Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11052 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11052 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7010/2021 R.G. proposto da : NOMECOGNOME NOMECOGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (-) rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti
principali-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME
(CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOMECODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè contro
NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME COGNOME e di eredi beneficiati di NOME COGNOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti incidentali-
contro
sul controricorso incidentale proposto da NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente incidentale-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO LECCE n. 1330/2019 depositata il 03/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Ritenuto che:
La Corte di appello di Brescia accoglieva per quanto di ragione, con sentenza nr 1330/2019, l’appello proposto da NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME e dichiarava la responsabilità solidale di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, eredi COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e in parziale accoglimento degli appelli incidentali proposti da NOME COGNOME e degli appellati incidentali eredi COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME li condannava in solido al risarcimento del danno in favore degli appellanti principali nella misura di € 41316,55 rispetto alla maggior somma liquidata in sentenza.
Il Giudice del gravame premetteva che la domanda risarcitoria azionata dagli appellanti principali traeva origine dalla pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Lecce, sez penale nei confronti di COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME in quanto responsabili dei reati loro rispettivamente ascritti e tenuti, in quanto tali, al risarcimento del danno in via solidale in favore delle costituite parti civili da liquidarsi in separata sede.
Osservava, per gli aspetti che qui rilevano, in merito agli effetti del giudicato penale nel giudizio civile che la decisione penale attiene unicamente all’accertamento del fatto materiale, nella loro oggettiva entità, e non preclude al giudice civile una nuova e diversa valutazione, nel senso che questi, pur non potendo
costruire in modo diverso i fatti accertati in sede penale, è libero di compiere, per le diverse finalità del giudizio civile, una propria autonoma valutazione.
Sottolineava che, quantunque la sentenza di bancarotta preferenziale riguardi un reato di pericolo, la decisione penale di condanna in quanto generica non impedisce al giudice civile l’accertamento del danno sotto il duplice profilo dell’an e del quantum.
Su questa premessa rilevava la piena legittimità degli appellanti a pretendere il risarcimento nei confronti di COGNOME e NOME non disgiunta dall’esame delle censure svolte in via incidentale nell’ottica di paralizzare sotto vari profili la pretesa risarcitoria azionata nei loro confronti.
La Corte di appello riteneva, alla luce delle risultanze di causa, che il danno subito dal creditore per effetto dell’accertata condanna dei responsabili per il reato di bancarotta preferenziale era un danno diretto in quanto è il suo patrimonio personale a subire una diminuzione per la svalutazione del credito a causa della scelta degli amministratori e degli acquirenti della Finanziaria San Giorno, di canalizzare il patrimonio sociale disponibile a soddisfazione di alcuni crediti e non di altri.
Tuttavia, riteneva che nella specie il danno lamentato dagli appellanti era stato solo parzialmente provato e solo in questi stretti limiti andava accertato il nesso causale con la condotta di NOME e COGNOME COGNOME.
Escludeva in particolare il danno relativo ai c.d. attestati di finanziamento e alle cambiali c.d. di favore ritenendo che fosse da confermare la decisione di primo grado in merito all’impossibilità di recuperare i crediti ammessi al passivo fallimentare per la mancata
chiusura della procedura fallimentare e alla conseguente necessità di far ricorso ad una liquidazione in termini equitativi.
Riteneva poi che fosse da accogliere l’appello di NOME COGNOME limitatamente al difetto di prova.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad unico motivo cui hanno resistito COGNOME NOME e NOME COGNOME in qualità di eredi di NOME COGNOME e nella qualità di eredi beneficiati di NOME COGNOME nonché con distinto difensore NOME COGNOME con controricorsi e ricorsi incidentale, illustrati da memoria
Si è costituito con il solo controricorso NOME COGNOME.
I ricorrenti principali hanno depositato controricorso avverso i ricorsi incidentali presentati nei loro confronti da COGNOME COGNOME NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché memoria illustrativa in prossimità dell’udienza camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
Con un unico articolato motivo i ricorrenti principali denunciano la violazione e falsa applicazione degli articoli 1988 e 2697 c.c. in relazione all’art 360 nr 3 c.p.c. per avere la Corte di appello, pur in presenza di certificati costituenti riconoscimento di debito attribuito agli attori l’onere di provare il versamento degli importi indicati.
Sostengono infatti che, diversamente da quanto affermato dal giudice di merito, la non corretta indicazione di una data non ha rilievo sulla ripartizione degli oneri probatori.
Ritengono pertanto che l’esistenza pacifica delle due attestazioni di finanziamento avrebbe dovuto indurre la Corte di appello a considerare gli attori esenti dagli oneri probatori.
I ricorrenti incidentali RAGIONE_SOCIALE, a loro volta, contestano la decisione sotto un triplice profilo.
Denunciano con il primo motivo l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti ex art 360 primo comma nr 5 c.p.c. per avere la Corte di appello omesso di valutare gli effetti derivanti transazione conclusa fra la curatela della società Mediofin e i responsabili del reato di bancarotta preferenziale, omissione ritenuta rilevante ai fini della valutazione equitativa del danno.
Sostengono infatti che ove detta transazione fosse stata considerata avrebbe condotto la Corte ad una diversa conclusione in quanto l’integrale risarcimento aveva comportato che anche i creditori fossero stati reintegrati nelle loro garanzie ed aspettative Il danno da bancarotta preferenziale è infatti riferibile alla minor quota di presumibile riparto generato proprio dall’illecito preferenziale, come aveva stabilito la sentenza impugnata.
Con un secondo motivo lamentano la violazione e falsa applicazione degli articoli 651 c.p.c., dell’art 2943, 2056 e 1223 c.c. in relazione all’art 360 primo comma nr 3 c.p.c.
Sostengono che il defunto NOME COGNOME NOME era chiamato a rispondere unicamente dei danni causati dal reato a lui ascritto e non anche di condotte di altri soggetti integranti il reato di bancarotta fraudolenta.
Affermano che la Corte di appello avrebbe fatto malgoverno del principio di efficacia nel giudizio civile della sentenza di condanna.
Con il terzo motivo i ricorrenti incidentali deducono la violazione e falsa applicazione degli art 1226, 1223, 2043 e 2697 c.c. in relazione all’art 360 primo comma nr 3 c.p.c. per avere la Corte di appello, proceduto alla liquidazione equitativa del danno ex art 1223 c.c. malgrado il patrimonio della fallita fosse stato
integralmente reintegrato con la transazione e nonostante l’ assenza di una prova concreta e specifica del danno subito dal singolo creditore quale conseguenza diretta della condotta ascritta ad NOME COGNOME COGNOME.
Le ragioni di doglianza poste a base del ricorso incidentale di NOME COGNOME sono speculari a quelli sin qui riassunti dagli altri ricorrenti incidentali.
Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile.
La Corte di appello in merito agli attestati di finanziamento rilasciati dalla società finanziaria ai coniugi COGNOME e COGNOME ha rilevato alcune anomalie riguardanti le date di emissione sottolineando che il primo risultava emesso il 3 agosto 1990, quanto il COGNOME non ricopriva più alcun ruolo all’interno della società mentre il secondo che recava una numerazione progressiva non poteva essere stato emesso prima del 3.8.1990.
Ha poi osservato che in relazione alle somme portate dagli attestati di finanziamento non vi era la prova dell’effettivo versamento tanto è vero che non erano stati neppure ammessi al passivo.
Riteneva pertanto il giudice di merito che questa situazione avrebbe imposto l’onere di fornire nel giudizio in questione la relativa prova che invece non era stata fornita.
A fronte di tale argomentazione le ragioni di doglianza prospettano questioni nuove relative alla qualificazione giuridica degli attestati di finanziamento di cui non vi è traccia nella sentenza impugnata.
E’ principio consolidato di questa Corte quello secondo cui i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di
legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. n. 22886/2022; Cass. n. 32804/2019; Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 13/06/2018, n. 15430; Cass. n. 28060/2018;.Cass., 09/07/2013, n. 17041).
Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni non esaminate dal giudice di merito, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonché il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione.
Va peraltro osservato che il danno che i controricorrenti eredi NOME COGNOME COGNOME e NOME sono solo quelli legati al reato di bancarotta preferenziale che, come sottolineato dal giudice di merito, consiste nei diritti dei creditori rimasti insoddisfatti in misura superiore a quanto lo sarebbero stati in una procedura concorsuale aperta in assenza di pagamenti preferenziali.
Si tratta dunque di una pretesa risarcitoria che ha una genesi diversa certamente non coincidente con il credito portato dai due certificati di deposito che attesterebbero un preteso credito dei soci COGNOME e COGNOME nei confronti della società Mediofin.
Inoltre, il preteso credito vantato dai ricorrenti principali non è stato ammesso al passivo, come si dà atto nella decisione impugnata, e pertanto non è comunque configurabile la sussistenza
di un danno giacchè anche ove non fosse intervenuto il pagamento preferenziale, detto credito sarebbe rimasto insoddisfatto.
Con riguardo invece alla posizione del COGNOME la Corte di appello ha escluso ogni responsabilità sul piano risarcitorio considerando che lo stesso al momento dell’emissione di tali certificati non ricopriva alcun ruolo all’interno della società.
Affermazioni queste che non risultano intaccate dal motivo di ricorso fatto valere dai ricorrenti principali.
Il primo motivo dei ricorsi incidentali è inammissibile.
Preliminarmente, l’interpretazione di questa Corte (cfr. ex plurimis, Cass. n. 27415 del 2018) ha chiarito come l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per Cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, n. 8053 del 2014): costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. n. 5133 del
2014; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 21152 del 2014; Cass. Sez. U. n. 5745 del 2015; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017).
Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2014); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. n. 21439 del 2015).
E’ quindi inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’ art. 360 c.p.c., n. 5 per sostenere il mancato esame di deduzioni istruttorie, di documenti, di eccezioni di nullità della sentenza non definitiva e degli atti conseguenti, di critiche rivolte agli elaborati peritali (ovvero di semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico), o per lamentarsi di una “motivazione non corretta”.
Questa Corte ha più volte ribadito che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. n. 13556 del 2006; Cass. n. 17915 del 2010; Cass. n. 19985 del 2017).
Nel caso di specie i ricorrenti incidentali non trascrivono la transazione neppure nei suoi passaggi più significativi e non consentono quindi di valutare la pertinenza e la portata delle critiche mosse alla sentenza impugnata, prima ancora di verificarne la fondatezza.
La formulazione del motivo contrasta pertanto con il principio di specificità dell’impugnazione, consacrato nell’art. 366, primo comma, nn. 4 e 6 cod. proc. civ., il quale esige che, ove la parte intenda dolersi dell’omessa o errata valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, provveda ad illustrare la critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si duole, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso (cfr. Cass., Sez. V, 13/11/2018, n. 29093; Cass., Sez. I, 19/08/2015, n. 16900; Cass., Sez. VI, 16/03/2012, n. 4220).
Il secondo motivo del ricorso incidentale è parimenti inammissibile. La Corte territoriale, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti incidentali, non ha equiparato le due figure di reato, bancarotta fraudolenta e bancarotta preferenziale, In particolare, il giudice di merito ha tenuto distinte le condotte attribuite al COGNOME, COGNOME e COGNOME (condannati per bancarotta fraudolenta) considerate idonee a cagionare il danno da quelle delle condotte dei soggetti condannati per bancarotta preferenziale ritenute concausa nella produzione del danno.
La Corte ha quindi valutato in modo autonomo la condotta dei responsabili di bancarotta preferenziale NOME COGNOME e NOME
Senape De Pace con un accertamento di merito non sindacabile in questa sede di legittimità.
Il terzo motivo è inammissibile.
Va in primo luogo chiarito che il pregiudizio subito dai richiedenti parti civili nel giudizio di bancarotta preferenziale, conclusosi con la condanna di NOME e NOME COGNOME COGNOME, è rappresentato dalla diminuzione subita al proprio patrimonio personale per la svalutazione del credito a causa della scelta degli amministratori di canalizzare il patrimonio sociale disponibile a soddisfazione della Finanziaria San Giorgio.
Ciò posto sugli effetti della pretesa transazione intercorsa fra la Curatela RAGIONE_SOCIALE e la Finanziaria San Giorgio va osservato che anche a prescindere dall’inammissibilità del rilievo, giacchè come sopra esposto la mancata trascrizione dell’atto non consente a questa Corte di apprezzare la fondatezza della censura, detto accordo non incide sui diritti dei singoli creditori danneggiati dagli attori della bancarotta preferenziale.
Singoli creditori i quali, come sottolineato dalla Corte distrettuale, sono chiamati a dimostrare in che misura proporzionale il loro credito sarebbe stato soddisfatto in assenza di pagamenti preferenziali.
Sul punto i giudici di merito hanno rilevato che non essendo stata ancora chiusa la procedura fallimentare non era possibile determinare tale misura sicchè in ragione degli anni trascorsi dalla dichiarazione di fallimento e tenuto presente quanto risulta dagli atti, vale a dire l’entità del credito ammesso al passivo(£ 160.000.000), hanno liquidato in via equitativa la somma di € 41.316,55.
Il ricorso alla liquidazione equitativa è stato correttamente impiegato essendo particolarmente difficile per gli odierni creditori dimostrare in presenza di un fallimento ancora aperto in che proporzione il credito da loro vantato nei riguardi della società fallita non sarebbe stato onorato a causa della condotta preferenziale.
La Corte territoriale ha preso come parametro di riferimento il credito ammesso al passivo e, al fine di giungere all’importo ritenuto appropriato quale risarcimento del danno, ne ha adeguato l’entità dimezzandone il valore.
Va, dunque, ribadito che “qualora proceda liquidazione del danno in via equitativa, il giudice di merito, affinché la sua decisione non presenti i connotati della arbitrarietà, deve indicare i criteri seguiti per determinare l’entità del risarcimento, risultando il suo potere discrezionale sottratto a qualsiasi sindacato in sede di legittimità solo allorché si dia conto che sono stati considerati i dati di fatto acquisiti al processo come fattori costitutivi dell’ammontare dei danni liquidati” (Cass. 8213/2013).
L’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa diviene dunque insuscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione, come nella specie, dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, attraverso la specifica indicazione del processo logico e valutativo seguito (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24070 del 13/10/2017).
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso principale e quelli incidentali vanno dichiarati inammissibili e in ragione della reciproca soccombenza le spese di legittimità vanno compensate fra le parti.
I ricorrenti principali sono tenuti invece al pagamento delle spese di questa fase in favore di NOME COGNOME risultato vittorioso.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili il ricorso principale e quelli incidentali proposti dai controricorrenti eredi di NOME COGNOME COGNOME e da NOME COGNOME dichiara compensate fra i ricorrenti principali e quelli incidentali le spese di legittimità; condanna i ricorrenti principali al pagamento in favore di NOME COGNOME delle spese di legittimità che si liquidano in complessivi € 5000,00 oltre € 200,00 per esborsi ed al 15%per spese generali nonché Iva e c.p.a..
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, nel testo introdotto dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e di quelli incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma 17.04.2025