre in data venti maggio 2017 e proponeva appello nei confronti di anche in qualità di erede di nonché dell’altro erede ed ex socio chiedendo:’
‘Piaccia alla Corte d’Appello adita, contrariis reiectis, riformare l’impugnata sentenza e per l’effetto: 1) in via pregiudiziale di rito, disporre la riunione del presente procedimento recante il r.g.n. 5123/2020 al procedimento riassunto presso codesta Corte di Appello con il r.g.n. 2666/2025, a seguito di ordinanza della S.C. di Cassazione con la quale ha disposto l’annullamento con rinvio della sentenza n. 1120/2020, relativa al procedimento recante il r.g.n. 3154/2017, per tutti i motivi sopra indicati; 2) sempre in via pregiudiziale di rito, disporre la nomina di un curatore speciale ai sensi degli artt. 78, comma 2, 79 e 80 c.p.c. affinché rappresenti la societ (c.f e p. i.v.a. P.
) con sede in Roma, INDIRIZZO, per tutti i motivi sopra indicati; 3) in ogni caso, nel merito accertare e dichiarare come non approvato il bilancio/rendiconto dell chiuso al 31 dicembre 2015 presentato ai soci tutti, ed in particolare al socio accomandatario odierno attore, a firma del liquidatore Giudiziale dott. mediante p.e.c. del 10 giugno 2016; 4) in ogni caso, dichiarare nullo, ovvero annullabile e comunque errato ed inefficace, detto bilancio/rendiconto per violazione dell’art. 85, comma 2, del TUIR, non essendosi appostato tra i ricavi il valore normale dell’appartamento AB, bene d’impresa dato in uso al soci nel corso dell’esercizio in esame, secondo la lettura autentica di detta norma fi-scale, indicata dalla sentenza n. 16589/2015 del Tribunale Civile di Roma, passata in giudicato interno sia per il liquidatore che per i soci accomandanti, avendo gli stessi dato espressa acquiescenza e non proposto appello sul relativo capo di sentenza; 5) in via subordinata, ove si ritenesse errata od inapplicabile la statuizione sopra riportata e contenuta nella sentenza n. 16589/2015 del Tribunale Civile di Roma, dichiarare nullo, ov-vero annullabile e comunque errato ed inefficace, detto bilancio/rendiconto per violazione dell’art. 2, comma 36, del D.L. n. 138/2011, non essendo stato appostato a ricavo un canone locatizio normale di utilizzo del bene, ne’ essendo stata effettuata la obbligatoria dichiara-zione telematica atta ad evidenziare all’Anagrafe Tributaria i beni dati in utilizzo ai Soci ove conferiti in uso a valore inferiore a quello normale; 6) per l’effetto, ordinare la rettifica del documento contabile, con tutte le conseguenze di Legge che deriveranno da detta correzione nel bilancio civilistico, a cominciare dal dichiarare errate le attestazioni reddituali gia’ fornite dalla societa’ ai soci in conseguenza della trasmissione del documento qui impugnato e che sono state dai soci stessi utilizzate nelle rispettive lo-ro dichiarazioni dei redditi, basate sul predetto documento ed in occasione dei pagamenti IRPEF correnti nel Giugno Luglio; 7) conseguentemente od alternativamente, dichiarare anche errata la dichiarazione dei redditi modello Unico SP 2016 redditi 2015 ove venga derivata dal bilancio qui impugnato e venga così trasmessa telematicamente entro il 30.9.2016 od in subordine entro e non oltre la data del 30.9.2017, data dopo la quale la posizione della società per l’anno d’imposta 2015 diverrà cristallizzata per l’amministrazione fi nanziaria; 8) in virtù dei poteri d’ufficio conferiti dall’art. 36 D.P.R. 29 settembre 1973 n.600 intitolato “Comunicazione di violazioni tributarie”, provvedere a comunicare al competente Comando della Guardia di Finanza i fatti enunciati nell’atto di cit azione, in quanto essi integrano pale-semente violazioni tributarie, fornendo la documentazione atta a comprovarli; 9) ai sensi e per gli effetti dell’art 96, terzo comma, c.p.c., come modificato dalla Legge n. 69/2009, condannare le parti avverse al pagamento, di una somma equitativamente determinata. Con vittoria di spese ed onorari di giudizio, oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed oneri accessori ‘. P.
Si costituiva la sRAGIONE_SOCIALE che concludeva chiedendo :
‘In via preliminare, dichiarare inammissibile l’appello proposto d perché introduce motivi e/o prove nuove; in via principale, rigettare l’appello perché infondato in fatto ed in diritto, con la conferma della sentenza n. 11521/2020 emessa dal Tribunale civile di Roma. Con vittoria di spese e compensi di legge ‘.
Si costituiva che concludeva chiedendo:
‘Respingere integralmente, in quanto inammissibile e infondato in fatto e in diritto, l’appello formulato dal sig. avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 11521/2020, dell’11 agosto 2020, resa all’esito del giudizio rubricato al R.G. 64276/2016 Con vittoria di spese, competenze e onorari anche del primo grado di giudizio .’
non si costituiva.
La Corte all’esito dell’udienza del ventitré giugno 2025, trattata in forma scritta come da decreto del ventidue aprile 2025, riservava la decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve essere dichiarata la contumacia di , già contumace in primo grado in proprio e quale erede di , anch’egli contumace in primo grado . L’appellante ha infatti depositato documentazione attestante la regolare notifica e il suddetto non si è costituito.
agisce nella presente sede quale ex socio accomandatario della , composta in pari quota dall’appellante, dal padre NOME
(deceduto in corso di causa per cui la presente vertenza vede i restanti soci anche come eredi) e dai fratelli e .
L’appellante nelle conclusioni chiede la riunione ad altro giudizio ( riunione che per esigenze di economia processuale non può essere disposta ), la nomina di un curatore speciale ( da respingere per assenza totale dei presupposti ) e l’accertamento della mancata approvazione del rendiconto 2015 ( circostanza peraltro smentita condivisibilmente dal Tribunale in quanto, come di seguito indicato, l’unico socio dissenziente era l’odierno appellante che rappresentava all’epoca solo il 25% delle quote, senza ch e vi sia sul punto uno specifico motivo di doglianza ) .
Ai fini del presente giudizio di appello occorre rilevare quanto segue.
La sentenza del Tribunale più volte richiamata dall’appellante ( 16589/2015 ) aveva ad oggetto l’azione di responsabilità esercitata da e nei confronti del fratello amministratore ; con detto provvedimento è stato revocato l’am ministratore
e condannato quest’ultimo al risarcimento del danno pari a € 62.885,85 in favore di
e a € 61.785,77 in favore di .
Il giudizio di appello si è concluso con sentenza di rigetto 1433 del 2022 e attualmente pende ricorso in Cassazione.
Il Tribunale nel presente giudizio, dopo aver dato atto dei plurimi processi incardinati tra i fratelli, ha rilevato come il fabbricato sito in Roma, INDIRIZZO, costruito e di proprietà della avesse tra gli appartamenti anch e quello indicato come ‘AB’ utilizzato dalla sua costruzione da , socio e fondatore della società, a titolo gratuito, nonostante la registrazione di contratti di locazione e l’inserimento a bilancio di ricavi da canoni in realtà insussistenti.
La revoca dell’amministratore , odierno appellante, in base alla sopra indicata sentenza 16859/2015, era stata motivata anche sulla non veritiera appostazione in bilancio del cespite rispetto a cui erano stati indicati ricavi mai riscossi per un contratto di locazione mai stipulato.
Anche la richiesta dei canoni in via giudiziale effettuata dall’appellante nei confronti del padre nel 2012 è stata respinta assenza di prova riguardo alla stipula di un contratto di locazione.
Analogo giudizio promosso dal liquidatore si è concluso con la sentenza 21128/2014 con cui è stata accertata la mancanza di contratto suddetto.
Il liquidatore ha poi intrapreso un procedimento di rilascio dell’appartamento in quanto occupato senza titolo, ha concluso transattivamente la vertenza il diciassette giugno 2016 con la stipula di un contratto di vendita dell’usufrutto a e s eparata cessione della nuda proprietà.
Il Tribunale, come già accennato, ha ritenuto che il quorum per l’impugnazione del rendiconto non fosse stato raggiunto.
L’art. 4 dello statuto, rilevava il Giudice di prime cure, prevedeva per l’approvazione del rendiconto l’assenso della metà del patrimonio sociale senza prevedere la necessità comunque dell’approvazione dell’accomandatario (qualità che peraltro l’appellante all’epoca del rendiconto non aveva ); non avendo gli altri soci ( titolari del residuo 75% ) manifestato dissenso, il rendiconto doveva dirsi approvato.
Il Tribunale ha poi così ricostruito i motivi di impugnazione del rendiconto:
v iolazione dell’interpretazione autentica dell’art. 85 TIUR resa dal Tribunale di Roma con sent. 16589/2015;
v iolazione dell’applicazione di una norma tributaria e, dunque, l’interesse generale tutelato dall’art. 53 Cost;
violazione del giudicato cui il liquidatore aveva dato acquiescenza non proponendo impugnazione alla sentenza sopraindicata al punto a);
v iolazione del principio civilistico di verità del bilancio, fornendo l’errata impressione ai soci che non siano gravati da alcuna imposizione tributaria, che al momento del relativo accertamento avrebbe comportato sanzioni e interessi;
causazione di nocumento al socio accomandatario, gravato o comunque maggiormente gravato in conseguenza del criterio adottato dal liquidatore.
La sentenza 16589/2015, secondo il Tribunale, riguardava invero un giudizio avente a oggetto solo le condotte dell’amministratore odierno appellante e non criteri di redazione dei bilanci; la sentenza del 2015, ha sempre rilevato il Giudice di prime cure a veva tra l’altro affermato che ‘ la normativa tributaria prevede specifiche modalità di registrazione dei beni destinati ad autoconsumo, cioè destinati al consumo personale di uno dei soci non imponendo certo la registrazione di fittizi contratti di locazione ‘ mentre la frase riguardante l’art. 85 TUIR (che stabilisce ‘ Si comprende inoltre tra i ricavi il valore normale dei beni di cui al comma 1 assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa’ ) era preceduta dalla parola ‘peraltro’ con ciò dovendosi escludere la valenza data dall’odierno appellante.
Nel rendiconto, prosegue il Tribunale, ci si è attenuti ai criteri di corretta rappresentazione perché l’immobile detenuto dal socio è stato inserito tra le immobilizzazioni materiali dell’attivo nello stato patrimoniale e nel conto economico figurano i costi relativi al bene; l’ appellante avrebbe poi trascurato la modifica della situazione in quanto nel 2015 non vi era alcuna forma di autoconsumo consentita dalla società in favore del socio a titolo oneroso o a titolo gratuito, tanto che era stato già avviato dal liquidatore un procedimento per il rilascio dell’immobile, in quanto occupato senza autorizzazione e
senza titolo; la situazione rappresentata in bilancio rispondeva pertanto a tale stato di fatto, stante l’assenza di reddito e l’assenza di beni in uso (consentito) ai soci.
Ha ritenuto assorbita la domanda di dichiarare errata la dichiarazione dei redditi 2016 in quanto non vi erano voci in bilancio da variare
Primo motivo di appello
Si contesta il passo della sentenza con cui con riferimento al rendiconto del 2015 il Tribunale ha ritenuto che fosse stata correttamente valutata la modifica della situazione pregressa.
Testualmente :
‘ In definitiva, la cesura, quel mutamento di condizioni, che il Collegio ha ravvisato al subentrare della liquidatela e nel comportamento di questa, che attivava nel 2014 un procedimento di rilascio nei confronti di un ultra ottuagenario che pacificamente aveva abitato nella casa di famiglia sin dal 1974, ritenendo che l’assenza di titolo equivalesse ad occupazione abusiva, deve essere caducata in quanto vìola il giudicato che si è formato tra le medesime parti proprio su detta situazione e che assicura che anche sine titulo non vi era carattere illecito in quell’occupazione derivante da un pregresso rapporto di sostanziale comodato gratuito basato su pacifica tolleranza risultando il contratto di locazione stipulato verbalmente, non altro che un escamotage a fini fiscali, non rilevante p,er alcuna pretesa anche di occupazione abusiva’.
Il motivo è infondato.
Con le sentenze nn. 14367/2014 e 21128/2014 del Tribunale di Roma, quindi prima del rendiconto per l’anno 2015, era stata già accertata l’inesistenza dei contratti di locazione e di altro titolo di detenzione dell’appartamento AB in capo a .
Si osserva comunque come con sentenza 20233/2016 del Tribunale di Roma sia stata respinta la domanda dell’odierno appellante di far inserire dal liquidatore nel bilancio al 2012 i canoni di locazione, in quanto ‘il liquidatore non avrebbe potuto reiterare l’errore compiuto dal socio accomandatario ritenendo sussistente un credito non sussistente o altamente inesigibile, attesa, per un verso, la pacifica insolvenza del sig e, per altro, la palese inc ertezza circa l’esistenza dei contratti ver bali di locazione ‘
L’esistenza di un giudicato riguardo al comodato gratuito basato su pacifica tolleranza, dedotto dall’appellante, riguarda inoltre aspetti che non inficiano l’esistenza, al momento della redazione del rendiconto, di una vertenza in atto consistente nella richiesta di rilascio dell’appartamento; anche laddove si ritenesse poi che l’appartamento fosse in comodato
gratuito comunque, in assenza di un termine, sussisteva il diritto del proprietario di chiedere il rilascio dell’immobile stesso. In buona sostanza la manifestazione di volontà della società tramite il liquidatore era nel senso di ottenere immediatamente la piena disponibilità dell’appartamento.
D’altro canto la sentenza 28124/2014 del Tribunale di Roma passata in giudicato e richiamata dallo stesso appellante a sostegno della propria tesi ha affermato, come riportato in atti :
‘ non vi era alcun carattere illecito in detta occupazione che non poteva che continuare sulla scorta della pacifica tolleranza o di diversa decisione della società che non è stata allegata in quanto detta situazione non poteva considerarsi una locazione ma piuttosto un comodato gratuito soprattutto in considerazione del comportamento tenuto dalle parti nel corso del predetto rapporto ed in assenza della proposizione per molti anni di qualsivoglia azione finalizzata ad ottenere il pagamento degli asseriti crediti da locazione ”
*
Secondo motivo di appello.
Si contesta il passo della sentenza con cui il Giudice di primo grado ha ritenuto un mero obiter l’affermazione resa in altro giudizio, quello concernente la responsabilità dell’amministratore, laddove era stato indicato :
“Peraltro -contrariamente a quanto sostenuto dalla parte attrice- il citato art. 85 TUIR prevede che venga compreso tra i ricavi il valore normale dei beni assegnati ai soci e non che vengano iscritti crediti per canoni di locazione derivanti da contratti inesistenti, in violazione dei principi di veridicità e correttezza che devono ispirare la redazione del bilancio delle società.”.
Si sostiene come in realtà l’affermazione fornisse un principio applicabile al caso di specie e fosse vincolante in quanto affermato in una controversia tra le stesse parti; il liquidatore di conseguenza avrebbe dovuto adeguarsi e iscrivere il bene al valore normale tra i ricavi.
Il motivo è infondato poiché, a prescindere dalla normativa del TUIR, che riguarda invero la materia tributaria e non i criteri contabili di redazione del rendiconto, il Tribunale nel giudizio di responsabilità ha statuito con riferimento a bilanci antecedenti a quello preso in considerazione; nel 2015 infatti l’appartamento non era più considerabile come un bene assegnato ai soci in forza di autoconsumo ma come un bene oggetto di comodato fino a 2014 e nel 2015 oggetto di domanda di rilascio.
In buona sostanza occorre considerare come già lo stesso appellante avesse agito per ottenere i canoni di locazione nei confronti del padre ( presupponendo quindi non un bene assegnato a un socio in autoconsumo ); il liquidatore poi ha agito per ottenere il rilascio dell’immobile : da ciò risulta evidente come l’appartamento non fosse stato ceduto al socio , non fosse stato allo stesso assegnato e non fosse stato destinato a finalità estranee all’esercizio dell’impresa; non ricorrevano di conseguenza i presupposti di cui all’art.
85 del Tuir.
Terzo motivo di appello
Si asserisce una contraddizione nella sentenza laddove è stato affermato :
“La sentenza n. 16589/2015 nulla dispone sulla modalità di redazione dei bilanci, che non erano sottoposti al suo esame, ma esamina una delle condotte di mala gestio imputate a , ovverosia aver riportato a bilancio ‘delle poste non ve re e non rappresentanti la reale situazione patrimoniale e finanziaria della società, facendo risultare crediti in realtà inesistenti.’.
In buona sostanza il Tribunale avrebbe da un lato ritenuto che la sentenza 16589/2015 non riguardasse le modalità di redazione del bilancio per poi nella stessa frase indicare come condotta di mala gestio proprio il fatto di aver indicato poste non vere nel suddetto documento.
Il motivo è assorbito dalla valutazione della seconda doglianza e comunque si tratta di circostanza irrilevante rispetto al fatto che nel presente giudizio si tratta di rendiconto di un anno diverso rispetto a quelli valutati in sede di azione di responsabilità.
*
Quarto motivo di appello
Si sostiene che il Tribunale avrebbe errato laddove non ha valutato se la voce relativa all’appartamento AB fosse stata indicata nel rendiconto rispettando l’art. 85 TUIR, valutazione che invece avrebbe dovuto essere fatta in quanto strettamente inerente al principio di veridicità e correttezza del bilancio.
Il motivo è assorbito dal rigetto delle altre doglianze; non è infatti applicabile, per quanto già esposto, l’art. 85 TUIR che riguarda l’ipotesi di assegnazione a soci in autoconsumo di un bene della società e non l’ipotesi di bene illegittimamente occupa to da un socio rispetto a cui era pendente azione di rilascio.
Le spese del presente grado seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo senza fase istruttoria in quanto non tenuta.
Al rigetto dell’appello consegue il rigetto anche della domanda avanzata dall’appellante di condanna delle controparti ex art. 96 c.p.c.
Per quanto riguarda l’applicabilità dell’art. 13 comma 1 quater dpr 115del 2002 ( introdotto dall’art 1 comma 17 l. 228/2012 ) la Corte deve dare atto della sussistenza del presupposto processuale a seguito della presente statuizione di rigetto; sono peraltro sempre fatti salvi gli accertamenti successivi demandati all’amministrazione giudiziaria.
Come infatti affermato da Cass. ss. UU 4315/2020 con statuizione che il Collegio ritiene di adottare ‘ In tema di raddoppio del contributo unificato a carico della parte impugnante ex art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, l’attestazione del giudice dell’impugnazione della sussistenza del presupposto processuale per il versamento dell’importo ulteriore (c.d. doppio contributo) può essere condizionata all’effettiva debenza del contributo unificato iniziale, che spetta all’amministrazione giudiziaria accertare, tenendo conto di cause di esenzione o di prenotazione a debito, originarie o sopravvenute, e del loro eventuale venir meno .’
P.Q.M.
La Corte definitivamente pronunciando
Respinge l’appello e per l’effetto conferma la sentenza 11521/2020 del Tribunale di Roma
Condanna l’appellante a pagare ad
le spese del presente grado liquidate in complessivi € 6.946,00 oltre rimborso forfettario del 15%, IVA e CA.
Condanna l’appellante a pagare a le spese del presente grado liquidate in complessivi € 6.946,00 oltre rimborso forfettario del 15%, IVA e CA.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento a carico di parte appellante di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa
impugnazione ( art. 13 comma 1 quater dpr 115 del 2002 introdotto dall’art. 1 comma 17 l. 228/2012 ) salvo l’accertamento dell’effettiva debenza del contributo unificato iniziale, demandato all’amministrazione Giudiziaria.
Roma, camera di consiglio del ventuno luglio 2025
IL CONSIGLIERE ESTENSORE IL PRESIDENTE NOME COGNOME NOME COGNOME Thellung de Courtelary